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MASSIMO FINI: LA MORTE IN TV, IL VIRTUALE, E L'UMANO

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2005 17:49
06/10/2005 17:49
 
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LA PADANIA
6 ottobre 2005

LE IMMAGINI DELL’ALLENATORE SCOGLIO
La tv che non ha pietà neanche della morte

carlo passera
Massimo Fini, sono molti gli spunti d’attualità che possiamo commentare questa settimana. Da dove iniziamo?
«Ti propongo io un argomento: la morte in diretta televisiva dell’allenatore Franco Scoglio».
Se n’è molto parlato. Alcuni hanno polemizzato con l’atteggiamento di certa stampa e certa televisione, che ha voluto mostrare più e più volte, morbosamente, i momenti del malore che ha colpito Scoglio.
«Proprio a questo mi riferisco. È stato sfondato il tabù, valido fino a ieri, in base al quale non si deve mostrare l’attimo della morte biologica di un uomo, anche se è un personaggio pubblico. Attenzione, non sto parlando di morte violenta: quella biologica viene dall’interno della persona, è il disfacimento del corpo. Tale momento è sempre stato rispettato perché si ritiene sia il più intimo, sacro, privato della vita di una persona, sarebbe osceno profanarlo con lo sguardo. Credo che anche nel nostro trapasso la penseremo così, tanto è vero che i malati terminali, quando viene l’ora d’andarsene, si girano verso il muro per non essere visti. Questo rispetto vi è sempre stato.
Se ricorderai, quando il 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer fu colpito da un ictus, durante un comizio a Padova, nessuna televisione trasmise le immagini, nonostante l’uomo e il luogo fossero pubblici, proprio per rispetto nei confronti della morte».
Beh, ma quante volte abbiamo visto in televisione l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy...
«Attenzione, fin dall’inizio ho introdotto la differenza tra morte biologica e quella violenta. Anche Enrico Mentana si è difeso così, per giustificare la sua scelta di mandare in onda le immagini di Scoglio, ma sono due cose profondamente diverse. Piuttosto, questo tabù era stato già violato in un altro caso».
Quando?
«Nel gennaio dello scorso anno, quando un calciatore ungherese (Miklos Feher, attaccante ventiquattrenne del Benfica, deceduto per arresto cardiaco durante un incontro, ndr) cadde sul campo e tutte le televisioni si accanirono ossessivamente mostrando l’immagine di questo ragazzo giovane, ma già intimamente minato, riverso sul campo con le braccia allargate, in segno di resa. Una scena veramente tremenda. Ecco: la vicenda di Scoglio è sulla stessa falsariga. È il non rispetto per la morte che, in definitiva, segue il non rispetto della vita: una forma di barbarie avanzante con la modernità. Noi continuiamo a chiamare civiltà quella che invece somiglia sempre di più al suo contrario».
Dunque, anche da questo episodio si può trarre un insegnamento sul progressivo imbarbarimento dei costumi sociali...
«Assolutamente sì. Non si rispettano neppure più i “fondamentali”».
Qualcuno ha anche pubblicato in prima pagina le foto di Scoglio morente e ci ha costruito il titolo principale.
«Magari col solito giochetto: contestando la pubblicazione delle foto, ma intanto facendole vedere...».
No. Accompagnando le immagini con due editoriali, uno a favore e uno contro la pubblicazione. Il primo, scritto da Vittorio Feltri, si intitola: “La verità va raccontata tutta”.
«La realtà non va raccontata tutta quando ciò va contro le dignità fondamentali delle persone. Mi pare che il vostro direttore, Gianluigi Paragone, abbia scritto: “Non mi fa male la libertà di stampa, mi fa male la stampa”».
Certo, è il titolo del nostro giornale di qualche giorno fa. Riprende una frase di Giorgio Gaber.
«Ecco, quello della stampa è uno strapotere senza, come dire... Non trovo la parola adatta, dire etica mi pare improprio».
Si parla tanto di deontologia professionale applicata al giornalismo.
«Una parola spesso vuota di contenuto. È uno dei tanti segnali che indicano l’eclisse dei “fondamentali”. Ce ne sono altri: perdita dell’onestà, della lealtà, di tutte le qualità virili. Questa è una società femminea nel senso deteriore del termine: curiosa, morbosa, senza principi, pronta ad assecondare i propri istinti più bassi. E si potrebbero fare esempi di altro tipo. Pensiamo ad Abu Grahib».
Il carcere iracheno dove i soldati statunitensi torturavano i prigionieri.
«Quello. Pensa che tra i Nuer africani, civiltà che noi riteniamo primitiva, al prigioniero non si può dare alcun ordine. Dunque, riferendomi a un bel saggio di Montaigne, io mi chiedo chi siano i veri cannibali. Nell’epoca delle grandi esplorazioni e delle scoperte, quando si veniva in contatto con civiltà diverse dalle nostre, Montaigne sottolineava come l’Occidente vedesse in questi popoli dei cannibali, ma, dal loro punto di vista, i cannibali eravamo in realtà noi».
