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Jack Di Cuori history

Ultimo Aggiornamento: 16/09/2006 13:27
24/08/2006 13:13
 
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Re: Re:

Scritto da: HHHThegame 24/08/2006 12.05


silenzio, perdente! [SM=x837067]:



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Re: Re: Re:

Scritto da: RiKy3:16 24/08/2006 13.13


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no quello è Dibbio... [SM=x837069]: [SM=x837068]:
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JDC e' una pippa... :suckIt
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16/09/2006 13:27
 
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continua la saga...

Rapporto da fotografia
(Risultato: sconfitta in difesa del titolo Hardcore a Summer Showtime 2006, EWF)

Vecchie foto raggruppate in un baule trovato in soffitta attirarono la mia attenzione. Il mio cuore soffriva, come non accadeva da tempo, e dai miei ventricoli cadevano lacrime aspre nel ricordare ogni delusione avuta dalla mai futile vita. Ogni foto una sofferenza, ogni scatto un momento di vita che avrei voluto dimenticare, o meglio, non ricordare, per evitare di affogare nel dolore che avvolgeva il mio io.
Una maschera di gioia celava i miei veri sentimenti col mondo esterno, per il quale ero solo un’atleta da circo dedito a suicide acrobazie in difesa di un titolo che neanche mi rappresentava, essendo io tutto fuorché un’atleta atto ad utilizzare spot ultra violenti.
Incominciai a girare tra le foto, e trovai quella di un ritaglio di giornale, che mi vedeva presente sul ring in compagnia di Dibbio, subito dopo la firma del mio contratto fisso con la EWF.
Mi stavo chiedendo quanto avessi fatto bene a firmare a tempo determinato con la federazione un contratto che mi obbligava ad apparire quasi ad ogni show, ma come avevo previsto non ottenni risposte dai miei neuroni in grado di soddisfare la mia curiosità.
Dove non poteva arrivare il cervello, però, arrivavano le carte, perciò le presi e ottenni la risposta che cercavo, ma purtroppo non quella che volevo.
Semplicemente, lessi che firmare il contratto era stato un sicuro passo avanti nella mia carriera.
Non più lavori precari, non più contratti interinali, ma solo un lavoro fisso che mi avrebbe permesso di raggiungere ciò che volevo davvero, la salvezza di mio cugino, Mike.
Gia, mio cugino.
Girai tra le foto, e la seconda che trovai fu una dove io e lui eravamo abbracciati insieme mentre eravamo a pesca, poco dopo esserci ritrovati.
Venni a sapere dopo poco che Mike era in pericolo di vita, e dopo un anno che ebbi questa notizia, seppi che Mike era morto, proprio quando credevo che il più fosse fatto.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Non riuscivo a capacitarmi della mia inettitudine, di quanto il mio apporto, in realtà, fosse stato superfluo per salvarlo.
Di sicuro qualche conoscente del palazzo. Gente che conosceva mio cugino ma non me, o al massimo mi vedeva raramente in televisione, avrebbe provato a consolarmi, inutilmente.

Che cazzo volete, stronzi? Mi ignorate 365 giorni l’anno e ora uscite fuori dal nulla solo perché siete dispiaciuti della morte di mio cugino, ma in realtà del mio dolore non ve ne frega un cazzo!

