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Scuola di preghiera

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2007 12:52
09/03/2006 22:31
 
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Re: L'atto di abbandono

Scritto da: Regin 08/03/2006 1.23
Don Dolindo Ruotolo, sacerdote napoletano vissuto e morto in concetto di santità, ha scritto questo insegnamento sull'abbandono in Dio ispiratogli da Gesù stesso.

..........





Grazie Regin, è stupendo [SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]
************************************************************************************


BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

Mt 16,18





La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
(don Tonino Bello)


ANDIAMO AVANTI!

09/03/2006 23:54
 
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Re: Re: L'atto di abbandono

Scritto da: rosa22253 09/03/2006 22.31


Grazie Regin, è stupendo [SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]




Prego Rosa, sapessi come mi aiuta e mi calma in certi momenti leggere questi pensieri [SM=g27822] [SM=g27821]


13/03/2006 09:09
 
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Chiedete e vi sarà dato
Mi sono innamorata [SM=x40793] di questo passaggio tratto dal libro "Il cammino pasquale" che riunisce le meditazioni preparate dal nostro amato Papa, allora Cardinale, per gli esercizi spirituali della Quaresima del 1983. Trascrivo il brano per condividere con voi la "cioia" che ho provato leggendolo:

[SM=g27838] [SM=g27838] [SM=g27838]

"Quali sono i contenuti possibili della preghiera cristiana? Che cosa possiamo chiedere alla bontà di Dio? La risposta del Signore è molto semplice: tutto. Tutto ciò che è buono. Il Dio buono dà soltanto cose buone, ma questa sua bontà non conosce limiti. (...) con Dio possiamo realmente parlare come figli con il Padre. Niente è escluso. La bontà e la potenza di Dio conoscono un solo limite: il male. Ma non conoscono un limite tra cose grandi e piccole, tra cose materiali e spirituali, tra cose terrene e celesti. Dio è umano - Dio è uomo e poteva diventare uomo poiché il suo amore e la sua potenza abbracciano già dall'eternità le grandi e le piccole cose, il corpo e l'anima, il pane quotidiano e il Regno del Cielo. La preghiera cristiana è completamente umana, preghiera in comunione con il Dio-Uomo, con il Figlio. (...)pregando dobbiamo imparare che cosa sia buono o no; dobbiamo imparare la differenza assoluta tra bene e male, dobbiamo imparare la rinuncia a ogni male, verificare le promesse battesimali: "Rinuncio a satana e a tutte le sue opere" (...)
Perciò è così importante che nella preghiera presentiamo di fatto tutta la nostra vita agli occhi di Dio, noi cattivi che desideriamo tante cose cattive. Nella preghiera noi impariamo la rinuncia a questi nostri desideri, cominciamo a desiderare le cose buone, per diventare buoni parlando con lui, che è la bontà stessa. L'esaudimento divino non è una semplice conferma della nostra vita, è un processo di trasformazione".


[SM=g27821] [SM=g27821] [SM=g27821]

[grazie a Papa Ratzi, mi sento ancora una volta consolata, liberata, "guarita", "curata" da un'altra idea sbagliata (una delle tante) che per anni ha ottenebrato il mio cuore e la mia fede, poter finalmente abbandonare quello che a volte è stato un senso di disagio, di vergogna, di pudore nel chiedere al Signore anche cose piccole della vita quotidiana, e questo perché a volte si impadroniva di me il timore che a Dio, che è grande, assoluto, infinito, dobbiamo rivolgerci solo per le cose grandi e non per le cose piccole, che Dio avrebbe "altro a cui pensare". Così se mi capitava di chiedere lo stesso con la preghiera qualcosa di piccolo poi domandavo perdono per aver "disturbato" il Signore e non mi rendevo conto che non sono le piccole cose a disturbarLo, ma quelle cattive e che non è per le richieste piccole che mi devo pentire, ma per le richieste che provengono dal male, dall'ignoranza del bene].
17/03/2006 06:06
 
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Grazie al suggerimento di Rosa posso collocare questa mia riflessione sulla preghiera nella casella giusta. C'è tanta ricchezza in questo forum che si scoprono sempre cose nuove.
Ecco la riflessione:

Spesso il nostro modo di pregare è incompleto. Siamo, infatti, portati a trasformare in monologo ciò che in realtà dovrebbe essere un dialogo. Noi, pregando, poniamo la domanda a Dio e autonomamente ne produciamo la risposta pensando che sia stato Dio stesso a suggerircela. Dimentichiamo però la caratteristica principale contenuta nella preghiera: l’ascolto di ciò che Dio vuole veramente dirci! Quando poi decidiamo di dedicare un po’ di tempo alla preghiera dobbiamo in qualche modo lottare con noi stessi: ci distraiamo in continuazione, magari pensando alle faccende che dobbiamo ancora sbrigare in casa o a lavoro, oppure siamo talmente presi dai nostri problemi (sofferenze, malattie,disgregazioni familiari ecc.) che non siamo capaci di mantenere la concentrazione. Ma la difficoltà più grande è quella di non riuscire a considerare Cristo una presenza viva, vera, reale. Cerchiamo di immaginarlo presente in un riflesso di luce, nella penombra di una statua e in altre mille fantasie del nostro pensiero, dappertutto insomma tranne che proprio lì accanto a noi, o meglio di fronte a noi. E allora il problema è risolto: se non consideriamo Cristo una persona vivente, non sarà semplice mantenere la concentrazione durante la nostra preghiera. Come si fa, infatti, a contemplare un dio distante dalla nostra realtà, da ciò che viviamo quotidianamente? Non dimentichiamolo: “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”… non penso che Dio abbia improvvisamente deciso di cambiare idea, interrompendo questo particolare rapporto con noi!

Ho trovato tre brani del Cardinale Ratzinger che potrebbero aiutarci a migliorare il nostro modo di pregare:

“Il senso di Dio può atrofizzarsi a tal punto che le parole della la fede perdono totalmente di significato. E chi non ha più capacità d’ascolto, non è nemmeno in grado di parlare, perché sordità e mutismo vanno di pari passo. E’ come se si dovesse apprendere la propria lingua madre. Lentamente si impara a decifrare i segni di Dio, a parlare questa lingua e a comprendere Dio, per quanto in maniera inadeguata. Gradualmente, poi, si imparerà a pregare personalmente e a parlare con Dio, dapprima in maniera molto infantile – in un certo senso rimaniamo sempre bambini – ma poi sempre di più con le proprie parole” (Joseph Ratzinger).

“Per prima cosa, prima di alzarmi, recito una breve preghiera. Il giorno assume tutt’altro aspetto se non ci si immerge direttamente nel flusso delle cose. Seguono poi tutte le cose cui ci si dedica nei primi momenti della giornata: lavarsi, fare colazione. Quindi vengono la Santa Messa e il breviario. Per me questi rappresentano gli atti fondamentali della giornata. La Messa è l' incontro reale con la presenza del Cristo risorto, mentre recitare il breviario significa penetrare nella grande preghiera dell’intera storia della salvezza, di cui i Salmi rappresentano il cuore. Allora si prega all’unisono con i millenni e ci raggiunge la voce dei Padri. Tutto questo ci apre la porta oltre la quale ci si immette nel pieno della giornata. A quel punto inizia il lavoro normale” (Joseph Ratzinger).

“Si può affermare in ultima analisi che, in quell’istante sul Monte degli Olivi in cui è stato colto dalla paura, in quell’istante in cui ha pronunciato il suo Sì alla croce, ha visto anche noi, ha conosciuto anche me. Quest’atto racchiude quella decisione ispirata dall’amore che è stata presa nell’eternità e che si è materializzata nella vita terrena di Cristo determinandola. In questo modo anch’io so di non essere soltanto un postero qualsiasi, uno che sta al di fuori del cono di luce, so che Cristo ha con me una relazione personale, che ha il suo ancoraggio più intimo nell’atto del suo sacrificio” (Joseph Ratzinger).

Pregare guardando!

L’arte della preghiera! Ecco cosa dovremmo imparare a praticare. Ce lo ricordava Giovanni Paolo II il Grande nella Novo millennio ineunte: «E’ necessario imparare a pregare, quasi apprendendo sempre nuovamente quest’arte dalle labbra stesse del Maestro divino, come i primi discepoli: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1)». Quando preghiamo dovremmo lasciare parlare Dio, Egli vuole rivolgerci la sua Parola, non siamo noi a dover dire qualcosa a Lui. Noi dovremmo soltanto predisporci ad ascoltare e a “guardare” la Parola che Dio ci sta rivolgendo.

«Che cosa diventa la preghiera quando “la Parola” a noi rivolta ha un Volto umano, una vicenda umana? Santa Teresa d’Avila risponde: quando “la Parola” (quella che ha creato il mondo, quella che guida la storia!) diventa una persona ed ha un volto, l’ascolto diventa anzitutto “sguardo”, e la preghiera diventa “contemplazione”. E spiega la cosa con estrema semplicità: se una persona ti parla e tu non la guardi in faccia, la persona ha l’impressione che a te non importi niente di lei; le sembra di parlare a vuoto. Tra persone amiche, l’ascolto è anzitutto sguardo. S. Teresa usa perfino questa formula strana, ma bellissima: “Tu devi guardare le parole di Gesù”» (P. Antonio Sicari).

