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ROGNONI: CRITICARE L'INDULTO NON E' GIUSTIZIALISMO

Ultimo Aggiornamento: 31/07/2006 21:13
31/07/2006 21:13
 
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LA REPUBBLICA
31 luglio 2006
L'INTERVISTA. Il vicepresidente del Csm lascia oggi
il suo incarico dopo quattro anni: ecco il mio bilancio
Rognoni: "Criticare l'indulto non è giustizialismo"
"E' stato sbagliato includere nella legge i reati finanziari"
di LIANA MILELLA


ROMA - Un indulto "troppo esteso". E una battaglia, quella dei Di Pietro e dei D'Ambrosio, che "nulla ha a che fare con il giustizialismo". Le leggi sbagliate della Cdl come la ex Cirielli che sovraffolla le carceri. Ma anche la bocciatura di un possibile nuovo sciopero delle toghe contro la riforma Castelli e la convinzione che se "la magistratura fa il suo dovere contro la corruzione agli alti livelli" è sbagliato parlare di conflitto tra giudici e politica. Oggi Virginio Rognoni sale sul Colle e chiude i suoi quattro anni da vice presidente del Csm. Guardandosi indietro dice: "Sono soddisfatto, lo rifarei".

In Parlamento lo scontro sull'indulto è stato durissimo. Di Pietro ha fatto una battaglia per escludere i reati economici e finanziari. È stato accusato di giustizialismo e di voler rappresentare il partito dei magistrati che tenta di condizionare la vita politica. Dopo tanti scontri al Csm su questi temi ritiene che questo partito esista?
"Il Csm non poteva e non doveva intervenire. La scelta dei provvedimenti di clemenza è una scelta tipicamente politica e bisogna rispettare chi ne ha la responsabilità. Ma personalmente penso che si è estesa eccessivamente l'area del provvedimento. Certo, la popolazione carceraria si trova in una situazione di grande sofferenza; a causa della congestione delle carceri c'è un'afflizione in più, per chi sconta la pena, che non può essere accettata. Quando il Csm ha espresso il suo parere sulla proposta di legge ex-Cirielli non aveva mancato di rilevare come certe disposizioni (mi riferisco alla disciplina sulla recidiva) incidevano negativamente sul sistema carcerario. E sarà bene, per il futuro, che si abbia sempre un occhio attento sulle ricadute che provvedimenti, apparentemente lontani, hanno sul sistema carcerario".

L'ex procuratore di Milano D'Ambrosio boccia l'indulto, lo considera una misura che demotiva le inchieste e lascia in bocca l'amaro dell'impunità. Lei, che è stato per una vita un uomo politico e ha rivestito cariche di governo come quelle di ministro dell'Interno e della Giustizia, condivide il giudizio?
"Non mi sembrano pertinenti le critiche di giustizialismo che sono state rivolte a coloro che hanno espresso contrarietà al provvedimento. Il cosiddetto giustizialismo è un'altra cosa. Qui piuttosto, e non è una distinzione di poco conto, si è manifestata una considerazione diversa circa le conseguenze che l'applicazione della clemenza a certi reati - penso alla corruzione - può avere sul costume e sulla cultura della legalità e delle regole. Non mi pare che tutto ciò c'entri con quello che comunemente s'intende per giustizialismo".

Giusto la settimana scorsa, una delle sue ultime decisioni importanti è stata quella di aprire una pratica a tutela del procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro per le accuse rivoltegli da Cossiga e Castelli. Dove passa la linea divisoria tra il diritto di critica di un parlamentare e la delegittimazione?
"Non è facile stabilire il discrimine tra la critica e la delegittimazione del magistrato o addirittura dell'intera magistratura a seguito di dichiarazioni, giudizi, attacchi che si accompagnano, in maniera non accettabile, alla critica che è sempre assolutamente legittima. Non è facile, soprattutto quando le espressioni denigratorie rientrino in un più ampio sindacato parlamentare. Ecco perché è persuasiva la regola che la commissione competente del Csm, fatta l'istruttoria, ne riferisca all'assemblea per le definitive decisioni. Ampliare il giudizio di delibazione da parte del comitato di presidenza, conferendogli il potere di bloccare un'iniziativa consiliare, non è mai sembrata una scelta corretta".

