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Eresie ed eretici nella storia

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2007 12:02
12/05/2006 01:09
 
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Donato di Numidia (ca.270 - ca.355) e donatismo



Durante o dopo le grandi persecuzioni del III e IV secolo, la Chiesa Cristiana si era spesso interrogata sull'atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che, per vari motivi, si erano sottratti al martirio, tortura o imprigionamento, facendo apostasia, cioè rinnegando la propria fede, ma che, passata la tempesta, avevano domandato di essere riammessi nella Chiesa.
In latino, costoro venivano chiamati lapsi, cioè caduti e si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano che essi avevano sacrificato agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


La corrente degli intransigenti, come Novaziano intorno al 250 e Melezio di Licopoli intorno al 305, era per la linea dura: nessun perdono né per i lapsi né per coloro che avevano commesso peccati mortali.
La posizione ufficiale della Chiesa, ribadita nel Concilio di Elvira del 305, era invece orientata, con alcune distinzioni, ad una nuova accoglienza previa penitenza, come era stato suggerito nel 250 da Cipriano, vescovo di Cartagine. Ironia della sorte però, fu proprio Cipriano ad introdurre il tema, che diede il via, circa 60 anni più tardi, allo scisma donatista, e cioè se i sacramenti amministrati da un sacerdote, reo di essere stato un apostata, erano considerati validi o meno.
Nel 311, morì il vescovo di Cartagine, Mensurio e al suo posto fu eletto il suo diacono, Ceciliano.
Il problema era che ambedue i prelati erano stati dei traditores durante le persecuzioni di Diocleziano e quindi contro questa nomina si ribellò un gruppo di 70 vescovi con a capo il vescovo di Numidia , Donato, nato a Casae Nigrae (Case Nere) nel 270 ca., e soprannominato “il Grande” per la sua notevole capacità di eloquenza.
D. e gli altri vescovi nominarono vescovo di Cartagine, il prete Maggiorino, parente della nobile Lucilia, gran protettrice del neonato movimento. Maggiorino morì pochi mesi più tardi e gli successe D. stesso, che diede il nome di donatisti ai seguaci di questo scisma.
Al di là delle questioni religiose, questo movimento riuniva una miscela esplosiva di nazionalismo punico (cioè della zona attualmente corrispondente alla Tunisia e alla Libia), ostilità verso Roma e volontà di rivalsa delle classi più deboli.Nel 313, l'imperatore Costantino prese posizione a favore di Ceciliano in due lettere scritte al suo proconsole Anulino, ma a questa decisione i donatisti si opposero con una tale forza che, volendo dirimere la questione cartaginese, Costantino fece convocare un concilio a Roma, dal 2 al 4 Ottobre 313 in domo Faustae in Laterano, cioè nel Palazzo del Laterano, futura sede del Papa.
Il concilio, presieduto dal Papa Milziade, condannò D. e confermò come vescovo Ceciliano, tuttavia, al rientro di D., in patria si scatenarono le reazioni dei suoi sostenitori.
Costantino convocò allora, nel 314, un altro concilio ad Arles in Francia, e qui vennero riconfermate le decisioni del concilio di Roma e in più si condannò l'usanza donatista di ribattezzare i peccatori.
A questo punto, tra il 317 ed il 321, si scatenò la repressione imperiale e si cercò con la forza di sopprimere il movimento, espropriando le chiese donatiste e mandandone in esilio i capi.
Ci furono anche diversi morti, ma anche la reazione dei donatisti non si fece attendere. In particolare scesero in campo i circoncellioni o agonisti, vero e proprio braccio armato (sebbene spesso solo di bastoni) del movimento donatista.
Dal 321 Costantino, scoraggiato dal fatto che le misure intraprese non avevano portato alla pace sperata, lasciò una relativa libertà di coscienza e di culto al movimento, anche perché alle prese con una minaccia ben più grave all'unità della Chiesa Cristiana: l'arianesimo.
Dopo qualche anno, il nuovo imperatore Costanzo II, ansioso, come il padre, di pacificare l'Africa, mandò, nel 347, due commissari, Paolo e Macario, con larghe somme di denaro per “convincere” alcuni influenti donatisti a tornare in seno alla Chiesa cattolica.
L'azione fu considerata un vero e proprio affronto da parte di D., ma i disordini che ne seguirono furono il pretesto per una dura repressione da parte degli imperiali: D. stesso fu mandato in esilio dove morì, di morte naturale, nel 355.
A D. subentrò, come successore, Parmeniano, riorganizzatore del movimento e vendicatore, durante il regno dell'imperatore Giuliano nel 362, delle persecuzioni subite dai donatisti: ci furono i soliti massacri questa volta a carico dei cristiani ortodossi.
Nuovo cambio di rotta con gli imperatori Valentiniano nel 373, e Graziano nel 377, che ordinarono la restituzione dei beni ai Cattolici.
Ma il segreto della sconfitta donatista fu l'intervento di due teologi: Sant'Ottato (Optato) di Milevi (l'odierna Mila, in Algeria) (m. ca. 385), autore di De schismate Donatistarum e soprattutto Sant'Agostino (354-430), il “martello dei donatisti”: quest'ultimo, diventato vescovo di Ippona (oggi in Algeria) nel 395, si impegnò a combattere contro i donatisti per parecchi decenni. Agostino fu il trionfatore della disputa di Cartagine del 411 (un dibattito tra cattolici e donatisti) e domandò pubblicamente che il potere dello stato venisse usato contro i donatisti.
Questo fu la prima volta nella storia del Cristianesimo che il potere politico interveniva a difesa del potere religioso per reprimere un'eresia.
Il successivo decreto dell'imperatore Onorio del 412 condannò i donatisti, confiscò le loro proprietà e mandò in esilio i suoi vescovi, dando un colpo mortale al movimento. A questo si aggiunse nel 429 l'invasione del province romane del Nord Africa da parte dei Vandali.
Tuttavia alcune frange di donatismo resistettero fino all'invasione araba e alla conquista di Cartagine da parte delle truppe dell'Islam nel 698. Il movimento fu quindi definitivamente assorbito dall'islamismo, di cui influenzò il concetto di martirio per fede religiosa.
12/05/2006 10:27
 
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“Tradizione o tradimento”.
In questo interessante articolo don Nicola Bux (Vice Direttore dell'Istituto di Teologia Ecumenica San Nicola di Bari e Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede) e don Salvatore Vitiello (docente all’Istituto superiore di Scienze religiose a Torino) commentano la catechesi di Papa Benedetto sulla Tradizione e Successione Apostolica e la rilevanza di questo pilastro della nostra religione cattolica anche in rapporto all'eresia.

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Tradizione o tradimento”.

VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello -

“Tradizione o tradimento”


