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da repubblica.it - Il mistero della lettera di Sadr

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2004 14:30
04/09/2004 14:30
 
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IL RETROSCENA. Il lavoro dell'intelligence torna su quei giorni "Baldoni non morì subito. I rapitori lo conoscevano"
Il mistero della lettera di Sadr
sul sequestro Roma ha due nomi
I servizi individuano la zona dove Baldoni poteva essere stato nascosto: Latefia. Aprono il contatto, ma non ricevono richieste
di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

UN video, due iracheni, una lettera aiutano a raccontare un brano della tragedia di Enzo Baldoni. L'ultima nuova che l'affare deve registrare, sorprendentemente coltivata anche dalla procura di Roma, è ancora una volta una cabala. Si dice: Baldoni è morto subito, saltando su una mina al rientro da Najaf a Bagdad il 20 agosto. Non era dunque un sequestro ma, più o meno, una truffa organizzata per diffondere una minaccia politica e, forse, alla fine, estorcere del denaro al governo italiano. Ma non c'era l'ostaggio. L'ostaggio era solo un corpo senza vita. La prova di tutto questo? Il video dell'ultimatum inviato dall'Esercito islamico dell'Iraq ad Al Jazeera il 24 agosto.

Il video. In questa avventurosa ricostruzione, il video sarebbe falso. Nel senso che gli espertissimi producer dell'Esercito islamico, capaci di sovrapporre piste sonore e video di diversa origine e qualità con le immagini trafugate da una telecamera digitale di Enzo, avrebbero montato un filmato dove un autospot pubblicitario di Baldoni si trasforma in una prova in vita e nella necessità, se la si vuole salvare, di abbandonare l'Iraq.
Ci sono almeno tre evidenze che mostrano l'infondatezza di questa ricostruzione. Le prime due sono testimoni oculari, che non si conoscono, e che, a due differenti interlocutori - la Croce rossa italiana e l'intelligence politico-militare - riferiscono che Enzo Baldoni e il suo interprete Ghareeb sono vivi dopo l'esplosione della mina che ferma la loro auto. Dice Maurizio Scelli: "L'auto è ferma sulla strada quando Ghareeb e Baldoni che, i testimoni dicono fossero in buone condizioni, vengono aggrediti". Vivi, Ghareeb e Baldoni sono visti anche dai testimoni rintracciati dalle fonti del Sismi.

Proprio dal video viene una terza evidenza. Come documentano gli addetti di Al Jazeera. "Voi italiani vedete misteri anche dove c'è acqua limpida - osserva Imad El Atrache, caporedattore esteri della tv araba - Ora vi siete inventati questa storia che il video con l'ultimatum è un montaggio. Chi sostiene questo non sa o non vuole sapere che tutti i video dei sequestrati dell'Esercito Islamico hanno le caratteristiche presenti nel nastro di Baldoni. Non ci sono mai combattenti alle spalle dell'ostaggio. Nelle immagini c'è solo l'ostaggio che parla in inglese (se si esclude il console iraniano ancora oggi prigioniero che parla in farsi). La figura dell'ostaggio è come scontornata e le fa da sfondo il logo dell'Esercito islamico. Se si sa questo, come si fa a dire che il video è falso?". Non si può dirlo, soprattutto dopo che, ieri sera, è tornato a farsi vivo l'esercito dell'islam. Un nuovo video, con i due giornalisti francesi di cui si erano perse le tracce dieci giorni fa, Christian Chesnot e Georges Malbrunot. Le immagini mostrano i due ostaggi in primo piano e sullo sfondo uno striscione con il simbolo della cellula terroristica.
Enzo Baldoni morto nel momento dell'agguato liquida con un solo tratto di penna tutti gli errori e le omissioni di questa storia. Perché anche se è vero che Governo, Scelli e intelligence hanno coltivato un ottimismo, alla prova dei fatti ingiustificato (soprattutto se Baldoni era già morto), sarebbe evidente la buona fede del loro comportamento. Invece è proprio sulla buona fede di alcuni protagonisti di questo affare che comincia a crescere qualche sospetto. Chi sul banco degli imputati non vuole finire sono gli uomini dell'intelligence italiana. I funzionari di alto livello del Sismi che si sono occupati del sequestro di Enzo hanno oggi un diavolo per capello. Perché non vogliono - come dicono - veder confuso il loro lavoro, che giudicano "senza ombre" - con le mosse pasticciate della Croce rossa del commissario straordinario Maurizio Scelli.

