Introduzione:
La fantasia e la realtà. Due vie separate che corrono verso separate mète?
Qui io vi parlerò di Fantarealtà.
Tolkien:
Nella bozza di una lettera a W.H.Auden, famoso critico inglese, il professor J.R.R. Tolkien spiega: << Io ho la mentalità dello storico. La Terra di Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo e ancora in uso) di “midden-erd/middel-erd”, l’antico nome di “oikumene” >> che è la terra degli uomini, studiata, però, secondo gli strumenti conoscitivi antichi, che non erano sempre disgiunti dal mito.. La nostra terra in un altro tempo, nulla di più, nulla di meno. Dunque, nel caso di Arda (il mondo dove si sviluppano le storie narrate da Tolkien), possiamo legittimamente parlare di un mondo “inventato”, a patto però di leggere il termine nella sua originaria accezione di “scoperto”. Non è una terra di fuga ma l’interpretazione mitica tolkeniana della terra in cui viviamo. Questo è il punto di partenza per ciò che vorrei dimostrare, la fantasia “piegata” ad una critica della realtà, perché, alla fin fine, da quanto appena detto, è di realtà che parliamo. La nostra.
Le storie di Tolkien sono fantastiche e, per questo, definite “letteratura d’evasione”. Questa accusa è paradossalmente falsa. I romanzi fantastici si avvicinano molto a quelli storici perché, in fin dei conti, trattano degli stessi argomenti: il bene, il male, la guerra, la pace, ecc...
L’accusa che si rivolge a questo tipo di letteratura, sostanzialmente, è quella di raccontare di cose che non esistono eppure anche questa accusa si trova senza fondamento, perché ciò che non esiste è il contorno, non la sostanza che è la vera “protagonista” di un romanzo. Tolkien non è il solo, sono molti gli autori di tipo fantastico della seconda metà del XX° secolo come George Orwell, C.S. Lewis (fra l’altro amico di Tolkien), William Golding od Ursula Le Guinn trattano ampiamente, attraverso la modalità metaforica che è propria del romanzo fantastico, argomenti pubblici e politici del mondo contemporaneo. In particolare è evidentissimo in questi autori richiami ai fatti del loro periodo storico, come l’avvento dei regimi totalitari, le guerre, ecc.
Il richiamo del fantasy di Tolkien non si basa sul semplice fascino della stravaganza, bensì su una risposta profonda e sentita ai maggiori problemi del XX° secolo.
A tal proposito sono moltissimi i richiami nel suo capolavoro “Il Signore degli Anelli” (trilogia formata da “La Compagnia dellAnello”, “Le due Torri” ed “Il Ritorno del Re”) alla storia del XX° secolo. Tolkien stesso afferma che “un autore non può rimanere completamente impermeabile all’esperienza personale”. Bisogna fare però attenzione a non cadere nella facile tentazione di considerare “Il Signore degli Anelli” un’allegoria della Seconda Guerra Mondiale. Nella “Prefazione” alla seconda edizione dell’opera, Tolkien scrisse: “Provo una cordiale antipatia per l’allegoria in tutte le sue manifestazioni”. Insomma, in questo romanzo veniamo ad avere situazioni, comportamenti e personaggi accostabili alla Storia del XX° secolo (e di esempi ve ne sono moltissimi), non perché allegoria di loro, ma perché Tolkien riproduce realisticamente tratti comuni del mondo moderno. Insomma molti confondono l’”applicabilità” con l’”allegoria”, ma la prima fa affidamento alla libertà del lettore, la seconda sottostà al dominio premeditato dell’autore.
Certo è che il tema della guerra, in Tolkien, risulta centrale, così come quella visione manichea di un mondo diviso tra Bene e Male e che, in effetti, si lega strettamente al primo perché quest’ultimo diviene l’unico punto di relazione fra le due entità in perenne contesa. Tolkien combatté nella Prima Guerra Mondiale, stette sulle Somme per tre mesi, periodo nel quale vide morire due dei suoi più grandi amici e nel quale cominciò, effettivamente, a mettere su carta le prime idee della Terra di Mezzo, si tratta del “Book of Lost Tales”, le prime storie elfiche sui tempi antichi (della Terra di Mezzo) che narrano di lotte contro un male quasi invincibile, ma piene di speranza.
