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Salviamo la scuola italiana

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2006 15:34
27/10/2006 15:34
 
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Sono un'ex insegnante: me ne sono andata alcuni anni fa, con rammarico, dato che amavo il mio lavoro e l'ambiente scolastico, un po' per motivi di salute e un po' a causa della crescente ingovernabilità delle classi nella nostra scuola. Incontro spesso i miei ex colleghi e so che il problema è sempre più serio. Leggendo i giornali, vedo che ci si comincia a rendere conto che buona parte della causa consiste nell'incomprensione del problema da parte delle famiglie.
Mi rendo conto che, per molti genitori, entrambi impegnati nel lavoro fuori casa, è oggi più difficile seguire da vicino i propri figli, ragionare con loro, aiutarli ad acquisire i valori di una corretta convivenza con gli altri. Spesso, però, c'è un altro motivo: i genitori non si rendono conto delle reali difficoltà che un insegnante incontra nel gestire una classe, e sottovalutano la necessità di premere sui figli per ottenere un comportamento corretto. In una classe, a volte, basta che ci sia un solo alunno che "fa lo stupido" per rendere la lezione praticamente impossibile, e non solo per colpa sua: se un ragazzo riesce a mettere i bastoni tra le ruote all'insegnante, spesso viene ammirato dagli altri per la sua sfrontatezzza e preso a modello. Un tempo, persistendo in questo atteggiamento, sarebbe stato sospeso, ma ora non si può più, perchè, se i genitori sono entrambi a lavorare, chi lo guarda? E non si può mandare fuori l'alunno che disturba, perchè se si fa male o combina qualche guaio, risponde l'insegnante che non lo ha guardato.
Potrei dire che, all'atteggiamento attuale di eccessiva permessività, si è arrivati attraverso due precise fasi storiche: la prima è stata quella della contestazione del sessantotto, protrattasi fino ai primi anni settanta. Essa è stata pilotata dai movimenti della sinistra marxista extraparlamentare, che diffondevano slogan tendenti a condurre all'uguaglianza sociale attraverso la facile acquisizione dei titoli di studio, con la simpatia e l'appoggio di persone di fede cattolica, le quali, ingenuamente, vedevano in tutto questo un modo per sollevare i poveri dalla loro condizione di inferiorità economica e sociale.
Questa linea della permessività, del "va tutto bene", anche se l'alunno non studiava e, durante le lezioni meno gradite, stava in qualche maniera fuori dall'aula, è stata poi sconfessata dagli "opinion leaders" degli anni successivi: si disse allora che gli alunni di livello sociale più modesto non venivano affatto favoriti da una scuola troppo permissiva; anzi, essa toglieva loro l'unica possibilità di riscatto sociale di cui avrebbero potuto disporre. Un titolo di studio dato gratuitamente a chiunque, e che non garantiva una effettiva preparazione, era in effetti come un pezzo di carta straccia, impossibile da far valere in qualche modo.
Per un po' di anni si ragionò con i piedi un po' più per terra, ma poi si tornò, sia pure per motivi diversi dalla prima volta, a sollecitare la permissività: ora mi pare che si stia raggiungendo, in questa seconda fase, il colmo dell'insipienza: il motivo? L'integrazione in Europa.
Io sono europeista, e non saranno le stupidaggini che si stanno facendo adesso in nome dell'integrazione europea a farmi cambiare in questo.
Di che si tratta? L'Europa mira a risollevare la propria economia attraverso un rilancio industriale che richiede personale più preparato: bisogna, infatti, evitare di farsi sconfiggere dalla concorrenza delle nazioni emergenti, come l'India e la Cina. Per questo l'Europa chiede all'Italia, che ogni anno fa conseguire il diploma di scuola media superiore al 73% circa dei diciannovenni, di arrivare almeno all'80%. Sarebbe un obiettivo degno di approvazione, se si cercasse di raggiungerlo per vie ragionevoli; ma le vie ragionevoli hanno anche un costo economico.