«Nostro Signore è là, nascosto, in attesa che andiamo a trovarlo e gli rivolgiamo le nostre domande. E’ là nel sacramento del suo amore che sospira ed intercede continuamente presso il Padre per i peccatori. E’ là per consolarci; per questo dobbiamo andare a trovarlo spesso. Quanto gli è gradito anche un solo quarto d’ora rubato alle nostre occupazioni, alle sciocchezze di ogni giorno per andare a fargli visita, a rivolgergli una preghiera, a consolarlo di tutte le ingiurie che riceve!» (Santo Curato d’Ars).
20/03/2006 18:45
 
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La preghiera di Gesù
Oltre alla preghiera personalmente fatta da Gesù nei giorni della sua vita terrena, c’è anche un insegnamento esplicito, sollecitato dai suoi discepoli: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: insegnaci a pregare” (Lc 11,1). L’insegnamento di Gesù sulla preghiera è riportato in diversi brani. Cominciamo col Vangelo di Matteo 6,5-15 e 7,7-11. Il contesto prossimo ci conduce direttamente alla preghiera del cuore: è infatti tolta di mezzo ogni forma di preghiera che si esaurisca nel pronunciamento meccanico di determinate formule: “Quando preghi, entra nella tua camera…” (6,5). La propria “camera” è indubbiamente un’immagine finalizzata a un insegnamento, visto che la preghiera comunitaria e liturgica è sempre stata, fin dalla prima generazione cristiana, un elemento portante della vita della Chiesa. In sostanza, non si tratta di un invito di carattere privato e intimistico, quanto piuttosto di una qualità dell’incontro con Dio. La “camera” indica il dialogo del cristiano con il Padre, incontrato nella profondità della propria coscienza. La stessa preghiera comunitaria e liturgica si svuota completamente, e diventa pura esteriorità, quando i membri dell’assemblea, ciascuno per la propria parte, non hanno incontrato il Padre nelle profondità del proprio animo. Ancora peggio è quando la preghiera è fatta visibilmente, per dare un “tocco di classe” alla propria rispettabilità sociale (cfr. 6,5). Al giorno d’oggi, perfino i maghi ricorrono a questo stratagemma, circondandosi di crocifissi e di immagini sacre, per far credere alla gente che i loro “poteri” vengono da Dio. Perciò il discepolo non deve mai lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze, perché Satana si traveste solitamente da angelo di luce (cfr. 2 Cor 11,14).

L’insegnamento centrale sulla preghiera è però rappresentato dal Padre Nostro, che non si presenta come una “formula” di preghiera, bensì come un archetipo su cui modellare la preghiera cristiana. Il medesimo insegnamento è riportato nel Vangelo di Luca, dove la parabola dell’amico importuno è introdotta dalla preghiera del Padre Nostro, che Luca riporta in una maniera più breve di quella di Matteo (cfr Lc 11,1-4). La diversità delle due redazioni di questa preghiera, dimostra che non si tratta di una “formula” ma, come abbiamo detto, di un modello di preghiera. Se si fosse trattato di una formula, sarebbe stata registrata parola per parola, tanto più che questa è l’unica preghiera insegnata direttamente dal Signore.

Da questo modello risulta:

1. La nostra preghiera è rivolta più alla Paternità di Dio che alla sua onnipotenza: “Quando pregate, dite: Padre...” (6,9).

2. Non è giusto pregare per le proprie necessità umane, senza cercare prima la gloria di Dio: cfr vv. 9-10

3. Non è autentica la preghiera di chi non è uomo di pace (cfr. v. 12)

L’insegnamento di Gesù addita ai discepoli anche una preghiera ininterrotta. Uno dei discepoli, avendo notato che Gesù si ritirava spesso in solitudine a pregare, gli disse: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). La preghiera è uno dei temi che l’evangelista Luca più ama sottolineare. Soprattutto è messa in evidenza la preghiera di Gesù nelle scelte più difficili (cfr Lc 6,12) o nei momenti più cruciali del suo ministero (cfr Lc 3,21 e 9,28). Queste due parabole si riferiscono alla preghiera dei cristiani, i quali a maggior ragione devono affidarsi a Dio nella preghiera, se Cristo non ha pensato di poterne fare a meno. Il Gesù storico si presenta allora anche come Maestro di preghiera. Queste due parabole non esauriscono l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, ma ne sono soltanto una introduzione.
23/04/2006 18:56
 
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Re:

Scritto da: Regin 06/03/2006 1.07
La contemplazione:


la bellezza di poter veder Dio con gli occhi chiusi;
ascoltarlo nel silenzio;
toccare Lui senza forma;
parlare senza dire niente;
essere nel tempo vivendo l'infinito;
amare perdendosi nell'amante.



Meraviglioso... [SM=g27821]
Ma quanto è difficile, nel fragore del mondo, arrivare alla contemplazione... difficilissimo, se non in alcuni specialissimi momenti.
Grazie! [SM=g27822]
22/05/2006 12:44
 
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L'ATTO DI ABBANDONO DI DON RUOTOLO
In queste parole c'è senz'altro il Dito di Dio!
Sono parole sublimi: quando le leggi ti rapiscono!
Questo Sacerdote che le ha scritte, è veramente un Santo.

Grazie Regin! Se puoi, raccontaci qualcosa della vita di Don Ruotolo.
Te ne sarei veramente molto grata!
A presto!

LA BELLEZZA DELLA PREGHIERA :




23/05/2006 14:43
 
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Re: L'ATTO DI ABBANDONO DI DON RUOTOLO

Scritto da: .ANCILLA. 22/05/2006 12.44
In queste parole c'è senz'altro il Dito di Dio!
Sono parole sublimi: quando le leggi ti rapiscono!
Questo Sacerdote che le ha scritte, è veramente un Santo.

Grazie Regin! Se puoi, raccontaci qualcosa della vita di Don Ruotolo.
Te ne sarei veramente molto grata!
A presto!

LA BELLEZZA DELLA PREGHIERA :







Vero Ancilla, quando si leggono certe meditazioni o preghiere si sente che, chi le ha scritte è stato solo un tramite.
Non ho la vita di Don Dolindo, solo alcune meditazioni sparse in alcuni libri o qualche foglietto che mi hanno regalato, ma ho trovato questo link http://www.dolindo.org/index.html
[SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]



27/05/2006 10:32
 
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Re: Re: L'ATTO DI ABBANDONO DI DON RUOTOLO

Scritto da: Regin 23/05/2006 14.43


Vero Ancilla, quando si leggono certe meditazioni o preghiere si sente che, chi le ha scritte è stato solo un tramite.
Non ho la vita di Don Dolindo, solo alcune meditazioni sparse in alcuni libri o qualche foglietto che mi hanno regalato, ma ho trovato questo link http://www.dolindo.org/index.html
[SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]







Vedo solo ora la tua risposta. Grazie mille Regin!
A me interessano molto le biografie dei santi perchè, da loro, si imparano moltissime cose utili alla vita dello spirito.

Un caro saluto in Gesù e Maria! Ciao! [SM=x40799]

11/06/2006 02:26
 
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Articolo sul Padre Nostro

Ho trovato questo articolo interessante che spiega a noi credenti il perchè di certi gesti, e personalmente, fuga ogni mio dubbio su quel prendersi per mano che mi è tanto estraneo (per la mia formazione di raccoglimento..)


________________________________________________________________________

E' ormai apparentemente “normale” che durante la preghiera del Padre nostro nella celebrazione eucaristica in Italia, molti si prendano spontaneamente per mano o spontaneamente allarghino le braccia al cielo.

L'unità dei gesti nella celebrazione eucaristica

Vorremmo sottolineare innanzitutto come la preghiera liturgica si differenzi profondamente dalla preghiera personale (pur essendo ovviamente ad essa legata), nel suo essere la preghiera di un “popolo unito”, la preghiera della Chiesa. L'Institutio generalis del Messale Romano (ossia il testo che accompagna, dando i motivi ed i principi, le parole ed i gesti del Messale con il quale ogni eucarestia è celebrata) così si esprime, al numero 20 e 21: “ Gli atteggiamenti comuni che tutti i partecipanti al rito devono assumere, sono un segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: essi esprimono e favoriscono i sentimenti dell'animo dei partecipanti. Per ottenere l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal diacono o dal sacerdote o da un ministro, durante la celebrazione”.




Questa unità nei gesti aiuta ogni fedele a vivere la comunione dell'azione liturgica, a non vivere la messa come una propria azione unicamente personale, ma come la preghiera che è la più alta preghiera della Chiesa.
Per questo riteniamo sia allora da scoraggiare ogni forma di gesto, ben inteso durante la liturgia divina, che non sia comune. Se qualcuno è abituato ad alzare le mani al cielo durante la liturgia della sua parrocchia e si reca in un'altra, è bene che si astenga da quel gesto perché il suo gesto non sia diverso da quello dei fratelli con i quali in quel momento celebra la liturgia. E' compito di chi presiede, come abbiamo visto, indicare i gesti che di volta in volta possono essere compiuti, se diversi dall'ordinario della messa.



Il gesto del “levare le mani al cielo” e non quello del “prendersi per mano”

Un secondo elemento importantissimo che vorremmo sottolineare è dato dal profondo significato che la tradizione della Chiesa ha dato al gesto di “levare le mani al cielo”. E' il gesto dell'“orante”, dell'uomo che prega Dio, che si rivolge al Padre.