Ho tracciato questa semplice linea di critica tolkeniana riferita alla realtà ma sono molti, moltissimi gli altri punti di raccordo con il vero, coma la critica alla tecnologia ed al progresso che porterà il professore a scrivere al figlio Christopher in una lettera del 6 maggio 1944: “Stiamo cercando di conquistare Sauron utilizzando l’Anello. E ci riusciremo (sembra). Ma lo scotto sarà, come ben sai, di nutrire nuovi Sauron e di trasformare lentamente uomini ed elfi in orchi.”
Ma il fantasy non racconta solo questo, in questo contesto “inventato” fa agire personaggi che, fondamentalmente, amano come noi, soffrono come noi, si pongono gli stessi problemi e li risolvono allo stesso modo, sbagliando, cadendo, risollevandosi. Su questo punto Tolkien è chiaro perché, come dice lui stesso, dei suoi protagonisti ha messo in evidenza non i lati eroici o cavallereschi ma virtù quotidiane quali il buon senso, la pazienza, la perseveranza. “Il Signore degli Anelli” parla di tutto ciò che è umano. E così accade pure nelle altre opere del professore, quali “Il Silmarillion” e “Lo Hobbit”. La fantasia non è completamente irrazionale, è frutto della ragione per cui da questa può prendere la coerenza dell’esperienza del reale riadattandola in luoghi inventati. Questa è la fantasy tolkeniana. La realtà di un mondo che è come il nostro, solo totalmente diverso.
Italiano:
Nonostante la Gran Bretagna sia un po’ da tutti considerata la patria del fantasy ed è, in particolar modo, la patria di quel Tolkien di cui ho appena trattato anche l’Italia, mi pare d’obbligo sottolinearlo, ebbe un autore che fece del fantastico un ambito di critica della realtà. Si tratta di Luigi Pirandello il quale, nel corso dei suoi ultimi anni, sul finire degli anni Venti abborda temi filosofici che sviluppa in quello che è definito il “teatro dei miti”, preannunciato, in effetti, già nel 1925 da “Sagra del Signore della nave”, dove una festa d’autunno diviene un’allegoria dei disordini della vita.
Questo periodo “mitico” parla dei tre aspetti della realtà umana, quella sociale, quella religiosa e quella dell’arte, espressi in altrettante opere, cioè “La nuova colonia”, “Lazzaro” ed “I Giganti della Montagna” (opera rimasta incompiuta). Nel primo di questi si tratteggia il tentativo di alcuni Paria (montanari) di fondare una nuova società, nella quale si oppongono gli idealisti, i realisti e gli sciocchi, e dove l’ultima parola tocca alla fertile femminilità, portatrice di vita, solo valore certo. Nella seconda opera, “Lazzaro”, si tratta del tema della morte e della religione, un uomo (Lucio) tenta di imporre la fede ai suoi parenti, prima di disconoscerla altrettanto fanaticamente mentre sua moglie, sacerdotessa spontanea della vita e del lavoro, compie attorno a sé i semplici miracoli dell’amore proprio e degli altri. Ne “I Giganti della montagna” si mette in scena una banda di teneri sognatori con i quali un’attrice tenta di imporre ad un pubblico di rustici muratori la pièce di un autore morto di cui coltiva la memoria e l’amore (gli attori devono recitare “La favola del figlio cambiato” che, nella realtà, è di Pirandello stesso). In queste opere compare una vera e propria tematica “surrealista”, rivolta a valutare positivamente l’elemento inconscio ed a privilegiare il mondo dei miti e dei simboli contro la realtà delle convenzioni razionali e sociali. Queste tendenze irrazionalistiche puntano a stabilire un contatto con l’Essere, l’essenza stessa delle cose, a rivelare una verità arcana attraverso forme simboliche, vaghe ed indefinite, attraverso processi di intuizione che mettono immediatamente, misteriosamente in contatto con una dimensione “altra”. La natura (che nel periodo “umoristico” era slegata dall’uomo) stringe legami con il soggetto, legami segreti. L’arte diviene lo strumento privilegiato per la rivelazione dell’essenza e della verità, attraverso la forza suggestiva del simbolo. Anche il linguaggio muta: il discorso assume forme di liricità ispirata ed effusa.
