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Il racconto della vecchia levatrice

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2013 23:15
12/07/2005 14:38
 
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Il racconto della vecchia levatrice

di Ferdinanda Vigliani
(tratto da Università delle donne)

Quando i Kurgan invasero la città era prossimo il tempo del raccolto. I cavalli degli invasori calpestarono il nostro grano, che in parte venne anche incendiato e la città, la nostra città bellissima, posta alla confluenza di due fiumi dalle acque limpide e pescose, la nostra città priva di mura, fu anche quella ridotta in cenere.

Più tardi avrei visitato altri luoghi. Città che avevano dovuto rinchiudersi, rendersi irraggiungibili come nidi d’aquila. E avrei capito che la vicinanza dei Kurgan rende la gente sospettosa e ostile. Che tutto viene riportato all’essenziale. Ciò che non è direttamente legato alla pura sopravvivenza è inutile. E dannoso. Ma quando i Kurgan, montando i loro ispidi cavalli, piombarono come un uragano dal nord-est sulla nostra città, io questo ancora non lo sapevo. Avevo otto anni. Non capivo, ma potevo vedere e ricordare.

La nostra città non aveva bastioni, né cittadelle, né fortificazioni, né armi, se non quelle che venivano usate per la caccia. Nella nostra città vi erano molte scuole, ma in nessuna di queste si apprendevano le arti della guerra. Avevamo molti luoghi di culto dedicati alle grandi dee madri dell’abbondanza e della fertilità e i nostri morti più illustri, che erano donne e uomini che avevano avuto cariche sacerdotali, oppure erano stati sapienti, artisti, poeti, riposavano nel grembo delle dee nei loro templi. Fino all’arrivo dei Kurgan noi non conoscevamo la lugubre pompa dei sepolcri dei guerrieri, armati perfino nella tomba. Da morti, i loro capi vengono onorati con scabri monumenti di pietra, ma anche i defunti di rango inferiore hanno diritto al loro cumulo di sassi, come se, senza quel peso sul petto, i morti potessero sollevarsi dal loro sonno a perseguitare i vivi.

La nostra città fu quasi ovunque rasa al suolo. Mio padre era stato il conservatore della casa delle tavolette di cera, su cui venivano annotate le cose più importanti. Quando le fiamme raggiunsero il deposito questo si incendiò con un orribile respiro di agonia. In pochi istanti il fuoco si portò via l’intero edificio e con questo la vita di mio padre. Mi accorsi allora che non avevo potuto imprimere nella memoria i suoi lineamenti, il colore dei suoi occhi. Da quel momento per molto tempo continuai a cercare di ricordare come era stato il viso di mio padre, come suonava il timbro della sua voce, senza mai riuscire a ricostruire un’immagine che se l’avessi di nuovo incontrato me lo avrebbe fatto riconoscere.

* * *

Fu a quel punto che mia madre mi ordinò di andarmi a nascondere sotto l’altare della dea scrofa, mia protettrice. Io esitavo a separarmi da lei. Così mia madre mi disse che era suo dovere di sacerdote della grande Madre proteggere l’altare della dea e aggiunse che, poiché quasi certamente non ci saremmo più incontrate in questa vita, mi lasciava la sua benedizione, con l’ordine di avere coraggio.

Nel prendere congedo mia madre non mi abbracciò, forse se l’avesse fatto non avrebbe più trovato la forza di allontanarmi, ma ricordo il suo sguardo quando mi consegnò questo piccolo amuleto, questo che ancora tengo qui sul cuore e mi dà forza. È una piccola figura scolpita nell’avorio: il corpo di una donna dal ventre tondo come la luna piena. Sulla testa i capelli sono acconciati in tredici minuscole trecce. Tredici come le lune che vanno da un autunno all’altro, come il sangue che vediamo noi donne in questo stesso tempo.