Ritiene che la tutela del Csm sia effettivamente utile?
"Devo dire che la cosiddetta "pratica a tutela" (perché di questo si tratta) ho sempre ritenuto che debba avere un impiego assai prudente e misurato, se vuole avere efficacia; altrimenti non serve, o serve poco, anche perché solitamente arriva in ritardo e non interviene nell'immediatezza dell'"offesa"'. E poi vi sono casi in cui il pm, in particolare, non ha bisogno di tutela ma piuttosto di non essere turbato e distratto da polemiche e clamori, proprio perché possa continuare con serenità il suo difficile lavoro nell'interesse della giustizia. Vi sono offese che esigono di "passare oltre"; è un modo per giudicarle e prenderne le distanze; l'ho detto più volte e lo ripeto".

Il suo successore in pectore Nicola Mancino, come prima dichiarazione da componente del Csm, ha detto che se sarà scelto lavorerà per sanare lo scontro tra giustizia e politica. Ma a guardare i suoi anni al Csm ciò è realmente possibile?
"Si è parlato, e si parla ancora molto, magari guardando agli anni appena trascorsi, di scontro tra giustizia e politica. Bisogna avere attenzione a una semplificazione di comodo, che è sempre pericolosa per gli effetti distorsivi nella pubblica opinione che essa può provocare. Sono rimasto colpito in questi giorni da un giudizio assai severo che Luca Ricolfi, studioso serio ed editorialista della Stampa, certamente non giacobino, ha espresso sul persistente livello di corruzione che c'è nel Paese e di cui il ceto politico non è immune. Le sue parole, per vero, sono assai più dure, se ben ricordo. Bene, se il controllo di legalità - che la magistratura deve esercitare, con estrema imparzialità, autonomia e discernimento, con sobrietà e compostezza di gesti e parole - s'imbatte, per avventura, con esponenti di questo ceto politico, non è certamente questa una buona ragione per gridare allo scontro tra politica e giustizia. La magistratura fa semplicemente il suo dovere".

Ordinamento giudiziario: le toghe dell'Anm sono state da Napolitano, gli hanno sottoposto il disagio per una criticata riforma che ormai è in vigore e che finora il governo Prodi, nonostante le promesse, non ha avuto la forza di bloccare. Che ne pensa?
"Che cosa ne penso? Qui voglio solo ricordare i diversi pareri che il Csm ha espresso sulla riforma. Sono stati pareri altamente qualificanti; e voglio ricordarli perché le critiche numerose, e sull'impianto di fondo della legge assai severe, sono accompagnate da proposte alternative e da indicazioni positive. Tutto ciò è utile oggi perché nella prospettiva dell'acquisita moratoria contenuta nel disegno di legge Mastella, occorre subito porre mano a proposte alternative, in un serrato dibattito nel Paese tra le forze politiche e in Parlamento. È una strada percorribile; nessuno deve impiccarsi alle proprie opinioni, quando il confronto fosse serio e costruttivo".

Si ipotizza un possibile, quarto sciopero contro la legge e quindi stavolta contro Mastella e Prodi. Non è il segno di una totale incomunicabilità tra il mondo della politica e quello della giustizia?
"Personalmente, forse per la lunga attività parlamentare che ho alle spalle, ho sempre confidato (magari contra spem) sulle risorse del Parlamento. E questa fiducia non è venuta meno. Anche qui, sempre che il dialogo si faccia serio e costruttivo, senza pregiudiziali demolitorie nei confronti di nessuno. Quanto allo sciopero, spero proprio che non ci sia; è uno strumento assai controverso che rischia di rendere più difficile uno sbocco parlamentare che è obiettivamente assai complicato".

Calciopoli: una giustizia sportiva rapidissima a fronte di quella ordinaria lunghissima. Si può prenderla ad esempio?
"È meglio non fare esempi; ma occorre con ostinazione ripetere che il male profondo della giustizia italiana è la durata interminabile dei processi. Nulla è stato fatto in questi ultimi anni per abbattere e sconfiggere questo male profondo. Certo, una migliore organizzazione degli uffici giudiziari e una migliore formazione dei giudici - che è materia certamente di ordinamento giudiziario - possono essere rilevanti fattori per rendere più rapida l'amministrazione della giustizia. Ma molto più decisiva, a questo riguardo, è la legge processuale con i suoi meccanismi; e, qui, dobbiamo ripeterlo, non è stato fatto alcun passo in avanti. Nei pareri espressi sull'ordinamento, il Csm non ha mai mancato di sottolineare che questa riforma non poteva esser rappresentata come diretta ad abbattere i tempi del processo".

