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Un libro alla settimana

Ultimo Aggiornamento: 23/01/2007 21:25
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DEVO RACCONTARE, MASHA ROLNIKAITE
Diario di una ragazzina ebrea di Vilna




C’È UN’URGENZA NEL TITOLO “DEVO RACCONTARE” DI MASHA ROLNIKAITE, UN’ANSIA DI FAR sapere quello che è successo perché la storia non si ripeta, perché i milioni di morti non vengano dimenticati. Lo stesso intento espresso da altri titoli simili nella memorialistica degli ebrei sopravvissuti alla seconda guerra mondiale, valga ad esempio il bellissimo diario di Viktor Klemperer, “I’ll bear witness”, in cui l’uso del futuro inglese esprime nello stesso tempo la volontà di testimoniare e l’estensione del tempo in cui risuoneranno le sue parole. A memoria imperitura- si spera.
Masha Rolnikaite è un’ebrea lituana, di Vilna, e, se molto è stato detto e scritto sulla sorte degli ebrei in Germania, Polonia, Ucraina, nulla o quasi si è saputo sulla Shoah in Estonia, Lituania e Lettonia fino a quando questi paesi non hanno riconquistato l’indipendenza, nel 1991. Stalin non era certamente meno antisemita di Hitler e, quando i russi tornarono in Lituania nel 1945, un genocidio spirituale fece seguito allo sterminio operato dai nazisti, una rimozione totale del passato, una cancellazione degli usi e costumi, della lingua e delle tradizioni ebraiche.
Il diario di Masha dovrà aspettare vent’anni prima di poter essere dato alle stampe, tra non poche difficoltà. Nata nel 1927, figlia di un medico, Masha inizia a scrivere il diario il 22 giugno 1941, quando scoppia la guerra. E il nostro pensiero corre ad un altro diario tenuto da una ragazzina della stessa età: “C’è una grande differenza tra me e Anna Frank.”, dice Masha, “Io sono sopravvissuta”. Ma ci sono altre differenze che rendono uniche queste pagine: Anna scriveva reclusa nel nascondiglio segreto, il suo ero lo sfogo dell’adolescente che “sente” la guerra al di là dei muri di casa, che nell’isolamento forzato ha pensieri più grandi della sua età, che conosce l’esaltazione del primo amore con il ragazzo che il caso le ha messo vicino.
Masha ha vissuto la guerra, le restrizioni graduali e le discriminazioni avvilenti, la reclusione nel ghetto, il sovraffollamento, la fame, il lavoro forzato, il trasferimento nei lager. Kaiserwald, Strasdenhof, Stutthof, e poi la marcia della morte, quando il campo viene evacuato sotto l’incalzare dell’Armata Rossa e i detenuti sono costretti a marciare per tre settimane in condizioni disperate. Quando un’avanguardia russa raggiunge la colonna dei morti viventi, è il 10 marzo 1945 e Masha pesa 38 chili.
Il diario di Masha non è diviso in giornate, non può esserlo perché, a parte un primo quaderno che aveva affidato ad un suo insegnante (figura luminosa, il professor Jonaitis, che fa il possibile per aiutare la famiglia Ronilkaite a rischio personale), tutti gli altri appunti, scritti in grafia piccolissima su carta di fortuna, andarono perduti. Masha li aveva mandati a memoria e li ha riscritti a guerra terminata, ma la nuova stesura segue un flusso continuo, in un tempo senza fine. Masha osserva, racconta quanto accade.
Ci sono scene strazianti, la separazione dalla mamma e dai fratellini (“E quando ti fucilano, fa male?”, chiede la sorellina), la vita quotidiana nei campi, il sadismo e la crudeltà a cui nessuna descrizione già letta ci può abituare, eppure la voce di Masha riesce ad assumere- di tanto in tanto- un tono ironico che trasforma la tragedia in commedia.

Masha Rolnikaite, Devo raccontare, Ed. Adelphi, trad. Anna Linda Callow, pagg. 284, Euro 18,00
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