L’avorio è levigato dal tocco delle mani di mia madre e dalle mie dopo quelle di lei. È stato posato per molti autunni sul suo seno e per troppo tempo sul mio. È ora adesso che passi alle mani e al seno di un’altra donna. Ancora non ho deciso quale delle mie figlie o delle mie nipoti.

Dal canto mio, io credo di avere ubbidito a mia madre. Nella mia vita quasi tutto è mancato, tranne il coraggio. Adesso sono vecchia, ma non ho mai dimenticato e ancora ho il coraggio di ricordare che il corpo di mia madre per diverse settimane restò esposto ai corvi. E quando la sorveglianza dei Kurgan si fu un po’ allentata, io potei farmi coraggio, piccola come ero, e con l’aiuto di quello che era stato fin dalla nascita il mio migliore amico e di sua nonna, andai di notte a levare dal patibolo ciò che di mia madre rimaneva. Ero accecata dalle lacrime, ma fu il coraggio a non farmi smettere di scavare nella terra dove mia madre avrebbe voluto essere sepolta.

Trovammo un posto un po’ fuori da quella che era stata la nostra città e lontano dalle tende dei Kurgan, all’ombra di una giovane quercia. Sapevo che a mia madre sarebbe piaciuto dormire sotto un albero. Questo sarebbe cresciuto nutrendosi del suo corpo e le radici avrebbero abbracciato le sue ossa.

Di recente sono ritornata nel luogo dove mia madre riposa e ho visto che l’albero è ancora al suo posto ed è diventato più maestoso. Come se qualcosa dell’autorità di mia madre gli fosse stato trasmesso.

* * *

Ada, la nonna del mio amico Erin, era stata per tutta la vita levatrice e dunque era particolarmente devota alla Dea Scrofa, protettrice dei parti, a cui io alla nascita ero stata dedicata. Nascosta sotto l’altare della dea, come mia madre mi aveva ordinato, aspettai tremando che qualcuno mi aiutasse e la dea dovette esaudire le mie preghiere, perché Ada arrivò, con Erin. Per me, non abituata alla solitudine, alla paura, al freddo e alla sete, la vista di due visi amici fu ciò che mi riportò alla vita. Ada ci disse che dovevamo nasconderci e fare presto.

Già dovevamo considerarci molto fortunati di non essere ancora stati scovati. Si preoccupava poco per se stessa, convinta che i Kurgan non si sarebbero interessati ad una vecchia. Sì, avrebbero sempre potuto ammazzarla, anzi, considerandola inutile, era molto probabile che lo facessero. Ma noi bambini correvamo un rischio peggiore. Saremmo diventati schiavi. Non è che noi capissimo bene che cosa in particolare preoccupava la nonna Ada e che cosa essere schiavi volesse dire. Da noi la schiavitù era ancora più che ignota: inimmaginabile. Ma Ada ne aveva sentito parlare, conosceva gli usi crudeli dei nostri invasori.

In un certo senso tutti presso i Kurgan erano in qualche modo in stato di schiavitù. La loro vita era dominata dal timore e dalla violenza. O meglio, non poteva essere altro che dominata, o dominante. Tutti erano sempre al tempo stesso servi e padroni e nessuno era libero.

La stranezza di tutto questo per noi bambini rendeva incomprensibili alcune delle raccomandazioni di prudenza che la nonna ci rivolgeva continuamente, ma eravamo cresciuti nella convinzione che gli insegnamenti degli anziani vanno altamente onorati e dunque rispettammo i consigli della vecchia, il che, penso, ci salvò la vita.

Erin, sua nonna e io andammo dunque a cercare rifugio in una piccola costruzione quasi interamente nascosta dalla vegetazione, in un punto molto folto del bosco che si estendeva a ovest di quella che era stata la nostra città. Scelto perché era un luogo appartato in cui la vecchia levatrice si ritirava a meditare in certi periodi dell’anno e dove qualche volta ospitava le future madri. Si diceva che quel luogo tranquillo favorisse i sogni profetici e che attraverso questi fosse possibile conoscere il destino del nascituro.