- Precisazioni sulla celebrazione eucaristica –

Proprio questo gesto suggerisce, al numero 1: “Durante il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera”. I vescovi erano a conoscenza dell'usanza di molte comunità di prendersi per mano. Tuttavia non ne parlano e non lo consigliano (ci fu esplicito dibattito su questo). Concordiamo totalmente, poiché il gesto della fraternità viene vissuto poco dopo dall'assemblea nello scambio di pace. Il prendersi per mano non solo vuol dire duplicarlo inutilmente, ma soprattutto distoglie l'attenzione da quel “rivolgersi in alto” che è il fondamento della comunione. E' questo esattamente uno dei punti fallaci che conduce all'attuale analfabetismo sui sentimenti e sull'amore in cui la nostra cultura moderna si dibatte: senza il “guardare in alto”, alla verità, all'amore che è creatore e sorgente e redenzione di ogni sentimento umano, la persona umana facilmente chiama “amore” ciò che è il suo contrario. Se Dio è amore, ciò non vuol dire che il nostro amore sia Dio.

Lasciamo allora – e consigliamo – che le mani durante il Padre nostro si levino in alto, che chiedano “che sia santificato il suo nome, che sia fatta la sua volontà, che venga il suo regno, che Lui dia il pane, il perdono, la forza dinanzi al male e la liberazione da esso”, per poter poi scambiarci il segno fraterno della pace, radicando la carità nella fede che nasce dall'alto. Aiutiamo il nostro contemporaneo e fratello a scoprire “l'altezza e la profondità” (Ef 3, 18) insieme “all'ampiezza e alla lunghezza” (ciò che il linguaggio comune chiama spesso il “verticale” e l'“orizzontale”). Non restringiamo l'orizzonte a quel buonismo sentimentale e a quell'infantilismo a cui tanta parte della nostra cultura ci induce.

29/12/2006 15:12
 
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Raccolta delle Preghiere della Bibbia (realizzata dall'Agenzia Fides)
L'Agenzia Fides presenta questa raccolta di preghiere tratte dalla Sacra Scrittura in occasione delle Feste Natalizie, della venuta del Salvatore degli uomini.
La Nuova Evangelizzazione vuol dire ricevere la Buona Novella per coloro che l'hanno dimenticata e per coloro che non la conoscono. È prima di tutto mettersi in ascolto di Dio che si è rivelato con suo Figlio Gesù, concepito dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria. È entrare in contatto con Dio per l'intermediazione di Gesù, che non è un Re dominatore, ma è un Re che regna con la Croce «Regnavit a ligno Deus» (inno Vexilla Regis del Tempo della Passione): «Dio regna con la Croce». È un Re che propone e non si impone. È un Re umile che si presenta a noi per stabilire un dialogo con gli uomini, portare loro le parole di salvezza, offrire loro il proprio Amore, farli entrare nella sua intimità per arrivare un giorno a vederLo faccia a faccia, così com'è. Ma già su questa terra questa intimità è possibile, ed è Dio che prende, come sempre, l'iniziativa, nel suo Amore infinito e disinteressato, in un amore pieno di umiltà: Egli ci chiede di lasciarlo entrare in noi. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3, 20).
Mettersi in ascolto di Gesù, nutrirsi della sua Parola, mangiare con Lui e nutrirsi del Suo Corpo e diventare così il Tempio della Santa Trinità: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni 14, 23).
Si, «beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!» (Apocalisse 19, 9).
Le preghiere della Bibbia sono un dialogo del fedele con Dio, in tutte le circostanze della vita, ed esprimono l'adorazione, il ringraziamento, la richiesta di aiuto e di soccorso dei poveri, di protezione contro i nemici, di liberazione dall'oppressore, l'amore verso Dio ed i suoi comandamenti, la fiducia nella sua fedeltà.
Abbiamo scelto tutte le preghiere della vita quotidiana dei diversi personaggi presentati dalla Bibbia, per farle nostre, nei momenti gioiosi e nelle vicissitudini della vita. La Raccolta non comprende il Libro dei Salmi, che forma un tutt'uno, e che ogni fedele può consultare facilmente, e pregare con i Salmi così come ha fatto il Signore Gesù e la sua Santissima Madre, la Vergine Maria.
(J.M.)

Ecco il link:
Raccolta delle Preghiere della Bibbia (350kb) >>
www.fides.org/ita/approfondire/preghiere/preghiere_Bibbia.doc

30/12/2006 02:04
 
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GRA(T)ZIE TANTE, DISCIPULA, PER SEGNALARCI QUESTA RACCOLTA - l'ho gia segnalata la versione inglese per le nostre utenti anglofone. E davvero meravigliosa e un grande servizio sopratutto per le persone come me che hanno una povera conoscenza dell'Antico Testamento.


SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice
30/12/2006 10:27
 
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Re:

Scritto da: TERESA BENEDETTA 30/12/2006 2.04
GRA(T)ZIE TANTE, DISCIPULA, PER SEGNALARCI QUESTA RACCOLTA - l'ho gia segnalata la versione inglese per le nostre utenti anglofone. E davvero meravigliosa e un grande servizio sopratutto per le persone come me che hanno una povera conoscenza dell'Antico Testamento.


SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice



Cara Teresa, anch'io ho una conoscenza purtroppo limitata dell'Antico Testamento e anche per me è stata una bella sorpresa trovare queste preghiere da leggere pian piano e su cui riflettere! [SM=g27822] [SM=g27823]
31/12/2006 14:42
 
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Preghiera di fine anno
«Grazie Signore...
Per la vita che ci hai donato in questo anno.
Per la fede cristiana alla quale ci hai chiamati.
Per averci comunicato la Tua santa grazia.
Perche' siamo cresciuti nel Tuo amore.
Per le conquiste e i successi, ma anche per le sconfitte che ci hanno insegnato qualcosa.
Per le volte che abbiamo amato e siamo stati amati.
Per ogni volta che abbiamo perdonato e che siamo stati perdonati.
Per il cibo che ci doni ogni giorno... per il vestito, la casa, la serenita' e la liberta'...
Per la gioia eterna che ci hai promesso.
Per tutte le persone, che con il loro sacrificio, la loro generosita',
il loro amore hanno regalato un attimo di gioia all'umanita'.
Fa' o Signore che cominciamo il nuovo anno, con tanto entusiasmo nei nostri cuori.
Fa' che riusciamo a contagiare di entusiasmo, i nostri fratelli, i nostri amici, il mondo intero.
Nella certezza che il nuovo anno, tutto bianco, ancora da scrivere, tutto pronto per essere costruito; tutto nuovo,ancora da spacchettare, e' un regalo che Tu ci affidi.
Ce la metteremo tutta, insieme ad ogni persona di buona volonta', perche' sia l'anno piu' bello.
Con Te, Signore ce la faremo!».

BUON ANNO NEL SIGNORE!
12/01/2007 00:41
 
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MEDITAZIONE CRISTIANA


CHE COS’E’ LA MEDITAZIONE CRISTIANA?


• Essa è:
- silenzioso, riverente ascolto e obbediente accoglienza della Parola di Dio, in vista di conformare ad essa tutta la propria vita
- essere e stare con Dio: «Rimanete in me, come io rimango in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso, se non rimane nella vite, così nemmeno voi» (Gv 15,4)
- accostarsi a quel mistero dell’unione con Dio, che i Padri greci chiamavano divinizzazione dell’uomo: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio” (SANT’ATANASIO)
- “volta al conseguimento della virtù e dell’amore di Dio, e non all’acquisto del sapere in generale o di una particolare disposizione psicologica” (SAN FRANCESCO DI SALES, Introduction à la vie dévote, Filotea, II,V)
- “riflettere su qualche verità della fede, per crederla con più convinzione, amarla come un valore attraente e concreto, praticarla con l’aiuto dello Spirito Santo. Si tratta di una conoscenza amorosa. Implica riflessione, amore e proposito pratico. Il suo valore sta non nel molto pensare, ma nel molto amare” (CEI, n. 996)
- è sì un concentrarsi in se stessi, ma è anche un trascendere il proprio io, che non è Dio, ma solo una creatura. Dio è “interior intimo meo, et superior summo meo: Dio è più intimo della mia interiorità e più grande del mia grandezza” (SANT’AGOSTINO, Confessiones 3, 6, 11). Dio infatti è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo mistero.

• La meditazione cristiana non comporta che l’io personale e la sua creaturalità debbano essere annullati e scomparire nel mare dell’Assoluto. Infatti “l’uomo è essenzialmente creatura e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia” (MC, 14).

SU CHE COSA SI FONDA LA MEDITAZIONE CRISTIANA?


