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Sul concetto di vita.

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2005 15:31
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un interessante trafiletto di un interessante articolo sui virus...

La domanda, in apparenza semplice, che i miei studenti mi pongono spesso — se i virus sono vivi oppure no — probabilmente ha messo a dura prova una risposta semplice nel corso di tutti questi anni, perché solleva un punto di fondamentale importanza: che cos’è, di preciso, che definisce la «vita»? il concetto di «vita» sfugge a una precisa definizione scientifica; tuttavia, la maggior parte di coloro che sono coinvolti in tale di battito non avrà dubbi nel concordare che l’idea di vita comprende alcune qualità precise, oltre alla capacità di un organismo di replicarsi. Un’entità vivente, per esempio, si trova in uno stato i cui limiti estremi sono dati dalla vita e dalla morte. Anche per gli organismi viventi si ritiene sia necessario un certo grado di autonomia biochimica, che svolga le attività metaboliche da cui si originano sia le molecole che l’energia necessaria a sostenere l’organismo. Questo livello di autonomia risulta essenziale per molte definizioni. In ogni caso, i virus conducono un’esistenza parassitica nei confronti, essenzialmente, di tutti gli aspetti biomolecolari della vita. In altre parole, dipendono dalla cellula ospite per quanto ti- guarda le componenti essenziali e l’energia necessaria alla sintesi degli acidi nucleici, per la sintesi proteica, per l’assemblaggio delle diverse unità e il loro trasporto, ma anche per tutte le altre attività di natura biochimica che consentono loro di moltiplicar si e di diffondersi nell’organismo. Ma allora, si potrebbe concludere che, sebbene questi processi siano soggetti a direttive di origine virale, i virus sono semplicemente dei parassiti inanimati dei sistemi metabolici viventi. Tuttavia, fra ciò che è senz’alcun dubbio vivo e ciò che altrettanto inequivocabilmente non lo è, esiste una gamma di situazioni intermedie. Una roccia non è viva. Neppure una membrana metabolica mente attiva, privata del suo corredo genetico e della capacità di propagarsi, lo è. Un batterio, invece, è decisamente vivo: nonostante sia un organismo unicellulare, è in grado di produrre energia, molecole necessarie al proprio sostentamento, e anche di riprodursi. Ma che dire di un seme? Potremmo anche non considerano vivo, eppure, in questo suo stato non vitale, esso mantiene il ptenziale da cui può sgorgare la vita, un potenziale che il seme possiede come risultato di qualcosa che, un tempo, era inequivocabilmente vivo. Inoltre, i semi possono essere distrutti. Per questo aspetto, i virus somigliano ai semi più di quanto non somiglino alle cellule viventi: possiedono un certo potenziale che può essere spento, ma non raggiungono alcuna condizione di vita più autonoma. Un altro modo di concepire la vita è considerarla alla stregua di una proprietà imprevista di un insieme di elementi indubbia mente non viventi. Sia la vita che la coscienza sono esempi di sistemi complessi imprevisti, ciascuno dei quali, per raggiungere il proprio stato, richiede la presenza di un livello critico di complessità o di interazione. Un neurone, isolato o persino all’interno di una rete nervosa, non è consapevole: perché ci sia consapevolezza deve essere presente la complessità del cervello intero. E tutta via, anche un cervello umano intatto può essere biologicamente vivo ma incapace di consapevolezza, in quella condizione che conosciamo con il nome di «coma». Analogamente, di per sé non sono vivi né i geni cellulari isolati, né quelli virali né tanto meno le proteine. La cellula enucleata è analoga allo stato di morte cerebrale, in quanto priva di una complessità critica complessiva. Neppure un virus è in grado di raggiungere una complessità critica. Dunque, la vita stessa è una condizione imprevista e complessa, che, tuttavia, è composta dagli stessi elementi basilari essenziali che formano un virus. Visti in quest’ottica, dunque, e sebbene non siano completamente vivi, i virus possono essere considerati più che semplice materia inerte: tendono alla vita.
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