Imprenditore si ribella al racket: «Ho visto Provenzano»
Stanco delle continue pressioni dei boss che lo hanno costretto con minacce di morte a pagare il pizzo, un imprenditore edile di Messina, che era stato ridotto sul lastrico dai mafiosi, ha deciso di denunciare tutto ai magistrati.
La collaborazione di Antonino Giuliano ha contribuito all'inchiesta della polizia che ieri ha portato all'esecuzione di nove ordinanze di custodia cautelare con le accuse di estorsione e usura. L'operazione, denominata "Anaconda", mette in risalto la situazione ambientale in cui vivono gli imprenditori di Messina. Giuliano da diversi mesi è sotto protezione. L'imprenditore durante la sua collaborazione con i pm ha anche affermato di avere riconosciuto nell'identikit del boss latitante Bernardo Provenzano, una persona che ha incontrato nel 2004 a casa dell'imprenditore Michelangelo Alfano, in provincia di Messina. Giuliano ha affermato che quell'uomo presente nell'abitazione dell'imprenditore, che è accusato di collusioni con Cosa nostra, somigliava molto al capomafia latitante da 42 anni. Il testimone, che è vittima del racket delle estorsioni, ha reso inoltre dichiarazioni che potrebbero avere interesse anche nell'inchiesta coordinata dalla procura generale di Reggio Calabria.


Data pubblicazione: 2005-07-21
Indirizzo pagina originale:
www.corriere.com/viewstory.php?storyid=41878

per chi vuole saperne di piu' si colleghi su imgpress.com e legga il libro "Messina capitale d'Italia".
Ora leggete questo vecchio articolo, per farvi capire a che livello si arriva (so che ognuno queste cose le conosce, però non fa mai male averle sempre presente):

OPERAZIONE ANACONDA : 9 ARRESTI


Scatta l’operazione 'Anaconda': 9 arresti per usura ed estorsione. La banda taglieggiava numerosi imprenditori messinesi.

Circolava su una fiammante Jaguar, villeggiava in attici panoramici, a S.Agata , o ville mozzafiato a Torre Faro.

Ma nulla di tutto questo gli apparteneva.

Quei beni erano frutto delle estorsioni che lui, Giovanni Lo Duca, 35 anni, e gli affiliati alla organizzazione che ( a detta degli inquirenti) capeggiava, applicavano a numerosi imprenditori messinesi.

Stamani all’alba gli agenti della Squadra Mobile hanno interrotto la pacchia.

Hanno suonato alle porte di abitazioni di Camaro, Villaggio Santo, Gravitelli, Mangialupi, dove risiedevano le 9 persone arrestate per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata all’estorsione e l’usura.

Operazione Anaconda: così è stata chiamata l’ennesima offensiva della Polizia di Stato alla criminalità organizzata.

Con nove ordinanze di custodia cautelare, siglate dal Gip Alfredo Sicuro, richieste dai sostituti procuratori Giuseppe Leotta, Giuseppe Farinella e dalla direzione distrettuale antimafia, Rosa Raffa, la Squadra Mobile, sezione diretta dal dottor Giuseppe Anzalone, ha smantellato una organizzazione che, nei suoi libri contabili, vantava come debitori la gran parte degli imprenditori messinesi.

Vessati, minacciati con metodi mafiosi, molti hanno in corso procedure fallimentari, qualcuno ha già chiuso i battenti.

Pagavano un pizzo mensile di 5000 euro, in aggiunta avevano l’onere di assumere, con messa in regola, gli affiliati del gruppo Lo Duca.

400, 500 euro settimanali, elargiti a persone che, in effetti non erano attive nei cantieri, ma supervisionavano gli uffici amministrativi, specie in prossimità dell’arrivo di contanti.

Questo, e non solo, veniva imposto alle vittime dell’organizzazione.

Anche le loro vetture, spesso lussuose, venivano requisite dal capo indiscusso.

Ed ancora forniture edili con obbligo di acquisto presso le ditte segnalate dal gruppo.

Questi i componenti di quel gruppo: i fratelli del capo: Santo Lo Duca, 41 anni, ed Anna Lo Duca, 31 anni,che aveva il ruolo di cassiera, Giuseppe Crupi, 46 anni, Antonino Veneziano, 31 anni, Massimiliano D’angelo, 33 anni, Giorgio Davì, 44 anni, Luigi Mancuso, 42 anni e Celestina Martino, 56 anni, unica che avuto disposti gli arresti domiciliari.

Sede del gruppo un bar, a Provinciale, e la stazione di rifornimento di Giuseppe Crupi.

Lì, Giovanni Lo Duca – a detta degli inquirenti- riceveva le sue vittime, raccoglieva il denaro estorto, e lo smistava alla sorella Anna, la cassiera.
A volte cambiava anche assegni agli imprenditori sotto il suo giogo, ma con interessi del 30- 40%.

Il gruppo forniva anche il servizio di recupero crediti.

Minacciava il debitore di chiunque si rivolgesse a lui.

Il motto dell’organizzazione era: "niente tregua al debitore".

"Un imprenditore- racconta Anzalone- che ebbe una crisi cardiaca e fu sottoposto ad intervento al cuore, ricevette in ospedale la visita degli affiliati: malato o no doveva scucire i soldi."

Tra gli oneri delle vittime anche fornire, gratis, le vacanze estive a Giovanni Lo Duca e famiglia.

Tra le mete: Torre Faro, da giugno a settembre 2004, S.Agata, l’estate del 2003.

Stamani la Squadra Mobile ha sequestrato immobili, il bar punto di ritrovo del gruppo, 3 box ortofrutticoli al mercato Vascone, la Jaguar (foto a sinistra), appartenenti al presunto capo, e 20.000 euro.

(da normanno.com)