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DOPO IL GESUITA SPAGNOLO, IL CARDINALE POMPEDDA:ECCO COME DIVORZIO E OMOSESSUALITA' NON SONO PECCATO

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2006 20:19
15/01/2006 20:19
 
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LA STAMPA
13 gennaio 2006
L’omosessualità
«La tendenza non è di per sé immorale.
E’ invece immorale il soggiacere a questa tendenza»
CITTA’ DEL VATICANO


«Divorziare non è peccato tanto è vero che negli Stati Uniti i coniugi cattolici, prima di ricorrere al tribunale civile per il divorzio, chiedono un’autorizzazione alla Chiesa. E i vescovi non autorizzerebbero mai una cosa di per sé illecita». Ad aprire la Curia al dialogo con i gesuiti spagnoli che si appellano al Vaticano per ottenere la comunione ai divorziati risposati è il cardinale Mario Francesco Pompedda, prefetto emerito del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica (la Cassazione d’Oltretevere), voce autorevole del Sacro Collegio e giurista di fiducia della Santa Sede.

I gesuiti aprono clamorosamente ai divorziati. E’ vero, come sostengono, che la persona divorziata, per il solo fatto di essere tale, non si trova in una situazione di irregolarità?

«Il divorzio in sé non è un peccato, anzi in certi casi può quasi essere consigliabile per risolvere alcuni problemi di natura patrimoniale e civilistica tra le parti. Aspetti che la semplice separazione non risolve. Il divorzio pieno non è dato dalla Chiesa ma nel Codice di diritto canonico ci sono pure delle norme che prevedono processi di separazione dei coniugi. Non è la stessa cosa del divorzio in senso stretto, però è evidentemente è un segno importante. E’ la dimostrazione che anche la Chiesa riconosce che in alcuni casi si può pronunziare separazione fra le parti».

I gesuiti spagnoli denunciano che nella Chiesa i divorziati non sono trattati con la misericordia del Vangelo ma piuttosto con scarsa considerazione, con mancanza di comprensione e con un eccesso di durezza. Che cosa replica?

«Il loro discorso ha un fondamento, ma rischia di scivolare nell’equivoco. Hanno ragione a dire che i divorziati risposati non sono scomunicati. Non c’è nessun canone che dica che chi si risposa civilmente nonostante un matrimonio valido va incontro alla scomunica. La loro unione illegale una volta veniva definita concubinato, ora non più. Tra i delitti che secondo il codice di diritto canonico comportano la sospensione e la scomunica “latae sentantiae” figura l’aborto procurato ma non le nozze civili contratte dopo il divorzio civile. Insomma il principio dell’indissolubilità del matrimonio non impedisce di considerare lecito il divorzio».

Quali evoluzioni prevede in questo tema così controverso?

«E’ possibile che la disciplina ecclesiastica che regolamenta la dichiarazione di nullità del matrimonio venga agevolata, facilitata, adattata alle circostanze odierne. Ciò riguarda l’aspetto processuale, la soluzione. Numerosi casi di matrimoni sono oggettivamente nulli ma è difficile provarlo. Codice alla mano, esiste la possibilità di venire incontro a queste situazioni».

Con gli annullamenti matrimoniali «per autocertificazione»?

«Sì. Le dichiarazioni dei coniugi possono diventare prova contro la validità del matrimonio purché siano accompagnate da un insieme di indizi che ne dimostrino la perfetta credibilità. Quindi, in virtù delle innovazioni introdotte dal vigente Codice di diritto canonico, si potrebbe arrivare a dichiarare nullo un matrimonio senza che ci siano testimoni o altre prove ma sulla base delle sole dichiarazioni delle parti. E’ una strada nuova che si può percorrere».

Un’interpretazione “elastica” di ciò che già esiste, non uno stravolgimento della dottrina, dunque...

«Esatto. Tanto più che riconoscere valore alle dichiarazioni delle parti ha precedenti importanti nella storia della Chiesa. Peraltro concordo con i gesuiti spagnoli che due persone cattoliche che divorziano non commettono nessun peccato. Bisogna intendersi su un fatto. Si tratta semplicemente di attribuire effetto civile di non consistenza a un vincolo coniugale e sacramentale che pur rimane».

Secondo i gesuiti spagnoli anche sull’omosessualità «il discorso va rivisto». Qual è il suo parere?

«La tendenza omosessuale non è di per sé immorale. Immorale è il soggiacere a questa tendenza. L’omosessualità è una situazione naturalmente anomala: maschio e femmina nella prima pagina della Genesi vengono descritti come complementari. Però per chi non avverte una tendenza che lo indirizza verso l’altro sesso, non si può parlare di immoralità vera e propria. Una persona per essere considerata immorale deve perseguire volontariamente questa tendenza. In ciò ha senso, come fanno i gesuiti spagnoli, discutere del modo cristiano di vivere l’omosessualità».


INES TABUSSO
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