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FRANZ KAFKA

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2006 19:50
27/06/2006 19:45
 
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www.viaggio-in-germania.de/kafka-intro.html


FRANZ KAFKA


Non è facile affrontare la lettura dell'opera di Kafka: a seconda da quale punto di vista lo si voglia esaminare, si hanno interpretazioni alquanto diverse. Al primo approccio quello che Kafka scrive può sembrare veramente "assurdo". Eppure, con la giusta chiave di lettura, le sue opere risultano estremamente affascinanti, profonde e stimolanti. La chiave di lettura è data dalla conoscenza della personalità dell'autore.


Per comprendere esattamente e gustare l'apparente assurdità della prosa kafkiana, sarebbe necessario infatti conoscere la sua particolare condizione di ebreo, figlio di ebrei da tempo inseriti in ambiente germanico (Praga) e perciò staccati dalle tradizioni ebraiche, ma non per questo pienamente accolti dal loro ambiente. Ancor di più sarebbe necessario conoscere il personale rapporto dello scrittore Kafka con la realtà, rapporto che egli stesso descrive con sorprendente lucidità e capacità introspettiva nei suoi diari e in alcune opere autobiografiche (esempio: "Brief an den Vater").

Come "chiave di lettura" viene qui proposta un'interpretazione di tipo psicologico, che è forse quella che trova più facile ed immediato riscontro in tutti gli scritti di Kafka. Kafka conosceva l'opera e l'attività di Freud ed egli stesso, ripetutamente, tentava di analizzarsi con un procedimento che potrebbe definirsi "psicoanalitico": ricordando cioè episodi determinanti della sua infanzia, ricostruendo il suo rapporto con i genitori e, in particolare, con il padre, la cui forte e robusta personalità agì da forza inibitrice sul delicato ragazzo. L'intera opera di Kafka si può forse definire un unico, sofferto diario: rappresenta infatti la volontà di uscire dalla solitudine e di dare sfogo, consistenza e chiarezza ai suoi sentimenti, primo fra tutti il senso di estraneità ed indifferenza nei confronti del mondo.

Kafka si sentiva incapace di vivere ed agire nella realtà come essere adulto consapevole e responsabile: per questo motivo rifiutò ad esempio di sposare la fidanzata Felice Bauer. Kafka non riusciva a sentirsi inserito nelle cose che lo circondavano, partecipe ed entusiasta degli affetti e degli avvenimenti che lo riguardavano: e mentre notava negli altri questa capacità di partecipazione e di adeguamento alla realtà, viveva come colpa personale la sua incapacità. L'incomprensione, la solitudine, l'indifferenza erano vissute da Kafka con la convinzione di esserne egli stesso (e solo lui) la causa. Il senso di colpa che ne derivava, sta quindi alla base di tutta la sua personalità, è una colpa metafisica, slegata da un concreto avvenimento.

Il tema della colpa è ricorrente in tutta l'opera kafkiana. Tutti i suoi eroi sono colpevoli, ma essi non sono altro che la sua controfigura. Egli gioca addirittura con i nomi dei suoi personaggi: Herr K. in "Ein Traum"; Josef K. in "Der Prozeß"; Herr Samsa in "Die Verwandlung", dove le lettere S e M stanno al posto di K e F del suo cognome. In fondo la colpa di Kafka consiste nella sua incapacità di operare una chiara scelta fra il "suo" mondo, rappresentato dalla letteratura, e l'esistenza borghese, rappresentata dal lavoro (lavorava come impiegato presso una Compagnia di Assicurazioni), dal matrimonio e dalla famiglia. Non seppe mai conciliare le due direzioni e per questo si sentiva alienato dalla società ed inappagato nei suoi bisogni. Era convinto che solo chi riesce a vivere fino in fondo la razionalità borghese, non lasciando spazio all'irrazionalità e all'insicurezza, possa sopravvivere.

Questa colpa deve però essere punita: chi non sa adeguarsi è destinato all'auto-distruzione. La sua stessa malattia, la tubercolosi che lo porterà alla tomba a soli 41 anni, è la conseguenza di questa sua colpa. In un'epoca in cui non si parlava ancora di "malattie psicosomatiche", Kafka, con lucida intuizione, addita chiaramente l'origine della sua malattia nella debolezza della psiche.

Ed analogamente, per quasi tutti i suoi eroi, alla fine sopraggiunge la morte che, naturalmente, appare priva di senso. Un modo per sfuggire al peso di questo conflitto psicologico Kafka l'aveva trovato nell'attività letteraria. La possibilità di scrivere era considerata da Kafka la cosa più importante ed indispensabile per la sua esistenza, un mezzo quasi per non impazzire. A volte passava l'intera notte a scrivere, o addirittura usufruiva delle ferie per dedicarsi completamente a questa attività. Spesso i suoi racconti o i suoi romanzi hanno la caratteristica dei sogni, come se nella notte, mentre scriveva, fissasse sulla carta le sue fantasie, le sue allucinazioni. Ma proprio queste fantasie, questi sogni, appaiono più veri della stessa realtà, perché, mentre la realtà è apparenza, il sogno è intuizione, è interpretazione della realtà.

Kafka scriveva essenzialmente per se stesso, non certo per un pubblico. Aveva infatti pregato l'amico Max Brod di bruciare, dopo la sua morte, tutti i manoscritti non ancora pubblicati. Fortunatamente l'amico non esaudì questo desiderio.


27/06/2006 19:50
 
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OPERE di Franz KAFKA

IL PROCESSO


"Josef K. una mattina viene arrestato, senza aver fatto nulla di male e senza sapere perché. Comincia allora una lunga odissea, fra carcere, libertà provvisoria e tribunale, durante la quale a Josef si fa a poco a poco il vuoto intorno: amici, parenti, amori, svaniscono come nebbia al sole, e la condanna alla pena capitale che i giudici gli infliggono senza mai rivelargli il capo d'imputazione, e anzi non conoscendolo essi stessi, sancisce un destino di vittima che oscuri meccanismi oppressivi hanno deciso di attribuirgli. Il protagonista morrà per mano di due allucinati e allucinanti custodi della legge, che lo accoltellano come banditi da strada; e morrà senza sapere perché, ma infine quasi agevolando i suoi carnefici, in una ormai raggiunta complicità con l'incubo che gli è capitato in sorte.
Pubblicato postumo nel 1925, Il processo è un capolavoro assoluto nell'approfondimento dei meandri psichici in cui si aggira chi è posto nella condizione di vittima innocente. E Kafka non risparmia nulla, quanto a lucidità e spietatezza: quella di cui Josef K. è emblema, è una condizione non storica, ma esistenziale. Le istituzioni che lo condannano restano indeterminate nello spazio e nel tempo, come a rendere universale ed eterna la trappola che attanaglia senza scampo l'individuo, eppure è difficile non cedere alla tentazione di leggere in questo romanzo di autore ebreo una straordinaria premonizione dell'Olocausto: come Josef, milioni di persone dovettero morire senza che né loro né i loro uccisori sapessero perché. Il buio senza spiragli in cui precipita senza colpe il personaggio diventa così un'impressionante anticipazione del buio in cui una ventina d'anni dopo sarebbe precipitata la storia d'Europa: ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno delle capacità profetiche della grande letteratura.."
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