Quali sono le avanguardie di questo progressivo imbarbarimento? I mass media? La televisione?
«La televisione è un mezzo decisivo per la sua potenza, che non è dovuta al fatto che “fa vedere”: anche il cinema “fa vedere”, eppure non ha provocato questi sconquassi; al contrario, è stato un elemento culturale importante. La forza della tv deriva piuttosto dal fatto che è piazzata in tutte le nostre case. Pensiamo all’Italia: da una prima televisione molto ben fatta, dirigista ma che aveva in testa un’idea (unificare a un buon livello la lingua degli italiani, ad esempio), siamo passati all’attuale disastro assoluto, prima con la riforma, poi con la nascita della tv privata. Il che dimostra che non sempre la concorrenza porta vantaggi, checché ne pensino i liberali».
Beh, i liberali pensano ai vantaggi di mercato, dai quali non conseguono necessariamente miglioramenti qualitativi...
«Appunto: nel caso della cultura e del costume, c’è stato un crollo. I nostri guru, oggi, sono Maurizio Costanzo, Paolo Bonolis, gente di questo genere, mentre i Grecia si chiamavano Aristotele e Platone, poi ci sono stati i Padri della Chiesa, poi Kant e compagnia... Voglio dire: erano questi che dettavano le categorie, oggi abbiamo mezze calzette che confondono la propria potenza con quella del mezzo. È uno dei drammi, nonché la causa per la quale non abbiamo più un ceto intellettuale degno di questo nome. La televisione è un mezzo totalmente disadatto alla riflessione, la battuta e la volgarità fa premio su tutto... Noi, che cerchiamo altre cose, dovremmo essere protetti, come i panda».
La tendenza dell’attuale televisione è quella di moltiplicare i “casi Scoglio”, indugiando sulle immagini più forti, cercando l’emozione a tutti i costi, senza limiti.
«Ovviamente questo succede in società dove le emozioni vere non ci sono più e allora devono essere in qualche modo “drogate”. Dubito che nell’Afghanistan qualcuno senta l’esigenza di emozionarsi davanti alla tv; l’emozione è nella vita quotidiana. Noi viviamo in un virtuale che ci allontana sempre di più dall’umano».
Anche certi altri fenomeni, come l’utilizzo di droghe, rispondono all’esigenza di creare un mondo di emozioni a sé, fittizio.
«Poiché sono venuti meno i sentimenti e i bisogni essenziali, sono sorti questi altri, surrettizi, che non hanno limiti ma che non procurano nemmeno vero piacere. Diceva Voltaire: non c’è vero piacere senza vero bisogno».
Ma se questa società “non ci piace”, perché non vi è una ribellione?
«La democrazia ha un grosso svantaggio rispetto alla dittatura, che è questo: è moralmente lecito uccidere il tiranno, ricorderai il monumento ai tirannicidi del 480 avanti Cristo; invece non è lecito passare alla violenza nei confronti della democrazia, benché queste siano nate da azioni che hanno sparso fiumi di sangue. Poiché le democrazie odierne, in realtà, sono guidate da gruppi organizzati di potere, il cittadino non ha difesa, viene schiacciato e non può far nulla, perché tutto avviene nelle forme felpate proprie di questo sistema. Come durante il fascismo, non si viene uccisi, ma umiliati senza poter reagire con la violenza, perché tutti sentiamo quest’ultima come moralmente interdetta. Diceva, di nuovo, Voltaire: non c’è solo la tirannia di uno solo, c’è anche la tirannia dei molti».
Nessuna possibilità di creare un’alternativa a questo sistema?
«Quando si crea un’alternativa valida - penso ad esempio alla Lega Nord - si alza il cordone sanitario per inglobarlo, renderlo innocuo. Prendiamo un altro fenomeno, che probabilmente non piace ai lettori de la Padania: i girotondi. Ora, è enorme il disprezzo della classe politica, di destra e di sinistra, nei confronti di un movimento che si può certo contestare sui contenuti, ma che viene in realtà respinto a priori perché disturba il manovratore, ossia le oligarchie politiche ed economiche alle quali la democrazia concede la possibilità di farsi tranquillamente i propri affari, essendo ogni cinque anni legittimate con il voto di noi cittadini, autolesionisti. L’elezione, oggi, ha esattamente il senso dell’unzione del re medioevale: solo che questi era molto più legittimato a governare di questi qua, di questi soggetti inguardabili».
Apro una piccola parentesi. A tuo giudizio l’antipatia che c’è stata nei confronti dei girotondi non è dovuta al fatto che ad animarli erano anche personaggi non... piacevolissimi, della sinistra chic?