I “miti”, al pari dei drammi che ad essi si riallacciano, come “La favola del figlio cambiato”, sono costruiti su opposizione manichee: spontaneità contro calcolo, fede contro devozione formale, sogno ed evasione contro pragmatismo e meschinità e, secondo una formula famosa che Pirandello stesso ha battezzato: “forma” contro “vita”.
Nell’individuo e nella società sono all’opera delle forze che l’uomo conosce appena e che non domina: finge di affrontarle nell’angoscia, nella malafede, nell’illusione, le quali finiscono per schiacciarlo. Tale è il tragico della vita, ostinatamente rappresentato nel teatro di Pirandello.
Il testo più significativo, più espressivo di questo periodo è sicuramente “I Giganti della Montagna”, un po’ il testamento spirituale di Pirandello. In forme simboliche ed allusive, talvolta oscure e difficilmente decifrabili, l’opera affronta un problema che assilla lo scrittore, quello della posizione dell’arte, in particolare quelle teatrale, nella realtà moderna, capitalistica ed industriale, in rapporto con il mercato ed il pubblico. Secondo il simbolico susseguirsi degli eventi si intuisce l’idea dell’autore il quale ritiene che l’arte nella società industriale, dominata dal mercato, non può sopravvivere con le sole sue forze, ma deve cercare l’appoggio del potere economico e politico (nel testo, i Giganti). L’opera, come detto, è rimasta incompiuta, l’autore non scrisse la conclusione anche se ne abbiamo qualche traccia conservata dal figlio Stefano. In questa conclusione Ilse mette in scena la sua opera dinanzi ai servi dei Giganti ma questi, rozzi e barbari, sbranano lei ed i suoi attori. Da qui possiamo leggere, probabilmente, un riferimento autobiografico. Pirandello mise in scena “La favola del figlio cambiato” a Roma che, però, trovò un basso consenso da parte del regime fascista. Da questa conclusione possiamo trarre anche una seconda idea, quella cioè di come Pirandello si ponesse di fronte al teatro nei suoi ultimi anni: Ilse rappresenta il far teatro dinanzi ad un pubblico sordo e la lotta per ottenere un sostegno dello Stato per la situazione critica di questa forma di arte; il mago Crotone raffigura il teatro autosufficiente, come pura creazione poetica, senza il rapporto con il pubblico. La morte di Ilse la dice lunga sulla decisione ultima presa da Pirandello.
Latino:
In Pirandello si parlava di un Lucio che faceva miracoli, questo nell’opera “Lazzaro”, ma vi è un altro Lucio altrettanto importante di cui parlare che, invece, fu vittima di un miracolo. Sto parlando del protagonista de “Le Metamorfosi o l’asino d’oro”, opera magna di Apuleio, autore latino del II° Secolo dopo Cristo. Prima di parlare dell’opera mi preme sottolineare che la figura stessa dell’autore è circondata da un alone di mistero, egli infatti venne accusato dai parenti di Pudentilla, sua moglie, di aver sedotto quest’ultima usando un filtro magico. E di magie, trasformazioni e mitologiche creature si parla anche nella già citata opera “Le Metamorfosi”. Il nucleo essenziale di questo scritto è derivato dal cosiddetto “romanzo dell’asino”. Ma, in effetti, questo diviene la “cornice” che contiene al suo interno una serie di racconti di varia lunghezza, autonomi e tra loro eterogenei. Il testo, sostanzialmente, è diviso in tre parti. Nei primi tre libri, che raccontano le vicende di Lucio prima di diventare asino, introducono nel nucleo narrativo il grande tema apuleiano della magia, mostrandone l’inquietante presenza nella realtà e nell’immaginario dell’epoca, nonché la dimestichezza con le pratiche magiche che lo scrittore doveva avere. Lucio è un ragazzo curioso ed “assetato di novità”, tanto