Nell’avvicinarci al minuscolo riparo vedemmo tra gli alberi allontanarsi una scrofa seguita da quattro cinghialetti col mantello ancora percorso da quelle striature che si vedono solo nelle loro prime due lune di vita. Allora ci riconfortammo pensando che la dea ci aveva accordato la sua protezione e dato un segno della sua presenza. Inoltre la giovane età degli animali era un’ispirazione di speranza per il futuro.

Il mio amico Erin aveva portato un arco e la sua abilità nella caccia fu in quel periodo una bella risorsa. Io, che avevo due anni meno di lui, ero abituata fin dalla più tenera età a seguirlo come un satellite e la mia grande ammirazione faceva sì che imitassi tutto quello che lui faceva. Così anch’io acquisii una certa capacità di procurare la cena, ma mai prendemmo di mira i cinghiali, che fin dal giorno del nostro arrivo considerammo come i nostri protettori più sacri.

Il nostro sforzo di essere dimenticati fu premiato. Riuscimmo a non morire di fame quando arrivò l’inverno, soprattutto grazie al furto. Erin e io ci avvicinavamo non visti all’accampamento dei Kurgan e l’abilità che avevamo appreso nel trattare gli animali faceva sì che riuscissimo a farci seguire da qualche capra. Fu grazie al latte e alla carne delle capre rubate che potemmo sopravvivere. Noi non ci azzardammo mai a coltivare dei campi o degli orti nei pressi del nostro rifugio, dato che avrebbero reso visibile la nostra presenza. Ma seminammo ai margini del bosco qualche manciata di grano spigolato di nascosto nei campi e del farro piccolo, un po’ d’orzo, delle fave. Spesso trovavamo le nostre coltivazioni distrutte dagli animali o mietute da qualcuno che non eravamo noi, ma tutto il nostro tempo lo dedicavamo all’arte di sopravvivere e i pochi successi che riuscivamo ad ottenere erano in qualche modo sufficienti.

La nonna Ada invecchiava rapidamente. Avrebbe avuto bisogno di condizioni di vita meno dure e il conforto che noi potevamo darle era ben poco. Resistette al freddo e ai dolori che facevano scricchiolare le sue ossa senza mai lamentarsi e quando alcuni anni dopo morì, ci aveva insegnato qualcosa della sua arte di levatrice e guaritrice.

Il vuoto che lasciò fu tremendo. Il rifugio nel bosco divenne la sua tomba, dove la lasciammo in posizione seduta, avvolta nel suo mantello e circondata dalle tredici statuette della dea, una per ciclo lunare, che devono stare nella tomba di una donna di medicina. Poi chiudemmo e occultammo l’ingresso del rifugio perché la nonna potesse riposare in pace.

* * *

Noi cominciammo a spostarci, insieme con le capre e con un grosso cane che un giorno aveva cominciato a seguire Erin nel bosco e non lo aveva più lasciato.

Si era prodotto uno scambio veramente curioso. I Kurgan, che erano sempre stati pastori nomadi e razziatori, dopo avere invaso le nostre belle terre erano diventati sedentari, e forse un po’ meno feroci. Noi avevamo dovuto abbandonare tutto, eravamo diventati ladri e pastori di capre rubate e per non essere presi ci spostavamo continuamente. Col tempo incontrammo altri del nostro popolo che avevano avuto un destino simile al nostro e capitò che unissimo le nostre strade.

Quando ci guardavamo vedevamo dei barbari. Noi che eravamo stati abituati a curare tanto il nostro aspetto, andavamo in giro vestiti di pelli, i piedi protetti da sandali di corteccia d’albero. Gli uomini erano spaventosamente irsuti e tutti avevamo i capelli arruffati e incolti. Il nostro aspetto selvaggio era sovente oggetto di commenti ironici quando la sera ci riunivamo intorno al fuoco. Un lusso che ci potevamo permettere raramente, solo quando eravamo abbastanza lontani dai villaggi dei Kurgan. Una delle tante cose che si danno per scontate quando si è ricchi e sicuri è il conforto di un fuoco acceso, che scalda e illumina le ombre della notte.