Leggo che nei paesi europei più progrediti si valorizza molto di più l'apprendimento a carattere professionale: da noi, un po' perchè rifornire una biblioteca costa meno che allestire laboratori, un po' perchè, a causa di una concezione snobistica ed elitaria, si tende a sopravvalutare le attività intellettuali, l'apprendimento professionale è sottovalutato, a cominciare dalla scuola media inferiore. Si aggiunge un atteggiamento tipico della sinistra marxista, e magari anche degli inconsapevoli simpatizzanti, che tende a vedere nei corsi a carattere professionale qualcosa di emarginante, che rende "meno uguali". E' un concetto errato: l'insegnamento professionale, se indirizzato alle persone giuste, rende più uguali.
Ma chi sono le "persone giuste" ? Tutti gli insegnanti ne conoscono molte: sono quei ragazzi che è difficilissimo interessare ad attività come lo studio di una lingua straniera, o della letteratura, o della storia, o della matematica ecc, ma possono invece attivarsi se indirizzati ad attività di laboratorio tecnico-pratico, con vantaggio loro e della società che si appresta ad accoglierli come lavoratori possibilmente preparati e come cittadini equilibrati e responsabili. Nella scuola media inferiore attuale, questi ragazzi vengono malamente obbligati ad occuparsi quasi solo di materie astratte, e ne conseguono scarso impegno, scarsa disciplina, insuccesso, e mancanza di autostima. Come reagisce un ragazzo adolescente alla mancanza di autostima? Il risultato di tutto questo può essere molto pericoloso sul piano sociale.
E' inutile limitarsi a dire che l'interesse per le materie scolastiche dipende dalla professionalità dell'insegnante, che bisogna saper suscitare l'interesse degli alunni: in genere, nessun insegnante riesce ad interessare tutti: se però un insegnante è abbastanza dotato di "grinta" e deciso a farsi rispettare, oltrechè preparato, riesce quasi sempre a tenere la disciplina. E' già molto: almeno gli alunni interessati riuscirannno a stare attenti.
Ma anche la necessità di usare la severità necessaria per tenere la disciplina viene sottovalutata: si sfornano proposte pedagogiche tutte basate sulla comprensione, sul dialogo. Ma che dialogo può esserci quando non si riesce neppure a parlare per fare lezione?
Parlare di severità, di sistemi duri, di far ripetere i ragazzi che non si sono impegnati, va contro la propaganda corrente, e...fa diminuire la percentuale dei diplomati! E allora, che cosa dirà l'Europa? Ma tanto che vale il diploma dato a ragazzi che non sanno nulla? Non saranno diplomi dati in questo modo, simili all'etichetta Chianti o Barbera messa sopra una bottiglia vuota, a risollevare le sorti dell'Italia e dell'Europa.
D'accordo, bisogna utilizzare sistemi di insegnamento che suscitino il maggior interesse possibile e coinvolgano i ragazzi, e bisogna dialogare con loro, comprenderne i problemi, gli interessi e le aspirazioni, ma in una scuola non è come in famiglia: prima di tutto bisogna tenere la disciplina.
Leggo che nelle scuole dei paesi asiatici emergenti, che ci stanno passando davanti anche a livello di preparazione scolastica (l'India sta sfornando fior di ingegneri in grande quantità) non sono i metodi di insegnamento che sono più avanzati, ma la disciplina scolastica che funziona di più.
E allora, tirando le somme, che cosa deve cambiare in Italia per salvare la nostra scuola ed il nostro paese? Le famiglie devono chiedere ai figli più rispetto per gli insegnanti e per i compagni e i politici devono rendersi conto che la scuola ha bisogno di più mezzi, per istituire più laboratori e corsi professionali adeguati a valorizzare le capacità reali di tanti ragazzi che, attualmente, vengono emarginati.
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