Scritto da: Metratron 12/12/2006 12.45
Allora, non voglio creare polemica ne offendere nessuno, ma bazzicolando su internet ho trovato numerosi accenni a tipologie di Cristianesimo (scusate potrei sbagliare o non unsare i termini giusti) che non conosco, ma vedo sono molto usati...volevo chiedervi: mi date alcune lucidazioni per favore?
tipo su lefebvriano, tridentino, tradizionalista e altre che mi verranno in mente.
Lefebvre
Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V e più in generale la tradizione della Chiesa, aveva fondato nel 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con un proprio seminario (ad Ecône, in Svizzera, fondato il 7 ottobre 1970), Fin dal 1972 i vescovi francesi bollarono Econe come "seminario selvaggio" e brigarono per ottenerne la chiusura per la formazione e la mentalità ostile al Concilio Vaticano II e per alcune irregolarità formali nelle ordinazioni (ad Ecône confluivano molti seminaristi da diverse diocesi senza l'approvazione dei propri vescovi).
Il 19 marzo 1975 Lefebvre dichiarò che non si sarebbe mai separato dalla Chiesa, ma ciò non fu sufficiente a ridurre l'ostilità di parte della gerarchia che si manifestò con il il ritiro del riconoscimento canonico e l'ordine di chiusura del seminario di Ecône (1975). Lefebvre rifiutò di accettare questa disposizione e disattese la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di aprire nuove case. Nel luglio 1976 venne sospeso a divinis da papa Paolo VI (cioè gli fu imposto il divieto di celebrare i sacramenti). La “Messa proibita” che egli celebrò a Lille nell’agosto 1976 davanti a 10.000 fedeli ottenne, grazie ai 400 giornalisti presenti, una risonanza enorme.
Negli anni successivi, quantunque continuasse le ordinazioni sacerdotali permanendo nella condizione di disobbedienza, ci furono diversi tentativi di dialogo da parte della Santa Sede. Con papa Giovanni Paolo II, che ricevette Lefebvre in udienza privata già nel novembre 1978, i rapporti migliorarono e si riaprì il dialogo con Roma. Nel 1983 Lefebvre lasciò la guida della FSSPX, rimanendone tuttavia l'indiscusso capo carismatico.
Un più risoluto tentativo di riconciliazione tra la Santa Sede e Lefebvre fu compiuto nel 1988 in seguito a una visita apostolica del cardinale E. Gagnon alla FSSPX (novembre-dicembre 1987). Poco dopo (8 aprile 1988) una lettera di Giovanni Paolo II al cardinale Ratzinger prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, tracciava le linee di una proposta che permettesse alla FSSPX di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede Apostolica. Su questa base ebbero luogo diversi incontri tra due apposite delegazioni, fino a raggiungere l’accordo su un protocollo firmato il 5 maggio 1988.
Il 5 maggio 1988 Lefebvre ed il cardinale Ratzinger firmano un protocollo d'intesa per l'utilizzo dei libri liturgici approvati nel 1962 (gli ultimi che il movimento lefebvriano considera validi, poiché precedenti la riforma liturgica), per la costituzione della FSSPX in società di vita apostolica con particolari diritti e prerogative e possibilmente guidata da un vescovo. Il protocollo comprendeva una dichiarazione di ordine dottrinale e il progetto di un dispositivo giuridico nonché di misure destinate a regolare la situazione canonica della FSSPX e delle persone a essa collegate, e ipotizzava la creazione di una commissione vaticana per coordinare i rapporti con i dicasteri della Curia romana e con i vescovi diocesani, come pure per risolvere i futuri problemi. In tale documento, Lefebvre, a nome suo e della FSSPX, promette obbedienza alla Chiesa e al Papa, dichiara di non voler più discutere il Vaticano II in termini polemici, accetta in particolare la sezione 25 della Lumen Gentium sul magistero pontificio, riconosce la validità dei nuovi riti della Messa.
Il giorno dopo Lefebvre ritratterà, affermando di essere caduto in trappola e di non potersi astenere dall'ordinare un vescovo il 29 giugno successivo allo scopo di garantire un suo successore alla Fraternità.
Per evitare che Lefebvre proceda con l'atto scismatico, il 24 maggio 1988 papa Giovanni Paolo II gli concede l'autorizzazione di ordinare un vescovo "alla prossima solennità mariana" (nel caso specifico si trattava del 15 agosto, solennità dell'Assunzione della Vergine Maria) ma Lefebvre risponde per iscritto che ha bisogno di non uno ma tre vescovi, e che intende ugualmente consacrarli il 29 giugno. Il cardinale Ratzinger gli risponde che permanendo questo atteggiamento di disobbedienza, il permesso di consacrare un vescovo il 15 agosto sarebbe stato ritirato.
