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Ultimo Aggiornamento: 05/01/2006 23:27
01/09/2004 19:54
 
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[Modificato da cassandrin 05/10/2004 0.10]

12/01/2005 13:31
 
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L'uomo che cadde sulla terra
Che lo si voglia o no, è una parabola dello straniero (inglese:"alien") che alberga in ciascuno di noi.

Per Bowie, il ruolo della sua vita. Nessuno poteva riuscire più convincente di lui nei panni dell'extraterrestre!

Tratto dall'omonimo romanzo di Walter Tevis (in Italia pubblicato da Mondadori nella collana 'Urania'), questo che è uno dei tre-quattro film-cult del regista Nicolas Roeg lasciò perplessi, al suo apparire, i soliti critici di scuola conservatrice, mentre entusiasmò molte menti giovani e - inutile dirlo - contribuì ad accrescere la fama di David Bowie quale "alieno".

Qui Roeg raffina il linguaggio che gli è proprio, un linguaggio basato su un accostamento di immagini apparentemente slegate tra di esse (episodi fonico-visivi che nel loro insieme costituiscono una storia compiuta). In tempi meno lontani, troviamo riscontro di questa - in senso lato - tecnica narrativa in un'altrettanto splendida pellicola "stravagante", ovvero 'Barton Fink' dei Fratelli Coen.

In 'The Man Who Fell To Earth' la storia c'è, su questo non si discute; l'unica questione su cui tuttora si dibatte è se questo particolare film rientri o meno nel filone della fantascienza. Secondo me, come tutti i prodotti "cult" (vedi 'Arancia meccanica'), anche 'L'uomo che cadde...' sfugge felicemente a ogni tentativo di cataloghizzazione.

E' proprio la maniera di raccontare di Roeg che crea difficoltà a quegli spettatori che - ancora oggi - non sono del tutto abituati a questa sorta di cinematografia (e ciò a 42 anni da 'Otto e mezzo' di Fellini!!!).
E' importante che un artista, quando lo voglia, possa trasgredire le regole "classiche" della struttura rigida, prendendosi la libertà di accostare immagini di carattere simbolico, frutti
- in apparenza - di un onirismo gratuito, di... sì... surrealismo. (I dipinti di Dalì
sono ad effetto sicuro, anche se non cadono mai nel cliché; e film come
'L'uomo che cadde sulla Terra' oppure 'Insignificance' dello stesso regista sono diventati un culto proprio per l' 'obliquità' della constructio e per la
predominanza di immagini surreali).
In letteratura abbiamo numerosi esempi di opere che "rompono" con le regole comuni. Questo non significa però che tali libri non raccontino una storia o che essi siano un unico "pastiche"! Persino dietro all'apparente "spontaneità" di 'On The Road' è riconoscibile una
costruzione rigidamente aritmetica. (A proposito di Kerouac: il suo vero
capolavoro è 'Doctor Sax', non 'On The Road'. Ma... ssst! Non rivelatelo a nessuno.)

In definitiva, di che cosa parla 'sto film datato 1976? Presto detto. Bowie interpreta un alieno ("Thomas J. Newton") che atterra sul nostro pianeta nella speranza di poter salvare il proprio, che si sta vieppiù trasformando in un unico deserto. Essendo dotato di conoscenze tecnologiche sconosciute ai terrestri, comincia a capitalizzarle con l'aiuto di un avvocato (peraltro molto sospettoso nei suoi confronti), arrivando a fondare un'immensa multinazionale. Ma la sua permanenza sulla Terra ha effetti deleteri sul suo corpo e sulla sua psiche, e nemmeno l'amore di una donna (pressoché perfetta l'attrice Candy Clark!) può farlo sentire meno estraneo al nostro mondo. Alla fine Tommy/David soccombe sotto la mercizzazione totale di cui siamo già schiavi noi, e il suo sogno di costruire un'astronave che lo riporti sul suo pianeta (e qui si inserisce il personaggio dell'ingegnere, interpretato dal fantastico Rip Torn, che in quello scorcio di tempo girava film dello spessore di 'Tropico del Cancro') svanirà miserabilmente. Una certa organizzazione del governo americano (la CIA? Meglio non dirlo, non si sa mai) scopre in Tommy l'alieno che lui in effetti è (mentre si spacciava per cittadino britannico) e lo sottopone a una serie di test che gli rovineranno gli occhi, costringendolo a restare per sempre quaggiù.

Un consiglio: leggete pure il romanzo di Tevis; è un piccolo capolavoro a sé stante.
05/01/2006 23:27
 
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Tetsuo (The Iron Man)
Ragnatele di cavi elettrici e silicone bollente in un cult-film rigorosamente in bianco-e-nero.
Animazioni ed effetti paranoidi che ricordano il cinema di Cronenberg e di David Lynch. Le immagini prendono d'assalto le sinapsi dello spettatore.

E' dall'ordinaria pazzia del quotidiano che si sviluppa l'incubo underground di Tsukamoto. Un uomo in cravatta si dedica alla lettura degli annunci erotici; la telefonata a una donna, poi il viaggio in metropolitana... l'uomo viene assalito da zombies di metallo (freaks ermafroditi). Ogni tentativo di copula, nel film, è un re-sverginamento anche orale e anale. Il fallo è un trapano, e viene azionato al suono di musica metal-postindustriale. Grande la figura del gay, ninfo metropolitano.

Trasformare il mondo in un groviglio di acciaio: questo lo scopo dei Feticisti del Metallo. La violenza (dunque non gratuita?) attende dietro ogni angolo. Ancora e sempre viene premuto il tasto "rewind" del videoregistratore.

Un patchwork di tecniche apparentemente spicciole illustra le visioni del regista in questo film low-budget, effetti "poveri" ma di efficacia maggiore che in molte megaproduzioni hollywoodiane.
Libidini anti-intellettuali si intrecciano a visioni di epilessie del Tutti-i-Giorni. Penetrazioni e risucchiamenti che fanno impallidire chi riteneva che Alien e La mosca fossero insuperabili per stile ed effetto-shock. E, considerate le premesse, infilare le dita nella presa di corrente equivale naturalmente a un'overdose di LSD.

FANTASTICO!



Tetsuo: The Iron Man
Japan 1989 Black & White

Director: Shinya Tsukamoto

Tomorowo Taguchi ... Man
Kei Fujiwara ... Woman
Nobu Kanaoka ... Woman in Glasses
Renji Ishibashi ... Tramp
Naomasa Musaka ... Doctor
Shinya Tsukamoto ... Metals Fetishist
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