Si fonda:
• sulla realtà stessa del Dio uno e trino, che “è Amore” (1Gv 4,8), che ci ha fatto “figli adottivi”, e pertanto possiamo gridare con il Figlio nello Spirito Santo: “Abbà, Padre”

• sulla meditazione delle opere salvifiche, che il Dio dell’antica e della nuova Alleanza ha compiuto nella storia, attraverso le quali Dio “si rivela parlando agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (CONCILIO VATICANO II, Dei verbum, 2)

• sulla Persona di Cristo Signore, “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col. 2, 3). Occorre aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l’amore divino si è manifestato e donato a noi soprattutto sulla croce. “Grazie alle parole, alle opere, alla passione e risurrezione di Gesù Cristo, nel Nuovo Testamento la fede riconosce in lui la definitiva autorivelazione di Dio, la Parola incarnata che svela le profondità più intime del suo amore”(MC, 5). Pertanto la meditazione cristiana richiede un permanente approfondimento della conoscenza di Cristo, in modo da “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità [del mistero di Cristo] e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,18s)

• sulla disponibilità a compiere costantemente la volontà di Dio, sull’esempio di Cristo, il cui “cibo è fare la volontà di colui che (lo) ha mandato a compiere la sua opera” (Gv 4,34)

• sulla stretta correlazione tra lex orandi e lex credendi, tra il modo di pregare e il contenuto della fede cristiana che viene professata. La preghiera cristiana è sempre determinata dalla struttura della fede cristiana, nella quale risplende la verità stessa di Dio e della creatura. “La preghiera è fede in atto: la preghiera senza fede diviene cieca, la fede senza preghiera si disgrega” (Card. JOSEPH RATZINGER, Conferenza di presentazione del documento MC)

• sull’umiltà. Quanto più viene concesso ad una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende allora la parola di Colei che è stata gratificata della più alta intimità con Dio, Maria SS.ma: “Ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48), e anche quella di sant’Agostino: “Tu puoi chiamarmi amico, io mi riconosco servo” (SANT’AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos CXLU). “Non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso livello dell’oggetto contemplato, l’amore libero di Dio; neanche quando, per la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di quest’amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e dalla bellezza del Signore” (MC, 31)

• sul silenzio: occorre riscoprire il valore del silenzio, il quale crea l’ambiente favorevole alla riflessione, alla contemplazione, all’ascolto integrale (di se stessi, di Dio, degli altri), alla purificazione e unificazione della persona

• sull’amore verso il prossimo. La meditazione autentica rinvia continuamente all’amore del prossimo, all’azione e alla passione, e proprio così avvicina maggiormente a Dio. Essa desta negli oranti un’ardente carità, che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio.

QUALI DIMENSIONI DELLA PERSONA COINVOLGE LA MEDITAZIONE?

La meditazione mette in moto tutte le facoltà dell’essere umano: l’intelligenza, la memoria, il desiderio, la volontà, l’attenzione, l’intuizione, l’immaginazione, il sentimento, il cuore, il comportamento.

“Questa mobilitazione è necessaria per approfondire le convinzioni di fede, suscitare la conversione del cuore e rafforzare la volontà di seguire Cristo. La preghiera cristiana di preferenza si sofferma a meditare “i misteri di Cristo”, come nella lectio divina o nel Rosario. Questa forma di riflessione orante ha un grande valore, ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d’amore del Signore Gesù, all’unione con Lui” (CCC, n.2708).

QUALE IMPORTANZA HA IL CORPO NELLA MEDITAZIONE CRISTIANA?


• L’esperienza umana dimostra che la posizione e l’atteggiamento del corpo non sono privi d’influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito, coinvolgendo anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco. E questo per l’unità della persona, che è uni-duale: corpo e anima. Nella preghiera è tutto l’uomo, che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento.

• L’importanza del corpo varia a seconda delle culture e della sensibilità personale

• In ogni caso, occorre:
- riconoscere il valore relativo di tali atteggiamenti corporei: essi sono utili, solo se vissuti in vista del fine della preghiera cristiana
- prestare attenzione al fatto che tali atteggiamenti corporei possono degenerare in un culto del corpo e possono portare a identificare erroneamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali. “Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scam-biarli per autentiche consolazioni dello Spirito Santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attri-buire loro significati simbolici tipici dell’esperienza mistica, quando l’atteggiamento morale dell’interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali” (MC, 28).

QUALE IMPORTANZA HA LA TECNICA NELLA MEDITAZIONE CRISTIANA?

• La meditazione cristiana non è principalmente una questione di tecnica: essa è anzitutto e sempre un dono di Dio, di cui chi ne beneficia si sente indegno. Questo dono può essere concesso solo in Cristo attraverso lo Spirito Santo.

• L’amore di Dio è una realtà della quale non ci si può impossessare con nessun metodo o tecnica.

• La tecnica può offrire un aiuto alla meditazione cristiana.

QUALI AIUTI USARE PER BEN MEDITARE?

Si può meditare recitando adagio il Padre nostro, ripetendo lentamente una frase biblica, guardando con devozione un’immagine sacra. “Ci si aiuta con qualche libro, e ai cristiani non mancano: la Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo, le sante icone, i testi liturgici del giorno o del tempo, gli scritti dei Padri della vita spirituale, le opere di spiritualità, il grande libro della creazione e quello della storia, la pagina dell’Oggi di Dio.

Meditare quanto si legge porta ad appropriarsene, confrontandolo con se stessi. Qui si apre un altro libro: quello della vita. Si passa dai pensieri alla realtà. A misura dell’umiltà e della fede che si ha, vi si scoprono i moti che agitano il cuore e li si può discernere. Si tratta di fare la verità per venire alla Luce: Signore, che cosa vuoi che io faccia?” (CCC, n. 2705-2706). In tal modo si procede nel cammino di santità, nella vita di perfezione.

ESISTONO TAPPE NELLA VITA DI PERFEZIONE?

La tradizione cristiana ha distinto tre stadi nella vita di perfezione:

1) la via della purificazione, che comporta il riconoscere di essere peccatore e il chiedere perdono a Dio per i propri peccati

2) la via dell’illuminazione, che introduce i fedeli, iniziati ai divini misteri, alla conoscenza di Cristo mediante la fede che opera per mezzo della carità. Essa è resa possibile dall’amore che il Padre ci dona nel Figlio e dall’Unzione che da lui riceviamo nello Spirito Santo, in occasione del Battesimo e della Cresima

3) la via dell’unione a Dio, realizzata attraverso la partecipazione ai Sacramenti e l’impegno costante in una vita morale coerente con la fede cristiana.

“Con l’andar del tempo l’esercizio della meditazione si semplifica, il cuore prevale sulla riflessione. Si arriva gradualmente all’orazione di raccoglimento. Ci si libera da immagini e pensieri particolari, da ricordi, preoccupazioni e progetti. Si rivolge una semplice attenzione amorosa a Dio, a Gesù Cristo, a qualche sua perfezione, a qualche evento salvifico. Si rimane in atteggiamento di amore silenzioso davanti al Signore presente nel nostro intimo. Ci si lascia trasformare dal suo Spirito, che può causare consolazione o desolazione, ma senz’altro purifica e fortifica nella carità. Quando il fervore di questa esperienza si attenua, è bene ritornare alla meditazione discorsiva o alla preghiera vocale” (CEI, n. 997).

QUALI SONO I METODI DI MEDITAZIONE?

• I metodi di meditazione sono tanti quanto i maestri spirituali. Ma un metodo non è che un mezzo, una guida; l’importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull’unica via della preghiera: Cristo Gesù. “Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in quella via al Padre, che Gesù Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti personali quanto dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre” (MC, 29).

• Fra i vari metodi, uno è indicato dalla Tradizione della Chiesa come particolarmente buono per meditare la S. Scrittura: è quello denominato lectio divina.

COME SI ATTUA LA LECTIO DIVINA?

Solitamente i Padri Spirituali indicano 5 tappe nel meditare la Bibbia, e le descrivono così:

* Lectio
in questa prima tappa prendo la Bibbia non come un qualsiasi libro, ma come lo scrigno che contiene la Parola con la quale Dio parla a me. Ascolto una parola vivente, che mi rivolge un messaggio personale. Lo ascolto come se fosse la prima volta. Mi sforzo di coglierne il senso nel modo più completo possibile. Mi incontro con la luce di Dio: essa prende dimora nella mia intelligenza e la illumina.

* Meditatio
invoco lo Spirito Santo perché venga in soccorso della cecità della mia mente. Nell’umile implorazione della luce e nella adesione della fede, scruto la Parola con attenzione nuova. Scopro come le idee di Dio siano diverse da quelle degli uomini e mi accorgo di quanto sia necessario lasciare che la Parola di Dio trasformi le mie convinzioni, per conformarle sempre più alle idee di Dio. Acconsento a cambiare la mia mentalità e la mia volontà per aderire alla mentalità e alla volontà di Dio.

* Oratio
mi sforzo di parlare a Dio con tutto il cuore, chiamandolo in aiuto alla mia debolezza. È il momento di domandare alla vergine Maria di comunicarmi la sua preghiera, fatta di fiducia e di amore, frutto della sua purezza di cuore. Nella sua fede, nel suo silenzio adorante, nella sua innocenza e nel suo coraggio di amare e di ricevere l’amore di Gesù, anche io oso invocare suo Figlio perché mi soccorra. Mi faccio insegnare da Lui a pregare il Padre nel loro Spirito di amore. Il mio cuore impara a parlare a Dio, se si lascia inondare dall’amore di Cristo.

