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Sulle tracce dei SK

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2004 14:16
15/11/2004 14:16
 
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effrey Dahmer, il "cannibale di Milwaukee", prima di essere catturato compì sedici omicidi. Quando la polizia fece irruzione nel suo appartamento trovò nove teste mozzate e le parti del corpo di svariati altri individui. Andrej Romanovich Chikatilo, un professore di letteratura russo, violentò, uccise e mangiò cinquantatrè tra uomini, donne e bambini. Ed Gein, nel Wisconsin, faceva borse e scarpe con la pelle delle sue vittime, mentre Peter Kuerten, il "vampiro di Düsseldorf" succhiava loro il sangue. Coral Eugene Watts, condannato per 22 omicidi, ammazzava solo la domenica mattina prima di andare in chiesa e Richard Ramirez lo faceva cantando. Potremmo continuare per pagine e pagine a raccontare vicende orribili che hanno in comune l'efferatezza dei delitti e la mancanza di un movente tradizionale come una lite o una rapina. Gli autori di questa galleria degli orrori vengono definiti dagli studiosi serial killer, per l'opinione pubblica sono solo dei mostri. "La gente ha bisogno di credere che questi personaggi siano diversi, malati, uno sbaglio della natura", afferma Ugo Fornari, il neuropsichiatra che ha curato la perizia di alcuni tra i più efferati criminali seriali italiani. "Ma non è così. Salvo rari casi essi non sono né mostri né folli. Il loro modo di agire richiede una programmazione e una capacità di sfuggire alle indagini che è incompatibile con la malattia mentale". Dottor Jekyll e Mr Hyde. Si nascondono tra la gente comune. A volte hanno una doppia vita: buoni mariti, fidanzati premurosi, lavoratori instancabili; ma tolta la maschera, diventano belve feroci e irriconoscibili. Alcuni sono straordinariamente intelligenti, altri addirittura conversatori brillanti. Secondo alcune stime, in attività potrebbero essercene decine di migliaia sparsi nel mondo, con una preferenza per i paesi più industrializzati. Perché è là dove i rapporti sono più freddi, distaccati e proiettati verso il successo personale che il fenomeno sembra esplodere. "Uccidono ripetutamente, con violenza inaudita. Ma questo non basta a definirli", continua Fornari. "Il vero serial killer commette omicidi caratterizzati da una accoppiata perversa di sesso e morte, in cui l'oggetto del piacere sessuale viene distrutto". Ma cosa spinge il simpatico vicino di casa a trasformarsi in un assassino seriale? Gli scienziati non riescono a venirne a capo. Hanno cercato di collegare il comportamento violento con anomalie organiche, ma con poco successo. Sono state tirate in ballo un'attività cerebrale anormale, traumi cranici e lesioni al cervello riportate durante lo sviluppo o alla nascita, un cattivo funzionamento del sistema limbico e dell'ipotalamo e persino anomalie genetiche, come un cromosoma Y soprannumerario. Gli psichiatri, invece, fanno risalire tutto a fattori psicologici e all'ambiente di vita e di crescita del soggetto. "Anche se è difficile generalizzare, nella loro esistenza ci sono delle costanti. Alcuni sono stati maltrattati e abusati da bambini. Tutti quanti hanno un passato freddo e vuoto oppure un'infanzia priva di calore e di sentimenti", assicura Fornari. "Sono individui senza emozioni, incapaci di mettersi in rapporto empatico con gli altri. Quando appaiono socievoli, in grado di corteggiare e sedurre, lo fanno solo per tessere la tela di ragno nella quale far cadere la preda. Con un'unica strategia: prendere le persone, usarle e poi disfarsene. D'altro canto convincendosi che le vittime sono delle cose diventa più sopportabile il carico psicologico delle violenze che compiono". Sete di vendetta. Spesso è un abbandono a scatenare la rabbia omicida. Tutti i serial killer hanno infatti subito, nel corso della loro vita, un tradimento da parte di una figura femminile, quasi sempre la madre o una fidanzata. Da quel momento in poi vivono con una sola ossessione: distruggere l'oggetto che ha generato in loro sofferenza, sfogando quell'odio su chiunque in qualche modo lo ricordi. Ted Bundy sceglieva giovani donne bianche, quasi sempre con i capelli mori e la riga in mezzo, perché somigliavano alla sua fidanzata; Ed Gein (che ha ispirato il film Il silenzio degli innocenti), staccava la pelle ai cadaveri delle sue vittime perché desiderava diventare una donna, come sua madre. Mentre Ed Kemper la odiava e uccise chiunque gliela ricordasse, fino a quando non decise di decapitarla. La loro furia non si ferma davanti alla morte: cannibalismo, necrofilia, smembramento dei corpi sono solo alcune delle