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DI PIETRO E LE INTERCETTAZIONI DI SMS IN CODICE

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2006 00:19
15/01/2006 00:19
 
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CORRIERE DELLA SERA
14 gennaio 2006
L’ex pm Di Pietro e i testi sui cellulari intercettati: parole cifrate per nascondere il vero significato
«L’sms sulle puzze? Per me è un messaggio in codice»
«La difficoltà è separare il grano dal loglio, il modo di dire velato dalla battuta»

MILANO - Viene intercettato un sms inviato a Consorte che inizia così: «È ormai ufficiale, Giovanni Consorte, presidente della compagnia assicuratrice Unipol, fa le puzze». Problema: secondo la sua esperienza, onorevole Di Pietro, si sono bevuti il cervello o parlano in codice? «Premesso che non sono né sono stato investigatore sul caso e quindi non posso comprendere il contesto, le dirò: riguardo ad affari riservati, anche quando non c’e nessun sospetto che qualcuno ti stia intercettando, capita - non dico talvolta, ma quasi sempre - che chi parla o scrive sms abbia l’abitudine di velare o mistificare l’esatto contenuto con frasi rituali di riferimento, messaggi cifrati sulla base di rapporti personali pregressi». Antonio Di Pietro non fa una piega né gli scappa una risata, anzi: gli torna subito fuori il lessico da magistrato. Così considera attento lo stravagante sms che il quotidiano Libero ha pubblicato ieri: «... Fonti molto vicine all’ad della compagnia bolognese confermano la notizia che ogni mattina in via Stalingrado (sede Unipol) si levano dei miasmi ammorbanti riconducibili proprio alle flatulenze del manager abruzzese. La cittadinanza e i residenti si sono già rivolti al sindaco affinché faccia trasferire immediatamente l’untore. Il sindaco Cofferati, già forte del successo del trasferimento delle gocce, ha garantito lo spostamento della moffetta abruzzese in tempi rapidi. Sede probabile via Roma ».
Dice che ha un senso?
«Direi che non è un messaggio a Consorte, visto che si parla di lui, ma un sms che qualcuno gli gira perché sta facendo il doppio gioco e lo avverte della situazione, un "traditore" nella filiera dei messaggi. La "puzza" è uno che rompe le scatole, a quanto pare lo stesso Consorte. E questa puzza la si vuol togliere di mezzo e portare via da Bologna a Roma. Qualcuno è venuto a saperlo e lo dice a un altro che lo dice a Consorte. Del resto è facile, basterebbe controllare i tabulati dei telefonini, ma bisogna vedere che rilevanza processuale può avere. Comunque ne ho viste di più difficili».
Tipo?
«Me ne ricordo una simpaticissima, all’inizio di Mani pulite, quando ancora Mario Chiesa si ostinava a negare l’evidenza. In una conversazione diceva di avere sete e di dover bere dell’acqua minerale, Levissima o Ferrarelle».
Capita...
«E come no. Chiamai il suo avvocato per vedere se quello che sospettavo era giusto, gli feci: dica al suo cliente che di acqua minerale non ce n’è più. Dopodiché interrogai Chiesa e lui ammise: "Sì, Levissima e Ferrarelle sono i nomi in codice di conti correnti che ho all’estero..."».
Ed è sempre così?
«È un classico, telefonate e sms con significato simulato sono un’abitudine comune, non è necessario essere delinquenti. Oggi con il telefonino di una persona puoi farle la radiografia, tutto ciò che ha detto, tutti quelli che ha chiamato, pure gli spostamenti minimi, ogni cento metri, negli ultimi cinque anni. Come ci si difende? Il codice viene spontaneo, amanti, spacciatori, politici corrotti, finanzieri che fanno insider trading... Un tempo lo usavano solo quelli in coppola e lupara, ora parlano tutti così».
Per questo ci si chiede: come possono i politici essere così ingenui?
«Sì, col senno di poi. Suggerirei di pensare a tutte le volte che diciamo stupidaggini o boutades e a come potrebbero essere interpretate in un contesto diverso. Il grosso del compito di un magistrato è proprio questo: separare il grano dal loglio, il modo di dire cifrato dalla battuta per giocare».
Ricorda fraintendimenti?
«Sì, uno che ho subìto. Un’intercettazione fuori contesto che mi ha procurato un sacco di guai: ho dovuto dimettermi da ministro per via del famoso "quei due mi hanno sbancato". Pareva chissà quale rivelazione. E invece chi la diceva, Pacini, stava leggendo al suo avvocato il titolo di prima pagina d’un quotidiano. A controllare l’intera sbobinatura, alla fine, l’avvocato chiedeva: "Ma tu hai dato dei soldi?" E lui: "Non sono mica matto!". Capito quanto conta il contesto?».

Gian Guido Vecchi
INES TABUSSO
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