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Last days -recensione- (di Stefano L. e Riccardo N.)

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2005 17:31
29/06/2005 17:31
 
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LAST DAYS di Gus Van Sant


di Riccardo N. e Stefano L




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Nel 1996 il regista aveva in progetto una storia basata sulle crisi esistenziali di un comune ragazzo

che non riesce a superare i suoi ostacoli adolescenziali. In seguito, non si capisce se per una mossa di mercato, il soggetto è stato spostato da parte del regista alla figura del celebre cantante-leader dei Nirvana, Kurt Cobain, presumibilmente suicidatosi.

Agli occhi dei molti, il film può dare l’impressione di un lungo-metraggio pesante, paranoico, che racconta semplicemente con inquadrature amatoriali la vita di un malato mentale che, tormentandosi l’anima, si uccide. Il film di Gus Van Sant invece è una sorta di “docu-drama” girato in gran parte nei boschi e nella natura che circonda l’abitazione del protagonista Blake (Micheal Pitt). Il giovane si rinchiude in se stesso per questi tre giorni che lo separano dalla vita alla morte. Nulla lo sfiora ( nemmeno i suoi “amici-parassiti”) e le uniche emozioni e sensazioni che trasmette ci vengono date dal suo contatto con la natura, dal suo stato d’animo di persona isolata e incompresa forse anche da se stesso. La telecamera in certe scene, dopo una piccola carrellata, fissa l’obbiettivo su un punto ben preciso dove l’unico protagonista è la natura. Questa sorta di “natura viva” ci unisce alla solitudine di Blake e ci lascia un momento per riflettere su di noi, sui nostri perché senza risposte e sul dramma messo in scena di questa anima fragile senza meta Il suo malessere non verrà fuori nei contatti con gli altri che ha, ma sputerà la sua atroce rabbia attraverso la sua musica: l’unica speranza e via di sfogo per un essere che sembra non trovare più quella felicità e passione infantile che aveva probabilmente perso. Il suo stare con la natura e suonare rimangono per lo spettatore nel film le sole scene ipnotiche e catartiche. Quest’ultimo empaticamente cerca di immedesimarsi nelle battute finali, caratterizzate in particolar modo dal suo ultimo contatto con la chitarra che enfatizza nel film il suo saluto alla vita. Infatti come inizialmente ha voluto il regista questa storia non riguarda solo il protagonista ma accomuna tutti i giovani (e non) che si ritrovano almeno una volta nella vita in questo stesso disagio esistenziale. Sta qui, in questa comune semplicità, il fatto che questo film non sia considerato un capolavoro. Però se vogliamo sforzarci, la particolarità sta proprio in ciò, poiché a nostro modesto parere, non è facile entrare nella semplicità quotidiana, nelle frustrazioni della gente e del mondo maledetto che ci circonda, difficile da cambiare…

…il regista in tutto questo sembra esserci riuscito.





Riportiamo, per concludere, una frase dei PGR : “canto la vita che, quando è il suo tempo, sa morire e muore”



Kitarra e Batteria


[Modificato da stefano.20 29/06/2005 21.55]

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