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Non più amore

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2006 06:35
06/05/2006 08:48
 
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Non più amore di mani
che annaspano
frugano
cercano radici

Non più amore di falena in volo
intorno a ciglia
fosforescenti
luci



(come un refrain a punteggiare l’asma di salita e precipizi, in dissolvenza)


Seduta di sghimbescio sull’orlo dell’alba, la testa su vapori soffici di nuvola (i suoi sogni di ieri ora di zolfo), Federica li sfoglia affamata, come a farsi una flebo di vita. Il muscolo pirata ormai tace da due anni: ha lottato parecchio prima di riuscire a renderlo inoffensivo. E il tempo adesso le scorre tra le mani liscio, senza aculei, come sabbia morbida una volta infuocata e tagliente. Amorfo, muto di emozioni e aspettative il suo tempo oggi, grigia coperta di smog che la ripara dalle possibili ustioni del sole, dalle seduzioni subdole della notte, dalla fascinazione dei fuochi pirotecnici che minacciano oltre le colline. Anche le colline ora alzano un rassicurante recinto, dove lei lascia pasturare mollemente le sue giornate, senza croci e spine, ora. Una conquista dura, sofferta, la sua. Una vittoria di Pirro, forse. Ma le sta bene così. Un gheriglio di noce disseccato, una conchiglia fossile di ansie, una rosa scolorita tra pagine chiuse la sua vita, ora. E tutto fermo, a distanza di sicurezza. Niente più minaccia il suo rivestimento d’amianto. E’ riuscita a pietrificare tutto: voci, attimi, folgorazioni, presenze, passi dietro la porta.

Non soffre più, Federica.
Lontani quei giorni tutti bucherellati dalle sue lacrime. Non poteva neppure uscire di casa perché un niente bastava a farla piangere. Neppure il mare riusciva a rasserenarla, allora. E dire che le aveva sempre sussurrato carezze di padre, carezze che lei incartava gelosamente per rispolverarle nel buio. Ora i suoi occhi strizzano solo le ore, che corrono inavvertitamente, senza nessun contrappunto, tutte uguali in un giornale di bordo noioso e ripetitivo che scandisce un requiem che la culla in sospensione in un vuoto senza denti con cui mordere e lacerarle l’anima, senza unghie per strapparle un battito di partecipazione. E in quest’assenza Federica vivemuore giorno per giorno. Inerte alla vita che le cola addosso come una pioggia fastidiosa. Ma lei ha l’ombrello che la ripara. Un ombrello su cui ha pazientemente cucito a toppe il suo passato e il suo futuro, un ombrello solido per i suoi occhi daltonici.

E quelle onde... quanto le aveva invidiate! Loro in moto perpetuo dietro l’eco della luna e lei... lei... ferma, immobile stalattite di un lutto senza morte, di una perdita che continuava a strizzarle l’anima...
Sì, le aveva invidiate e anche adesso continua a guardarle con un certo astio dal balcone della sua indifferenza.
Infatti, attesa, rincorsa tra i fili d’erba che nonostante tutto continuavano a spuntare tra i sassi erosi dalle intemperie, quell’indifferenza ricercata tra le pieghe clandestine della sofferenza che le guaiva dentro fino a diventare urlo e bestemmia impronunciabile, quell’indifferenza dalle vesti di marmo ha finalmente bussato alla sua porta. E lei l’ha abbracciata come una sorella mai conosciuta che arriva da un pianeta misterioso. Una sorella di cui conosceva l’esistenza, ma non il volto di cartapecora, che se la baci ti sfrega la pelle ma non l’anima.


Ora, da quando l’ospite attesa siede finalmente intorno al tavolo in sua compagnia, ora esce, viaggia, è frenetica, ma dentro rimane ferma, inamovibile, pietrificata e distante... da tutto e da tutti, fisso lo sguardo nella retina di questa sorella senza parole e vibrazioni, atona la voce a rifrangere il corso del fiume, che scorre senza intoppi e senza deriva, all’ombra di salici cui ha affidato ogni suo pianto trascorso.
Ogni geometria di vita e di fede la lascia insensibile, ora, e quasi quasi ha nostalgia di quel lupo che le si svegliava dentro a ulularle di angeli caduti, di precipizi, di rincorse attraverso arcobaleni di luce e di disperazione.
Le onde invece... loro sono discorsi inesauribili, battiti di un’anima che pulsa e s’intempesta a ogni corruccio di cielo... lei no.