«Non si può contestare il diritto di manifestare in piazza pacificamente, questo è il punto. Ricorderai la campagna di demonizzazione della Lega Nord, al grido di “fascisti”, quando non c’è mai stato un atto di violenza nella storia del Carroccio. Ricordo, anni fa, che un cane presunto leghista abbaiò a Rosellina Archinto, consigliere comunale repubblicano a Milano, e la Repubblica titolò: “Aggressione fascista della Lega”. La verità è che viene osteggiato tutto quello che viene dal popolo, come direbbe Umberto Bossi. Anche i radical chic, se vanno in piazza, sono popolo, eppoi a S. Giovanni c’era un milione di persone, era gente normalissima! Eppure si trova sempre il modo di gettare fango su questi movimenti. Nel frattempo, assistiamo in questi giorni a osceni balletti politici di chi è sempre stato a destra e ora scopre di avere solidissime amicizie a sinistra; vedo Vittorio Sgarbi che scrive una lettera pietistica e pietosa a Fassino, Rutelli e Prodi; Marco Pannella si è dichiarato disponibile a rivedere la legge sull’aborto; il Vaticano rivaluta la Lega dopo averla “scomunicata”; tutte cose funzionali a vincere il giochino di potere che organizzeranno ad aprile o a maggio. Aveva ragione Federico Fellini, una volta mi disse: “In Italia la realtà supera sempre la fantasia”. Per dirlo lui, che aveva una fantasia sterminata...».
Dunque: ogni volta che il sistema vede un elemento difforme, lo normalizza. Quindi cosa dobbiamo aspettarci? Il grado di insoddisfazione del cittadino crescerà fino a esplodere comunque? O sarà il sistema a implodere su se stesso?
«L’ipotesi più probabile è che il sistema, benché molto forte, imploda, perché si basa sulla continua espansione e presto non potrà più espandersi. Ma non escludo altre due possibilità, in Occidente. La prima: la crisi economica potrebbe portare la gente a ragionare anche su altre cose, ad esempio sul principio di rappresentanza».
In fondo anche il fenomeno leghista nacque in un momento di forte incertezza per l’economia del nostro Paese. E il Carroccio scommise sull’Italia fuori dall’euro...
«Certamente. Quando tocchi le persone sul portafoglio le induci anche a riflettere un po’ sulle cose. Non escluderei quindi una presa di coscienza, con le sue conseguenze. Ma c’è un problema: siamo integrati in un sistema mondiale, non siamo più liberi di decidere il nostro destino, come era fino a qualche decennio fa. Allora, non avrebbero mai fatto vincere la Lega Nord, avrebbero organizzato piuttosto un colpo di Stato. Oggi, siamo eterodiretti, quindi chi comanda ha meno paura di questi fenomeni».
Hai anche accennato a una seconda possibilità.
«L’altra possibilità è forse più vicina, anche se parliamo sempre in termini ipotetici. È quella di una spaccatura verticale all’interno dell’Occidente, fra valori contrapposti. Faccio un esempio: nel 1999 è stata aggredita la Jugoslavia, violando il principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, in nome di principi etici più alti. Così facendo, però, hanno anche abbattuto il principio dell’appartenenza nazionale. Se non vale più il famoso detto “right or wrong, my country”, ma ognuno risponde a principi etici universali, si pone il problema di quando questi ultimi, in realtà, si differenziano di persona in persona. Per qualcuno un principio può essere quello dell’esportazione della democrazia con la forza, per qualcun altro quello della resistenza di un popolo all’invasione straniera, comunque motivata. Detto ancora in altre parole: non so quanto a lungo io e Giuliano Ferrara potremo vivere in uno stesso Paese, a un certo punto dovremo sbudellarci».
A proposito di valori diversi in una stessa comunità... È questa una delle motivazioni con la quale alcuni fondano il loro “no” all’ingresso della Turchia nell’Ue, un problema al centro del dibattito. Tu da che parte ti schieri?
«Oggettivamente non si vede alcuna ragione per la quale la Turchia debba entrare nell’Ue: non è Europa! Ma non è questo il punto, il problema non è l’islamizzazione dell’Europa, perché in realtà la Turchia è il più laico degli Stati musulmani. Il problema è che la Turchia è il più grande alleato degli Usa nella regione, Washington la considera molto più strategica dell’Europa intera, esclusa la Gran Bretagna. Non è un caso che tutti i filo-americani siano a favore dell’ingresso di Ankara, perché la Turchia in Europa significa togliere l’unica motivazione sensata che dovrebbe condurre al rafforzamento dell’Unione europea, cioè quella di liberarsi della pesante tutela statunitense».
Quindi, dici: il problema non è la Turchia islamica, ma la Turchia alleata degli Usa.
«Proprio così. Intediamoci: sappiamo come sono le prigioni turche, basta vedere un film meraviglioso come Fuga di mezzanotte... I turchi per decenni hanno bombardato i villaggi curdi, col napalm... Se si tratta dei famosi parametri democratici, siamo molto lontani... Ma la mia avversione alla Turchia nell’Ue non si basa su questo, perché ai parametri non credo: io non voglio una Turchia punta di lancia degli Stati Uniti, che da sempre si battono contro un’Ue forte e unita».
...e utilizzano Ankara come cavallo di Troia.
«Negli anni 80 francesi e tedeschi lanciarono l’idea di un esercito europeo, ma gli Usa reagirono così violentemente che dovettero rinunciarvi».


INES TABUSSO
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