Adesso guardo queste braci che ormai languiscono e penso che adattarci e conservare qualcosa di ciò che eravamo stati, fosse tutto ciò che si poteva fare. Per i nostri figli la vita nomade è stata la sola che abbiano conosciuto. E i nostri nipoti già non sono più in grado di leggere i simboli incisi sulle statuette delle dee madri.

Alle mie figlie ho cercato di insegnare alcune cose indispensabili, come le proprietà di certe erbe, il valore nutritivo di piante e funghi. Erin ha trasmesso ai nostri figli le sue conoscenze sulle abitudini degli animali. Abbiamo potuto coltivare poco il loro spirito, come del resto è stato poco coltivato il nostro, ma le figlie hanno imparato da me l’arte della levatrice e l’hanno trasmessa alle loro figlie, così che poche di noi muoiono nel dare alla luce. Adesso capita anche che siamo mandate a chiamare dalle donne Kurgan quando un parto si presenta difficile.

Finora la Dea mi ha aiutato e ancora non ho visto negli occhi di nessuna delle mie figlie e nipoti quello sguardo passivo e opaco che è così comune negli occhi delle donne Kurgan. Dirò che la Dea mi ha protetto se riuscirò a morire senza mai vedere questo spegnimento negli occhi di nessuna donna vicina al mio cuore.

Cercherò di morire senza odio, perché l’odio pesa sull’anima. Infatti oggi posso dire di non odiare i Kurgan. Si può forse odiare una valanga che ti travolge e ti schiaccia, o un incendio che distrugge il tuo mondo, o un fiume in piena che ti trascina nella sua corrente? Non si odia. Si cerca di resistere. Ciò che ho odiato e ancora non posso pensare senza un moto di dolore e di umiliazione è il loro disprezzo per ciò che c’è di più sacro. I Kurgan chiamano padre il loro dio crudele, ma che padre è quello che si gloria dei loro delitti? Loro li chiamano guerre vittoriose e onorano altamente uomini sanguinari che hanno sterminato e ridotto in schiavitù interi popoli. Disprezzano la bontà, la dolcezza, la provvidenza della Madre. Per loro le madri non hanno neppure diritto a lasciare il loro nome ai figli che generano.

Questo sì, questo disprezzo io ancora lo odio. Ma spero che la dea mi aiuti a distaccarmene completamente nel momento in cui raggiungerò mia madre nella terra. Lei mi ha insegnato che la vita è eterna, mi ha lasciato in eredità la sua forza e mi ha ordinato di avere coraggio. Quando andrò da lei, spero di avere pace.

12/07/2005 21:25
 
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Mi ricorda altre parole...

E' un'altra vita, ma il significato è lo stesso: Sopravvivere e con noi la Dea e la Sua sapienza, a rischio della vita.


13/07/2005 10:42
 
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Re:

Scritto da: Lunaedea 12/07/2005 21.25
Mi ricorda altre parole...

E' un'altra vita, ma il significato è lo stesso: Sopravvivere e con noi la Dea e la Sua sapienza, a rischio della vita.





non potevi scrivere parole + belle


22/10/2006 14:09
 
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Questa sotira è veramente splendida,mi è scesa qualche lacrima mentre la leggevo,veramente ma veramente bellissima...
19/01/2007 14:00
 
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bellissima storia,dopo averla letta mi sono commossa [SM=g27821]

29/01/2007 11:31
 
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Un insegnamento profondo in forma di racconto...veramente evocativo.
01/09/2007 23:11
 
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bello, davvero. resistere, questa parola mi ha colpito. troppo spesso siamo portati a pensare che chissà quali imprese debbano riempire i nostri giorni. la vita è invece per i più un fardello di dolore e di fatica.
resistere. non perdere la fede, la speranza. la Madre ascolta.
tutto qui.