terribili sevizie che compiono sui cadaveri. Un rituale macabro che spesso si ripete con maniacale precisione. "L'apice della distruttività corrisponde quasi sempre al piacere sessuale e a una sensazione di benessere sia fisico che psichico", conclude lo psichiatra. "Un senso di soddisfazione e di eccitazione dovuto al fatto che sentono di essere onnipotenti, di disporre della vita e della morte di una persona". Basta un passo falso e... Prenderli è la sfida delle polizie di mezzo mondo, e a volte le catture avvengono solo per caso. Il cannibale di Milwaukee fu incastrato grazie alla testimonianza di una donna, che riuscì a sfuggirgli ancora con i polsi legati. Ted Bundy, fermato per eccesso di velocità, fu arrestato perché la sua auto risultava rubata. David Berkowitz, autore di sei omicidi, parcheggiò in sosta vietata davanti a un idrante. L'inglese Dennis Andrew Nielsen, intasò gli scarichi di casa sua tentando di disfarsi dei corpi delle vittime. Fu smascherato dall'idraulico. Altre volte basta un piccolo indizio per aprire la pista che condurrà gli investigatori fino al covo dell'assassino. Come è successo in Italia con Donato Bilancia, autore di diciassette omicidi e oggi in carcere con una condanna a 13 ergastoli. "Catturare un serial killer non è facile", spiega il tenente colonnello dei Carabinieri Luciano Garofano, comandante del Reparto Investigazioni Scientifiche, che ha dato un contributo fondamentale alla risoluzione del caso. "La sfida si vince sul luogo del delitto, che deve essere "congelato", in modo che nulla vada perduto, nemmeno le tracce quasi invisibili, che noi riusciamo a rilevare solo grazie ad apparecchiature supertecnologiche". Carabinieri hi-tech. Vedere all'opera una squadra della scientifica è impressionante. Con camice e mascherine, gli agenti si muovono sulla scena del delitto come chirurghi in sala operatoria. Con una speciale lampada, chiamata Crimescope, cercano tracce ematiche, sudore, capelli, peli e altro materiale organico (invisibile a luce normale) da cui si possa ricavare il Dna dell'assassino. Con il Luminol, una sostanza che reagisce chimicamente all'emoglobina generando una luminescenza verde-blu, individuano macchie di sangue anche dove esse erano già state lavate. Rilevano le impronte digitali, fotografano e catalogano tutto, dalla più piccola fibra di un vestito caduta sul pavimento alle orme di scarpe e di pneumatici. Le prime analisi vengono svolte sul luogo del delitto, poi tutte le prove vengono imballate e spedite ai laboratori, dove verrà svolto il resto del lavoro. "Quando i primi reperti sono arrivati ai nostri laboratori, Bilancia aveva già ucciso dodici volte, ma gli episodi non erano stati collegati tra loro", continua il tenente colonnello. "Le nostre analisi balistiche ne hanno messi in relazione quattro, dimostrando che a sparare era sempre la stessa pistola. Un campanello di allarme confermato anche dalle tracce di Dna estratto dalla saliva lasciata su un mozzicone di sigaretta, rinvenuto sul luogo di uno dei delitti, e dallo sperma ritrovato addosso ad alcune delle vittime". Sono state queste le chiavi di svolta del caso. Una volta raccolte le varie testimonianze e realizzato un fedele identikit dell'uomo e della sua auto, il killer è stato assicurato alla giustizia. Nel frattempo, però, prima di essere catturato, l'assassino ha ucciso ancora quattro donne, due delle quali avevano la sola colpa di averlo incontrato di sera nello scompartimento di un treno. "Mostri" made in Italy. Da qualche tempo anche in Italia gli omicidi seriali sono andati aumentando: sono circa trenta i casi di serial killer accertati negli ultimi decenni. Certo non siamo ai livelli degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, ma comunque il fenomeno è cresciuto tanto da allarmare le nostre forze dell'ordine. Per questo motivo dal 1997, sull'esempio di quello che da anni avviene in altre nazioni, l'attuale Capo della Polizia Gianni De Gennaro, allora direttore centrale della Polizia Criminale, istituì anche in Italia una squadra speciale, che agisse da supporto all'attività investigativa nel caso di omicidi efferati o commessi da serial killer: l'Uacv (Unità Analisi Crimini Violenti), che è il fiore all'occhiello della Polizia scientifica. I suoi componenti, esperti nell'analisi della scena del crimine, nella ricostruzione della dinamica con cui si sono svolti i fatti e nell'analisi comportamentale, hanno, tra l'altro, messo a punto il Sasc, un sistema informativo esperto molto sofisticato. "è un'enorme banca dati intelligente, in grado di individuare, grazie a una particolare rete neurale, analogie e correlazioni tra omicidi lontani nel tempo