*Contemplatio
se ho lasciato che la Parola, letta e meditata, illumini a lungo gli occhi del mio cuore e della mia mente, se mi sono lasciato interpellare in profondità dal senso della Sacra Scrittura fino a maturare un desiderio di intimità costante con Dio, se ho pregato con fiducia infinita per i miei fratelli e per tutta la Chiesa, allora Dio risponde. Egli infonde nel mio cuore una certa incapacità di continuare a riflettere in modo discorsivo sulla sua Parola e mi concede una sorta di partecipazione al fuoco di comunione di amore al di là di ogni cosa che brucia senza inizio e senza fine all’interno della Santa Trinità.

* Actio
per darmi il dono di un’intima conversazione continua con lui, il Signore si aspetta da parte mia che moltiplichi in ogni circostanza slanci di desiderio e di comunione con il suo amore.

QUALI SONO I LIMITI DEI METODI?


La legittima ricerca di nuovi metodi di meditazione dovrà sempre tenere conto che:
• il metodo non può essere staccato dal contenuto e concepito come neutrale rispetto a ciò che veicola, e al contesto culturale in cui nasce

• occorre rispettare la natura intima della preghiera cristiana, che:
- “è un dialogo personale, intimo e profondo, tra l’uomo e Dio. Essa esprime quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone Trinitarie” (MC, 3) (cfr. anche l’altra complementare scheda su: ‘come pregare’)
- non si riduce mai a un metodo, che serva a liberarsi dal dolore, o addirittura a star bene fisicamente, ma è un’apertura all’amore di Dio, a quell’amore che non ha esitato davanti alla morte, e alla morte di Croce
- per essere autentica, è essenziale l’incontro di due libertà, quella infinita di Dio con quella finita dell’uomo
- è sempre realizzata in unione con Cristo, nello Spirito Santo, insieme con tutti i santi per il bene della Chiesa.

• Attesi i limiti e i rischi di tali metodi, occorre che il cristiano si ponga in docile ascolto e umile accoglienza di quanto la Chiesa, in particolare attraverso il Papa e i Vescovi, indicano: a loro infatti spetta “di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono” (CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, n. 12).

CHE COSA SONO LE GRAZIE MISTICHE?

• Sono grazie speciali, conferite da Dio ad esempio “ai fondatori di istituzioni ecclesiali in favore di tutta la loro fondazione, nonché ad altri santi, che caratterizzano la loro peculiare esperienza di preghiera e che non possono, come tali, essere oggetto di imitazione e di aspirazione per altri fedeli, anche appartenenti alla stessa istituzione, e desiderosi di una preghiera sempre più perfetta” (MC, 24).

• “Non l’impegno personale, ma l’azio-ne dello Spirito Santo introduce nella contemplazione mistica, un’esperienza di Dio senza concetti, senza immagini e senza parole. L’uomo non può né raggiungerla né farla durare a volontà; può solo prepararsi a riceverla” (CEI, n. 998).

QUANTO DURA LA MEDITAZIONE CRISTIANA?

L’unione abituale con Dio, che viene chiamata preghiera continua non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”, ci dice l’apostolo (1Cor 10,31)

SANT’AGOSTINO al riguardo afferma: “Sappiamo che gli eremiti d’Egitto fanno preghiere frequenti, ma tutte brevissime. Esse sono come rapidi messaggi che partono all’indirizzo di Dio. Così la tensione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessiva dell’orazione... Lungi dunque dalla preghiera ogni verbosità, ma non si tralasci la supplica insistente, se perdura il fervore e l’attenzione. Il servirsi di molte parole nella preghiera, equivale a trattare una cosa necessaria con parole superflue. Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore. Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime che con i discorsi”.

IL CRISTIANO, PER LA SUA MEDITAZIONE, PU0’ APPRENDERE ANCHE DALLE ALTRE RELIGIONI?


Pratiche di meditazione (come ad esempio lo zen, lo yoga, la respirazione controllata, il mantra…), provenienti dall’oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso?

“Siccome la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni, non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è all’interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati ed assunti. Tra di essi si può annoverare anzitutto l’umile accettazione di un maestro esperto nella vita di preghiera e delle sue direttive; di ciò si è sempre avuto consapevolezza nell’esperienza cristiana sin dai tempi antichi, dall’epoca dei padri del deserto. Questo maestro, esperto nel sentire cum ecclesia, deve non solo guidare e richiamare l’attenzione su certi pericoli, ma, quale padre spirituale, deve anche introdurre in maniera viva, da cuore a cuore, nella vita di preghiera, che è dono dello Spirito Santo” (MC, 16).
02/02/2007 00:34
 
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LA CONFESSIONE


Quando e come confessarmi?

Da un anno monsignor Raffaello Martinelli, Officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede e collaboratore del Cardinale Joseph Ratzinger per 23 anni, ha messo a disposizione dei fedeli presso la Basilica dei SS Ambrogio e Carlo al Corso, a Roma, alcune schede catechistiche su argomenti di attualità, redatte sulla base del Catechismo e di altri documenti pontifici.

Con grande meraviglia monsignor Martinelli, che dal 1987 è anche Rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale San Carlo e Primicerio della Basilica di San Carlo al Corso (www.sancarlo.pcn.net), ha constatato che più di 800.000 schede sono state prese dalle persone che sono entrate nella Basilica.

Conscia di questa situazione, Antonia Salzano, Presidente dell’Istituto e delle Edizioni San Clemente I Papa e Martire (www.istitutosanclemente.it) ha voluto raccogliere le 33 schede in un CD, ora in vendita presso le librerie cattoliche con il titolo “Catechesi Dialogica su argomenti di attualità”.



* * *

Anzitutto, che cos’è il sacramento della confessione?

Il sacramento della confessione (o della penitenza oppure della riconciliazione) è la celebrazione dell’amore misericordioso di Dio, che ci dona il perdono dei nostri peccati, per mezzo di Cristo morto e risorto, il quale, mediante il ministero della Chiesa, ci riconcilia con Dio e con i fratelli.
Confessarsi significa quindi:
• porsi in ascolto della Parola di Dio e riconoscere il proprio peccato
• celebrare l’Amore misericordioso di Dio Padre, che:
- rimette i nostri peccati, lavandoceli con il sangue del Suo Figlio;
- ci comunica la sua stessa vita divina (grazia sacramentale);
- ci riconcilia con Lui e fra di noi, ricostruendo il nostro legame di fratellanza universale;
- accoglie e feconda il nostro impegno personale di continua conversione inaugurata dal Battesimo e scandita dalle esigenze della celebrazione eucaristica;
- apre il nostro cuore pentito al soffio dello Spirito Santo, che porta verso la giustizia, la carità, la libertà, la vita e la gioia.

Chi ha istituito tale sacramento?

L’ha istituito Gesù Cristo, quando la sera di Pasqua si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23).

Perché bisogna confessarsi?

Perché ogni cristiano, dopo il battesimo, commette peccati.

E chi dice di essere senza peccato?

O è un bugiardo o è un cieco. “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv 1,8).

Quando si commette un peccato?


• Quando si disobbedisce a Dio, al suo amore, alla sua legge data a noi, tramite Cristo, per indicarci il buon cammino verso la nostra piena felicità e la perfetta realizzazione del nostro essere: la santità.
• “Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Salmo 51,6).
• In particolare, si prende coscienza del proprio peccato alla luce di Cristo. È Cristo infatti, con la sua Parola e con la sua morte-risurrezione, che svela pienamente all’uomo il proprio peccato, e la gravità di esso.

In che senso il peccato offende Dio?

Il peccato offende Dio nel senso che:
- ferisce o distrugge l’uomo che Dio ha creato e che ama;
- incrina o rompe il dialogo di Dio con l’uomo;
- rifiuta la Sua Parola (Legge, insegnamenti…) che è il vero bene dell’uomo;
- offende Dio non tanto nel Suo onore, quanto nel Suo Amore.

Soprattutto il peccato è causa della morte di Cristo, Figlio diletto del Padre.

Tutti i peccati sono uguali?

No certamente. I peccati si diversificano ad esempio quanto alla gravità e alla tipologia.
• Quanto alla gravità, ci sono peccati mortali e veniali.
• Quanto alla tipologia, ci sono peccati:
- di pensiero, parola, opere, omissioni.
- contro Dio, il prossimo, noi stessi, il creato.

Quando si ha un peccato mortale?

Per fare un peccato mortale, ci vogliono tre condizioni contemporaneamente:
• materia grave
• piena avvertenza
• deliberato consenso.

La materia grave da chi è stabilita?

È Dio (e non noi o la gente…) che determina qual è la materia grave. Dio la indica in particolare mediante i dieci Comandamenti e gli insegnamenti di Cristo, riproposti dalla sua Chiesa.

Quando si commette un peccato veniale?

Quando si tratta di materia leggera, oppure, se anche c’è materia grave, manca tuttavia o la piena avvertenza o il deliberato consenso.

Circa i propri peccati non basta chiedere perdono a Dio ognuno per conto proprio, senza il sacramento della confessione?

• Ognuno di noi può e deve chiedere perdono a Dio in ogni momento, in particolare subito dopo ogni peccato mortale e prima di addormentarsi la sera, come pure all’inizio della celebrazione della S. Messa.
• Ma Dio ci perdona certi peccati, e cioè i peccati mortali, quando ci accostiamo pentiti al sacramento della Confessione, voluto e istituito dal suo Figlio Gesù Cristo. Dio ci indica il modo attraverso il quale Egli ci concede il Suo perdono. Certamente il peccato non viene perdonato se non c’è il pentimento personale, ma Dio ha legato la remissione stessa dei peccati al ministero ecclesiale o almeno alla seria volontà di ricorrere ad esso al più presto, quando nell’immediato non vi sia la possibilità di compiere la Confessione sacramentale.