che all’inizio, nel III° capitolo così si rivolgerà ad un suo compagno di viaggio che non credeva nelle forze sovrannaturali: “In quanto a te, ti turi le orecchie e rifiuti ostinatamente d’intender cose che forse si potrebbero riscontrar vere. Perbacco! Tu non sai una cosa: che i pregiudizi senz’ombra di verità rendono del tutto incredulo l’uomo innanzi a quei fatti che egli creda di non aver mai sentito o visto, o che comunque per la loro difficoltà gli sembrino al di sopra della sua comprensione. Ma esamina questi fatti con un po’ più attenzione. Ti accorgerai allora che non solo riescono evidenti alla mente, ma anche son facili a realizzarsi”. Curiosità, unita alla certezza di una verità dietro una iniziale probabile falsa apparenza. I libri IV-X costituiscono il vero e proprio romanzo d’avventura, con il consueto cliché di accadimenti improvvisi ed incontri, vagabondaggi e colpi di scena. In questa parte è importante sottolineare una cosa, in quanto asino, Lucio ha la possibilità di vedere le persone sotto occhi differenti, quelli di un animale, e le stesse persone di fronte ad esso si comporteranno in modo più “vero”. Attraverso gli occhi di Lucio-asino, dunque, possiamo farci un’idea della società dell’epoca, ma non solo come appariva, ma anche come era davvero. Si raccontano di amicizie tradite, amori ricambiati e non, omicidi, insomma, nell’insieme abbiamo il quadro completo di una civiltà in tutte le sue diverse rappresentazioni. Lucio stesso proverà sempre più disgusto per quello che i suoi occhi vedranno, la malvagità e la corruzione sempre più presente nell’umanità. In questa parte del romanzo è pure presente la novella di Amore e Psiche, fondamentale nell’economia del romanzo di cui essa una possibile chiave di lettura. Qui vengono trattati alcuni dei temi più importanti del romanzo, come la molla dell’istinto irrazionale (gelosia di Venere), il sesso e, soprattutto, la curiositas (di Psiche in parallelo, quasi, a quella di Lucio). Gli stessi nomi “Amore” e “Psiche” (anima) richiamano un altro livello di lettura, quello di una graduale elevazione dell’anima, attraverso l’amore, verso il suo mondo ideale e, più universalmente, la faticosa e dolorosa scoperta di sé. Qui, dunque, compare un intento allegorico ma, in fin dei conti, esso è proprio dell’intero romanzo. Nell’ultimo libro, che rappresenta la conclusione positiva delle avventure di Lucio, infatti, viene fornita l’ultima chiave di lettura del romanzo. Alla magia si sostituisce la spiritualità religiosa, alla curiosità profana quella spirituale, al caso la Fortuna veggente e la grazia divina: Lucio, attraverso le sue dolorose ed umilianti avventure, ha imparato che la vera conoscenza è quella che porta ad attingere alla fonte dello spirito; l’ultima sua “metamorfosi” in sacerdote di Iside rappresenta la mèta a cui la vita deve ispirarsi. La celebrazione del culto di Iside conclude il romanzo nel segno della dea. Dunque Lucio come un’allegoria dell’itinerario dell’anima umana, dall’esperienza degradante della corruzione terrena fino alla purificazione ed alla redenzione finale.
Filosofia:
Per passare all’argomento successivo mi pare giusto, prima di tutto, rendere nota l’idea che vi era nell’antichità circa i sogni riferendomi alle succitate “Metamorfosi”. In tutto il romanzo si susseguono sogni premonitori, sogni rivelatori (come quello di Carite che vede Tlepolemo, il marito morto, il quale le spiega che a porre fine alla sua vita era stato Trasillo) e si dovrà attendere fino al 1899 prima che questa idea venga non scartata, ma rivoluzionata. Nel 1899, infatti, uscì l’”Interpretazione dei sogni” scritta da Sigmund Freud.