Per impedire anche di questi tempi quella che Paolo VI definì “l’autodemolizione della Chiesa”, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato proprio sul tema della Chiesa la nuova serie di catechesi. Si deve guardare alla Chiesa come a un mistero da accogliere; per questo c’è la Tradizione Apostolica, ovvero la trasmissione fino a noi della verità di Gesù Cristo su Dio e sull’uomo che gli Apostoli hanno per primi ricevuto e consegnato ai successori. L’essere inviati (in greco apostellein) implica il compito di fare discepoli tutti i popoli mediante il battesimo e la trasmissione di tutto quello che il Signore ha insegnato, nella certezza che Egli è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,19-20). Secondo questa totalità la Chiesa è cattolica. Tale trasmissione è un movimento incessante. La Chiesa stessa - che nell’etimo greco significa convocazione da ogni parte - è un movimento: lo ha detto Giovanni Paolo II. Perciò non può essere ridotta alle epoche che ha attraversato. Quando si comincia a scegliere la Chiesa antica piuttosto che quella medievale o moderna, un millennio invece di un altro, oppure una verità di fede o parte di essa a preferenza di un’altra o contro un’altra, si passa dalla tradizione al tradimento. Per i Padri, proprio tale scelta (in greco airesis) era l’eresia.
Così, in campo ecumenico si è idealizzata la Chiesa del primo millennio o una nuova Chiesa; in campo liturgico si è vagheggiata la liturgia delle origini, come corrispondente all’ecclesiologia di comunione, diventata quasi una ideologia. Ci si è attardati a mettere un Papa contro l’altro, finendo per rimanere “un Papa indietro”. Si ricorda quanti, al momento dell’elezione, bollarono Giovanni Paolo II di tradizionalismo ? Avviene ora per Benedetto XVI. Sennonché, a un anno dalla sua elezione, gli “interpreti confusi” del Concilio Vaticano II o della “discontinuità” della Chiesa, cominciano a muovere ‘Contro Ratzinger’ su più fronti in nome dello ‘spirito del Concilio’. La parola d’ordine è: ‘non spegnere lo spirito’. Tutto si svolge all’ombra di comunità ecumeniche dove sembra che persino taluni Vescovi vadano ad ispirarsi meglio che a piazza san Pietro; sotto le ali di centri culturali o sociali che riducono il Cristianesimo, per dirla con lo storico francese Alain Becançon “nell’anchilosi tra religione umanitaria e religione democratica”. Dirsi cattolici è diventato antiquato, meglio ecumenici.
Che fare? Bisogna proclamare sui tetti ciò che viene detto nel segreto. E’ più di prima l’ora del dibattito, del confronto franco sugli argomenti, consci che la Chiesa è prima di noi e non comincia con noi. In primis, bisogna dire che il Magistero è sempre del Papa e non di un Papa; dei Vescovi uniti con Lui nella communio della parola e della liturgia e non nelle interviste di uno solo; che l’Eucaristia è sempre apostolica, proveniente nella sua forma dagli Apostoli e nessuno la può rendere più attraente con la sua creatività (cfr Enciclica Ecclesia de Eucaristia, cap.III); soprattutto, come dice Agostino, che gli spazi della carità devono dilatarsi come opera della Chiesa, non solo di qualche sua organizzazione.
Se avremo l’umiltà di non sentirci più grandi degli Apostoli, se crederemo quello che sempre, da tutti e dovunque fu creduto, allora la Tradizione Apostolica continuerà la sua corsa, in specie verso i giovani di tutte le nazioni: perché, disse Balthasar, Gesù Cristo è cattolico. Il pluralismo? Nella Chiesa è ovvio come il fatto che gli Apostoli sono Dodici, ma non è articolo di fede. Lo è invece la comunione: essere sempre un cuor solo e un’anima sola. In tal modo, la Tradizione Apostolica coincide col Cristianesimo: l’obbedienza a quella forma d’insegnamento, affermava l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, a cui siamo stati consegnati.

[Modificato da Discipula 12/05/2006 11.36]

19/05/2006 12:48
 
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San Cipriano di Cartagine (ca. 210 - 258)


San Cipriano di Cartagine (ca. 210 - 258)




Tascio Ceciliano Cipriano, uno scrittore pagano di retorica, si convertì al Cristianesimo ca. nel 246 e solo due anni dopo divenne vescovo di Cartagine.
Nel 249, all'inizio delle persecuzioni, ordinate dall'imperatore Decio, C. fuggì per poi tornare nel 251 a Cartagine. Qui si trovò a fronteggiare il problema dei lapsi (caduti), coloro i quali avevano negato la fede cristiana durante la persecuzione.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti che attestavano (falsamente) che avevano sacrificato agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


C. si lamentò che la Chiesa riammettesse con troppa leggerezza i lapsi, senza una minima penitenza, istituì una disciplina a riguardo e scomunicò nove sacerdoti, che avevano perdonato con troppa tempestività.
Anche a Roma, Papa Cornelio (251-253) adottò questa procedura con penitenza, ma fu contestato duramente da un gruppo di rigoristi, contrari a qualsiasi perdono per gli apostati, con a capo il presbitero romano Novaziano, che creò una Chiesa scismatica scomunicata dallo stesso Cornelio nell'Ottobre del 251.
A Cartagine, nel frattempo, C. si trovò a dover combattere contro un gruppo di lapsi e di sacerdoti scomunicati, guidati da Novato, che nel 252 elessero un loro vescovo, Fortunato, successivamente riconosciuto da ca. 25 vescovi della regione. Sorprendentemente, qualche tempo dopo, gli estremi si allearono: Novato si unì alla Chiesa di Novaziano.
Si suppone che la situazione evolvesse positivamente per C., perché due anni dopo, nel 254, egli era ancora saldamente al suo posto e pronto a dare battaglia su un altro punto riguardante i lapsi.
Infatti, per cercare di portare un po' di serenità nella Chiesa, il neo eletto Papa Stefano I (254-257) aveva deciso di far ribattezzare i lapsi e aveva proclamato che questo sacramento era valido anche se era stato eseguito da preti scomunicati: Stefano comunicò la sua decisione a C., intimandogli di attenersi alla disposizione in questione.
C. prese malissimo l'aut - aut e convocò un concilio di vescovi africani, sempre molto gelosi della loro indipendenza gerarchica: simile atteggiamento si ebbe anche durante il periodo dei donatisti.
Il sinodo africano affermò l'autonomia nelle decisioni e il convincimento che il battesimo amministrato dagli scomunicati era nullo. La situazione precipitò e dopo un secondo concilio nel 256, Stefano scomunicò C.
Ma erano tempi bui per il Cristianesimo e, poco dopo, durante le persecuzioni di Valeriano (257-258), furono martirizzati sia Stefano, il 2 Agosto 257, che Cipriano il 14 Settembre 258. Con la morte di C., passò nell'oblio la scomunica inflittagli ed anzi egli fu proclamato santo, come anche il suo avversario Stefano.

19/05/2006 12:49
 
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Novaziano (antipapa) (m.ca. 257) e novazianismo


Novaziano (antipapa) (m.ca. 257) e novazianismo

La vita
Novaziano, presbitero di Roma, era nato pagano ed aveva studiato filosofia stoica, prima di convertirsi al Cristianesimo. Fu battezzato quasi in punto di morte, in seguito ad una possessione demoniaca (dal quale, però, in seguito guarì) e con questo solo sacramento ricevuto, fu nominato prete da Papa San Fabiano (236-250), nonostante le proteste del clero romano.
Uomo potente ed influente della Chiesa Cattolica, N. prese posizione nella polemica contro i modalisti e i sabelliani, scrivendo il De Trinitate, un libro in otto capitoli, in cui cadde, come molti in quel periodo, in un eccesso di difesa della divinità del Figlio. Questo lo portò ad allinearsi alle posizioni subordinazioniste, per non dover scivolare nel diteismo (due Dei separati).
Nel 249-251, la persecuzione contro i cristiani ordinata dall'imperatore Decio aveva creato un vuoto di potere nella Chiesa Cristiana: il 20 Gennaio del 250 era stato martirizzato il papa San Fabiano, e la sede vacante durò per più di un anno.
In questo periodo la Chiesa fu gestita da diversi presbiteri, uno dei quali era lo stesso N.
Sul suo comportamento durante le persecuzioni deciane, si racconta che avesse negato il conforto ai fratelli in pericolo, affermando che non desiderava esser più un prete. Tuttavia, bisogna tenere conto che la maggior parte delle informazioni su N. fu riportata da Papa Cornelio (251-253), che aveva più di un motivo per mettere in cattiva luce il suo nemico ed antagonista.
Infatti, era successo che improvvisamente, nel marzo del 251, fosse morto l'imperatore Decio e che la Chiesa Cristiana avesse ritenuto il momento opportuno per nominare il nuovo papa, per l'appunto Cornelio, un aristocratico romano d'idee moderate.
N. accusò il colpo, poiché non faceva mistero di ambire lui stesso al seggio di San Pietro e si fece eleggere papa (o meglio antipapa) da tre vescovi, fatti venire dagli angoli più lontani dell'Italia e immediatamente dichiarati decaduti dal loro ruolo da Cornelio, che, inoltre, reagì scomunicando N. nell'Ottobre del 251.
N. era il secondo antipapa della storia del Cristianesimo, dopo S. Ippolito, del quale alcuni studiosi ritengono che N. fosse un allievo, e fondò anche una Chiesa novazianista, denominata Chiesa dei Santi.
All'inizio sembrava che la situazione prendesse solamente la piega di uno scisma, ma ben presto si delinearono i contorni di un'eresia, quando N. si pronunciò sui lapsi (caduti), coloro i quali avevano negato la fede cristiana durante la persecuzione deciana, nei confronti dei quali N. era orientato alla massima inflessibilità e in ciò assomigliava al suo (supposto) maestro, Ippolito.


