Freddo.
Una gabbia.
La paura negli occhi.
La voglia di uscire.
Quelle sbarre che mi impedivano di comunicare col mondo.
Paura.
Ogni volta che li vedevo arrivare.
Mi percuotono.
Provo dolore.
Ho voglia di rivincita.
Dolore.
Le botte.
I lividi.
La rabbia nei loro occhi.
Il ricordo dei miei genitori.
Rimpianto.
Quell’incidente.
Sapere che non sarei servito a niente.
Voglia di rivalsa.
Devo reagire.
Rabbia.
Due persone.
Una vita.
La mia vita.
Annientata da loro.
Fame.
Gli scarti che mi portavano.
Ho fame.
Non voglio altro.
Voglio loro.
“Ecco, Dr. Perkins, questo era ciò che provavo durante la mia prigionia in quella terribile gabbietta, questo era ciò che pensavo mentre i miei zii mi distruggevano la vita… La fame, la rabbia, la voglia di rivalsa mi hanno portato a compiere ciò che ho commesso… Tuttavia, devo dire che ucciderli e mangiarmeli non è stato solo un motivo di vendetta… Vede, a me sono piaciuti… Io ho amato quella carne succulenta e gustosa… Io non ho alcuna intenzione di rinunciare al mio piccolo segreto…”
Il Dr. Perkins, psicologo del carcere di massima sicurezza, stava a sentirmi, era il primo caso di cannibalismo che gli si presentava davanti, ed era curioso di capire come ha ragionato la mia mente in questo caso… E’ curioso di capire perché io abbia fatto ciò… E’ interessato a scoprire i meandri di una mente così perversa… Mi chiede di raccontargli se ho mai avuto esperienze di incontri con altri cannibali… Gli rispondo di no… Oggi non è più una pratica in voga…
Scopro che lo psicologo vuole osservare a fondo i miei sentimenti, vuole scoprire quanto amore represso si cela in me. Vuole scoprire quanta gioia distrutta si nasconda dentro di me. Vuole capire quanto affetto negato si assiepi nella mia anima. Nessun sorriso. Nessun ammicco. Nessuna parola dolce. Perkins si preoccupa. Vede uno sguardo triste nei miei occhi. Vede uno sguardo affamato. Ma non di amore e di affetto. I miei occhi si tramutano. Non c’è più nostalgia. La rabbia riesplode in me.
Comincio ad agitarmi, mi sedano. Le cinture di allacciamento al divanetto tuttavia sono visibilmente allentate. Nessuno se ne accorge. La mia visita psichiatrica continua. I miei sentimenti vengono nuovamente rimessi allo scoperto. Un dubbio mi attanaglia. Potrò fidarmi? Non lo so. Propendo per il sì. Lo psicologo parla. Mi metto ad osservare la stanza. Noto dei trincetti in un vecchio calamaio. Mi vengono strane idee.
L’effetto del sedativo finisce. Divento nuovamente nervoso. Mentre lo psicologo non mi guarda, finisco di sciogliere le cinture inibenti. Mi avvicino. E’ troppo tardi per gridare. Gli pianto un trincetto nella gola. Il sangue comincia a sgorgare. Sento profumo. Profumo di adrenalina. Profumo di traguardo. Anche in carcere sono riuscito a farlo. Sono invincibile. Azzanno lo psicologo. Ho bisogno di carne umana. Quella carne umana che mi riempie la bocca. Quella carne umana che mi riempie lo stomaco. Quella carne umana che mi riempie il cuore. Sono soddisfatto.
Arrivano i secondini. Non ho paura. Vedono che mi sono liberato. Non reagisco. Ho la bocca sporca di sangue. I resti dello psicologo sono per terra. Mi riportano in cella. La mia pena sarà più lunga. Non mi interessa. Ora ho nuovi sentimenti in me. E sono capace di incutere nuovi sentimenti negli altri. Sentimenti tremendi. Sentimenti orrendi. Ma il traguardo è uno solo.
Panico.
Gli avversari.
30 avversari.
30 nemici.
Il terrore nei loro occhi
Sofferenza.
Io li osservo.
Loro osservano me.
Li attacco.
Le urla di dolore.
Fiducia.
In me stesso.
Un solo obiettivo.
Un solo traguardo.
Eliminarli tutti.
Rabbia.
Mi stanno eliminando.
Sono quasi giù.
Mi riprendo.
Non è finita.
Vittoria.
Per uno solo.
Quell’uno voglio essere io.
Quell’uno posso essere io.
Quell’uno devo essere io.
Rumble.[Modificato da The Andretaker 05/04/2007 16.13]