Una via privilegiata per addentrarsi nell'inconscio é per Freud data, infatti, dall' interpretazione dei sogni; la cosiddetta autoanalisi, cioè l'analisi che Freud mise in atto sulla propria persona, fu portata avanti in buona parte sul materiale che i suoi stessi sogni gli offrivano. Quest’opera può venir considerata il vero e proprio manifesto della psicoanalisi; stando a Freud, il sogno non é l'inconscio e basta, ma é solo una delle sue manifestazioni, la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell'inconscio stesso. Durante il sonno infatti la censura messa in atto dalla coscienza si affievolisce e così l'inconscio, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e genera tensioni; il sogno, presentando all'immaginazione come realizzati i desideri inconsci, rende possibile la liberazione di queste tensioni: in questo senso, il sogno viene concepito da Freud come l' ' appagamento di un desiderio. Ma questa realizzazione si attua in forma allucinatoria, tramite mascheramenti e deformazioni, effettuate dalla censura della coscienza stessa, che, sebbene affievolita, può ancora dire la sua: il fine di queste deformazioni é di rendere accettabili alla coscienza i contenuti rimossi. In ciò consiste il lavoro onirico. Il sogno ha un contenuto manifesto, quale appare al sognatore che racconta il proprio sogno: esso può risultare incoerente o anche prendere la forma di una storia dotata di una certa coerenza, ma il racconto dei propri sogni fatto dai sognatori é sempre un'elaborazione secondaria, ovvero un rimaneggiamento che porta a renderli, in linea di massima, comprensibili. Il vero significato del sogno non é quindi in questo livello, ma sta nel contenuto latente che é stato trasformato dal lavoro del sogno, dando luogo al contenuto manifesto. Il contenuto latente va allora ricostruito ripercorrendo all'indietro il lavoro svolto dal sogno: e proprio in questo consiste l' interpretazione dei sogni, che risale dal sogno come risultato finito agli elementi per i quali é stato composto secondo regole e meccanismi specifici. Il sogno infatti non é un fenomeno arbitrario e casuale, che esula totalmente dalla logica, bensì é il risultato di un lavoro dell'inconscio, che lavora secondo una propria logica, diversa da quella della vita conscia che noi conosciamo. In primo luogo, esso dà una veste visiva anche ad elementi che non sono tali da averla, come desideri o pensieri; inoltre, le componenti del sogno sono formazioni sostitutive, ossia simboli , rappresentazioni indirette e figurate di conflitti o desideri inconsci: si tratta allora di individuare che cosa simboleggi ciascuna componente del sogno. Ma questo é possibile solamente tenendo in considerazione le regole 'sintattiche' che presiedono al collegamento di questi disparati elementi: queste regole sono essenzialmente la condensazione e lo spostamento; la condensazione é la tendenza ad imprimere tramite un solo elemento più elementi connessi tra loro, ad esempio rappresentando due individui mediante un unico tratto comune o tramite un'assonanza tra i loro nomi e così via; questo vuol dire che, in una certa misura, il contenuto manifesto del sogno contiene sempre abbreviazioni rispetto a quello latente. Lo spostamento consiste nel trasferimento di interesse da una rappresentazione ad un'altra, trasferimento che permette, grazie ad associazioni, di passare dai contenuti rimossi ad altri che appaiono più neutri sul piano emotivo. Tenendo presenti queste regole, l'interpretazione può arrivare alla decifrazione del sogno, il quale al termine dell'analisi non sembrerà più un semplice racconto fatto per immagini, ma un insieme organizzato e ragionato di pensieri, tramite il quale si esprimono i desideri risalenti al passato, per lo più all'infanzia. A parere di Freud, la censura che impedisce l'emergere alla coscienza di contenuti rimossi opera non solo nel sogno, ma anche in altri comportamenti della vita quotidiana, come nelle amnesie temporanee, per esempio di certe parole, o nei lapsus , in cui una parola viene detta anzichè un'altra, o in determinati gesti automatici o involontari, o, ancora, nei motti di spirito. Per lo più questi sono atti mancati , cioè azioni in cui il risultato apertamente perseguito e solitamente raggiungibile non viene raggiunto, ma é sostituito con un altro atto. Solitamente questi comportamenti sono attribuiti al caso o alla distrazione, cioè ad una riduzione della soglia della coscienza; in realtà per Freud essi sono comprensibili solo ammettendo l'esistenza dell'inconscio, già a suo tempo individuato da Leibniz, che lavora esprimendo contenuti riconducibili a qualcosa di rimosso, ma sottoponendoli al tempo stesso a deformazioni. Freud scrive alcune opere su questi argomenti, come Psicopatologia della vita quotidiana (1901) e Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905). Da essi si può evincere che anche le attività coscienti dell'individuo normale possono essere perturbate dal riaffiorare di contenuti rimossi, che si estrinsecano in questi comportamenti. Ma la presenza di elementi patologici nella vita normale e di ogni giorno trova ulteriore conferma nella scoperta dell'esistenza di una sessualità infantile.