Molti vescovi, tra cui Cipriano di Cartagine, scelsero una procedura con penitenza per la riammissione dei lapsi nella Chiesa, ma N., come si è detto, era per il rifiuto d'ogni compromesso. Per lui, la Chiesa doveva negare il perdono, una facoltà concessa solo a Dio, sia ai lapsi, che a coloro che avevano commesso peccato mortale (idolatria, omicidio e adulterio), anche se facevano penitenza.
Quest'atteggiamento ricordava una simile intransigenza del movimento dei montanisti ed in effetti, i seguaci di N. mostravano simpatia per i montanisti, leggevano spesso le opere di Tertulliano e addirittura in Frigia i due movimenti si fusero in un'unica struttura.
N. morì nel 257 ca., probabilmente in seguito alle persecuzioni dei cristiani da parte dell'imperatore Valeriano: nello stesso periodo (258) morì anche Cipriano di Cartagine.


I novazianisti
I seguaci di N. furono i primi a chiamarsi katharoi (i puri), termine usato poi nel XII - XIV secolo dai Catari. Furono alquanto numerosi e sopravvissero fino al VII secolo, particolarmente in Oriente, nominando i propri vescovi e i vari successori di N. a Roma.
Oltre che ad applicare alcuni precetti montanisti, come già detto, non impartivano la cresima e proibivano ai vedovi di risposarsi.
Al concilio di Nicea, aderirono alla tesi ufficiale dell'homooùsios (Cristo era identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), ma Costantino intimò loro di rientrare nei ranghi dell'ortodossia, mentre, nel 359, paradossalmente furono perseguitati alla stregua dei cattolici da parte dell'imperatore Costanzo, che cercava di imporre la formula di Acacio di Cesarea.
Successivamente furono perseguitati dall'imperatore Valente nel 378, e da Onorio nel 412, e tuttavia la loro presenza fu ancora segnalata in Alessandria d'Egitto fin verso il 600.


19/05/2006 12:51
 
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San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il Grande (ca. 190 - ca. 264)


San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il Grande

Nell'ambito della discussione sui lapsi, coloro i quali avevano abiurato la fede cristiana durante le persecuzioni, ordinate dall'imperatore Decio nel 249-251, assunse una certa importanza il vescovo di Alessandria, Dionisio (o Dionigi).
D. era nato ca. nel 190 da una famiglia pagana di nobili origini e divenne cristiano in gioventù. Studiò alla scuola di catechismo e di teologia di Alessandria, il celebre Didaskaleion, sotto la guida di Origene, e dal 231, data dell'espulsione di quest'ultimo, completò i suoi studi con Eracle, successore di Origene. Alla morte del vescovo Demetrio, Eracle fu nominato al suo posto e D. divenne capo del Didaskaleion. A sua volta, D. successe ad Eracle come vescovo di Alessandria nel 247-8.
Nel 249, scoppiò una tremenda persecuzione dei cristiani, iniziata negli ultimi mesi dell'impero di Filippo l'Arabo, e poi legalizzata dal nuovo imperatore Decio.
D. fu arrestato dal prefetto Sabino, ma, mentre veniva portato in prigione, fu liberato da un gruppo di cristiani e ospitato in un luogo imprecisato nel deserto della Libia fino alla cessazione delle persecuzioni nel 251.
Rientrato nella sua sede, D. fu coinvolto nelle discussioni che portarono alla scissione della Chiesa dei santi di Novaziano, opposto a Papa Cornelio (251-253), che D. appoggiò nel suo intento di riammettere i lapsi previo pentimento.
Nel 257 una nuova persecuzione dei cristiani, ordinata dall'imperatore Valeriano, provocò un ulteriore esilio in un luogo sicuro di D., il quale rientrò ad Alessandria solo in seguito all'atto di tolleranza dell'imperatore Gallieno del 260. Una sorte ben peggiore toccò al Papa Stefano I, martirizzato il 2 Agosto 257, e a Cipriano di Cartagine, ucciso il 14 Settembre 258.
Cipriano aveva in comune varie cose con D.: erano ambedue pagani convertiti, avevano parteggiato per il riaccoglimento dei lapsi, avevano discusso e litigato con i papi dell'epoca (Cipriano con Stefano I, Dionisio con il suo omonimo papa Dionisio I), erano stati ambedue scomunicati, ma, passato tutto nel dimenticatoio, erano stati infine canonizzati.
La scomunica di D. risalì al periodo in cui egli prese una decisa posizione contro il modalismo, rappresentato all'epoca da Sabellio. Per difendere la Trinità dall'attacco modalista di essere solo o tre modi di rivelazione in cui si manifestava, o attributi dati a Dio Padre, D. reagì troppo nella direzione opposta, finendo in una posizione eretica.
Infatti egli, seguendo gli insegnamenti del suo maestro Origene, affermò che il Figlio era qualcosa di creato (poiema) e quindi subordinato al Padre; inoltre, come tale, Egli era una persona distinta, nella sostanza, dal Padre stesso. Per D., il Padre era eterno e non generato, mentre il Figlio era “il primo generato” o “l'unico generato” (o Unigenito).
Per questo suo teorema, D. fu considerato uno dei padri dell'arianesimo, ma, condannato dal suo omonimo papa, D. fu costretto a chiarire il suo pensiero ed a correggere l'attributo di Cristo in “eternamente generato”.
Inoltre, D. si rifiutò di inserire l'Apocalisse di Giovanni tra i libri canonici del Nuovo Testamento, in quanto contrario all'idea chiliastica, cioè dell'imminente ritorno di Cristo, che avrebbe segnato l'inizio di un regno sulla terra di mille anni. La sua critica pungente fece sì che l'Apocalisse fosse accettata, in seguito, dalle Chiese orientali solo molto tempo dopo le Chiese occidentali.
Infine, in occasione del primo sinodo di Antiochia del 264, indetto per condannare le teorie adozioniste di Paolo di Samosata, D. fu chiamato a partecipare, ma rifiutò in quanto stanco e malato e morì nello stesso anno (secondo alcuni autori, l'anno successivo, e più precisamente il 21 Novembre).
03/06/2006 13:06
 
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Melezio di Licopoli (m.ca.328) e i meleziani



Melezio fu nominato vescovo di Licopoli in Egitto nel 303 ca. e rivestì un importante ruolo nella polemica, che riguardava il riaccoglimento da parte della Chiesa dei lapsi (caduti), i cristiani, cioè, che durante la loro persecuzione (nella fattispecie quella di Diocleziano del 303-311) avevano abiurato e sacrificato agli dei.

M., come Novaziano ca. 50 anni prima e come Donato di Numidia qualche anno dopo, era per la linea dura di non perdonare né i lapsi né coloro che avevano commesso un peccato mortale, ma per questo entrò in rotta di collisione con il proprio superiore, il vescovo d'Alessandria, Pietro, che lo espulse dalla Chiesa nel 306 e lo scomunicò nel 307, anche perché M. aveva creato, nel frattempo, nel 304 (o 305), la propria Chiesa dei Martiri Confessori.
M. aveva approfittato del vuoto di potere a Roma: c'era stato, infatti, un lungo (4 anni) periodo di sede vacante, derivato dalle cruente persecuzioni ordinate da Diocleziano, dopo la morte nel 304 di Papa Marcellino (su cui, per altro, gravava il sospetto di essere stato un traditor).
La Chiesa dei Martiri Confessori fu ortodossa dal punto di vista dogmatico, ma scismatica per il rifiuto di sottomettersi a qualsiasi autorità religiosa superiore: oltrettutto M. si mise ad ordinare preti ed altre cariche religiose. Tra gli altri, fu membro della sua Chiesa anche Ario, il quale, nel 306, durante il sinodo che portò all'espulsione di M. dalla Chiesa Cristiana, prese le sue difese contro il vescovo d'Alessandria.
In seguito alle persecuzioni diocleziane, M. fu deportato in Palestina nel 308 e poté ritornare in Egitto solo nel 311, accolto trionfalmente dai suoi fedeli.
Entro il 325, i meleziani avevano ordinato 29 vescovi in Egitto (in particolare in Alessandria), 4 preti, 3 diaconi ed 1 cappellano militare, ma proprio nel 325, al concilio di Nicea, M. fu obbligato a riconciliarsi con la Chiesa ufficiale dall'imperatore Costantino, che lo lasciò nel suo incarico di vescovo di Licopoli.
M. morì probabilmente nel 328 ca., ma la sua chiesa rimase attiva in Egitto fino al VIII secolo, abbracciando, successivamente, il monofisismo della Chiesa Copta e fondendosi con essa.
03/06/2006 13:08
 
