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Senza legge a Nassiriya (testimonianze dei soldati italiani)

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2004 14:07
04/09/2004 14:07
 
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Dal Manifesto - «Arrestavamo tutti, vecchi, donne, bambini per fare numero, per dimostrare che combattevamo i terroristi. Ma poi dovevamo star fermi, anche davanti al traffico di armi, per non provocare la guerriglia. Come quando venne Berlusconi». Il racconto dei militari della Garibaldi tornati dall'Iraq.

«Mi hanno addestrato a rispettare le persone. Io sono andato in Iraq per fare il mio dovere e il mio dovere non è arrestare ragazzini e mettere le manette ai polsi a vecchi signori che somigliano a mio nonno». E' arrabbiato il caporale della brigata Garibaldi che vuole rimanere anonimo per paura di ritorsioni, quasi gli salgono le lacrime agli occhi. «Ogni mattina ci dicevano di andare a sud e pattugliare. Col tempo e con i rimproveri e le punizioni abbiamo capito che se non tornavamo con un sostanzioso gruppo di fermati per noi non sarebbe stata vita facile in Iraq». Come venivano scelte le persone da arrestare?. «Entravamo in case dove non bisogna neanche sfondare la porta, basta spingerla con un dito per farla cadere. Non esisteva un criterio. Prendi quelli che ti capitano, se giovani uomini meglio, ma anche donne sole». Perché donne sole? «Se mogli, sorelle, madri di guerriglieri possono dare qualche informazione». «Io capisco l'arresto - dice N.F. bersagliere pugliese - perché i terroristi sicuramente sono gente normale, anche anziani magari, ma quello che non capisco sono i modi con cui li dobbiamo ammanettare, mettere il cappuccio contro i morsi, perquisire anche le donne che non nascondono nulla ed appena ti avvicini iniziano a piangere». Il bersagliere si ferma e si allontana, non vuol raccontare di più. Continua il caporale: «Quando li portiamo al comando questi non dicono nulla. l'interprete inventa tutto lui e questo lo posso assicurare perché sia uomini che donne che ragazzini davanti all'autorità militare rimangono pietrificati, zitti. Terrorizzati non dicono niente di niente, a stento il loro nome». Torture, violenze? «Mai. Né schiaffi, né pugni, niente. Non ho mai visto niente di tutto questo. Nessuna tortura, del resto si vede in faccia che questi non sanno niente. Li si arresta, li si fa stare inginocchiati per tutta la mattina con le mani legate dietro la schiena. Senza motivo. Gli ufficiali dicono che è la prassi. Io alla Garibaldi non ho avuto questo insegnamento».

«Bisogna capire - ricorda il caporale - che non è di nostra competenza arrestare e fermare gente. Ma serve. Serve agli alti ufficiali, serve a mostrare che teniamo sotto controllo il territorio, serve ai nostri superiori, ai tenenti che se ne stanno dietro il computer, serve per dimostrare che conosciamo i terroristi dell'intera provincia di Dhi Qar. Non è vero nulla. Qui il 90% della gente non ha neanche la forza di fare il terrorista, da qui passano i guerriglieri e le armi ma appena c'è un po' di movimento noi veniamo tolti di mezzo».

I ragazzi descrivono una situazione in cui appena c'è la possibilità di interrompere una reale operazione di guerriglia i superiori decidono di battere in ritirata. Un atteggiamento che piuttosto esser definito come sana scelta di prudenza sembra frutto di una precisa strategia politica decisa ad annullare il rischio perdite. «Io personalmente - dice C.L. caporal maggiore - avevo segnalato tempo fa sulla strada che porta a nord di Nassiryia dei camion sospetti, perché non avevano né il segno della mezzaluna né della croce rossa, e in più erano piccoli rispetto ai camion usati per gli aiuti. Ma ci fu impedito di intervenire». «Preferiscono farci stare tranquilli, però così ci esponiamo di più al terrorismo. Se stiamo fermi, se lasciamo agire prima o poi ci colpiranno, come hanno già fatto. Ma se non abbiamo la forza di contrastare la guerriglia non ci dovevano proprio far venire». Interviene l'anonimo caporale: «Io sparo per primo. Se vedo uno con un fucile non urlo di buttarlo a terra, io sparo. Noi diciamo sempre 'meglio un cattivo processo che un buon funerale'. Ma qui ho imparato a stare attento, quelli che il comando dice essere terroristi e che quindi vai ad arrestare con il fuoco in pancia risultano essere dei poveracci, magari ex poliziotti o ex militari. Gente innocua».

«Quando è venuto Berlusconi a Nassiriya - continua l'anonimo caporale - ogni soldato aveva l'ordine di pattugliare, ma di non intervenire mai. Non arrestare, non rompere le palle a nessuno. Se tu non tocchi la guerriglia la guerriglia non tocca te. In quei giorni avemmo notizia anche di un passaggio di armi verso Tallil, rischiosissimo perché strategicamente è un nostro punto di forza, ma non intervenimmo, non bisognava infastidirli. I terroristi non avrebbero dato fastidio all'arrivo di Berlusconi se noi non davamo fastidio alle loro operazioni. E così è stato». I ragazzi sono rimasti sconvolti dall'attentato di Nassiriya. «Non dimenticherò mai», dice C.L. «Ho la foto di tutti i morti nel portafoglio», aggiunge il caporale. «Ma è ovvio - dice C.L. - che se continuiamo a stare fermi diventeremo bersaglio sempre più facile».


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