Arte:
Arnold Böcklin è nato a Basilea nel 1827 e morì “fiorentino” a Fiesole nel 1901.
Rappresentante del Simbolismo europeo, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, Böcklin trascorse gran parte della vita in Italia. Visse lungamente a Roma tra il 1852 e il 1866 e a Firenze tra il 1874 e il 1901. Fece dunque parte di quella larga schiera di artisti svizzeri, capeggiata dal grande Henry Füssli, che dalle bellezze classiche e dal sole mediterraneo trasse ispirazione.
Böcklin attinse i soggetti dei suoi dipinti soprattutto dalla mitologia, ma anche da fonti letterarie e storiche, dalla Bibbia, da fiabe e leggende. Raramente si attenne alle rappresentazioni tradizionali e amò inserire all’interno della narrazione elementi spiazzanti, capaci di alterare il significato dell’insieme. Mise in scena un mondo di forze naturali demonicamente animate, simboli del misterioso e dell’oscuro. Per questo fu apprezzato tanto da De Chirico quanto dai surrealisti. Sono molte le opere di questo artista ma una in particolare mi preme di descrivere: L’isola dei Morti del 1880 (Basilea, Kunstmuseum).
Qui la malinconia, in forma della paura della morte, è espressa in modo molto suggestivo.
Böcklin si è andato confrontando fin dagli anni di studio a Düsseldorf con la tematica della morte e della caducità. Il quadro, che fin da quando fu esposto per la prima volta raggiunse una fama sensazionale come nessun altro dipinto dell'Ottocento, fu commissionato da Marie Berna, poi contessa Oriola, che aveva chiesto al pittore un quadro che esprimesse il profondo dolore per la morte di suo marito. Nel 1880 Böcklin le scrisse: "Lei potrà sognare, immersa nel buio mondo delle ombre, fino a quando non crederà di avvertire il leggero, tiepido alito che increspa il mare, fino a quando non esiterà a turbare il solenne silenzio anche con una sola parola".
Il pittore evitò di dare ulteriori interpretazioni, poiché voleva che fosse lo spettatore stesso, guardando intensamente, a trovare il significato dei suoi quadri. Anche per il titolo Böcklin non diede indicazioni univoche, chiamando il quadro “Un luogo tranquillo”, “Un'isola tranquilla” o successivamente, “L'isola dei sepolcri”. Fu il mercante d'arte berlinese Fritz Gurlitt che diede infine, alla terza versione, il titolo ancora oggi valido: L'isola dei morti. La rappresentazione diede adito a interpretazioni che andavano dall'elegia all'antichità morente fino a diventare un'esperienza-chiave per i pazienti di C. G. Jung. L'isola venne paragonata alle piramidi, univoche e inavvicinabili, e vista come una sorta di formulazione riassuntiva della storia del mondo, interpretando in questo senso le forme abbreviate di cratere e cipressi, e le tracce dell'uomo. L'isola ha un modello reale: probabilmente il castello di Alfonso di Aragona presso Ischia, dove Böcklin soggiornò nel 1879. Ci volle solo la fantasia dell'artista per animare il primo piano con la barca di Caronte, in cui la figura in piedi, avvolta di bianco come una mummia, con un feretro infiorato dinanzi a sé, sembra incongruamente allontanarsi dall'isola. L'isola forma un cerchio quasi concluso di pareti rocciose e cipressi scuri. Nelle rocce sono state ricavate delle tombe. Nelle versioni posteriori del quadro sono presenti anche i resti di colonne di un tempio classico, che contribuiscono a ricordare la caducità del mondo. I contorni dell'isola si specchiano nell'acqua tranquilla. Nessun raggio di luna trapassa la nera coltre di nuvole. La morte viene intesa da Böcklin come una scissione, una cesura, un viaggio in un regno sconosciuto i cui servi senza voce e senza volto compiono autonomamente il loro dovere.