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Donato di Numidia (ca.270 - ca.355) e donatismo


Durante o dopo le grandi persecuzioni del III e IV secolo, la Chiesa Cristiana si era spesso interrogata sull'atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che, per vari motivi, si erano sottratti al martirio, tortura o imprigionamento, facendo apostasia, cioè rinnegando la propria fede, ma che, passata la tempesta, avevano domandato di essere riammessi nella Chiesa.
In latino, costoro venivano chiamati lapsi, cioè caduti e si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano che essi avevano sacrificato agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


La corrente degli intransigenti, come Novaziano intorno al 250 e Melezio di Licopoli intorno al 305, era per la linea dura: nessun perdono né per i lapsi né per coloro che avevano commesso peccati mortali.
La posizione ufficiale della Chiesa, ribadita nel Concilio di Elvira del 305, era invece orientata, con alcune distinzioni, ad una nuova accoglienza previa penitenza, come era stato suggerito nel 250 da Cipriano, vescovo di Cartagine. Ironia della sorte però, fu proprio Cipriano ad introdurre il tema, che diede il via, circa 60 anni più tardi, allo scisma donatista, e cioè se i sacramenti amministrati da un sacerdote, reo di essere stato un apostata, erano considerati validi o meno.
Nel 311, morì il vescovo di Cartagine, Mensurio e al suo posto fu eletto il suo diacono, Ceciliano.
Il problema era che ambedue i prelati erano stati dei traditores durante le persecuzioni di Diocleziano e quindi contro questa nomina si ribellò un gruppo di 70 vescovi con a capo il vescovo di Numidia , Donato, nato a Casae Nigrae (Case Nere) nel 270 ca., e soprannominato “il Grande” per la sua notevole capacità di eloquenza.
D. e gli altri vescovi nominarono vescovo di Cartagine, il prete Maggiorino, parente della nobile Lucilia, gran protettrice del neonato movimento. Maggiorino morì pochi mesi più tardi e gli successe D. stesso, che diede il nome di donatisti ai seguaci di questo scisma.
Al di là delle questioni religiose, questo movimento riuniva una miscela esplosiva di nazionalismo punico (cioè della zona attualmente corrispondente alla Tunisia e alla Libia), ostilità verso Roma e volontà di rivalsa delle classi più deboli.
Nel 313, l'imperatore Costantino prese posizione a favore di Ceciliano in due lettere scritte al suo proconsole Anulino, ma a questa decisione i donatisti si opposero con una tale forza che, volendo dirimere la questione cartaginese, Costantino fece convocare un concilio a Roma, dal 2 al 4 Ottobre 313 in domo Faustae in Laterano, cioè nel Palazzo del Laterano, futura sede del Papa.
Il concilio, presieduto dal Papa Milziade, condannò D. e confermò come vescovo Ceciliano, tuttavia, al rientro di D., in patria si scatenarono le reazioni dei suoi sostenitori.
Costantino convocò allora, nel 314, un altro concilio ad Arles in Francia, e qui vennero riconfermate le decisioni del concilio di Roma e in più si condannò l'usanza donatista di ribattezzare i peccatori.
A questo punto, tra il 317 ed il 321, si scatenò la repressione imperiale e si cercò con la forza di sopprimere il movimento, espropriando le chiese donatiste e mandandone in esilio i capi.
Ci furono anche diversi morti, ma anche la reazione dei donatisti non si fece attendere. In particolare scesero in campo i circoncellioni o agonisti, vero e proprio braccio armato (sebbene spesso solo di bastoni) del movimento donatista.
Dal 321 Costantino, scoraggiato dal fatto che le misure intraprese non avevano portato alla pace sperata, lasciò una relativa libertà di coscienza e di culto al movimento, anche perché alle prese con una minaccia ben più grave all'unità della Chiesa Cristiana: l'arianesimo.
Dopo qualche anno, il nuovo imperatore Costanzo II, ansioso, come il padre, di pacificare l'Africa, mandò, nel 347, due commissari, Paolo e Macario, con larghe somme di denaro per “convincere” alcuni influenti donatisti a tornare in seno alla Chiesa cattolica.
L'azione fu considerata un vero e proprio affronto da parte di D., ma i disordini che ne seguirono furono il pretesto per una dura repressione da parte degli imperiali: D. stesso fu mandato in esilio dove morì, di morte naturale, nel 355.
A D. subentrò, come successore, Parmeniano, riorganizzatore del movimento e vendicatore, durante il regno dell'imperatore Giuliano nel 362, delle persecuzioni subite dai donatisti: ci furono i soliti massacri questa volta a carico dei cristiani ortodossi.
Nuovo cambio di rotta con gli imperatori Valentiniano nel 373, e Graziano nel 377, che ordinarono la restituzione dei beni ai Cattolici.
Ma il segreto della sconfitta donatista fu l'intervento di due teologi: Sant'Ottato (Optato) di Milevi (l'odierna Mila, in Algeria) (m. ca. 385), autore di De schismate Donatistarum e soprattutto Sant'Agostino (354-430), il “martello dei donatisti”: quest'ultimo, diventato vescovo di Ippona (oggi in Algeria) nel 395, si impegnò a combattere contro i donatisti per parecchi decenni. Agostino fu il trionfatore della disputa di Cartagine del 411 (un dibattito tra cattolici e donatisti) e domandò pubblicamente che il potere dello stato venisse usato contro i donatisti.
Questo fu la prima volta nella storia del Cristianesimo che il potere politico interveniva a difesa del potere religioso per reprimere un'eresia.Il successivo decreto dell'imperatore Onorio del 412 condannò i donatisti, confiscò le loro proprietà e mandò in esilio i suoi vescovi, dando un colpo mortale al movimento. A questo si aggiunse nel 429 l'invasione del province romane del Nord Africa da parte dei Vandali.Tuttavia alcune frange di donatismo resistettero fino all'invasione araba e alla conquista di Cartagine da parte delle truppe dell'Islam nel 698. Il movimento fu quindi definitivamente assorbito dall'islamismo, di cui influenzò il concetto di martirio per fede religiosa.
03/06/2006 13:10
 
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Parmeniano (vescovo donatista) (IV secolo)


Rovine di Cartagine

Parmeniano, vescovo donatista di Cartagine, fu il successore di Donato, dopo che il fondatore del movimento fu mandato in esilio dietro ordine dell'imperatore Costanzo II nel 348.
Egli riorganizzò il movimento e durante il regno dell'imperatore Giuliano, nel 362, gli fu data la possibilità di vendicare le persecuzioni subite dai donatisti: furono loro restituite le chiese, prontamente lavate per essere riconsacrate e ci furono purtroppo i soliti massacri questa volta a carico dei cristiani ortodossi.
P. fu anche l'avversario religioso di Sant'Optato (Ottato) di Milevi (m. ca. 387), contestatore delle tesi donatiste di P. nel lavoro De schismate Donatistarum. Tuttavia Sant'Optato chiamò P. “fratello”, perché, contrariamente a Sant'Agostino, riteneva che i donatisti non fossero eretici, ma solo scismatici.
03/06/2006 13:11
 
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Circoncellioni (o circumcellioni) o agonistici (IV secolo)



I Circoncellioni erano bande di ex contadini fanatici religiosi, probabilmente di razza berbera, collegati al movimento donatista del IV secolo e diffusi soprattutto in Numidia.Il loro nome derivò dal latino circum cellae, poiché loro sostavano spesso intorno alle tombe, o più precisamente, intorno ai magazzini di derrate alimentari vicino alle chiese contenenti le tombe dei martiri. Furono chiamati anche agonistici (lottatori).
Erano armati principalmente di bastoni e sfogavano la loro aggressività, attaccando al grido di Deo laudes e prendendo a bastonate i cattolici oppure i proprietari terrieri o gli agenti delle tasse o infine assaltando ville e chiese cattoliche.
I C. si erano votati al martirio, anche attraverso il suicidio attuato gettandosi da precipizi o annegandosi o mediante un'altra tecnica estrema di martirio: quella di fermare un passante e minacciare di ucciderlo, se questi, a sua volta, non avesse ucciso il C. stesso.
Le ripetute azioni dei C., sotto il comando di Axido e Fasir, infastidirono gli stessi donatisti, che chiesero l'intervento militare delle truppe del generale Taurino per combattere gli eccessi. Taurino sconfisse i C. ad Ottava, in Numidia, ma essi rimasero comunque il braccio armato dei donatisti per parecchio tempo.
10/06/2006 14:31
 
