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CITATO DA FININVEST PER DANNI IL CONSULENTE TECNICO DELLA PROCURA DI PALERMO NEL PROCESSO DELL'UTRI

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2006 19:29
30/06/2006 19:29
 
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CORRIERE DELLA SERA
30 giugno 2006
A giudizio il funzionario di Bankitalia «prestato» alla procura. Oggi riprende il processo d’appello a Dell’Utri per concorso esterno alla mafia
Indagò sui fondi occulti della Fininvest: citato per danni
DAL NOSTRO INVIATO

PALERMO - Da oggi torna sul banco degli imputati Marcello Dell’Utri perché comincia l’appello dopo la condanna di primo grado a 9 anni per concorso esterno alla mafia. Ma in un’altra aula va sotto processo anche il funzionario della Banca d’Italia che lo ha incastrato e che ha fatto i conti a Berlusconi come consulente della Procura per sospetti flussi transitati verso l’impero Fininvest.
Impianto sul quale l’accusa insiste. Senza risparmiare plausi a Francesco Giuffrida, siciliano, 52 anni, funzionario integerrimo «prestato» dalla Vigilanza a diversi uffici giudiziari per inchieste su mafia, affari e politica. Compresa l’ultima inchiesta sul caso Calvi a Roma. Un tecnico adesso per la prima volta costretto a difendersi da solo davanti alla querela in sede civile di un colosso come l’impero finanziario del Cavaliere.
Turbato, ma convinto che vincerà perché ritiene «di avere svolto esclusivamente un compito tecnico offrendo dati poi utilizzati dai pm e valutati dai giudici», si stupisce davanti alla solitudine avvertita intorno. La notizia della controffensiva Fininvest gira da alcuni giorni, eppure nulla si muove. Né in Procura, dove manca il capo. Né in banca dove nessuno ha pensato di offrire assistenza legale.
Diventato famoso suo malgrado grazie alla coppia Travaglio-Luttazzi perché sulla relazione del funzionario fece leva la trasmissione dello scandalo Rai seguita dalle prime purghe, Giuffrida tutto si sarebbe aspettato tranne di finire sotto querela civile con la Fininvest pronta a chiedere condanna e quattrini «per i danni subiti e per i danni subendi in previsione del processo d’appello», come sintetizza, amareggiato. Anche perché, mentre alla terza sezione civile si troverà nei panni di «imputato», nell’aula dell’appello Dell’Utri sarà chiamato ancora una volta da testimone per insistere sui coni d’ombra del miracolo berlusconiano, quelli degli anni Settanta.
La domanda tormentone è sempre la stessa: da dove arrivarono ingenti somme poi utilizzate come trampolino per il pianeta edilizio e televisivo del Cavaliere? La risposta sta anche nel verdetto Dell’Utri. Scrivono i giudici guidati da Leonardo Guarnotta che le conclusioni di Giuffrida «non hanno trovato smentita», pur aggiungendo che sia per il funzionario della Banca d’Italia, sia per il consulente di parte Fininvest, il professore Iovenitti, «non è stato possibile risalire all’origine, qualunque essa fosse, lecita o illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding del gruppo Fininvest».
Chi avrebbe potuto sgombrare il campo da ogni dubbio? I giudici fanno il nome di Berlusconi che preferì tacere davanti a loro. «Un diritto legittimo», precisano. Ma con una frecciata che sarà ripresa in appello: «Si è lasciato sfuggire l’imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame... che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio».
Per Berlusconi, la cui posizione fu archiviata, e per Dell’Utri sull’inizio delle origini Fininvest non esistono ombre. E ricostruiscono i flussi finanziari degli anni Ottanta. Ma il funzionario scava su quelli precedenti, dal ’74 al ’78. Quanto basta per la controffensiva e la querela. Con richiesta ai giudici di quantificare i «danni». «Sembra una minaccia, un modo per zittirlo e intimorirlo al processo», dicono i pochi amici di Giuffrida e qualche magistrato senza nome per la cronaca. E lui, stanco: «Non è che posso fare la guerra contro Berlusconi. Sarebbe un delirio di onnipotenza da parte mia. Forse è meglio tornare a fare solo il dirigente di banca».
Come dire che non avverte lo stesso sostegno scattato dopo che in un articolo Baget Bozzo ne chiese il licenziamento. Allora scattò la difesa del consulente che oggi non si lamenta di dover pagare i suoi avvocati: «Ma non posso fare una guerra privata».
Felice Cavallaro




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Il parlamentare: mi aspetto che si faccia giustizia
Processo appello a Dell'Utri, citato Berlusconi
In primo grado, 9 anni al senatore di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa. Ex premier citato dalla difesa

PALERMO - Si è aperto a Palermo il processo di appello a carico del senatore Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. La difesa del parlamentare di Forza Italia ha citato tra i propri testi Silvio Berlusconi. Lo ha annunciato, all'apertura del dibattimento, uno dei legali di Dell'Utri, Giuseppe Di Peri. Nel processo di primo grado, concluso l'11 dicembre 2004 con la condanna di Dell'Utri a 9 anni, Berlusconi si era avvalso della facoltà di non rispondere perchè imputato di reato connesso. Lo stesso Berlusconi, all'epoca presidente del Consiglio, aveva comunicato la sua decisione al tribunale che si era recato a Palazzo Chigi per raccogliere la sua testimonianza.
Al termine del dibattimento di primo grado durato sei anni e protrattosi per 256 udienze, il tribunale ha ritenuto, con la sentenza dell'11 dicembre 2004, di avere raggiunto la prova che Dell'Utri avesse assunto il ruolo di grande mediatore tra la mafia siciliana e il mondo della finanza e dell'imprenditoria milanese. E in questa attività avrebbe avuto come punto di riferimento la figura di Gaetano Cinà, di cui era amico di vecchia data, morto dopo la condanna a sette anni. Proprio Cinà avrebbe introdotto Dell'Utri nel grande giro della mafia. I giudici mettono in rilievo i suoi rapporti «diretti e personali» con personaggi come Stefano Boutade, Mimmo Teresi e Vittorio Mangano, poi diventato lo stalliere della villa di Arcore di Silvio Berlusconi.
«Nel processo d'appello mi aspetto che si faccia giustizia e che il giudizio sia meno pesante di quello di primo grado». Queste le prime dichiarazioni di Marcello Dell'Utri al suo arrivo al palazzo di giustizia. Ai giornalisti che lo hanno avvicinato fuori dall'aula il parlamentare di Forza Italia è apparso sereno e sorridente. «Mi chiedete come affronto il processo? Non ho tic nervosi e dormo benissimo», ha detto. Oltre ad aspettarsi un giudizio meno «pesante», l'esponente di Forza Italia ha sottolineato di non avere neppure letto la sentenza di primo grado che ha definito «una sentenza politica». Non l'ha letta, ha aggiunto perchè non prova «piacere a leggere le accuse che mi riguardano». Alla domanda se la citazione di Berlusconi segnali un cambio della strategia difensiva ha detto «ma è un teste come un altro. È una richiesta che a me sembra normale. Non so se si avvarrà della facoltà di non rispondere, come ha fatto in primo grado. Sarà lui a deciderlo». Il processo d'appello al senatore Marcello Dell'Utri «è una costruzione virtuale». Anzi, «una storia basata su illazioni, sospetti e congetture» ha detto l'avvocato Alessandro Sammarco, uno dei nuovi legali del senatore di Forza Italia.




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