Per questo sfoglia i suoi ricordi per rivisitarli a distanza, da sotto l’ombrello, protetta da quell’armatura di amianto guadagnata con i bollini del suo contovita, ma... ma... non li trova più. I suoi ricordi sembrano dispersi, disseminati lungo la strada percorsa dall’ospite sopraggiunta in punta di piedi attraverso i dossi delle sue cicatrici. Non li trova. Tutto è uniformemente informe
Tutto è lontano anni luce, anche lei a se stessa e, come un animale, freme soltanto per cause di servizio... cause di routine... Una pioggia che arrivi a ciel sereno, lo sprofondare della temperatura o l’accalcarsi dell’afa sulla pelle... una fila troppo esasperante e quisquilie del genere.

E i sogni?
Dove sono i sogni?
Ormai rassomigliano a quella polverina bianca, segno del lavoro dei tarli dentro il legno, che appare in superficie a galleggiare sui mobili e a tradire la presenza di sottilissime e buie gallerie dentro cui non si può più avventurare nessun altro animale... Lo stesso accade dentro quei tunnel di viola, iridati di promesse e di luci. Vietato l’accesso.

Lei non avrebbe più bussato alle porte dell’Ade... questo no, mai più, ma le piacerebbe poter rivedere certi film all’indietro, caso mai imprimendo accelerazione a certi passaggi del sogno che sgomitavano per farsi incubi... Beh quelli proprio no, non ci teneva a rivederli, ma quanto le sarebbe piaciuto stambeccare ancora sui rami gonfi dei mandorli... tornare a sedersi su certe rive o riagguantare il gusto perverso dell’abbandono inerme alla corrente...

No no... l’elettrochoc no...
Solo all’idea (perché non riesce a ricordare) le vengono i brividi. E, come un giocatore incallito, Federica è tentata di chiedere carte... ancora un’ultima carta, quella del ricordo. Trema davanti al croupier... è indecisa, ma terribilmente tentata. L’occhio fisso nel vuoto, cerca di prendere coraggio, sta quasi risolvendosi a chiedere carta quando il suono del cellulare la paralizza. Con un gesto deciso, colorato d’isteria, afferra il microbo mortale e... clic... chiude la linea.

Dall’altro capo del tavolo, il croupier continua il suo giro. Altri giocatori, altre sfide, altri sogni. Lei non si scorticherà più l’anima, preferisce rinchiuderla tra le pagine di un monumentale Zingarelli.
Come in un refrain scritto col rossetto sullo specchio, un’eco sulla tastiera:


Non più amore

della foglia accartocciata
riarsa d’anima,

non più amore

dell’onda
orfana di scoglio,

non più amore

del vento
che non trova fiore

non più amore

di prato
spento di stelle

non più amore

di questi occhi
che rotolano nei tuoi
e non vedono.


T.F.

(2001-2002)







* posto in questa sezione, ma mi rendo ben conto che questo testo, apparso in un’antologia, travalica i confini tra i generi (lirico e prosa).
06/05/2006 13:53
 
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A d m i n
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CARA IDEA VAGANTE


onestamente trovo che stia splendidamente qui ... ma se desideri metterla in una cartella a parte... non hai che chiederlo...
Letta 2 volte ...l'ho trovata molto bella ...come una eco sulla tastiera [SM=g28003]

Spero di rileggerti presto


magda [SM=g27985]
06/05/2006 14:53
 
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qui sta bene, Magda. Ti ringrazio della lettura e delle espressioni di apprezzamento. Ciao! Idea Vagante
08/05/2006 19:38
 
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Meravigliosa prosa poetica...
Leggerti è per me un grande piacere!
Sei bravissima [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g27985]
09/05/2006 06:35
 
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Utente Junior
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alle 6 del mattino....
con la testa in subbuglio, è gradevole leggerti! buona giornata a tutti! [SM=g27985]
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