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Ario (ca. 256-336)



Ario fu il più famoso eresiarca del IV secolo e diede il nome alla dottrina, grande alternativa del credo cattolico nel mondo cristiano dell'epoca, tuttavia egli non contribuì granché allo sviluppo teologico di questo pensiero.
Ario nacque in Libia nel 256 ca., e poco si sa della prima parte della sua vita: è probabile che avesse studiato presso la scuola di Luciano di Antiochia, dove conobbe sia Asterio di Cappadocia che Eusebio di Nicomedia.
Nel 306 A. prese le parti di Melezio di Licopoli, fondatore della Chiesa dei martiri confessori, di cui A. faceva parte, contro il vescovo di Alessandria, Pietro, con il quale, però, A. si riconciliò in seguito, tant'è vero che fu ordinato diacono da Pietro stesso nel 311.
Nel 313, A. fu fatto presbitero dal successore di Pietro, Achilleo, e chiamato a condurre una chiesa nel rione Baucalis di Alessandria.
S'impegnò a fondo nel combattere alcune eresie come lo Gnosticismo e il Modalismo o Sabellianismo, ma nel 319 entrò in rotta di collisione con il suo nuovo vescovo, Alessandro, accusandolo di insegnare che il Figlio fosse identico al Padre, mentre A. oramai predicava i principi della sua dottrina, l'arianesimo.
Alessandro convocò nel 321 un sinodo di circa cento vescovi egiziani e libici e fece scomunicare A., fuggito nel frattempo in Palestina. Qui l'eresiarca scrisse una lettera a Eusebio di Nicomedia, da cui fu accolto a braccia aperte.
Eusebio creò un centro di riferimento per l'arianesimo nella propria diocesi e si fece promotore dell'arianesimo a livello di dispute teologiche; A., dal canto suo, come un moderno comunicatore, compose canzoni e slogan per propagandare le sue idee presso la gente comune, come i marinai e viaggiatori.
Nel frattempo la posizione degli ariani venne riforzata da alcuni sinodi locali, tenuti in Palestina e in Bitinia e vaorevoli ad A. e dal positivo ascendente di Eusebio sull'imperatore Costantino, che aveva legalizzato il Cristianesimo nel 313.
Dopo qualche anno, nel 325, l'imperatore si decise di convocare un concilio per dirimere la questione fra cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio Ecumenico (il primo della storia del Cristianesimo) ebbe luogo a Nicea ed iniziò il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi (secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte orientale dell'Impero.
A. comparve, portando un atto di fede, stracciato, tuttavia, in pubblico ed anche l'intervento di Eusebio non fu tra i più felici: egli lesse un documento, allineato sulle posizioni ariane, dove si affermava molto palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che, dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, dove, a proposito della natura di Cristo, si ribadiva il termine homooùsion (consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
L'arianesimo fu condannato, A. fu mandato in esilio in Illirico e i suoi libri bruciati.
Tuttavia i sostenitori dell'arianesimo, rimasti in maggioranza, persuasero l'imperatore a richiamare A. dall'esilio nel 331 (o 334) (Eusebio era già stato richiamato nel 328) ed a progettare un suo rientro nella Chiesa, dopo che A. era riuscito a convincere Costantino stesso della sua ortodossia in un colloquio privato.
Ma il vecchio eresiarca, oramai ottantenne, morì improvvisamente per strada a Costantinopoli nel 336.
10/06/2006 14:33
 
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Arianesimo (IV secolo)



La storia
L'Arianesimo prende il nome dal presbitero di Alessandria, Ario, il quale contribuì solo parzialmente allo sviluppo teologico di questo pensiero. Piuttosto la paternità del movimento va ricondotto al pensiero subordinazianalista o adozionista sviluppato da diversi teologi più o meno ortodossi del III secolo, come Paolo di Samosata, il suo pupillo Luciano di Antiochia e maestro di Ario, e San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria.
Ufficialmente l'a. prese avvio dal sinodo dei vescovi del 321, convocato da Alessandro, vescovo di Alessandria, che fece scomunicare Ario, reo di propagandare il suo pensiero eretico.
Quest'ultimo, fuggendo in Palestina, si rivolse al suo ex compagno di scuola, Eusebio di Nicomedia, il quale lo accolse a braccia aperte e creò un centro di riferimento per l'a. nella propria diocesi.
Fu proprio Eusebio il maggiore interprete e difensore dell'a.: asceso a posizioni di massimo livello della gerarchia della Chiesa, ebbe sempre un certo ascendente sull'Imperatore Costantino, che aveva legalizzato il Cristianesimo nel 313.
Costantino, influenzato da Eusebio, dapprima cercò di mediare la situazione, considerandola una pura disputa sulla terminologia cristologica, ma poi si decise di convocare il 1° (il primo della storia del Cristianesimo) Concilio Ecumenico a Nicea nel 325 per dirimere la questione fra cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio ebbe inizio il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi (secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte orientale dell'Impero.
Ario comparve, portando un atto di fede, stracciato, tuttavia, in pubblico ed anche l'intervento di Eusebio non fu tra i più felici: egli lesse un documento, allineato sulle posizioni ariane, dove si affermava molto palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che, dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, dove, per quanto concerne la natura di Cristo, si affermava il termine homooùsion (consustanziale, in altre parole, della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
L'a. fu condannato e Ario ed Eusebio furono mandati in esilio.
Nonostante la vittoria degli ortodossi al Concilio di Nicea, gli ariani rimasero comunque in tale maggioranza che nel 328 Costantino decise di richiamare Eusebio dall'esilio e di offrirgli il seggio di vescovo di Costantinopoli: il momento di massima gloria per Eusebio fu quando, nel 337, Costantino in punto di morte decise di farsi battezzare da lui, suo vescovo ariano.
Inoltre, dalla sua influente posizione, Eusebio si adoperò per riuscire a condannare, per diverse volte, all'esilio il suo mortale nemico, Atanasio, vescovo di Alessandria, quasi l'unico e strenuo difensore del homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea.
Nel 340, il Papa Giulio I (337-352) convocò un concilio a Roma, al quale parteciparono 50 vescovi, che riabilitarono Atanasio, considerato ingiustamente calunniato.
I vescovi ariani rifiutarono di partecipare ed organizzarono per contro un concilio ad Antiochia nel 341, sotto il coordinamento di Eusebio: venne proposto, senza molto successo, una formula di compromesso, che ponesse l'accento sulla coesistenza eterna di Cristo e del Padre, sorvolando, però, il punto controverso della consustanzialità (“il Figlio è della stessa essenza della divinità e della stessa volontà del Padre”).
Poco dopo questo concilio, nello stesso 341, Eusebio morì, mentre Ario era già morto nel 336.


La dottrina
L'insegnamento ortodosso del Cristianesimo ai tempi di Ario propugnava la dottrina di Dio Padre e Dio Figlio come due persone distinte con una sola essenza.
La principale preoccupazione di Ario era di negare che così potessero coesistere due Dei oppure che non si scivolasse nel modalismo, la dottrina dove si affermava che le persone della Trinità non erano altro che “modi” di essere e di agire dell'unico Dio.
Il fulcro dell'a. era invece la negazione della consustanzialità (stessa sostanza o homooùsios) del Figlio con Dio Padre.
Secondo Ario, il Padre era eterno, la sorgente, in altre parole, non originata di tutta la realtà, mentre il Figlio, sebbene fosse il primo nato fra tutte le creature e il creatore del mondo, era dissimile (anòmoios) ed inferiore al Padre in natura e dignità, perché generato e creato dal Padre stesso, prima di tutti i tempi. Tuttavia ci fu un tempo in cui il Figlio non c'era, come recitava una frase molto citata di Ario.


