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CLAUDIO MAGRIS: IL BENE COMUNE DEGLI ITALIANI

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2006 00:44
23/06/2006 00:44
 
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CORRIERE DELLA SERA
22 giugno 2006
PATRIA E COSTITUZIONE
Il bene comune degli italiani
di Claudio Magris

Qualche anno fa, Habermas, il filosofo forse oggi più autorevole in Germania, aveva proclamato il Verfassungspatriotismus , il patriottismo della Costituzione, quale punto di riferimento, quasi collante, per l’identità tedesca; quale valore in cui i cittadini del suo Paese potevano riconoscersi e trovare una loro unità, il senso di una comune appartenenza e di un comune destino, di una Patria. Probabilmente Habermas individuava e additava nella Costituzione la fonte di questo sentimento anche perché in Germania la coscienza nazionale era stata irreparabilmente lesa dall’immane aberrazione nazionalsocialista, che rischiava di farla apparire, anche a torto, di per sé squalificata a fondare l’unità di un Paese. Il nuovo patriottismo formulato da Habermas andava e va tuttavia al di là dello specifico trauma tedesco ed è destinato a diventare sempre più valido nei Paesi e nei contesti più diversi.

Tempo fa, Angelo Panebianco parlava, sul «Corriere», della nuova società che sta sorgendo quasi dovunque - in Europa e dunque pure in Italia, alla cui situazione egli particolarmente si riferiva - con i flussi di immigrazione che incideranno sulla fisionomia etnica del Paese d’arrivo. Sta sorgendo, scriveva, una società multietnica, per la diversa provenienza e origine degli attuali e soprattutto futuri cittadini; ma non una società multiculturale, aggiungeva, perché il crogiolo che farà di questi nuovi coinquilini dei concittadini (italiani o di altri Stati occidentali) sarà, sostanzialmente, la nostra civiltà, in cui essi si inseriscono e si inseriranno, modificandola col loro nuovo apporto così come ogni nuovo elemento modifica e innova la realtà, ma riconoscendola e venendone accolti.

Essi saranno, come già in parte lo sono, compagni del nostro cammino non tanto quali connazionali — termine di per sé incerto, perché è difficile per esempio dire quale fosse la «nazionalità» di molti patrioti italiani triestini di origine slava, tedesca o greca — bensì quali concittadini; partecipi di un fondamento comune che non è la nazionalità, l'etnia, la religione, men che meno la presunta «razza», bensì lo Stato, la comunità di uomini che si sono associati per fondarlo e dunque la Costituzione, che ne esprime e fissa i valori comuni, sottostanti a tutte le leggi particolari che regolano la vita collettiva.

La Costituzione è la base del patriottismo non soltanto per chi arriva da lontano, ma anche per chi abita da tempi immemorabili un territorio vissuto non solo quale luogo di uno stanziamento, ma quale luogo in cui si assume il proprio posto nel mondo. In tal senso la Costituzione — non solo nell'approssimato dibattito di queste settimane — ha un valore fondante, racchiude ed esprime il sentimento di un nostro comune riferimento e destino di italiani.

Lo scontro attuale sulla riforma costituzionale e sul Referendum non vede infatti contrapporsi soltanto opinioni ferocemente diverse sulla legge varata dal passato governo. Più volte, anche e soprattutto sul «Corriere» (specialmente da parte di Giovanni Sartori) ne sono stati sottolineati tanti difetti: la confusione pasticciona di vari articoli, atti a inceppare l'attività parlamentare con una aggrovigliata ripartizione di competenze fra Camera e Senato; l'alto e secondo molti inutile costo della riforma medesima; l'indebito e pericoloso rafforzamento del potere esecutivo rispetto al Parlamento.


Un rafforzamento che minaccia di ledere il principio liberale della divisione ed equilibrio di poteri, base della vita civile, mentre altri Paesi (ad esempio la Germania) hanno saputo darsi principi di stabilità politica senza attentare a quei fondamenti del liberalismo. L'Unione, da parte sua, intende proporre 18 modifiche alla Costituzione, che appaiono più ragionevoli, ma andranno attentamente e ulteriormente vagliate prima di essere eventualmente messe in pratica.