Ogni quanto ci si deve confessare?

• Ogni cristiano, raggiunta l’età della ragione, ha l’obbligo di confessarsi almeno una volta all’anno.
• Ma il buon cristiano non può e non deve accontentarsi di questo minimo. In particolare, il buon cristiano:
- Nel caso di un peccato mortale: deve confessarsi subito dopo aver commesso un peccato mortale, al fine di ottenere subito il perdono di Dio e di evitare l’inferno in caso di morte. E comunque deve confessarsi prima di accedere alla S. Comunione.
- La confessione individuale e integra e l’assoluzione costituiscono l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato mortale, è riconciliato con Dio e con la Chiesa.
- Nel caso di peccati veniali: Se ha solo peccati veniali, il tempo, che può intercorrere tra una confessione e l’altra, dipende dalla sensibilità spirituale di ciascuno.
- Certi santi si confessavano anche ogni giorno, ed erano santi!
- Seguendo il suggerimento di buoni Padri Spirituali, sarebbe opportuno per un cristiano, che non ha peccati mortali, confessarsi normalmente almeno una volta al mese, massimo ogni due mesi, e ciò deve avvenire soprattutto se egli accede alla S. Comunione di frequente.

Perché è quanto mai opportuna la confessione frequente anche dei peccati veniali?

• È quanto mai opportuno il ricorso abituale, umile e fiducioso al sacramento della Penitenza, in quanto tale sacramento:
- accresce la grazia,
- corrobora le virtù,
- aiuta a mitigare le tendenze negative ereditate a motivo del peccato originale e aggravate da peccati personali,
- forma una retta coscienza,
- offre il dono della serenità e della pace, per il fatto stesso che aumenta la grazia.

• Non si dimentichi poi l’importanza anche del rito penitenziale, che si trova all’inizio della Celebrazione Eucaristica, e con il quale si chiede perdono a Dio dei propri peccati.

Come ci si confessa?

• Ci si prepara anzitutto alla celebrazione del sacramento con momenti di preghiera e con una buona direzione spirituale.
• Ci si confronta poi con l’esempio e con le parole di Cristo (esame di coscienza), preferibilmente leggendo un brano della Sacra Scrittura.
• Alla luce di quanto Dio ha fatto per noi, si riconoscono i propri peccati, chiedendone perdono a Dio e impegnandosi a “cambiar vita”, soprattutto in un settore particolare (proposito).
• Ci si reca poi dal sacerdote (iniziando col dire quanto tempo è intercorso dall’ultima confessione e concludendo col dire che si intende confessare anche i peccati che non si ricordano e quelli della vita passata):
- si confessano i propri peccati
- si ascoltano le parole del sacerdote
- si accetta la penitenza che viene data
- si manifesta il proprio pentimento, motivato sopratutto dall’amore verso Dio e si recita l’atto di dolore (o qualche altra formula simile)
- si accoglie con Fede l’assoluzione:
“Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

• Si ringrazia poi il Signore del dono sacramentale ricevuto, rinnovando il proprio impegno di conversione di vita.

Basta un accusa generica dei propri peccati?

• No, non basta. Va riprovato qualsiasi uso che limiti la confessione ad un’accusa generica (ad es. il dire: ‘Padre, ho peccato, mi dia l’assoluzione…’) o soltanto di uno o più peccati ritenuti più significativi.
• Il cristiano è tenuto all’obbligo di confessare, secondo la specie e il numero, tutti i peccati mortali, commessi dopo il Battesimo e non ancora accusati nella Confessione, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame.

Come si fa un diligente esame di coscienza?

• Lasciandosi illuminare dalla Parola di Dio (la Bibbia). Infatti è la Parola di Dio che:
- rivela il peccato
- invita alla conversione
- esorta al bene
- incoraggia a operare imitando Cristo
- annuncia la misericordia di Dio che lava il peccato dell’uomo con il sangue di Cristo e dona la grazia dello Spirito Santo che santifica l’uomo.

• In particolare, si può fare un buon esame di coscienza passando in rassegna i dieci Comandamenti, le Beatitudini evangeliche, i precetti della Chiesa (si veda a questo riguardo il cap. VIII: Esame di coscienza).

È possibile confessarsi durante la S. Messa?

• Sì è possibile, ma non è opportuno, in quanto non si possono celebrare bene due sacramenti contemporaneamente. Meglio confessarsi prima o comunque al di fuori della S. Messa. La celebrazione della Confessione durante la Messa dà luogo a una sovrapposizione che finisce per danneggiare questi due eventi di salvezza, autentici capisaldi della vita cristiana, e pertanto bisognosi ciascuno di un tempo specifico di celebrazione.
• Si raccomanda quindi ai fedeli di accostarsi al Sacramento della Penitenza fuori dalla Celebrazione della Messa, scegliendo un momento di calma per sè e per il sacerdote confessore, così da poter celebrare bene questo sacramento.
• Il confessore è sempre tenuto al segreto?
• Certamente, senza alcuna eccezione e sotto pene molto severe. Egli deve mantenere l’assoluto segreto (il sigillo sacramentale) circa i peccati confessati dai suoi penitenti, a costo anche di rimetterci la propria vita.

Tutti possono ricevere l’assoluzione?

• Non possono ricevere validamente l’assoluzione i penitenti che vivono in stato abituale di peccato mortale (ad es. i divorziati risposati…) e qualora non intendano cambiare la loro situazione.
• In ogni caso, il peccato non viene perdonato se non c’è il pentimento personale e il proposito di non farlo più.
• Alcuni peccati poi particolarmente gravi, puniti con la scomunica, possono essere assolti solo dal Papa o dal Vescovo o da sacerdoti da loro delegati.
• In caso di pericolo imminente di morte, qualsiasi sacerdote può assolvere da ogni peccato o scomunica.

Quale rapporto c’è tra la celebrazione del sacramento della confessione e la vita quotidiana?


La celebrazione del rito sacramentale della penitenza è strettamente legata alla vita quotidiana. Confessandosi, si prende l’impegno, davanti alla comunità e davanti a Dio, di ritornare a camminare nella scelta cristiana fondamentale, di operare tutto ciò che Cristo ha proposto come via per la vera e definitiva liberazione dell’uomo, per la piena e gioiosa comunione con Dio e con i fratelli.

“Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (1 Cor 6, 11). Dunque camminate nella vita nuova. “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Tes 4, 3).



02/02/2007 23:42
 
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secondo voi serve davvero pregare? [SM=g27833]

io personalmente credo che sia solo un modo che l'uomo si è inventato x alleviare le sofferenze su qualcun altro e per liberarsi dal senso di colpa dicendo 2 squallide rime a memoria. [SM=g27812]
03/02/2007 01:33
 
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Re:

Scritto da: AteoConvinto 02/02/2007 23.42
secondo voi serve davvero pregare? [SM=g27833]

io personalmente credo che sia solo un modo che l'uomo si è inventato x alleviare le sofferenze su qualcun altro e per liberarsi dal senso di colpa dicendo [SM=g27812]



Per sapere se serve pregare bisogna capire cos'è pregare. Prima di scrivere questa tua opinione, hai letto cosa è per un cristiano quello che tu chiami "2 squallide rime a memoria"?. Hai mai provato a pregare, fosse anche solo "per scerzo"? Se no: perché non ci provi una volta? Fai finta che c'è qualcuno che ti ascolti. Forse farai una scoperta ...
************************************************************************************


BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

Mt 16,18





La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
(don Tonino Bello)


ANDIAMO AVANTI!

03/02/2007 20:24
 
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gia....dovresti provare una volta...e te ne accorgerai
08/02/2007 20:06
 
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CHE COSA SIGNIFICA ESSERE SANTI?

Significa essere uniti, in Cristo, a Dio, perfetto e santo. «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48), ci ordina Gesù Cristo, Figlio di Dio. «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3).

PERCHE’ DIO VUOLE LA NOSTRA SANTITA’?


Perché Dio ci ha creati “a sua immagine e somiglianza” (Gen1,26), e dunque: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44), ci dice Dio. La santità di Dio è il principio, la fonte di ogni santità. E per di più nel Battesimo, Egli ci fa partecipi della natura divina, adottandoci come figli suoi. E pertanto vuole che i suoi figli siano santi come è santo Lui.

SIAMO TUTTI CHIAMATI ALLA SANTITÁ CRISTIANA?

Ogni uomo è chiamato alla santità, che “è pienezza della vita cristiana e perfezione della carità, e si attua nell’unione intima con Cristo, e, in lui, con la Santissima Trinità. Il cammino di santificazione del cristiano, dopo essere passato attraverso la Croce, avrà il suo compimento nella Risurrezione finale dei giusti, nella quale Dio sarà tutto in tutte le cose” (COMPENDIO, n. 428).

COME E’ POSSIBILE DIVENTARE SANTI?