L'arianesimo dopo Ario ed Eusebio
In seguito alla morte di Eusebio, l'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino), convocò vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nell'ex Iugoslavia) per cercare di venire a capo delle interminabili dispute teologiche.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate furono addirittura quattro:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso, come si è detto, strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di Ancyra.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di Singiduno.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della sostanza. I seguaci del partito di Acacio si chiamarono omeisti.


L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di Basilio, ma successivamente, dopo il sinodo del 359, cercò di imporre la versione homoios di Acacio come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Contemporaneamente fece deporre e relegare a Berea in Tracia Papa Liberio (352-366). Al suo posto fu eletto l'antipapa, di ispirazione ariana, Felice II (355-365). Papa Liberio poté rientrare ad occupare la sua sede, solo dopo aver firmato un documento molto vicino alle tesi ariane.
Questo momento storico del Cristianesimo fu ben descritto da S. Girolamo nella sua frase: ”Il mondo, gemendo, stupì di trovarsi ariano”.
Il concilio di Seleucia, nel 359, al quale partecipò Acacio di Cesarea, oltre a 150/160 vescovi orientali, mostrò tutta la ben nota divisione nel partito ariano, e fu aggiornato dall'imperatore stesso a Costantinopoli, l'anno successivo, dove fu imposta la formula dell'homoios.
Ma nel 361, morì l'imperatore Costanzo e la situazione politica divenne poco chiara: paradossalmente l'ascesa di Giuliano l'Apostata (361-363) permise agli ortodossi niceni di serrare le fila: ad Atanasio fu permesso di ritornare ad Alessandria.
Nel concilio di Lampsaco del 364, indetto da Valentiniano I (364-375), imperatore della parte occidentale, le tesi ariane furono rigettate e i vescovi più in vista furono condannati, tuttavia la parte orientale dell'impero rimase ariana, sotto l'imperatore Valente (364-378, fratello di Valentiniano), lui stesso un ariano radicale.
Fu fondamentale, allora, l'azione dei tre grandi Padri Cappadoci [San Basilio (c.330-379), San Gregorio di Nissa (c.330-395) e San Gregorio di Nazianzo (329-389)], origenisti e strenui difensori del credo niceno, che iniziò a fare breccia nel blocco ariano.
Furono anche decisivi i due nuovi imperatori, Graziano (375-383) ad occidente, ma soprattutto Teodosio (379-395), ad oriente, cattolici convinti, a far pendere l'ago della bilancia a favore del Cattolicesimo ortodosso.
Teodosio convocò nel 381 il 1° Concilio di Costantinopoli, gettando le basi di quel credo niceno-costantinopolitano, fulcro del Cristianesimo, imposto nel 391 come nuova religione di Stato.
Inoltre nel 394, Teodosio diventò l'unico imperatore e impose l'ortodossia su tutto l'impero.
Tuttavia, l'a. diventò religione predominante per i popoli germanici: i Goti, convertiti da Ulfilas il Goto, ma anche i Burgundi, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Longobardi, i Vandali mantennero per diversi secoli il loro credo ariano, per poi essere gradualmente riassorbiti dall'ortodossia: solo entro la fine del VIII secolo, l'a. si poté definire scomparso.


L'arianesimo moderno
Dopo svariati secoli, vi fu un certo revival dell'arianesimo alla fine del XVII secolo, nel pensiero di Samuel Clarke (1675-1729), mentre oggigiorno la corrente religiosa protestante, erede più diretto dell'arianesimo è l'unitarianismo.
17/06/2006 00:20
 
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Eusebio di Nicomedia (ca. 280-341)



Vescovo di Nicomedia, fu il leader del partito ariano nella prima metà del IV secolo.
Probabilmente E. incontrò Ario, quando ambedue frequentavano la scuola di Luciano di Antiochia e da quest'ultimo furono convinti che il Figlio di Dio non poteva essere Dio, in quanto Egli era stato creato da Dio Padre, concetto, poi, ripreso da Ario.
E., in seguito, ascese a posizioni di massimo livello della gerarchia della Chiesa: il suo ascendente sull'Imperatore Costantino, che aveva legalizzato il Cristianesimo nel 313, fu elevato e gli permise di rinforzare la posizione degli ariani, a tal punto che Costantino si decise di convocare il 1° Concilio Ecumenico a Nicea nel 325 per dirimere la questione fra cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio ebbe inizio il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi (secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte orientale dell'Impero.
L'intervento di E. non fu tra i più felici: egli lesse un documento, che riassumeva le posizioni ariane, affermando molto palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che, dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, che, per quanto concerne la natura di Cristo, proponeva il termine homooùsion (consustanziale, in altre parole della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
L'arianesimo fu condannato e Ario ed E. furono mandati in esilio.
Ma, nonostante la vittoria degli ortodossi al Concilio di Nicea, gli ariani rimasero in tale maggioranza, che nel 328 Costantino decise di richiamare E. dall'esilio e di offrirgli il seggio di vescovo di Costantinopoli: il momento di massima gloria per E. fu quando, nel 337, Costantino in punto di morte decise di farsi battezzare da lui, suo vescovo ariano.
Inoltre, dalla sua influente posizione, E. si adoperò per contrastare il suo mortale nemico, Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, riuscendo più volte a farlo condannare all'esilio.
Nel 340, Papa Giulio I (337-352) convocò un concilio a Roma, al quale parteciparono 50 vescovi, che riabilitarono Atanasio, considerato ingiustamente calunniato.
I vescovi ariani rifiutarono di partecipare ed organizzarono per contro un concilio ad Antiochia nel 341, sotto il coordinamento di E., dove venne proposto, senza molto successo, una formula di compromesso, che ponesse l'accento sulla coesistenza eterna di Cristo e del Padre, sorvolando, però, il punto controverso della consustanzialità (“il Figlio è della stessa essenza della divinità e della stessa volontà del Padre”).
E. morì nello stesso anno (341).
17/06/2006 00:21
 
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Ulfilas il Goto (ca. 311-383)



Apostolo dei Goti, fu catturato in giovane età e portato come schiavo a Costantinopoli.
Qui, conobbe il vescovo Eusebio di Nicomedia, che lo convertì al cristianesimo ariano.
Successivamente, U. fu liberato e ritornò presso il suo popolo, sostenendo una intensa attività di missionariato e traducendo, tra l'altro, la Bibbia in gotico, il che aumentò il suo prestigio. Per l'occasione U. inventò l'alfabeto gotico, una miscela di lettere greche, latine e rune germaniche.
Grazie alla sua attività, i Goti si convertirono in massa all'arianesimo e occorse diversi secoli d'attività missionaria del cattolicesimo niceno per riconvertirli.
17/06/2006 00:22
 
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Aezio di Celesiria (o di Antiochia) (m. 367)



Nato a Celesiria (oggi Beqa'a) all'inizio del IV secolo, Aezio fu il fondatore del ramo più radicale dell'arianesimo, detta degli aeziani.
Rispetto alla natura di Cristo, A. era convinto che solo il Padre fosse Dio, e quindi che il Figlio fosse dissimile da Dio (anòmoios).
Detta dottrina, supportata anche da Eunomio di Cizico e Ursacio di Singiduno, fu affermata nei tre sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nell'ex Iugoslavia) ed indetti dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino), per cercare di venire a capo delle dispute teologiche sviluppate all'interno del movimento ariano, in seguito alla morte della guida carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341).


Le altre formulazioni presentate erano:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di Ancyra.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della sostanza.


