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Il gattino dello zio Don Giulio.

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2005 17:47
06/06/2005 05:54
 
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IL GATTINO DELLO ZIO DON GIULIO

M’accade spesso che eventi lontanissimi nel tempo emergano improvvisi nella mia memoria in modo prepotente, come dei flash, né mi capacito del fatto che, pur faticando a ricordare episodi ben più recenti della mia vita, io abbia invece una memoria così nitida di fatti accaduti quando avevo solo due o tre anni. Forse li avrò vissuti con molta intensità, che ne so; ma una cosa è certa: se son rimasti così radicati nel mio cuore, vuol dire che hanno determinato in maniera sostanziale il mio modo d’essere e il mio sentire. In questo provo una sorta d’orgoglio perché le figure umane che ne emergono sono quelle delle persone a cui ho voluto più bene, quanto meno per il grande bene che hanno voluto loro a me.

E’ questo il caso dell’episodio che ora vi sto per raccontare. Risale ai tempi in cui, attorno al 1943, mentre la guerra stava devastando l’Europa, sfollati dalla città per evitare il rischio delle bombe, ci trasferimmo in un paesino della Brianza, a una ventina di chilometri da Milano, ospiti dello zio Don Giulio, fratello della nonna materna e parroco del paese. Lo zio, uomo all’antica, burbero e autorevole, era sempre indaffarato a sanare discordie e comporre liti tra parrocchiani, spesso conseguenza di banali gelosie, ma a volte ben più gravi, in cui alle beghe tipiche d’un piccolo paese di campagna si mescolavano sentimenti d’odio e di vendetta legati a situazioni politiche contingenti, con sordi antagonismi tra fascisti e partigiani e ancor più tra cattolici e comunisti; per tutti lui aveva una parola buona, e tutti confidavano nei suoi buoni uffici. A ciò s’aggiungano gl’impegni derivanti dal suo ruolo sacramentale; Sante Messe da celebrare, Confessioni e Sacramenti vari, preghiere in comune nelle ore canoniche, dalle Lodi all’alba fino a Vespro, per terminare con la Messa vespertina; a volte anche dopo cena per la catechesi. Ricordo che soleva celebrare la prima Messa alle 6:30, proprio all’alba, nella chiesetta della Torrazza, una frazione agricola poco distante dal paese, per consentire ai contadini d’iniziare presto la fatica quotidiana dopo averla consacrata a Dio; lo zio aveva sempre voluto riservare a sé quest’incombenza; così per quasi 60 anni filati, come coadiutore prima e poi come parroco, s’era sempre levato di buon’ora, alle 5 del mattino, per recarsi a piedi fin là a dire Messa, incurante delle asprezze del clima e degli acciacchi. Restavano poi gli impegni dell’Oratorio, il Catechismo, gli incontri coi giovani, i corsi per fidanzati… Per sua fortuna poteva far conto sulla collaborazione d’un bravo vice-parroco, ma ai momenti topici della comunità pretendeva di partecipare di persona. Così lo si vedeva raramente fuori attività, come se avesse tempo libero; solo dopo pranzo si concedeva una mezz’ora di riposo durante la quale, sprofondato nella grande poltrona del suo studio, schiacciava un frugale sonnellino. Il tempo che dedicava a noi era fatto di ritagli, soprattutto a tavola, di sguardi amorevoli ma sempre poco permissivi, di commenti lapidari e giudizi perentori ma sempre carichi d’affetto. Eppure il suo volerci bene era tangibile, assiduo ed incalzante; era come l’aria che respiravamo. M’è capitato spesso ormai da grande di ripensare a lui; benché da piccolo non ci avessi mai pensato, m’accorgo ora che non sarei quello che sono se non avessi avuto allora il suo esempio silenzioso, né riuscirei ormai a concepire la fede se non come qualcosa che ti spinge a dedicare agl’altri tutta la vita, senza curarti della fatica e senza smetter mai di ringraziare Dio, come faceva lui.