Lefebvre, ritornato in Svizzera, aveva messo in discussione il protocollo, insistendo, tra l'altro, sulla necessità di ordinare vescovi tre sacerdoti della Fraternità entro il 30 giugno 1988 e chiedendo inoltre di avere la maggioranza dei membri della istituenda commissione romana. Di fronte al rifiuto di Roma, ferma sulla concessione di un solo vescovo e sull'equilibrio prestabilito per la commissione, e di fronte all'invito a rimettersi in piena obbedienza alle decisioni del Papa, Lefebvre, in una lettera del 2 giugno, esprimeva l’opinione che il momento di una collaborazione franca e efficace non era ancora giunto e dichiarava di voler procedere alle ordinazioni episcopali anche senza mandato pontificio.
Lefebvre aveva mandato a monte il paziente lavoro del cardinale Ratzinger perché alla fine non si era fidato delle assicurazioni dei suoi interlocutori, soprattutto per quanto riguardava la consacrazione di un suo successore. Spiega padre Emmanuel de Caveau, collaboratore di Lefebvre in quei giorni: "Il cardinale Edouard Gagnon aveva condotto una visita apostolica a Econe e aveva fatto intendere che non erano stati trovati dei sacerdoti con profilo episcopale. Monsignor Lefebvre temeva che il cardinale Ratzinger avrebbe chiesto consiglio al cardinale Gagnon e dunque che, non trovando il profilo episcopale all'interno della Fraternità San Pio X, il nuovo successore sarebbe stato cercato fuori".
Il 9 giugno il Papa chiede ancora una volta di non procedere con tale «atto scismatico». Il 15 giugno 1988 Lefebvre annuncia in una conferenza stampa i nomi dei sacerdoti che intende ordinare vescovi, ritendo che la Chiesa si trovasse in un grave stato di necessità, per la sopravvivenza del sacerdozio e della Messa tradizionale.
[modifica] L'ordinazione dei quattro vescovi e la scomunica
Nonostante un'ammonizione formale (17 giugno), il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinava quattro vescovi (uno in più di quanto aveva annunciato in precedenza) e compiva così un atto scismatico (a norma del canone 751 del Codex iuris canonici), avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Di conseguenza sia Lefebvre, sia i vescovi da lui consacrati incorrevano ipso facto (cioè con lo stesso porre in essere l'atto) nella scomunica latae sententiae ("sentenza già data", ovvero vi si incorre per lo stesso fatto di porre il gesto) il cui scioglimento è riservato alla Sede Apostolica.
La sua scomunica da parte della chiesa fu formalizzata il 30 giugno, a firma del cardinale Bernardin Gantin. Subito dopo, il 2 luglio 1988, Giovanni Paolo II, con il motu proprio Ecclesia Dei, dichiara il proprio dolore per l'infelice conclusione della questione, parlando esplicitamente di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa» e di «atto scismatico» che ha per conseguenza diretta la «scomunica». Tale atto scismatico è dovuto, secondo il Papa, ad una «incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione».
La formalizzazione della scomunica riguardò solo i due vescovi consacranti (Marcel Lefebvre e Antonio de Castro Mayer) ed i quattro vescovi appena consacrati (Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta: a norma del Codice di Diritto Canonico la loro consacrazione è "valida" anche se "illecita", e sono pertanto vescovi anche se ancora non riconosciuti dal Papa come appartenenti alla Chiesa cattolica). Con la Ecclesia Dei però Giovanni Paolo II si spinge oltre ed istituisce una Commissione per facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti e fedeli legati a Lefebvre con la Chiesa cattolica nel rispetto delle loro tradizioni liturgiche, e addirittura concede un ampio e generoso "indulto" per l'uso del Messale Romano del 1962. Ciò produrrà negli anni larghe defezioni di sacerdoti e fedeli della FSSPX verso la comunione con Roma, che si aggiungono alle defezioni dei sacerdoti che hanno lasciato la FSSPX a causa di divergenze teologiche (alcuni dei quali fonderanno l'Istituto Mater Boni Consilii, di orientamento sedevacantista). Alcuni sacerdoti che celebrano la Santa Messa secondo il rito di san Pio V, in comunione con il Santo Padre, fondano la Fraternità Sacerdotale San Pietro secondo quanto previsto dal Motu proprio "Ecclesia Dei".