Böcklin eseguì cinque versioni dell'Isola dei morti (le prime due sono del 1880 e si trovano a Basilea e a New York). Quelle più tarde persero un po' di suggestione visionaria a favore di un maggiore realismo. Nelle ultime versioni il cielo è coperto di nubi e raggi lunari penetrano tra le nuvole fino all'acqua. La barca, che dapprima sembrava andare nella direzione sbagliata, si dirige adesso verso l'isola. Artisti di ogni epoca si sono confrontati con L'isola dei morti di Böcklin, trasponendola graficamente, come Max Klinger (1857-1920), parafrasandola come fece Salvador Dalì o anche trasportandola in musica, come Sergej Rachmaninoff e Max Reger.
L'isola dei morti ha ossessionato molti protagonisti del secolo XX; tra questi: Freud aveva nel suo studio ventidue riproduzioni di quadri famosi; molti rappresentavano “L’isola dei morti”. Jung scrisse di questo quadro a proposito del suo paziente "Henry", del quale questo quadro costituiva l'elemento chiave dei suoi sogni.
Hitler acquistò a un’asta, nel 1936, la versione ora esposta al Museo d'arte moderna di Berlino.
In una fotografia, riprodotta nella copertina del libro "Nazionalsocialismo esoterico" di Marco Dolcetta, Hitler è ritratto nel suo studio, insieme a Molotov e Ribbentrop, dopo la firma del patto russo-tedesco: alle sue spalle si trova il quadro di Bocklin.
Storia:
Ed è proprio di Hitler che ora vorrei trattare. Nel caso del nazismo ci troviamo di fronte ad una fantasia che dà luogo ad una modificazione nella realtà, è infatti su basi ideologiche che Hitler ha costruito il suo sistema, unificando in una sola, unica costruzione fantastica, tutti i suoi progetti di conquista e sterminio. Egli stesso affermò: “La forza senza un fondamento spirituale è destinata a fallire”.
Sulla base di questa frase il Führer e i suoi gerarchi intrecciarono una serie di credenze esoteriche, per la formazione di una religione che esaltasse la forza, e la potenza della popolazione tedesca.
L’obbiettivo primo era la creazione di una razza "pura", fondatrice e protettrice di un nuovo ordine mondiale: il Terzo Reich. Alla base del mito della razza pura stava la leggenda di un popolo superiore, con caratteristiche e potenzialità semi-divine: gli ariani. Per il regime tal etnia discendeva direttamente da Atlantide, e avrebbe dominato il mondo prima di decadere a causa del vizio e della corruzione. Per il nazismo i discendenti di questi super uomini si sarebbero sparsi per il mondo, e in parte consistente in Tibet. Furono sovvenzionate così da parte di Hitler, ma soprattutto da parte di Heinrich Himmler, uno dei maggiori esperti dell’esoterismo nazista, una serie di spedizioni nel continente asiatico, con il preciso obbiettivo di stabilire un filone di discendenza tra la popolazione tibetana, gli ariani e i tedeschi.
Himmler era profondamente convinto che la popolazione germanica derivasse da quei discendenti, e per provarlo incomincio ad effettuare una serie di misurazioni sui corpi dei tibetani. Secondo questa teoria i caratteri principali, del così detto "tratto fisico ariano" erano una fronte stretta, caratteristiche somatiche spigolose, ed arti lunghi.