All'inizio (357) il partito dell'aeziani ebbe la meglio e i vari discepoli di A. occuparono posti di rilievo, tuttavia la reazione dell'opinione pubblica fu talmente energica, che successivamente (358) l'imperatore Costanzo decise di aderire alla dottrina dell'homoioùsios di Basilio e di bandire A. e i suoi seguaci.
Ma, dopo il III sinodo di Sirmio del 359, Costanzo cambiò nuovamente parere, preferendo la versione più “soft” di Acacio (homoios) come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Il concilio di Seleucia del 359, aggiornato a Costantinopoli nel 360, vide la strenua opposizione degli aeziani, ma l'esilio di A. fu confermato.
La situazione cambiò nuovamente nel 361 con la morte di Costanzo e l'ascesa al potere di Giuliano, detto l'Apostata (361-363), il quale proclamò un'amnistia generale per tutti i cristiani, permettendo ad A. di rientrare ad Antiochia (dove morì nel 367) e riacquistare una certa popolarità.
Ciononostante, pochi anni dopo, la corrente radicale di A. sarebbe scomparso sotto il contrattacco dei niceni, supportati dai due imperatori Valentino I (364-375) e Teodosio I (379-395).
Scrittore prolifico, A. scrisse 300 trattati, di cui ci restano frammenti della sua opera principale, di ispirazione anti-nicena, il Syntagmation, tramandate da Epifanio.
17/06/2006 00:23
 
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Eunomio di Cizico (m. ca. 394) ed eunomiani



Pupillo di Aezio di Celesiria, E. ne condivideva lo spirito estremo dell'arianesimo, detta degli aeziani. Aezio, rispetto alla natura di Cristo, era infatti convinto che solo il Padre era Dio, e quindi che il Figlio era dissimile da Dio (anòmoios).
Detta dottrina, supportata da Eunomio e da Ursacio di Singiduno, fu ripresentata nei tre sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nell'ex Iugoslavia) ed indetti dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino), per cercare di venire a capo delle dispute teologiche sviluppate all'interno del movimento ariano, in seguito alla morte della guida carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341).


Le altre formulazioni presentate erano:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di Ancyra.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della sostanza.


All'inizio (357) il partito degli aeziani ebbe la meglio e i vari discepoli di Aezio occuparono posti di rilievo, tuttavia la reazione dell'opinione pubblica fu alquanto energica.
Successivamente l'imperatore Costanzo (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di Basilio e fece bandire Aezio e i suoi seguaci.
Tuttavia, dopo il III sinodo di Sirmio del 359, Costanzo cambiò nuovamente parere, preferendo la versione più “soft” di Acacio (homoios) come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Il concilio di Seleucia, nel 359, aggiornato a Costantinopoli nel 360, vide la strenua opposizione degli aeziani, ma l'esilio di Aezio fu confermato.
Eunomio, che era, nel frattempo, diventato vescovo di Cizico, dovette dimettersi pochi mesi dopo.
La situazione cambiò nuovamente nel 361 con la morte di Costanzo e l'ascesa al potere di Giuliano, detto l'Apostata (361-363), il quale proclamò un'amnistia generale per tutti i cristiani, che permise agli aeziani di riacquistare una certa forza.
Aezio morì nel 367, ma entro pochi anni la sua corrente radicale sarebbe scomparsa sotto il contrattacco dei niceni, supportati dai due imperatori Valentino I (364-375) e Teodosio I (379-395).
E. stesso morì in esilio a Dakora nel 394.
Delle sue opere c'è giunta la professione di fede ad Theodosium, che E. scrisse nel 383. Altre sue opere sono citate da Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa.
I suoi seguaci furono chiamati eunomiani.
17/06/2006 00:24
 
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Basilio di Ancyra (att. 336-360)



Vescovo ariano di Ancyra, successe a Marcello nel 336, durante il concilio, a forte ispirazione ariana, a Costantinopoli, presieduto da Eusebio di Nicomedia, dove Marcello fu condannato per sabellianismo e dichiarato decaduto dalla sua sede vescovile.
Alla morte dell'imperatore Costantino (337) Marcello ritornò alla sua sede, da dove, però fu espulso nel 339, con nuovo reintegro di B.
Allora, Marcello si decise di scrivere al papa Giulio I (337-352), che nel 340 lo riabilitò, dichiarandolo ortodosso, ma non si sa se successivamente M. abbia potuto coprire il suo ruolo, almeno prima del 343. In quell'anno fu, infatti, convocato dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino) il concilio di Sardica (l'odierna Sofia in Bulgaria), dove, tra l'altro, fu chiesto vanamente da parte degli ariani l'espulsione di Marcello. Alla risposta negativa del concilio, gli ariani abbandonarono il concilio, che quindi, a maggioranza ortodossa, ratificò il reintegro di Marcello nella sua sede di Ancyra e l'allontanamento di B..
Pare comunque che Marcello avesse avuto parecchi problemi nel rientrare ad Ancyra, a causa dell'opposizione della popolazione favorevole a B.
Infine Marcello fu deposto dal vescovo Macedonio di Costantinopoli e definitivamente sostituito da B. nel 353.
Qualche anno dopo, in seguito alla morte di Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341), Costanzo convocò vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nell'ex Iugoslavia) per cercare di venire a capo delle dispute teologiche, che dilaniavano il mondo cristiano di allora.


Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate furono addirittura quattro:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio d'Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato, per l'appunto, da Basilio di Ancyra, i cui seguaci si definivani omoiousiani.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di Singiduno.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della sostanza.


L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di B. e, influenzato da quest'ultimo, fece bandire Aezio e i suoi seguaci.
Tuttavia, dopo il III sinodo di Sirmio del 359, Costanzo cambiò parere, preferendo la versione homoios di Acacio come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
In seguito a questi concili, B. cadde in disgrazia e fu esiliato nel 360.
17/06/2006 00:25
 
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Macedonio di Costantinopoli (m. ca.362) e macedonianismo o pneumatomachia



Macedonio era un presbitero di Costantinopoli, di fede ariana. Alla morte di Eusebio di Nicomedia nel 341, la fazione ortodossa di Costantinopoli aveva approfittato della situazione per insidiare il proprio candidato Paolo, creando tumulti e uccidendo il comandante della guarnigione imperiale, Ermogene. Tuttavia, a queste notizie, l'imperatore Costanzo (337-361), di fede ariana, che si trovava ad Antiochia, tornò immediatamente a Costantinopoli, cacciando Paolo e nominando M. come vescovo della città.
M. si allineò ben presto sulle posizioni semiariane di Basilio di Ancyra, che suggeriva la formula homoioùsios (simile nella sostanza) come forma di compromesso tra gli ortodossi, legati alla formula nicena homoùsios (identico nella sostanza), e gli ariani radicali, capeggiati da Aezio di Celesiria, favorevole alla formula anàmoios (dissimile da Dio). Tutti i vescovi, compreso M., furono convocati da Costanzo in diversi sinodi, tra il 357 ed il 359, a Sirmio (in Bosnia) per dirimere la questione, ma la formula finale, accettata ed imposta da Costanzo, non fu nessuna delle menzionate, bensì la formula omea proposta da Acacio di Cesarea, vale a dire hòmoios (simile a Dio). Questa conclusione finale fu definita la “Blasfemia di Sirmio” da Sant'Ilario di Poitiers.
A quel punto, Costanzo convocò a Rimini, per i vescovi occidentali, ed a Seleucia, per quelli orientali, due riunioni per imporre la propria decisione, ma nel sinodo di Seleucia, nel 359, M. difese coraggiosamente la propria posizione. Per questo, fu deposto dal concilio, a maggioranza omea, di Costantinopoli nel 360.
M. morì ca. nel 362.


Pneumatomachia
Alla figura di M. è legata una particolare eresia chiamata pneumatomachia (cioè ostilità allo Spirito Santo), che alcuni autori pensano essere stata fondata da M. stesso e per questo viene denominata anche macedonianismo.
Pare invece che M., dopo la sua deposizione da vescovo, avesse contribuito alla diffusione di questa eresia, già esistente da qualche anno, come rielaborazione del subordinazionismo ariano: infatti gli aderenti a questo pensiero credevano che lo Spirito Santo fosse una creatura di Dio, superiore agli angeli, ma non certo consustanziale al Padre e al Figlio.
L'eresia fu combattuta da Atanasio d'Alessandria in quattro lettere inviate al vescovo Serapione di Thmuis e nel sinodo di Alessandria del 362.
Alla morte dell'indomabile Atanasio nel 373, la lotta contro i pneumatomachi, capeggiati da Eleusio di Cizico, fu continuata da Didimo il Cieco e da Basilio il Grande, il quale cercò inutilmente di convertire il macedoniano Eustazio, vescovo di Sebaste, ma fu soprattutto la condanna al concilio di Costantinopoli del 381 a togliere consensi ai pneumatomachi.
Tuttavia, la tentazione di rimettere in auge la subordinazione dello Spirito Santo rimase per molto tempo, se si pensa che ancora nel XII secolo, al II concilio Lateranense del 1139, si dovette ribadire la divinità dello Spirito Santo.
17/06/2006 00:26
 
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Acacio di Cesarea (m. ca. 366)



Acacio diventò vescovo di Cesarea (in Palestina) nel 340.
Il periodo storico, in cui egli operò, fu contraddistinto dalle lotte interne al movimento ariano, sviluppate in seguito alla morte della guida carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341) e sintetizzate dalle varie posizioni assunte, durante i vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nell'ex Iugoslavia) indetti dall'imperatore Costanzo (337-361, figlio di Costantino), proprio per cercare di venire a capo delle dispute teologiche.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate risultarono addirittura quattro:


Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di Ancyra.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di Singiduno.
Homoios (simile a Dio), una formula di semiarianesimo, propugnata, per l'appunto, da Acacio di Cesarea. I seguaci di Acacio si chiamarono omeisti.