04/09/2007 20:41
 
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Quante volte anche io mi sono chiesta per quale motivo la mia vita fosse un simile cammino di sofferenze... Delusioni, dispiaceri.. Ed enormi perdite che mi hanno segnata.. Hai ragione, Fairygoldmoon.. Noi pensiamo di raggiungere la completezza nella nostra vita se compiamo chissà quali imprese.. Ma l'impresa più grande è saper accettare e prendere ad esempio la Madre.. Io che, ad esempio, la vedo con il volto della Madonna, mi rendo conto che tutte le mie sofferenze non sono niente in confronto a ciò che lei ha passato.. E questo mi da forza. Lei mi ha fatto capire che vivere sotto la sua ala protettrice è molto più importante di mille altre cose..
(il mio vecchio nickname era lucia_kee!)
***************************************************
Dream on... dream until the dream comes true...

13/08/2009 01:18
 
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Una storia bellissima e un'anima splendida quella della bambina-vecchia senza odio. E bello e prezioso l' insegnamento che ci offre il racconto, quello di non odiare, di non rimpiangere ne invidiare quello che avevamo e non abbiamo più, fino a quando dentro di noi splende una luce di Bellezza e di Amore.
Mi chiedo sempre di più perchè solo così in pochi siamo (si, mi permetto di inserirmi) sensibili alla Dolcezza della Madre. Questo racconto ha risvegliato in me la domanda...


13/08/2009 19:01
 
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Credo che la risposta tu la conosca... [SM=g27822]
Probabilmente siamo in pochi perchè una parte di noi, profonda e luminosa, non è totalmente morta come nelle maggior parte delle persone. E' solo una briciola ciò che proviamo noi, a confronto dell'Amore travolgente che potremmo provare, ma ci rende vivi nel profondo e ci permette di scegliere di renderci sempre più vivi e sempre più vicini a quell'Amore che la Madre esprime in ognu sua espressione...
Le altre persone sono morti viventi, che si compiacciono della loro bruttezza e ne sono tanto orgogliosi da diffonderla tutt'intorno a loro, inquinando e sporcando tutto ciò che di ancora bello incontrano. Come dei virus mortali...
Che se ne stiano nelle loro topaie "modernizzate, asettiche, alla moda, lussuose"... e ripugnanti! [SM=g27824]



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13/08/2009 20:41
 
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O forse sono solo abituate alla bruttezza e aspettano il momento di portare alla luce quello che hanno dentro di bello.
Ieri ho letto poche parole lette da una persona che mi è cara, e mi sono accorta che tutto quello che avrei voluto che sentisse, lui la sapeva già. Probabilmente più che anime morte, sono solo anime addormentate...


13/08/2009 21:23
 
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Sono d'accordo con Luna, non si può essere troppo drastici: bisogna concedere un'opportunità a tutti gli esseri, chi è avanti in certe scoperte se ne può compiacere con se stesso, ma no n bisogna sentirsi migliori di nessuno, solo più veloci a scoprire certe cose.

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13/08/2009 22:31
 
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Nessuno si sente "migliore" di altri, ma ciò che è la realtà non si può addolcire con un cucchiaio di sciroppo...
Comunque ognuno vede le cose come le sente...
C'è chi è drastico e realista e chi meno drastico e speranzoso...
Ma la Terra è stata violentata abbastanza per essere "meno drastici e speranzosi" verso gli individui-virus che hanno fatto queste cose abominevoli. E che non sanno più cosa sia la sensibilità.
Il buonismo è meglio lasciarlo agli altri...
L'opportunità le persone l'hanno già avuta, anzi, ne hanno avute fin troppe... è ora magari di rendersene conto, secondo me.
Poi ripeto, ognuno può vedere le cose come preferisce.