e nello spazio. Questo consente di evidenziare l'eventuale operato di un serial killer", spiega Carlo Bui, direttore dell'Uacv. "Una delle novità più importanti rispetto ai sistemi in uso all'estero è che al suo interno possono confluire oltre alle informazioni testuali, come i rapporti degli investigatori o le eventuali testimonianze, anche le immagini, che sono un elemento oggettivo insostituibile, perché non solo mostrano come è stata uccisa la vittima, ma anche il luogo del delitto che può essere virtualmente rivisitato anche molto tempo dopo l'accaduto". Nella mente del killer. "Per catturare più velocemente un serial killer è necessario comprenderne la personalità e la scena del crimine ci racconta molte cose su chi lo ha commesso", dice lo psichiatra Massimo Picozzi, esperto di delitti efferati. "La scelta della vittima, la modalità dell'attacco, l'arma utilizzata, il tipo di lesioni inferte possono suggerire i suoi processi mentali. Un assassino che pianifica nei dettagli l'aggressione, che posiziona in un certo modo il corpo, che sevizia e tiene in vita a lungo l'ostaggio, è diverso da chi compie l'omicidio senza averlo programmato ed effettua mutilazioni e violenze sessuali solo dopo avere ucciso. Nel primo caso siamo di fronte a una persona totalmente controllata, che non perde un particolare: il criminale organizzato. Secondo le classificazioni dell'FBI, questo è un individuo socievole, capace di integrarsi, che può essere sposato o vivere con un partner e quasi sempre si sposta con un'automobile tenuta bene. Il disorganizzato, invece, commette più errori, è meno esperto e meno intelligente. Ha una occupazione poco qualificata o è addirittura senza lavoro. Solitamente vive da solo, nei pressi del luogo in cui uccide, e sia la vittima che il posto in cui la porta sono spesso per lui familiari". Chi elabora questi suggerimenti, che a volte possono diventare vere e proprie piste, sono i cosiddetti profiler. I loro nomi e volti sono noti al pubblico solo attraverso quelli degli attori che li impersonano in film e telefilm, questi personaggi, infatti, agiscono nel più assoluto riserbo. Fare un profilo psicologico a un criminale è un'impresa che non sempre va a buon fine. Dai pochi dati resi pubblici dalla Behavioral Science Unit (BSU, l'unità di scienze del comportamento) dell'FBI, emerge che il margine di errore supera il 20 per cento dei casi. Eppure a volte questo identikit della personalità, costruito come un puzzle partendo dagli elementi raccolti sul luogo del delitto, è così perfetto da essere inquietante. "Il profilo psicologico dell'omicida non sostituisce l'inchiesta di polizia, ma può dare un supporto agli investigatori, riducendo il numero dei possibili sospettati", spiega ancora Picozzi, che può essere considerato il primo profiler italiano. "Ma per farne uno attendibile bisogna avere una chiave di accesso alla loro mente considerando che la realtà omicidiaria è diversa da paese a paese. Occorre comprendere chi sia il "serial killer di casa nostra" e una delle modalità più efficaci per farlo è andare a intervistare quelli che sono già in carcere, per valutare le loro fantasie e le motivazioni al crimine". Un lavoro del genere (36 interviste fatte ad alcuni dei criminali più sanguinari per "imparare a pensare come loro") è stato fatto molti anni fa negli Stati Uniti e sta partendo anche in Italia grazie alla collaborazione tra l'Uacv, la cattedra di Criminologia dell'Università Statale di Milano e quella di Psicologia giuridica dell'Università di Torino L'unica scelta possibile. Una volta catturati molti serial killer sono stati condannati alla pena di morte o sono stati uccisi da altri detenuti, che non sopportavano di dover dividere la cella con gli autori di tali mostruosità. Altri hanno avuto diversi ergastoli e passeranno la loro esistenza tra le quattro mura di un carcere. Alcuni però, dopo decenni trascorsi al fresco, hanno potuto riprovare l'ebbrezza della libertà. "E quasi tutti hanno commesso nuovamente degli omicidi", conclude Fornari. "Anche in Italia, quelli che sono usciti hanno ripreso a uccidere. Con questo tipo di criminali ogni progetto terapeutico è destinato a fallire perché queste persone non hanno strategie diverse da quelle che hanno messo in atto. Abbiamo un'unica possibilità per renderli innocui, devono restare rinchiusi per tutta la vita". C'è un solo destino per un serial killer: essere prigioniero di se stesso o delle mura di un carcere.


tratto dal Newton del 1 Agosto 01
FARANNO DEI CIMITERI LE LORO CATTEDRALI, E DELLE CITTÀ LE VOSTRE TOMBE...

Lasciate ogni speranza voi che entrate...

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