La foto mi cadde dalle mani, mi sentivo inutile e senza forze, per un attimo mi vidi più vecchio di chissà quanti anni in bilico tra la vita e la morte. Mi feci forza, reagii a questi pensieri stringendo le mani in un pugno, e mi colpii. Li, sul ginocchio, dove fa più male. Continuai masochisticamente a colpirmi, nel vano tentativo di spostare il dolore dal cervello al fisico, ma tutto ciò si rivelò inefficace, nonostante spostasti i miei pugni per tutta la coscia, disperatamente.
Un contenuto singhiozzare prese il sopravvento su di me, la mia espressione si fece più simile a quella di un quadro astratto che miscelava angoscia e tristezza, unita al tetro svilupparsi della mia esistenza futura, sempre più oscura ed incerta, per non pensare alla realtà, che la dipingeva come un lungo senso unico che portava direttamene al patimento eterno.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Volevo tradire i miei pochi fans, volevo tradire la loro fiducia.
Volevo tradire le persone che mi amarono, come fecero loro con me, volevo dare gioia a chi mi odiava.
Volevo tradire me stesso, volevo tradire il mio onore.
Venni a mancare a tutti i miei principi, afferrai un tagliacarte presente sulla scrivania del mio defunto cugino e lo portai all’altezza del mio petto. Con precisione chirurgica mi misi in cerca del motore dell’involucro contenente quell’ammasso di organi, utili alla vita di un essere abietto come me, incapace di salvare tutto ciò che di più caro aveva al mondo.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Trovai finalmente quello che doveva essere il punto di non ritorno, la fredda punta della lama riusciva a gelare le mie interiora sebbene indossassi una maglietta. Non capivo se il freddo iniziasse a passarmi anche per la schiena a causa di una reazione nervosa dovuta alla paura, o per causa dello stesso freddo dell’arma bianca. Chiusi gli occhi e tirai un sospiro, ormai ero deciso a compiere quello che molti definiscono l’insano gesto, ma che per me sarebbe stata solamente una liberazione dalle sofferenze terrene e non, visto che troppo spesso il sovrannaturale si era inserito nella mia vita. Allontanai la mia mano dal petto, come a prendere un breve slancio per non fallire il colpo e assicurarmi di penetrare a fondo, garantendomi una morte lenta, dolorosa, ma sicura. Non avevo paura del dolore, vi ero abituato tanto.
Riaprii gli occhi, le mie mani si mossero inesorabili per poi fermarsi di scatto alla visione di un qualcosa che suscitò in me emozioni che a forza avevo tentato di cancellare dentro di me.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Ma non ce la feci. Come le foto precedentemente, mi cadde anche l’arma “involontaria”, non si sa quanto in questo caso; poggiai le mani a terra, come per pararmi la caduta sul viso, e numerose goccioline di sudore freddo iniziarono ad irrigarmi la faccia senza possibilità che potessi fermarle. Non avevo più comando delle mie azioni, la mia testa si alzava da sola e fissava quella foto, l’ultima, sotto tutte le altre, quasi appositamente nascosta per non risvegliare in me un dolore troppo duro da sopportare. Uno scatto che ad ogni sguardo lanciatogli, e ricambiato, mi ricordava tribolazione eterna.
I suoi occhi candidi, presenti in fotografia, sembravano osservarmi gai, come se non volessero la mia morte. Ci credevo poco. Soffrì molto quando le nostre strade si divisero, e non è detto che soffra ancora, ma dubito che ormai i nostri destini si reincroceranno.
Altro motivo per desiderare di andarmene, quando il mio corpo però voleva restare.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Mi feci coraggio, era una lotta interiore contro me stesso, uccidermi o uccidere me stesso rimanendo vivo.
Passai il mio coltello sul mio torace, ma non mi tagliai. Semplicemente, ruppi la mia maglietta. La squarciai, e dal nulla spuntò il mio tatuaggio. Due A maiuscole su un cuore. Inizio e fine di un’epoca. Speravo tanto, però, che la fine non arrivasse mai.
Come il suo nome.
Inizia per A e finisce per A.
Ma la fine, era davvero arrivata?
Io speravo di no, anche se l’evidenza diceva il contrario.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Da solo.

Ma la foto mi impediva di farlo.
Il titolo che portavo alla vita mi impediva di farlo.
Le rare persone che mi volevano bene, i miei ricordi, i bambini che nelle arene tifavano per me, tutto ciò mi impediva di farlo.
Volevo uccidermi, volevo morire.

Non da solo.

Non oggi.

Non potevo.
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