[Modificato da stregaviolet )O( 13/08/2009 22:34]


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Molti sono come dici tu Violet. Assolutamente ciechi e insensibili. E credo anche senza speranza. Poi c'è chi, come noi credo, ha una sensibilità diversa, e tenta di avvicinarsi alla bellezza e alla saggezza. Ma credo che ci sia anche che ancora vaga cercando qualcosa a cui non sa nemmeno dare un nome, ponendosi domande che ancora non hanno parole. Io stessa fino a poco tempo fa, non avrei mai nemmeno pensato dove orientarmi nella mia ricerca. E credo ancora di camminare piuttosto incerta, come i bambini sulle gambette che da poco hanno imparato a star dritte. Ma ogni tanto vedo negli occhi di qualcuno un bagliore e questo mi da una piccola speranza. Non c'è solo l'ottusità. Non c'è solo il disinteresse, la superficialità.
Questo (vorrei dire ogni volta, ma mi è capitato molto di rado) mi ha dato gioia. Ieri sera, rendendomene conto per caso, mi ha profondamente commossa. Ho sentito dentro di me gioia e vicinanza sempre maggiore con quell'anima che senza saperlo mi diceva quello che io volevo sentire.
Non è buonismo. Conosco bene la cattiveria, la vuotezza, la superficialità della gente. La sua mancanza di rispetto verso ciò che è sacro, nelle persone come nella natura. Ma continuo a credere che qualche lucciola in questo buio continui a brillare.
[Modificato da luna_nuova 13/08/2009 22:58]
13/08/2009 23:04
 
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In certe persone sì, ne sono certa anche io...
Io più che altro parlavo di quelli a cui avevi accennato anche tu nel primo tuo messaggio, ovvero a quelli che non hanno più la sensibilità per la Grande Madre. E la usano, la stuprano, la rovinano come un oggetto da possedere e buttare via come e quando vogliono...
Non parlo assolutamente di quelli a cui alludi adesso, che un barlume, una lucciola di bellezza ce l'hanno ancora, anzi...
Per me è categorica la differenza, e non sono d'accordo sul dare un'opportunità a tutti gli esseri... L'opportunità non sono io a doverla dare (con che presunzione poi?!) ma è la vita stessa che a loro di opportunità ne ha già date troppe, tutte sprecate.
Io guardo, cerco di percepire per quanto mi è possibile, e dico ciò che vedo e sento, tutto qui...
E purtroppo per la maggior parte delle persone sento ripugno, schifo, vuoto, bruttezza.
Non per tutte però... Sono d'accordo con ciò che dici ora... anche se le persone così sono poche.

Poi sarò presuntuosa, ma voglio veramente sperare di essere un po' migliore dei violentatori di Madre Terra, di chi se ne frega, di chi pensa solo al calcio e a inquinare anche solo l'aria che respiriamo con la loro soffocante presenza.
Lo spero vivamente... per me stessa e per la mia vita, per lo scopo del mio respirare ogni giorno... poi ripeto, ognuno pensa e crede ciò che vuole.
I discorsi misericordiosi da preti per me andrebbero condannati al rogo (al posto di tante cose buone che vi sono finite veramente).




[Modificato da stregaviolet )O( 13/08/2009 23:08]


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13/08/2009 23:21
 
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Non credo che si tratti di sentirsi migliori o più avanti o più veloci, né di concedere opportunità o di riconoscere potenzialità, che oggettivamente nessuno di noi può negare. Vedo piuttosto problemi di comportamento e di responsabilità, dinanzi ai quali giudicare è giusto, anzi, necessario. Penso che i comportamenti riflettano le coscienze, e che ciascuno sia responsabile dei propri comportamenti e debba essere chiamato eventualmente a risponderne. Non voglio abbandonarmi a un lungo elenco, che qui sarebbe fuori luogo, ma suppongo che ognuno di noi, nella vita quotidiana, sia testimone, proprio nelle piccole cose di tutti i giorni, di comportamenti individuali e collettivi di stragrande maggioranza, i quali manifestano esattamente ciò che Violet ha descritto. Definire coloro che sono responsabili di tali comportamenti come «morti viventi» mi sembra semplicemente corretto. Il disastro collettivo che deriva da questi comportamenti lo subìamo tutti, è ispirato alla negazione della vita, e tende alla distruzione delle coscienze e della vita. Perché, oltre ad assumerci le nostre responsabilità, non dovremmo giudicare e condannare chi ne è in qualsiasi misura responsabile? Starà poi ai singoli «morti viventi» dimostrare con le loro scelte e con i loro comportamenti di avere le potenzialità e la volontà per cambiare.







