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CARLO FEDERICO GROSSO: L'ALIBI DEL SEGRETO DI STATO

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2007 23:59
17/02/2007 23:59
 
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LA STAMPA
17 febbraio 2007
L'alibi del segreto di Stato
CARLO FEDERICO GROSSO

Uno dei nodi della legge sulla riforma dei servizi di sicurezza approvata l’altro ieri alla Camera, e ora rinviata al voto del Senato, è il segreto di Stato e i suoi rapporti con l’acquisizione delle prove. La discussione di tale legge è coincisa con un momento delicato del processo Abu Omar nel quale è imputato il generale Nicolò Pollari. Ne sono scaturite polemiche su un’asserita copertura che il disegno di legge assicurerebbe all’alto ufficiale.

In tema di rapporti fra segreto di Stato e accertamento processuale si contrappongono le esigenze della sicurezza del Paese e della giustizia penale, in un quadro che può essere risolto con un loro contemperamento. Oggi esso è realizzato imponendo ai testimoni di non deporre su fatti coperti dal segreto e precisando che, se il testimone lo eccepisce, il giudice, «se ritiene che la prova sia essenziale per la definizione del processo», dichiara «non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato».

Principi analoghi sono enunciati per le prove documentali. Nulla si dice, invece, nel caso in cui a eccepire il segreto sia l’imputato. Perché non è tenuto a rispondere alle domande del magistrato e non sorge mai conflitto fra obbligo di deporre e divieto di rivelare. Sennonché egli potrebbe avere interesse a parlare per difendersi, nella prospettiva di un conflitto tra salvaguardia del segreto e diritto di difesa. Una lacuna colmata dalla giurisprudenza, la quale afferma che in caso di silenzio dell’imputato il giudice può comunque procedere se dispone di prove diverse e che l’imputato costretto a infrangere la segretezza per difendersi può in ogni caso invocare a discolpa l’esercizio del diritto.

Il giudice che ha affrontato il caso Pollari, rifacendosi alla citata giurisprudenza, ha sostenuto che la posizione del generale poteva essere definita alla stregua di elementi di prova autonomi e ha soggiunto che, nei limiti imposti dall’interesse difensivo, l’imputato era comunque legittimato a violare il segreto in virtù del diritto a difendersi. A chiusura dell’udienza preliminare ha d’altronde, proprio ieri, rinviato significativamente a giudizio Pollari e molti altri imputati (compresi tutti gli agenti Cia) per i reati loro contestati, patteggiando la posizione di taluni di essi. Una decisione netta che induce a riflettere.

Con riferimento al testimone, la nuova legge approvata dalla Camera ribadisce i principi oggi in vigore. Soggiunge che il giudice, se il governo conferma la segretezza, può sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Una precisazione importante, poiché mentre oggi l’ultima parola sull’esistenza del segreto di Stato compete all’esecutivo, con la riforma essa viene attribuita a un organo indipendente di altissima caratura. Innovando rispetto alla disciplina vigente, il progetto sembra prevedere, tuttavia, che il divieto di deporre si estenda dal testimone all’imputato, con conseguenze per lui liberatorie: se per la definizione del processo è essenziale fare riferimento a notizie segrete, il giudice dovrà infatti dichiarare non doversi procedere. L’imputato che si astiene dal rivelare notizie segrete essenziali per la prova risulterà esente da pena senza essere obbligato a riferire alcunché.

Con riferimento ai casi in cui il processo può proseguire sulla base di elementi autonomi di prova, tornerà comunque ad affiorare il problema se, ed entro che limiti, l’imputato, per difendersi, possa infrangere lecitamente il segreto. Comunque con una certezza: che in vicende come quella che ha coinvolto Pollari la nuova disciplina non potrebbe comunque favorire l’imputato, poiché il nuovo testo legislativo prevede espressamente che non possono costituire segreto di Stato le notizie concernenti reati lesivi della libertà personale. La nuova disciplina del segreto di Stato può essere dunque, sotto questo profilo, accettata. Con un interrogativo di fondo. Essa continua a prevedere una nozione troppo ampia di segreto di Stato e non indica al governo criteri rigorosi per determinarlo nei singoli casi. In passato il segreto di Stato ha impedito di fare luce su vicende inquietanti della storia d’Italia. Di qui le perplessità su di una disciplina che non risolve, in ultima analisi, il problema sul quale molti di noi si sono interrogati per anni. Né aiuta a rassicurare la peculiare circostanza che, mentre in Spagna Zapatero non ha esitato, alcuni giorni fa, a togliere il segreto di Stato su voli Cia, il governo Prodi ha deciso di sollevare addirittura conflitto di attribuzione contro il potere giudiziario con riferimento al caso Abu Omar.





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