La forma del decreto di scomunica ha dato avvio a lunghe discussioni sulla reale possibilità che i fedeli e i sacerdoti della FSSPX in buona fede (cioè non deliberatamente e consapevolmente aderenti allo scisma) non siano realmente scomunicati, aprendo pertanto la possibilità del dialogo con la Santa Sede. Lefebvre ha negato la validità della scomunica ricevuta affermando di essersi trovato in stato di necessità a causa della crisi della Chiesa, argomento che la Santa Sede ha sempre considerato irrilevante, specialmente a causa dei numerosi avvisi dati in precedenza a Lefebvre. La FSSPX ha affermato che la consacrazione poteva essere considerata una disobbedienza ma non uno scisma, in quanto si trattava di vescovi ausiliari; la posizione della Santa Sede e della maggioranza degli esperti di diritto canonico è che quella consacrazione rappresenta un atto scismatico (sanzionato regolarmente con la scomunica), seppure in assenza della creazione di una chiesa scismatica.
Lefebvre morì di cancro nel 1991, fuori dalla comunione della Chiesa poiché non risulta abbia mai dato segni di ripensamento. La scomunica non è mai stata ritirata: un improbabile ritiro della scomunica da parte della Santa Sede potrebbe essere dettato solo da necessità "pastorali"; nella tradizione della Chiesa non si dà mai la necessità di conferire l'episcopato contro il volere del Papa.
Dopo diversi tentativi, nel mese di agosto del 2005 c'è stato un primo colloquio formale tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X e la Santa Sede: papa Benedetto XVI ha concesso un'audienza al vescovo Bernard Fellay (attuale Superiore generale della Fraternità). Il colloquio è stato amichevole, anche se non ha avuto conseguenze immediate.
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MESSA DI TIPO TRIDENTINO:
La messa secondo il rito di papa Pio V è stata celebrata nella Chiesa cattolica fino al 1969, prima che entrasse in vigore la Riforma liturgica. L'uso della messa tridentina, il cui nome deriva dal Concilio di Trento del XVI secolo, era stato abrogato dopo il Concilio Vaticano II del 1962-65, in cui si decise l'introduzione della lingua volgare per favorire una maggiore comprensione da parte dei fedeli.
I documenti conciliari avevano stabilito la conservazione dell'uso del latino nella liturgia e la lingua volgare avrebbe dovuto essere usata solo in alcune parti della messa. Nessun documento del concilio ha stabilito che il sacerdote dovesse celebrare rivolto verso il popolo e il cambiamento della posizione dell'altare. La Riforma liturgica andò oltre le intenzioni e le prescrizioni dei padri conciliari creando una nuova liturgia simile a quella dei protestanti.
Giovanni Paolo II aveva promulgato nel 1984 un indulto per venire incontro all’istanza dei fedeli legati al vecchio rito, riaffermato anche nel 1988 con il motu proprio "Ecclesia Dei afflicta" (promulgato in seguito allo scisma dell'arcivescovo Marcel Lefebvre). La messa tradizionale così poté essere celebrata solo col permesso del vescovo che venne però concesso solo in poche diocesi, lasciando insoddisfatti molti cattolici tradizionalisti.
Per agevolare la celebrazione della messa in latino secondo l'antico messale pre-conciliare è prevista una pubblicazione di Benedetto XVI un Motu proprio entro il 2007: consentirà a tutti i sacerdoti sparsi in ogni parte del mondo di celebrare la messa in latino, a meno di un divieto scritto del proprio vescovo.
Struttura
La messa tridentina è celebrata interamente in latino, ad eccezione di alcune parole e frasi in greco antico ed ebraico, con lunghi periodi di silenzio. I fedeli seguono la liturgia leggendo il messalino o il foglietto bilingue, nel testo latino e con di pari passo la traduzione in italiano. Non è solo l’uso della lingua ecclesiastica e universale ("cattolico" significa appunto universale) la sola differenza tra la messa tridentina e quella moderna.
Il sacerdote, a differenza del nuovo rito, volge le spalle ai fedeli in quanto celebra rivolto al tabernacolo e all’altare che è la rappresentazione del calvario.
Si divide in tre parti:
1. Preghiere che il sacerdote dice ai piedi dell'altare;
2. Messa dei Catecumenti (così chiamata perché vi assistevano anche quelli che si preparavano al battesimo), che ha un carattere dottrinale e dialettico, e va dall'introito al credo.
3. Messa dei Fedeli (perché riservata ai soli battezzati) é il sacrificio propriamente detto.