Un giorno nella casa era comparso un gattino. Fin qui tutto normale perché la casa, dando sul giardino, con la porta spalancata dai primi tepori della primavera fino a tardo autunno, offriva un facile rifugio ai molti gatti del vicinato, fresco contro l’arsura dell’estate e tiepido d’inverno per poltrire vicino alle finestre imperlate di condensa mentre fuori volteggiano i fiocchi della neve. Erano in genere animali piuttosto schivi, abituati piuttosto a vivere all’aperto, benché in casa fossero sempre accolti e ben nutriti. Li conoscevamo di vista, e a ciascuno avevamo affibbiato un nomignolo per identificarli facilmente raccontando di loro tra di noi; ma raramente si concedevano alle tenerezze, non sempre così affettuose, di noi bambini. Questo però era un gattino speciale. Forse arrivato un giorno assieme alla sua mamma in cerca di cibo, non se n’era più andato: ci aveva scelto lui come sua famiglia. Era un piccolo soriano carinissimo, di pelo tigrato con tutte le sfumature di grigio e qualche macchia bianca sul musetto e sulla pancia, molto morbido e soffice, una coda lunghissima sempre in movimento che diventava immobile e ritta come un fuso nei momenti in cui puntava una possibile preda, e vivacissimi occhi verdi. Doveva avere solo qualche mese di vita a giudicare dall’aspetto. Avete presenti i cuccioli di gatto, con un testone grande e zampotte sproporzionate al corpo? Ecco, era così; davvero molto buffo ma anche tenero nel suo incedere ciondolante, con un’aria scanzonata e strafottente; impiccione, curiosissimo di tutto, incurante dei pericoli, pieno di foga in ogni movimento, eppure dolcissimo e aggraziato come un esperto acrobata, e pronto a fare d’ogni cosa un gioco. Ricordo questi dettagli perché mia madre, sempre molto indaffarata con le interminabili faccende domestiche di quella grande casa, diverse volte aveva interrotto il suo lavoro per dedicare del tempo al gattino assieme a noi bambini, mostrandoci con l’esempio come trattarlo in modo rispettoso ed ammirato. Ero estasiato a vederlo giocare per ore con una pallina di carta che gli avevamo legato ad un filo; la puntava come se si trattasse d’una preda, avanzava circospetto lentamente, ventre a terra con la coda ritta e immobile, come per non farsi accorgere, e quando infine era a tiro di zampa si lanciava in un balzo improvviso, quasi per non lasciarle il tempo di reagire, e iniziava un combattimento sovrumano, fatto tutto di nervi e di prontezza di riflessi, come se le sue zampate pretendessero d’arrivare prima dei movimenti della pallina da loro stesse indotti, il tutto per immobilizzare la preda e, tenendola ben stretta con le zampine anteriori, buttarsi a terra a corpo morto, rovesciandosi incurante degli ostacoli, e intanto scarnificarla con movimenti forsennati delle zampe posteriori, fino a poterla, stremata e agonizzante, finalmente azzannare, pronto a ricominciare, instancabile, tutto da capo se nella foga dei suoi movimenti qualcosa gli avesse dato l’impressione che la preda fosse ancora in grado di fuggire. Ma ero ancor più estasiato quando finalmente era riuscito a liberare la pallina dal filo ed aveva cominciato ad inseguirla all’impazzata per tutta la casa, come se fosse una preda in fuga, e ad ogni zampata la fuga proseguiva in modo sempre imprevedibile finché era tanto preso dall’inseguimento che non s’avvedeva degli ostacoli e ci finiva rovinosamente contro. Un giorno in questo modo aveva rotto un vetro, per fortuna senza farsi male, proprio nel momento in cui sopraggiungeva lo zio Don Giulio. Tutti ci s’aspettava che lo zio s’arrabbiasse per il vetro rotto; ci sorprese non dicendo nulla del vetro ma si preoccupò invece del gattino che, esausto per le corse precedenti e spaventato dal fragore del vetro