Purtroppo le SS non si fermarono alla semplice ed ingenua misurazione di crani e arti, ma proseguirono con esperimenti criminali, sui corpi dei tibetani. Provando che i tedeschi erano discendenti naturali degli ariani, e quindi di semi-dei, si sarebbe potuto favorire la creazione di una nuova specie ariana. I provvedimenti atti a favore di quest’obbiettivo, sono i più conosciuti per la loro drammaticità. Per prima cosa fu autorizzata la sterilizzazione, a tutti i non ariani, e a tutti i tedeschi che presentavano difetti psichici e fisici, a chi presentava problemi d’alcool, epilessia o depressione. In totale furono sterilizzati circa quattrocentomila tedeschi. Il provvedimento più duro colpì gli ebrei, che oltre ad essere considerati come strozzini, erano accusati di essere stati, con il loro comportamento, la causa prima della sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale; ma soprattutto erano incolpati di ostacolare la nascita della nuova razza.
Le leggi razziali prima, e i campi di concentramento poi, sarebbero stati per Führer il primo passo verso la costruzione del nuovo ordine. Hitler scriverà a riguardo: "La più grave e crudele decisione che io abbia mai dovuto prendere. Una misura barbarica per lo sfortunato che ne è colpito, ma una benedizione per i suoi compagni e per i posteri. La sofferenza passeggera di un secolo può liberare i millenni futuri dalla sofferenza; e lo farà."
Tale azione criminale quindi, si sarebbe giustificata tramite la filosofia per la quale, il sacrificio di pochi avrebbe giovato alla vita di molti. Ma l’antisemitismo, e la discriminazione razziale, derivavano entrambe da correnti di pensiero esoterico molto diffuse in Germania. Vi era ad esempio la rivista “Ostara” dichiaratamente razzista ed antisemita oppure l’associazione “Thule” di cui Hitler faceva parte. Accanto a questa Alfred Rosenberg, anch’esso componente dell’associazione Thule, e massimo filosofo del regime nazista, sentì il bisogno di affiancare una religione adatta alla razza tedesca, che ne potesse ritrarre le virtù e la potenza. Tale religione fu definita "La religione del sangue", che non celebrava la fede o la credenza come il cristianesimo, ma il sangue.Il sangue, infatti, era nella tradizione nordica, e per lo stesso Rosenberg, il veicolo portante dello spirito, l’essenza della vita spirituale di un popolo, un liquido magico, che era la forma più alta d’espressione del Volk.
Il nazismo necessitava però della presenza di un ordine d’uomini, pronti a difendere il regime e la nazione, non solo sul piano militare, ma anche su quello mistico e spirituale. Heinrich Himmler stretto collaboratore di Hitler si adoperò in questo senso, per la formazione di quelli che lui stesso chiamava i "cavalieri del Reich". Le SS dovevano essere i nuovi super uomini concepiti della religione del sangue, il cui compito era mantenere l’equilibrio del nazismo, e preservarlo dai pericoli. Una specie di nuova aristocrazia tedesca, un élite di guerrieri, la cui forza era essenziale non solo per la loro sopravvivenza, ma anche per quella della razza ariana. Himmler organizzò le SS sulla base dell’ordinamento dei cavalieri teutonici. Ciò fu appurabile con chiarezza durante il conflitto mondiale, quando le terre conquistate ad est della Germania furono divise secondo un criterio feudale, tra gli ufficiali delle SS. Lo stesso numero degli ufficiali SS, era insito di un significato mitico. Essi erano, infatti, dodici, come dodici erano i sommi cavalieri di Re Artù, che si riunivano attorno alla sua tavola.
Questo in conclusione è la sintesi delle principali componenti esoteriche naziste, e le loro applicazioni nelle scelte reali del regime. Un intreccio di culture diverse, volte al favore dell’ideologia razziale, e nazionalista. Mai nella storia umana l’unione tra misticismo e obbiettivi politici sconvolsero, e cambiarono così il mondo.
Continua...
----------------------------------------
"Possiamo solo decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso" Gandalf
----------------------------------------
"Venite amici che non è tardi per scoprire un mondo nuovo.
Io vi propongo di andare più in là dell'orizzonte
E se anche non abbiamo l'energia
che in giorni lontani
mosse la terra e il cielo,
siamo ancora gli stessi,
unica eguale tempra di eroici cuori
indeboliti forse dal fato
ma con ancora la voglia di combattere
di cercare
di trovare
e di non cedere." A. Tennyson - Ulysses -
----------------------------------------
Veramente Immenso