In quest'ultima definizione, la più vaga, si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della sostanza.
L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di Basilio, ma successivamente, dopo il sinodo del 359, cercò di imporre la versione homoios di A. come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Contemporaneamente fece deporre e relegare a Berea in Tracia Papa Liberio (352-366). Al suo posto fu eletto l'antipapa, di ispirazione ariana, Felice (355-365). Papa Liberio poté rientrare ad occupare la sua sede, solo dopo aver firmato un documento molto vicino alle tesi ariane.
Questo momento storico del Cristianesimo fu ben descritto da S.Girolamo nella frase: ”Il mondo, gemendo, stupì di trovarsi ariano”.
Il concilio di Seleucia, nel 359, al quale partecipò A., oltre a 150/160 vescovi orientali, mostrò tutta la ben nota divisione nel partito ariano, e fu aggiornato dall'imperatore stesso a Costantinopoli, l'anno successivo, dove fu imposta la formula dell'homoios.
Ma nel 361, morì l'imperatore Costanzo e la situazione politica divenne poco chiara: l'ascesa di Giuliano l'Apostata (361-363), paradossalmente, permise agli ortodossi niceni di serrare le fila.
Nel concilio di Lampsaco del 364, indetto da Valentiniano I (364-375), le tesi ariane furono rigettate e i vescovi più in vista furono condannati, compreso A.
A. morì, secondo alcuni autori, nel 366.
04/07/2006 00:39
 
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Marcello d'Ancyra (m. ca. 374) e criptosabellianismo



Marcello era il vescovo di Ancyra (la moderna Ankara) in Asia Minore. Al concilio di Nicea del 325, fu un fiero oppositore dell'arianesimo e sostenitore della formula ortodossa approvata per la natura di Cristo, e cioè homooùsion (consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
Tuttavia, nel suo fervore antiariano, M. commise l'errore opposto, in pratica di scivolare nel monarchianismo modalista di Sabellio, anzi, secondo i suoi antagonisti ariani, in un cripto-sabellianismo.
In particolare M. scrisse un libro contro l'esponente ariano Asterio di Cappadocia, sostenendo che, nell'ambito dell'unità di Dio Padre, il Figlio (Logos) era emerso come potenza (dynamis) esternata in occasione della creazione e diventato persona solamente durante l'incarnazione in Gesù Cristo, mentre lo Spirito Santo era emerso durante la Pentecoste. Alla fine di tutti i tempi ed esaurite le loro funzioni, queste due entità sarebbero stati riassorbiti da Dio Padre, del quale, quindi, sarebbe stata restaurata la piena unità.M. fu quindi per gli ortodossi un imbarazzante alleato per le sue idee, tuttavia a parole si dichiarò in linea con il credo niceno e quindi, in quei tempi in cui a Papa Giulio I (337-352) e a Atanasio d'Alessandria mancavano validi sostenitori della causa antiariana, non si andò troppo per il sottile.
Nel 336, durante il concilio, a forte ispirazione ariana, a Costantinopoli, presieduto da Eusebio di Nicomedia, M. fu condannato per sabellianismo e dichiarato decaduto dalla sua sede vescovile e al suo posto venne eletto Basilio di Ancyra.
Tuttavia, alla morte dell'imperatore Costantino (337) M. ritornò alla sua sede, da dove, però fu nuovamente espulso nel 339.
Allora, M. si decise di scrivere al papa Giulio I, che nel 340 lo riabilitò, dichiarandolo ortodosso, ma non si sa se successivamente M. abbia potuto coprire il suo ruolo, almeno prima del 343. In quell'anno fu, infatti, convocato dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino) il concilio di Sardica (l'odierna Sofia in Bulgaria), dove, tra l'altro, fu chiesto vanamente da parte degli ariani l'espulsione di M. Alla risposta negativa, gli ariani abbandonarono il concilio, che quindi, a maggioranza ortodossa, ratificò il reintegro di M. nella sua sede.
Pare comunque che M., nel frattempo condannato nel 344 dal sinodo “ariano” d'Antiochia, avesse avuto parecchi problemi nel rientrare ad Ancyra, a causa dell'opposizione della popolazione, favorevole a Basilio.
Infine M. fu deposto dal vescovo Macedonio di Costantinopoli e definitivamente sostituito da Basilio nel 353.
M. morì ca. nel 374, ma solo nel 381 il concilio di Costantinopoli si pronunciò contro di lui e i suoi insegnamenti. In particolare il verso del credo niceno “e il suo regno non avrà fine..” fu appositamente aggiunto per combattere l'idea di M. di un Figlio non eterno.
04/07/2006 00:40
 
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Marcello d'Ancyra (m. ca. 374) e criptosabellianismo



Marcello era il vescovo di Ancyra (la moderna Ankara) in Asia Minore. Al concilio di Nicea del 325, fu un fiero oppositore dell'arianesimo e sostenitore della formula ortodossa approvata per la natura di Cristo, e cioè homooùsion (consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
Tuttavia, nel suo fervore antiariano, M. commise l'errore opposto, in pratica di scivolare nel monarchianismo modalista di Sabellio, anzi, secondo i suoi antagonisti ariani, in un cripto-sabellianismo.
In particolare M. scrisse un libro contro l'esponente ariano Asterio di Cappadocia, sostenendo che, nell'ambito dell'unità di Dio Padre, il Figlio (Logos) era emerso come potenza (dynamis) esternata in occasione della creazione e diventato persona solamente durante l'incarnazione in Gesù Cristo, mentre lo Spirito Santo era emerso durante la Pentecoste. Alla fine di tutti i tempi ed esaurite le loro funzioni, queste due entità sarebbero stati riassorbiti da Dio Padre, del quale, quindi, sarebbe stata restaurata la piena unità.
M. fu quindi per gli ortodossi un imbarazzante alleato per le sue idee, tuttavia a parole si dichiarò in linea con il credo niceno e quindi, in quei tempi in cui a Papa Giulio I (337-352) e a Atanasio d'Alessandria mancavano validi sostenitori della causa antiariana, non si andò troppo per il sottile.
Nel 336, durante il concilio, a forte ispirazione ariana, a Costantinopoli, presieduto da Eusebio di Nicomedia, M. fu condannato per sabellianismo e dichiarato decaduto dalla sua sede vescovile e al suo posto venne eletto Basilio di Ancyra.
Tuttavia, alla morte dell'imperatore Costantino (337) M. ritornò alla sua sede, da dove, però fu nuovamente espulso nel 339.
Allora, M. si decise di scrivere al papa Giulio I, che nel 340 lo riabilitò, dichiarandolo ortodosso, ma non si sa se successivamente M. abbia potuto coprire il suo ruolo, almeno prima del 343. In quell'anno fu, infatti, convocato dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino) il concilio di Sardica (l'odierna Sofia in Bulgaria), dove, tra l'altro, fu chiesto vanamente da parte degli ariani l'espulsione di M. Alla risposta negativa, gli ariani abbandonarono il concilio, che quindi, a maggioranza ortodossa, ratificò il reintegro di M. nella sua sede.
Pare comunque che M., nel frattempo condannato nel 344 dal sinodo “ariano” d'Antiochia, avesse avuto parecchi problemi nel rientrare ad Ancyra, a causa dell'opposizione della popolazione, favorevole a Basilio.
Infine M. fu deposto dal vescovo Macedonio di Costantinopoli e definitivamente sostituito da Basilio nel 353.
M. morì ca. nel 374, ma solo nel 381 il concilio di Costantinopoli si pronunciò contro di lui e i suoi insegnamenti. In particolare il verso del credo niceno “e il suo regno non avrà fine..” fu appositamente aggiunto per combattere l'idea di M. di un Figlio non eterno.
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