rotto, se ne stava in un angolo tutto mortificato. Lo zio che, preso dai suoi impegni, fino ad allora non aveva avuto modo di dedicargli attenzione, lo prese in braccio e, quasi richiudendo il piccolo gattino tra le sue grandi mani, cominciò a carezzarlo e a consolarlo con parole tenere, così inusuali per il suo vocione stentoreo, avvezzo più a rimproverare dall’alto del pulpito che ad elargire tenerezze. Se lo portò nel suo studio, da cui ricomparvero insieme solo all’ora di cena, lo zio davanti, col suo abituale incedere autorevole, e il gattino caracollante dietro a lui, come un fedele cagnolino. Non riuscii mai a capire cosa poteva essere successo nello studio, ma da quel giorno per tutti noi quel gattino divenne “il gattino dello zio Don Giulio” perché, abituato prima ad essere autonomo e del tutto indipendente, fino a dare a volte l’impressione d’un atteggiamento sprezzante nei nostri confronti, da quel giorno era cambiato completamente: dovunque fosse lo zio Don Giulio c’era anche lui. Spesso si rifugiava nel suo studio anche quando lo zio non c’era, pronto sulla porta di casa a fargli festa quando lo zio rientrava, e nella casa lo seguiva passo a passo, perfino in bagno. Mentre eravamo a tavola, lui stava accucciato tra i piedi dello zio che a volte, contravvenendo ad una regola che aveva voluto per noi tassativa, gli metteva a terra un boccone del suo cibo. Poi, dopo cena, mentre lo zio si rilassava un attimo bevendo il suo caffè corretto grappa, il gattino gli saliva in grembo, e se ne stava lì tranquillissimo finché lo zio era seduto. Ricordo di aver assistito un giorno ad una scena che è rimasta intensa nella mia memoria come se fosse ora: il gattino stava in grembo allo zio che gli aveva porto entrambe le mani per una carezza più intensa. A questo punto il gattino aveva abbandonato languidamente la testolina tra le mani dello zio, concedendosi a fusa tanto intense da risuonare nell’intero locale, e subito s’era addormentato così, con la testa nascosta tra le mani dello zio, il luogo più sicuro che lui potesse immaginare. Ripensandoci ora mi viene da riflettere che lo zio, per il suo carattere e per il suo modo di pensare ma ancor più per la sua fede, fosse in sintonia così profonda con l’intera natura, che la natura stessa gioisse nell’affidarsi ciecamente a lui. Credo che quello sia stato un piccolo miracolo, piccolo sì come il piccolo gattino, ma non diverso in fondo dai più celebrati miracoli di San Francesco.

Guido
27 maggio 2005.


06/06/2005 14:13
 
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Due racconti in uno!Uno "spaccato" di vita paesana, e una minuziosa e affascinante descrizione di questo "rapporto", questa simbiosi tra due piani differenti dell'esistenza.E' vero che i bambini hanno una memoria molto "fotografica" ma il tuo racconto è un susseguirsi di immagini e situazioni raccontate con la perizia del narratore consumato.BRAVOBRAVOBRAVO!!!!

Merlino
11/11/2005 20:14
 
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Una bella tematica, una buona analisi e un bellissimo rendere i sentimenti in una pagina che riesce a catturare l’attenzione del lettore dall’inizio fino alla fine. [SM=g28002]
20/11/2005 13:16
 
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CARI AMICI

vi rispondo io e vi ringrazio x l'attenzione.... ma Guido x motivi personalissimi non sta più usando il pc.

Approfitto x dirgli che lo ASPETTIAMO A BRACCIA APERTE, tutti i suoi amici lo aspettano su internet.... [SM=g27999]
, sperando di ritrovarlo presto.


A PRESTO CARO AMICO



26/11/2005 17:47
 
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Dopo queste letture anche io lo aspetto a braccia aperte. [SM=g28002]
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