Le ragioni e il cambio di mentalità...
Alessandro,
vuoi stimolare l’attenzione dei poveri precari?!
Ti aiuterò in questo progetto.
Ovviamente quando Prodi - ma poteva essere un qualsiasi altro esponente politico - parla di aumentare il costo del lavoro flessibile, sa già che le aziende spendono, a parità di professionalità reclutata, molto di più quando ricorrono alla fornitura di lavoro temporaneo (escludendo il particolare caso dei CO.CO.PRO).
Quindi, la domanda che dovrebbe essere posta è un’altra: “Come mai il costo di un lavoratore “atipico” è più alto e al contempo le retribuzioni sono più basse?”
La risposta è complessa, ma esemplificando potremmo cominciare col dire che la coesistenza di più contratti fra le parti fa levitare i prezzi.
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato “classico”, ossia quello che prevede un accordo stipulato tra lavoratore e datore di lavoro, regola unicamente le due parti, mentre nel caso di ricorso a forniture di lavoro tramite società esterne (le c.d. all’origine “società interinali”), i contratti stipulati si moltiplicano (contratto tra lavoratore e società di fornitura – contratto tra utilizzatore e fornitore – contratto tra utilizzatore e lavoratore). E' proprio nella proliferazione dei contratti che aumentano i costi e si abbassa la retribuzione per il lavoratore.
Faccio un esempio: se la società x vuole reclutare nel proprio organico un dipendente, procederà con una selezione, un colloquio e una stipula di un contratto che, ancorché essere a tempo determinato, prevede l’ingresso in organico dell'individuo selezionato con tutti gli oneri che ne derivano (tenuta della banca ore, attività di erogazione delle buste paga, attività di sostituto di imposta, ecc.).
Se la stessa società decide di acquisire personale da società esterne sostiene ugualmente tutti quei costi direttamente imputabili ad un lavoratore, ma, a fronte di una maggiorazione di costo giustificato dalla fee (margine di guadagno dell’impresa fornitrice), alleggerisce la propria gestione del personale ottenendo delle economie derivate (organici snelli e procedure più veloci che ben si adattano ai mutamenti esterni).
In questo senso dobbiamo tenere bene a mente che Marco Biagi aveva un pensiero di base, ossia creare delle opportunità di lavoro che rispondessero alla duale esigenza: da una parte, degli industriali di avere manodopera flessibile per i picchi di produzione, dall’altra, dei lavoratori non occupati di trovare impiego.
Per tagliare corto, potremmo dire che in una logica di costi benefici, le aziende reputano conveniente sostenere un costo maggiorato dal guadagno di una società di fornitura (nuovi soggetti che “guadagnano” sul lavoro degli altri…), anziché legarsi con un contratto a tempo indeterminato o appesantire i propri organici con contratti a tempo determinato.
Ora non voglio essere polemico rispetto al fatto che in Italia il lavoro flessibile sta gradualmente sostituendo quello classico, anche quando non è giustificato dallo stato di necessità (picchi di produzione), ma critico il fatto che il tessuto lavorativo industriale italiano sia sempre più "sottile".
Ma allora se la produzione scarseggia e non esistono più urgenze nei picchi di produzione perché si continua a sostenere la tesi dell’utilità del lavoro flessibile?
La risposta, ahimé, è nella domanda stessa: perché c’è una forte crisi industriale.
La legge 30 ha, come suo più diretto fine – a detta anche di esponenti politici di maggioranza che si occupano di economia – quello di abbattere il costo del lavoro per aiutare le imprese/industrie in difficoltà.
Ovviamente, poi, anche chi non aveva l’esigenza di essere aiutato ha approfittato del lavoro atipico per mettersi in regola con le assunzioni in nero portando: da una parte, una maggiore tutela di alcuni lavoratori che non ne godevano, dall’altra la legalizzazione del ricorso al lavoro ad un più basso costo.
L’idea di Prodi è proprio quella di portare il costo del lavoro “atipico” a livelli per i quali il rapporto costi/benefici risulti nullo.
Un’idea geniale nelle prospettive, ma, ahimé, miserrima nell’attuazione.
Purtroppo nel nostro paese – e lo dico da italiano convinto - siamo abituati alla logica dello sfrenato individualismo.
Logica perversa che porta in ogni momento alla considerazione che, sebbene palesemente evidente, ci si accanisca sull’uovo di oggi, e ci si disinteressi al pollo di domani.
Sulla base di questa logica aumenterebbero le “partite IVA” e nel caso estremo i lavoratori in nero.
In questo senso la colpa è del singolo, ma ancor di più dei nostri dirigenti politici che non riescono, in modo corale, a far capire che, per il futuro di questo paese è necessario chiamare tutti ad un atto di responsabilità.
Si deve puntare al sacrificio di tutti – e non solo della nostra o delle future generazioni – per sviluppare un nuovo tessuto industriale e di servizi tecnologici, ricorrendo a massicci investimenti.
Questo a mio avviso è l’unico modo per risollevare il destino di questo paese sempre più stanco, vecchio e egoista.
Marco (maipiusoli_per@yahoo.it)
[Modificato da maipiusoli 02/04/2006 20.39]
Marco (maipiusolo...)