"Essere o non essere"

Samuel se ne stava sdraiato scomposto sulla branda della piccola cella all'interno del penitenziario psichiatrico dove oramai era rinchiuso da giorni.
Di tanto in tanto si girava cercando di trovare una posizione consona al suo stato di pigrizia cronica, eppure avvertiva un vuoto incolmabile che lo ammorbava.
La mancanza di Sebastian si era fatta sempre più greve nel suo animo e stava diventando intollerabile. Aveva ricevuto una sua lettera ma non aveva mai avuto il coraggio di aprirla. Si limitava a fissarla rodendosi in un dilemma introspettivo degno del shakesperiano "essere o non essere". D'un tratto però si mise seduto sulla branda ed afferrò con vigore quella busta. La osservò ancora per lunghi istanti, poi la mano destra scivolo sulla sua superficie liscia e lentamente andò ad aprirla. Furono istanti lunghissimi per Samuel che, dopo mesi oramai, ritrovava lentamente una forma di contatto con il figlio in giro per il mondo a combattere chissà dove.

"Caro padre,

scrivere una lettera cosi senza spunti e senza discorsi dei quali parlare mi sembra molto sciocco e stupido. La depressione che provo da tempo ha raggiunto livelli decisamente pericolosi e credo che difficilmente arginerò ancora a lungo la mia psiche volubile. Eppure un argomento del quale ti volevo parlare ci sarebbe. Sai mi sono sempre chiesto cosa dirà la gente il giorno del mio funerale, aldilà delle classiche frasi di circostanza. "Era una brava persona"? "merita il mio rispetto"? "possa riposare in pace"? "mi è sempre stato antipatico? Onestamente non trovo risposta a questa domanda. Ma alla fine sono cosciente che il sunto di quelle frasi è ciò che resterà di me dopo la mia dipartita. Duro da ammettere e forse anche riduttivo per l'esistenza di un uomo. Ma alla fine il peso del ricordo è un peso dal quale nessuno può esimersi. Quindi ti chiedo un favore, almeno tu ricordami sempre anche dopo la mia morte, altrimenti la mia vita non avrà avuto nessun senso.

Tuo figlio, Sebastian.