Al di là di tale sia pur acceso scontro su alcuni articoli, in questo Referendum è forse in gioco qualcosa di più alto. Lo scontro più radicale è quello che oppone coloro i quali considerano la Costituzione un valore essenziale, eventualmente da ritoccare ma sostanzialmente da mantenere, e coloro i quali vogliono sbarazzarsene, come rivelano la riforma proposta dal centrodestra e lo spirito che la anima.

A leggere i lavori della Costituente, si resta impressionati dal travaglio e dalla qualità intellettuale dei contributi di coloro che, di centro, di sinistra e di destra, portarono alla sua elaborazione e alla sua approvazione con il 90 per cento di voti. Quella discussione è uno dei momenti più alti della nostra storia e dovrebbe almeno insegnare che una modifica sostanziale dovrebbe passare attraverso una riflessione e un consenso altrettanto significativi e non già venire discussa e approvata come una delle tante leggi o leggine ordinarie.

Questo vale per la riforma del centrodestra e ugualmente per quelle modifiche che domani proporrà il centrosinistra, perché la Costituzione non appartiene ad alcuna parte politica, ma può e deve essere intesa quale fondamento comune da tutti gli italiani. Certamente essa è sorta da una gravissima scissione del Paese, da quella guerra civile che è stata la lotta tra l'antifascismo e il fascismo che aveva portato l'Italia alla dittatura, alla guerra, alla disfatta e alla mutilazione anche territoriale del Paese, come sappiamo soprattutto noi dei confini orientali. Ma la Costituzione ha sanato quella tragica scissione, di cui tutti siamo vittime e insieme corresponsabili, perché, diceva Croce, non possiamo separarci né nel bene né nel male dalle vicissitudini della nostra Patria. Oggi la Costituzione è un fondamento per ogni forza politica; per Alleanza nazionale non meno che per i partiti che si richiamano alla Resistenza, perché ha permesso e forgiato sessant'anni di vita comune: grande spazio della vita mortale, direbbe Tacito.

Naturalmente, anche la Costituzione, come i Dieci Comandamenti, può essere usata scorrettamente. Ad esempio, ho sempre trovato abusiva, ormai molti anni fa, la formula del cosiddetto «arco costituzionale» che escludeva a priori, quasi per decreto divino, alleanze politiche di governo con il Movimento sociale, che aborrivo per tanti suoi atteggiamenti barbarici (fra l'altro lesivi, col loro insensato sciovinismo, degli interessi nazionali specialmente nelle mie terre di confine) ma che, quale partito ammesso legalmente e liberamente votato dai cittadini, non consideravo appestato. Si è anche detto che a diventare fondamentalisti della Costituzione sono stati soprattutto i comunisti per darsi, grazie al contributo di lotta e di sangue da essi pagato alla caduta del fascismo e dunque alla nuova Italia nata con la Costituzione, una legittimità politica. Ma, a prescindere da ogni altra considerazione, appellarsi oggi, affrontando i problemi di oggi, all'anticomunismo è disonesto e falso, come lo è l'appellarsi all'antifascismo; chi, in questo referendum, tira in ballo il fascismo o il comunismo è un mestatore che mente.

La Costituzione è di tutti; non è un caso che a volersene rozzamente sbarazzare come di un decalogo incomodo siano soprattutto forze politiche estranee al travaglio che ha generato la nostra storia conflittuale ma comune, come Forza Italia, che è un po' ridicolo immaginare quale parte comunque costituente, e la Lega, nata proprio per disgregare quell'unità del Paese garantita dalla Costituzione e che infatti si compiace di agitare, anche se solo per gioco, lo spauracchio della secessione. Nulla è immutabile; fin dai tempi dei Greci, le leggi venivano scritte pure per essere sottoposte alle verifiche e alle eventuali correzioni della storia. Ma vi sono leggi specifiche da aggiornare secondo il mutare delle situazioni e vi sono fondamenti della vita comune di lunga durata, il cui mutamento esige una consapevolezza particolare, non succube delle vicende quotidiane.

Quando nascerà, come mi auguro, un reale e concreto Stato europeo, esso avrà bisogno di una Costituzione reale e operante, capace di superare quelle singole nazionali, ma inverandole in un fondamento comune, così come quella italiana, per la quale non è suonata ancora l'ora del tramonto, ha fatto con le varie realtà regionali che compongono l'Italia.


INES TABUSSO
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