Amore di plastica (di Stefano L.)
Amore di plastica
Ho in testa un ricordo abbastanza vecchio dove in qualche programma rai, un qualche maturo radiofonico di una qualche nota radio, invitato alla trasmissione, disse ridendo che nella società lui poteva metaforicamente essere rappresentato come un ramo secco nell’albero della vita. Lo diceva ridendo: un sorriso amaro che tralasciava nel palato però quel gusto di probabile verità. Voleva spiegare cosi la sua situazione da single. Alla sua età, la sua non proliferazione, nello specifico, rappresentava per lui, a quanto pare, qualcosa che sapeva di fallimento. E’ difficile spiegarlo a parole questo sentimento che forse si prova ad un certa età ma a cui io gia da ora forse alla soglia socievolmente accettata, della maturità, analizzo . Vent’anni. All’epoca umilmente mi chiedevo se un giorno mi fossi trovato nella sua situazione e se avessi avuto quella amara sensazione di fallimento che era la “non procreazione”. Un ramo secco della nostra società.
La domanda che oggi mi rifaccio trova una qualche variante, nel senso che mi chiedo se la vita può manifestarsi, essere trasmetta, costruttrice di gioia, anche in altri modi. L’obiettivo dell’uomo maturo consiste solo in questo o esistono anche altre possibilità? La vita si manifesterebbe solo sognando un figlio? Sono domande che forse tutti ci facciamo. Quando vedo un bambino il mio cuore rallegra, la felicità subito trasmessa ed empatizzata. Vedo negli occhi di questi la pura felicità. Allora è vero? La bellezza di queste persone è qualcosa di veramente sorprendente. Non hanno tessere di partito, università, non hanno mai avuto quelle simpatiche sbronze adolescenziali (e post). Attraverso una piccola cosa o gesto riescono a piangere, ridere, disperarsi. La semplicità. Hanno quella iper-sensibilità che poi non si sa per quale emblematico motivo tutti perdiamo e per stereotipo da film tutti entrano in quella falsa lunaticità della nostra complessa società. Tiziano Terzani mi ha insegnato a riconoscere questa dura e cruda analisi del mondo in cui alla fine viviamo.
In un ventenne si può trovare la semplicità? Come fare per entrarne in possesso?
E’ un cammino lungo ma “semplice”. La nostra società seppur complessa all’individuo da ampio spazio di scelta. Per capirci rispecchia un po’ la nascita delle reti televisive commerciali in Italia nei primi anni 80 che amavano e amano un po’ la teoria del programma “contenitore”. Molto dispersiva, poco tecnica, per essere proprio aperta a tutti. Nel mio contesto un ragazzo solitamente guarda la tv, gioca alla play station, si ubriaca la sera e si martella continuamente di domande esistenziali. Possiamo rimanere a questo stadio, cioè fare la nostra vita, lavorare e avere una casa, avere un figlio. Dopo? Cerchiamo di avere sempre di più comunque, ma non riusciamo a capire dove e in quale oggetto la nostra felicità troverà di nuovo spazio e sfogo. Forse un giorno, comprandoci una nuova macchina pagata da duri mesi, anni di lavoro. Ma essa penso durerà sempre per un periodo breve. Abbiamo la felicità e l’avremo nel futuro da “lavoratore con famiglia” in questo scontato ormai cammino? In ciò non vedo alcuna semplicità bensì una prigione. E’ come se mi dicessero che i miei problemi esistenziali saranno un giorno risolti da una macchina e da un figlio possessivamente avuto a tutti i costi. A mio parere ognuno di noi può avere questo, ma anche l’opportunità di fare altro. Nel contempo può fare volontariato, può costringersi ad affrontare un dibattito per il solo gusto di stare insieme e confrontarsi, può stare dalla parte dei fatti e delle parole. Andare a giocare nei quartieri poveri di Catania con i bambini può renderti felice quanto una macchina appena comprata . Può risollevarti dalle infinite non risposte sulla ricerca di Dio. Può accantonare la apocalittica situazione amorosa. Vedere bambini allegri e contenti, ma anche far ridere l’amico, sono la cosa più bella e gratificante che poteva accadermi e nessun politico potrà mai promettermi questa felicità e questo benessere. Sono gesti semplici che non hanno bisogno ne di un diploma o laurea e di qualunque altro attestato. E ritorno all’immagine del bambino di un anno che ride mentre gli porto una pallina da tennis o gli faccio le pernacchie. Anche io, come lui, sono felice. Eppure non ho sudato duramente per avere un oggetto ne ho avuto sofferenze e drammi amorosi prima di essere felice. Ma poi per essere felici dobbiamo per forza soffrire? .
E’ inutile lamentarsi col mondo aspettandosi che ci porti la felicità bella ed impacchettata in un corriere facendoci cosi, dopo, le famigerate seghe mentali. Prima di tutto chiediamoci cosa possiamo fare per cambiarlo. Ma non in nome della sinistra o della destra. In nome della dignità, dell’amore. Di voi stessi, degli altri. E’ solamente una questione di scelta.
[Modificato da stefano.20 15/09/2005 13.23]
[Modificato da stefano.20 15/09/2005 13.24]
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Solo per il fatto di non poter smentire sarei, nella verità o nella non verità, un illuso incapace di riflettere