E sempre il vento e l’ombra misuravano il tempo,
il sole portava riflessi come grate di gioia
alloggiata là fuori, incurante degli agguati—
quella che si sarebbe dovuta cercare.


Crevice Weeds






14/08/2009 00:14
 
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In certe persone sì, ne sono certa anche io...
Io più che altro parlavo di quelli a cui avevi accennato anche tu nel primo tuo messaggio, ovvero a quelli che non hanno più la sensibilità per la Grande Madre. E la usano, la stuprano, la rovinano come un oggetto da possedere e buttare via come e quando vogliono...
Non parlo assolutamente di quelli a cui alludi adesso, che un barlume, una lucciola di bellezza ce l'hanno ancora, anzi...
Per me è categorica la differenza, e non sono d'accordo sul dare un'opportunità a tutti gli esseri... L'opportunità non sono io a doverla dare (con che presunzione poi?!) ma è la vita stessa che a loro di opportunità ne ha già date troppe, tutte sprecate.
Io guardo, cerco di percepire per quanto mi è possibile, e dico ciò che vedo e sento, tutto qui...
E purtroppo per la maggior parte delle persone sento ripugno, schifo, vuoto, bruttezza.
Non per tutte però... Sono d'accordo con ciò che dici ora... anche se le persone così sono poche.


Beh si, siamo d'accordo. Non metto tutti sullo stesso piano, e sulla ripugnanza per un buon 80% delle persone che si incontrano sono d'accordo. Sicuramente nel primo messaggio mi sono espressa male. E in quanto al pietismo no, sono d'accordo con te, non lo tollero, così come mi infastidisce la seconda, terza, quarta, ennesima possibilità.
Ma ho un carattere piuttosto intollerante, istintivo, e specie in questo momento di chiusura totale verso il mondo, sto cercando di guardare fuori dallo spioncino della porta cercando per un attimo qualcosa che sento vicina a me.


14/08/2009 10:08
 
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Allora, mi sembra di capire che in questo gruppo ci siano - più o meno - persone che possiedono molte cose: un pc da cui collegarsi, forse un lavoro - per alcuni-, una casa, la possibilità di acquistare bei libri e vedere film alla tv, insomma, non pretendo di entrare nel merito di ognuno perchè non ne so nulla, ma mi pare di capire che comunque aleggia un certo benessere medio.
Ora, pensate un po' a chi non ha nulla di tutto questo, a chi è schiacciato da una depressione colossale, cosa deve fare? ovvio che gli importerà poco del pianeta su cui vive, non raccontiamoci favole sul buon selvaggio e simili. La sensibilità che auspichiamo non ci può essere a prescindere dal necessario di cui tutti avremmo bisogno. Quindi non condanniamo o definiamo "morto" chi magari ha solo problemi di sopravvivenza o di semplice depressione generata da questa società che definisce "sfigato" chi non riesce a vivere al di sopra di un certo standard.

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14/08/2009 13:25
 
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Però penso che non tutte le persone che hanno casa, lavoro, pc, libri, vestiti eccetera, siano pervase da grande sensibilità e attenzione verso il mondo e verso la loro stessa interiorità... Credo che Violet si riferisse più a questi a dire il vero...


14/08/2009 13:59
 
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Ok, certo, d'accordo. Ma la mia prospettiva era rovesciata: le persone che non si trovano in condizioni ottimali di certo non sono più sensibili delle altre perchè devono faticosamente trovare un loro equilibrio e quindi è facile che perdano di vista il bene comune.

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