• Il cristiano è già santo, in virtù del Battesimo: la santità è inscindibilmente legata alla dignità battesimale di ogni cristiano. Nell’acqua del Battesimo infatti siamo stati “lavati [...], santificati [...], giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (1Cor 6,11); siamo stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi.

• E proprio perché siamo santi sacramentalmente (ontologicamente - sul piano cioè del nostro essere cristiani), è necessario che diventiamo santi anche moralmente, e cioè nel nostro pensare, parlare e agire durante ogni giorno, ogni momento della nostra vita. Ci ammonisce l’Apostolo Paolo a vivere «come si conviene a santi» (Ef 5,3), a rivestirci «come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza» (Col 3,12).

• Dobbiamo con l’aiuto di Dio, mantenere, manifestare e perfezionare con la nostra vita la santità che abbiamo ricevuto nel Battesimo: Diventa ciò che sei, ecco l’impegno di ciascuno.

• Questo impegno lo si può realizzare, imitando Gesù Cristo: via, verità e vita; modello, autore e perfezionatore di ogni santità. Lui è la via della santità. Siamo dunque sollecitati a seguire il Suo esempio e diventare conformi alla Sua immagine, in tutto obbedienti, come Lui, alla volontà del Padre; ad avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale «spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo (...) facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2,7-8), e per noi «da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9).

• L’imitazione di Cristo, e quindi il diventare santi, sono resi possibili dalla presenza in noi dello Spirito Santo, che è l’anima della multiforme santità della Chiesa e di ogni cristiano. E’ infatti lo Spirito Santo, che ci muove internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarci a vicenda come Cristo ci ha amato (cfr. Gv 13,34).

QUALI SONO I MEZZI PER LA NOSTRA SANTIFICAZIONE?


Il mezzo primo e più necessario è l’Amore, che Dio ha diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr. Rm 5,5) e con il quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché l’amore, “come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la Parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’Eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù. La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine” (LG, 42). Ogni fedele è aiutato nel suo cammino di santità dalla grazia sacramentale, donata da Cristo e propria di ciascun Sacramento.

ESISTONO VARI MODI E FORME DI SANTITA’?


Certamente. Ognuno può e deve diventare santo secondo i propri doni e uffici, nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della propria vita. Le vie della santità sono pertanto molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Tanti cristiani, e tra loro molti laici, si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita.

PERCHE’ LA CHIESA E’ SANTA?

• La Chiesa è santa, perché:
- Dio Santissimo è il suo autore
- in essa è presente Cristo, capo della Chiesa, il quale ha dato se stesso per lei, per santificarla e renderla santificante
- è animata dallo Spirito Santo, che la vivifica con la Carità e l’arricchisce con i suoi carismi
- in essa è custodita fedelmente la Parola di Dio
- si trova in essa la pienezza dei mezzi di salvezza: essa è strumento di santificazione degli uomini mediante l’annuncio della Parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti, l’esercizio della Carità nella ricerca costante del volto di Cristo in ogni fratello. La Chiesa è casa della santità e la Carità di Cristo, effusa dallo Spirito Santo, ne costituisce l’anima.
- la santità è la vocazione di ogni suo membro, la sorgente segreta, la misura infallibile e il fine di ogni sua attività apostolica e del suo slancio missionario
- la santità della Chiesa è la sorgente della santificazione dei suoi figli. Per questo giustamente la Chiesa è chiamata anche la madre dei santi, colei che genera santità con feconda e magnanima sovrabbondanza
- essa annovera al suo interno la Vergine Maria: in Lei la Chiesa è già tutta santa. La Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga
- nella Chiesa, durante tutti i secoli della sua storia, è fiorita in maniera incredibilmente straordinaria la santità cristiana, sia eroica sia ordinaria, e così si sono avuti innumerevoli Santi
- ha suscitato, lungo tutta la sua storia, infinite opere di carità.

• “La santità della Chiesa è favorita in modo speciale dai molteplici consigli (povertà, castità, obbedienza), che il Signore nel Vangelo propone all’osservanza dei suoi discepoli. Tra essi eccelle il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cfr. Mt 19,11), di consacrarsi, più facilmente e senza divisione del cuore (cfr. 1Cor 7,7), a Dio solo nella verginità o nel celibato. Questa perfetta continenza per il regno dei cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, quale segno e stimolo della carità e speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo” (LG, 42).

• La Chiesa è santa sì, ma nello stesso tempo è insieme sempre bisognosa di purificazione. Infatti tutti i suoi membri, qui sulla terra, si riconoscono tutti peccatori, sempre bisognosi di conversione e di purificazione. La Chiesa comprende nel suo seno uomini fragili, che si riconoscono peccatori, e quindi bisognosi di chiedere e di ricevere il perdono da Dio per i propri peccati. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli, con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito.

PERCHE’ LA CHIESA PROCLAMA SANTI ALCUNI SUOI FIGLI?

“Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori” (CCC, n. 828).

La Chiesa, fin dagli inizi, ha sempre creduto che gli Apostoli e i Martiri siano con noi strettamente uniti in Cristo, li ha celebrati con particolare venerazione insieme con la beata Vergine Maria e i santi Angeli, e ha implorato piamente l’aiuto della loro intercessione. E lungo i secoli, ha sempre offerto all’imitazione dei fedeli, alla venerazione e all’invocazione alcuni uomini e donne, insigni per lo splendore della carità e di tutte le altre virtù evangeliche.

QUALI OBIEZIONI SI MUOVONO CONTRO I SANTI?

Qualcuno insinua esservi una strategia espansionistica della Chiesa cattolica. Per altri, la proposta di nuovi beati e santi, così diversificati per categorie, nazionalità e culture, sarebbe solo un’operazione di marketing della santità con scopi di leadership del Papato nella società civile attuale. C’è, infine, chi vede nelle canonizzazioni e nel culto dei santi un residuo anacronistico di trionfalismo religioso, estraneo o persino contrario allo spirito e al dettato del Concilio Vaticano II, che tanto ha evidenziato la vocazione alla santità di tutti i cristiani. Chi muove tali obiezioni non tiene in debito conto il grande ruolo e la vera importanza dei santi nella Chiesa.

CHI SONO I SANTI, PER LA CHIESA?


• I santi sono:
- coloro che contemplano già chiaramente Dio uno e trino. Cittadini della Gerusalemme celeste, cantano senza fine la gloria e la misericordia di Dio, essendosi già compiuto in loro il passaggio pasquale da questo mondo al Padre
- discepoli insigni del Signore. ORIGENE lo afferma con decisione: “I santi sono immagine dell’immagine, essendo il Figlio immagine” (La preghiera, 22, 4). Sono riflesso della luce di Cristo Risorto. Al pari del volto di un bambino, nel quale i tratti somatici di un genitore sono particolarmente accentuati, in quello del santo i lineamenti del volto di Cristo hanno trovato una nuova modalità di espressione
- modelli di vita evangelica, per i quali la Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle loro virtù e quindi li propone alla nostra imitazione. Essi “sono sempre stati sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa” (GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, 16). “Essi salvano la Chiesa dalla mediocrità, la riformano dal di dentro, la sollecitano ad essere ciò che deve essere la sposa di Cristo senza macchia né ruga (cfr Ef 5, 27)” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai giovani di Lucca, 23 settembre 1989). E il Card. JOSEPH RATZINGER ha giustamente affermato che: “Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e nostro cammino. Essi, i santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell’umano, l’eterno nel tempo”
- testimoni storici della vocazione universale alla santità. Frutto eminente della redenzione di Cristo, sono prova e documento che Dio, in tutti i tempi e presso tutti i popoli, nelle più svariate condizioni socio-culturali e nei vari stati di vita, chiama i suoi figli a raggiungere la perfetta statura di Cristo (cfr Ef 4,13; Col 1,28). Essi mostrano che la santità è accessibile alle moltitudini, che la santità è imitabile. Con la loro concretezza personale e storica fanno sperimentare che il Vangelo e la vita nuova in Cristo non sono un’utopia o un mero sistema di valori, ma sono “lievito” e “sale” capaci di far vivere la fede cristiana all’interno e dall’interno delle diverse culture, aree geografiche ed epoche storiche
- espressione della cattolicità o universalità della fede cristiana e della Chiesa che quella fede vive, custodisce e diffonde. I santi, espressione dello stesso Spirito - come dice il Vangelo – che “spira dove vuole”, hanno vissuto la stessa fede. Tale internazionalismo conferma che la santità non ha confini e che essa non è morta nella Chiesa e, anzi, continua ad essere di viva attualità. Il mondo cambia, ma i santi, pur cambiando essi stessi con il mondo che cambia, ripresentano sempre il medesimo volto vivo di Cristo. Essi fanno risplendere nel mondo un riflesso della luce di Dio, sono i testimoni visibili della santità misteriosa e universale della Chiesa
- una autentica e costante forma di evangelizzazione e di magistero. La Chiesa vuole accompagnare la predicazione delle verità e dei valori evangelici con la presentazione di santi che hanno vissuto quelle verità e quei valori in modo esemplare
- mentre onorano l’uomo, rendono gloria a Dio, perché “gloria di Dio è l’uomo vivente” (Sant’IRENEO di Lione)
- sono un segno della capacità di inculturazione della fede cristiana e della Chiesa nella vita dei vari popoli e culture
- intercessori ed amici dei fedeli ancora pellegrini sulla terra, perché i santi, pur immersi nella beatitudine di Dio, conoscono gli affanni dei loro fratelli e sorelle e accompagnano il loro cammino con la preghiera e il patrocinio
- innovatori di cultura. I santi hanno permesso che si creassero dei nuovi modelli culturali, nuove risposte ai problemi e alle grandi sfide dei popoli, nuovi sviluppi di umanità nel cammino della storia. I santi sono come dei fari: hanno indicato agli uomini le possibilità di cui l’essere umano dispone. Per questo sono interessanti anche culturalmente. Un grande filosofo francese del XX secolo, HENRY BERGSON, ha osservato che “i più grandi personaggi della storia non sono i conquistatori, ma i santi”.