Due iracheni. La storia che un funzionario di alto livello del Sismi è disposto a raccontare è questa.
"Non ce ne siamo stati con le mani in mano. Non abbiamo raccontato frottole per il gusto di raccontarle. Non abbiamo pensato con fiducia al buon esito del sequestro per andare incontro a chi sa quale interesse oscuro. Abbiamo detto, è vero, che pensavamo di farcela perché davvero ci sentivamo vicini a una felice conclusione".
Dopo questa premessa, il racconto si arricchisce di qualche dettaglio. "Nell'area dove è stata fermata con una mina l'auto di Enzo Baldoni - la località, Latefia, è a una cinquantina di chilometri a sud di Bagdad - abbiamo tre fonti. Forse bisogna sapere che nessuno dei nostri agenti operativi è sul terreno. Perché è troppo pericoloso e del tutto inutile rischiare senza costrutto. Ci affidiamo a fonti che giudichiamo attendibili. Nell'area di Latefia ne abbiamo tre. Subito sappiamo, quindi, che nelle prime 24 ore Enzo Baldoni viene spostato due volte e una volta cambia di mano. Ovvero, i suoi primi custodi lo affidano ad altri. Alle nostre fonti chiediamo di individuare i sequestratori e il luogo dove c'è l'ostaggio. Sono informazioni essenziali per fare le due mosse decisive in queste crisi. Prendere tempo raccogliendo le loro richieste e utilizzare quel tempo per scardinare la compattezza del gruppo. Noi sappiamo che in questi gruppi terroristici iracheni, accanto ad un nocciolo fortemente ideologizzato e feroce, ci sono personaggi più sensibili al denaro o, magari, ad un contratto di appalto che li coinvolga nella ricostruzione del Paese. Sono comunque iniziative che hanno bisogno di trovare interlocutori. Una delle nostre fonti non cava un ragno dal buco. Le altre due, che non si conoscono tra di loro, riferiscono le stesse informazioni. E soprattutto indicano un'area nei pressi di Latefia. Sono sei-sette fattorie isolate e due di queste riusciamo anche a perquisirle. Sono abbandonate, anche se qui e lì ci sono materassi e vettovaglie che lasciano pensare a possibili, future prigioni. Gli altri casolari riusciamo soltanto a fotografarli. Una delle due fonti ci dice anche che il gruppo che tiene prigioniero Baldoni è lo stesso che ha sequestrato i due francesi. Un'informazione di cui ora esiste la conferma".
Il funzionario di alto livello del Sismi, in questo passaggio della ricostruzione, non la racconta tutta. Non dice che le sue fonti gli hanno indicato anche due nomi di possibili sequestratori dell'Esercito Islamico. Sono nomi che - come riferiscono altre fonti investigative - fanno già parte delle notizie a disposizione del procuratore Franco Ionta e della sua polizia giudiziaria.
Continua il funzionario del Sismi. "Non riceviamo nessuna richiesta. Ma le nostre fonti ci dicono che dentro il gruppo c'è una sorta di spaccatura e che, soprattutto, Baldoni non è stato preso a caso, ma è stato catturato perché già conosciuto dai suoi sequestratori. Come e quando lo stiamo ancora accertando. Fidando nelle divisioni della cellula dell'Esercito islamico facciamo sapere, attraverso le nostre fonti, che siamo disponibili a una trattativa e che ci facessero sapere le loro richieste, offrendoci contemporaneamente la prova in vita dell'ostaggio. Era quest'avvio di dialogo che ci rendeva fiduciosi e ci rende oggi incomprensibile la rapida uccisione di Enzo Baldoni allo scadere dell'ultimatum. Questo ci ha fatto pensare a un qualche accadimento improvviso, non una voglia di coprire errori che crediamo di non aver fatto. Troppo facile accusare l'intelligence. Repubblica la ritiene responsabile di aver diffuso la falsa notizia di una lettera in possesso di Baldoni, messaggero di pace per conto del Vaticano. È falso. Non c'entriamo nulla con quella storia. Una lettera esiste, ma non era in possesso di Baldoni e non era stata inviata dal Vaticano".

La lettera. Per ricostruire quest'ultimo paragrafo, bisogna un po' faticare tra fonti di Bagdad e le cose che si sanno, anche se non si raccontano, dentro la Croce rossa italiana di Roma e di Milano.
Innanzitutto, la missiva non è indirizzata da Roma a Najaf, a Moqtada Al-Sadr, ma da Moqtada al Commissario straordinario della Croce rossa Maurizio Scelli. In questa lettera, l'Imam sciita chiederebbe a Scelli di farsi interprete presso Giovanni Paolo II della volontà di pace della comunità che si raccoglie intorno alle città sacre di Najaf e Kerbala. La lettera sarebbe stata consegnata a Najaf da uomini di Moqtada nelle mani del responsabile della missione della Cri Giuseppe De Santis.
È un fatto certo che Giuseppe De Santis consegna la missiva all'ambasciata italiana a Bagdad. Questa ricostruzione ha qualche smagliatura che lascia il dubbio che la lettera non sia autentica. Come ha fatto Giuseppe De Santis a ricevere la lettera di Al-Sadr se non è mai giunto a Najaf? De Santis (che era alla guida del convoglio non autorizzato di cui faceva parte anche Enzo Baldoni) non è mai arrivato a Najaf: lo conferma Maurizio Scelli. Appena ieri ha detto: "Il convoglio è stato fermato a 15 chilometri dalla città santa, a Kufa, dai marine. Erano vicino a Najaf, come dire Mestre-Venezia, ma nella città non ci sono entrati".
Un video. Due iracheni. Una lettera. Tre occasioni per i protagonisti della vicenda di separare le proprie responsabilità. Ognuno, nella crisi, ha giocato una sua partita. Qualcuno ha pasticciato. Nessuno vuole pagare per i pasticci degli altri. Alla Farnesina dove infuria una polemica sul troppo spazio dato a Maurizio Scelli, prendono le distanze dalla "diplomazia arrembante e avventurosa della Croce rossa". L'intelligence vuole che si sappia che non ha nulla a che spartire con le mosse della Cri. Scelli scarica il suo responsabile di Bagdad, Giuseppe De Santis. Il Governo, che conosce le mosse degli uni e degli altri, tace. Quando non tace, omette. È un fuggi fuggi che rende la morte di Enzo Baldoni ancora più triste.


(29 agosto 2004)
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