Quali sono i momenti di questi anni che ricorda come più angoscianti e quelli di maggiore entusiasmo e soddisfazione?
"Di maggiore soddisfazione sono stati certamente quelli in cui erano evidenti i risultati positivi dell'autogoverno della magistratura e, insieme, la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, secondo il dettato, netto e preciso, della Costituzione. Quelli meno soddisfacenti sono stati i momenti in cui l'esercizio di questo autogoverno è sembrato essere ostacolato da remore e incrostazioni quando venivano in gioco gli uffici direttivi e le norme per le nomine dei rispettivi titolari. La scelta è sempre difficile quando i concorrenti sono, tutto sommato, di pari livello. È così in ogni campo; lo si deve riconoscere; la scelta, tuttavia, deve essere fatta, anche se difficile. Raramente c'è qualcosa di buono nella lentezza delle procedure".

Se tornasse indietro accetterebbe di nuovo l'incarico di vicepresidente?
"È stata un'esperienza di grandissimo impegno e di non poca soddisfazione; un'esperienza che nulla ha da invidiare ad altre che ho pure avuto come ministro in posti di delicata responsabilità e in tempi estremamente difficili. È stato un impegno svolto, anche questo, in momenti non facili, ma sempre mi sono state di conforto l'assoluta sintonia con il presidente Ciampi, che ha seguito, quasi per intero, la consigliatura che si conclude, e la consonanza con il presidente Napolitano - se così mi è concesso di dire - per il forte sentimento che egli ha della Repubblica e dei suoi doveri".




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Per il vicepresidente del Csm, i giudici non sono una "Terza camera"
Poi sottolinea la necessità di resistere agli attacchi sferrati verso le toghea
Csm, Rognoni nel giorno dell'addio
"Critiche, ma senza delegittimazione"


ROMA - Il Csm non è una "terza Camera". E le critiche alla magistratura non debbono diventare modi per "denigragre" le toghe. Nel giorno dell'addio (oggi lascerà l'incarico), il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura parla alla cerimonia di insediamento dei nuovi consiglieri al Quirinale.

Sulla "terza Camera" Rognoni spiega che "i nostri pareri su provvedimenti e disegni di legge sono il risultato di una prerogativa che compete al Csm" e non sono "assolutamente vincolanti per nessuno dei protagonisti dell'iniziativa legislativa". Poi, concentrandosi sul delicato rapporto giustizia e politica, aggiunge che "i provvedimenti giudiziari possono essere criticati, ma chiunque li critichi, non può aggiungervi, con dichiarazioni e parole denigratorie, la delegittima del giudice".

"Il giudice soggetto solo alla legge, deve essere libero da ogni influenza, fosse anche per l'indignazione per l'offesa ricevuta - dice Rognoni - difendendo l'onorabilità della magistratura il Csm ne difende l'autonomia e l'indipendenza; ma questa difesa - aggiunge - è sempre stata accompagnata dal richiamo ostinato ai magistrati perchè sappiano guadagnare per così dire sul campo, con il proprio lavoro e il proprio comportamento, la stima e la fiducia dei cittadini".

Il vicepresidente ha anche posto l'accento sulla necessità di "superare le derive correntizie tra le varie posizioni dell'associazionismo dei magistrati". Le divisioni in correnti della magistratura hanno "indiscutibili meriti, ma presentano inconvenienti quando non si riesce a tenere alto il dibattito".

Rognoni ha lamentato l'effetto negativo che hanno "remore e incrostazioni causate dal gioco correntizio dell'area dell'associazionismo della magistratura" specie quando si tratta di discutere di nomine.
Un auspicio per il futuro il ritorno "opportuno" a trenta componenti dell'organismo e la necessità di rivedere la disciplina della maggioranza.

INES TABUSSO
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