• Tutto ciò la Chiesa confessa allorché, riconoscente a Dio Padre, proclama: «nella vita dei santi ci offri un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno» (Prefazio della Messa).

CHE DIFFERENZA ESISTE TRA BEATI E SANTI?


• Quanto alla certezza che sia gli uni sia gli altri siano in Paradiso, non c’è tra loro alcuna differenza.

• Quanto alla procedura: normalmente prima un cristiano viene proclamato beato (beatificazione), e poi, successivamente ed eventualmente, viene proclamato santo (canonizzazione).

• Quanto all’autorità impegnata nel dichiarare uno beato oppure santo: è sempre il Papa che, con un atto specifico pontificio, dichiara uno beato o santo.

• Quanto al culto: le beatificazioni hanno un culto permissivo e non prescrittivo, limitato a una Chiesa particolare; le canonizzazioni hanno un culto esteso a tutta la Chiesa, prescrittivo, con una sentenza definitiva.

I BEATI E I SANTI SONO TROPPI?


GIOVANNI PAOLO II ha risposto a tale obiezione in questo modo: “Si dice talora che oggi ci sono troppe beatificazioni. Ma questo, oltre a rispecchiare la realtà, che per grazia di Dio è quella che è, corrisponde anche al desiderio espresso dal Concilio. Il Vangelo si è talmente diffuso nel mondo e il suo messaggio ha messo così profonde radici, che proprio il grande numero di beatificazioni rispecchia vividamente l’azione dello Spirito Santo e la vitalità che da Lui scaturisce nel campo più essenziale per la Chiesa, quello della santità. È stato infatti il Concilio a mettere in particolare rilievo la chiamata universale alla santità” (Discorso in apertura del Concistoro straordinario in preparazione al Giubileo del 2000, 13-VI- 1994).

E ancora scrive: “Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell’onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana” (GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio adveniente, 37).

COME LA CHIESA GIUNGE ALLA CANONIZZAZIONE?

Il modo di procedere da parte della Chiesa, nelle cause di beatificazione e di canonizzazione, è stato sviluppato nel corso dei tempi da sempre nuove norme alla luce anche del progresso delle discipline storiche, al fine di avere l’agilità del modo di procedere, mantenendo tuttavia ferma la sicurezza delle investigazioni in una questione di tanta gravità e importanza.

Queste sono le varie tappe:
1) FASE DIOCESANA:
• Chiunque può richiedere al Vescovo della diocesi, dove è morto il Servo di Dio, di avviare una causa di canonizzazione. I santi e la santità sono riconosciuti, pertanto, come un movimento dal basso verso l’alto. Ancor oggi, è il popolo cristiano stesso infatti che, riconoscendo per intuito della fede la “fama di santità”, segnala i candidati alla canonizzazione al proprio Vescovo, che successivamente invia le prove raccolte al Dicastero della Santa Sede competente, la Congregazione delle Cause dei santi.

• Il Vescovo, su istanza del Postulatore e previo permesso della Santa Sede, avvia il procedimento, non prima, normalmente, di cinque anni dalla morte del fedele. Al Vescovo compete il diritto di raccogliere le prove circa la vita, le virtù o il martirio, i miracoli asseriti, e, se è il caso, l’antico culto del Servo di Dio, del quale viene chiesta la canonizzazione. Per fare questo, il Vescovo ricorre all’aiuto di vari esperti, i quali, dopo aver investigato scritti e documenti, e interrogato testimoni, esprimono un giudizio circa la loro autenticità e il loro valore, come pure circa la personalità del servo di Dio.
• Se il Vescovo ritiene che la causa contiene elementi fondati, allora nomina un Tribunale (Giudice, Promotore di giustizia e Notaio), che interroga i testimoni e riceve da una Commissione storica tutta la documentazione riguardante la vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio.

2) FASE PONTIFICIA:
• Terminate le indagini a livello diocesano, si trasmettono tutti gli atti in duplice copia alla Santa Sede, e precisamente alla Congregazione dei Santi, che esamina gli atti stessi:
- sotto l’aspetto formale (per verificare se gli atti sono validi e autentici) e
- sotto l’aspetto di merito (per accertare se le virtù sono provate).
• Alla fine la suddetta Congregazione pronunzia la sua valutazione sia sulle virtù sia sui miracoli.

COME VIENE FATTO L’ESAME CIRCA LE VIRTU’?

La Congregazione dei Santi procede in questo modo:
• Viene preparata anzitutto la «Positio», che è l’insieme degli atti processuali e degli atti documentali, la quale dovrà essere sottoposta all’esame dei Consultori esperti specifici della materia, perché esprimano il voto sul suo valore scientifico.

• La «Positio» (con i voti scritti dei Consultori storici e con gli ulteriori chiarimenti del Relatore, se saranno necessari) sarà esaminata dai Consultori teologi, i quali, insieme al «Promotor fidei», esprimono il loro parere sull’eroicità delle virtù del Servo di Dio e preparano una propria relazione finale, da sottoporre, insieme alla «Positio», al giudizio dei Cardinali e dei Vescovi, Membri della Congregazione dei Santi.

COME VA CONSIDERATA L’EROICITA’ DELLE VIRTU’?

Il concetto di eroicità delle virtù non implica, necessariamente, che le azioni compiute dalla persona virtuosa debbano essere eclatanti. “L’eroicità – ha spiegato il Card. JOSÉ SARAIVA MARTINS, Prefetto della Congregazione dei Santi - può benissimo consistere nel compiere in modo straordinariamente generoso e perfetto i propri doveri quotidiani verso Dio, verso il prossimo e verso se stessi. La vita ordinaria di ogni giorno è il luogo più comune per raggiungere le più alte vette della santità” (Discorso del 2003).

SERVE ANCHE UN MIRACOLO?

Per poter procedere alla beatificazione di un Servo di Dio, l’attuale legislazione canonica richiede anche un miracolo, realizzatosi per intercessione di quel Servo di Dio dopo la sua morte. Per la beatificazione di un martire non si richiede il miracolo, in quanto lo stesso martirio, subìto per amore di Dio, è un segno non equivoco della vita virtuosa di un Servo di Dio.
Per la canonizzazione invece dei martiri e dei non-martiri occorre un nuovo miracolo, avvenuto dopo la beatificazione.

PERCHE’ SONO NECESSARI I MIRACOLI?

• C’è una ragione storica: da sempre la Chiesa ha chiesto dei ‘segni’ a conferma della vita virtuosa di un cristiano.

• C’è soprattutto una ragione teologica: i miracoli sono necessari per:
- confermare la dottrina e la fede del Servo di Dio
- per garantire il giudizio sull’eroicità delle sue virtù
- per provare che la vita di un non-martire non sia stata in segreto laxior (e cioè meno santa) rispetto a quanto risulta dalle testimonianze.

COME SI PROCEDE NEL CASO DEI MIRACOLI?


• I miracoli sono studiati sotto due aspetti:
- quello scientifico: per provare che l’evento prodigioso (la guarigione), sulla base delle testimonianze e la documentazione medica, è inspiegabile
- quello teologico: per verificare se l’evento prodigioso si connota di preternaturalità, cioè se è un vero e proprio miracolo

• Spetta anzitutto al Vescovo, ove è avvenuto l’evento prodigioso, far studiare il miracolo da un Tribunale, che deve raccogliere le prove testimoniali e medico-cliniche.

• Poi il Vescovo invia gli atti di detto Tribunale alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale li studia sia sotto il profilo procedurale (per accertare la validità di tali atti) sia soprattutto sul merito. A tal fine:
- gli atti vengono prima esaminati da due periti medici individualmente, e poi da un organo collegiale di cinque medici, i quali raccolgono le loro conclusioni (diagnosi, prognosi, terapia, modalità di guarigione inspiegabile da un punto di vista medico…) in una relazione
- viene quindi preparata una «Positio» (con tutti gli atti diocesani e la relazione dei medici) che viene esaminata dai teologi, i quali emetteranno un parere sulla preternaturalità del fatto
- infine la stessa «Positio», la relazione dei medici e i pareri dei teologi vengono sottoposti al giudizio dei Padri (Cardinali e Vescovi) della Congregazione dei Santi, i quali valuteranno se il fatto prodigioso è un miracolo oppure no.

• Il giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi, sia sull’eroicità delle virtù sia sul miracolo, viene riferito, dal Card. Prefetto della Congregazione dei Santi, al Sommo Pontefice, al quale solo compete il diritto di dichiarare, con un solenne atto, che si può procedere alla beatificazione o alla canonizzazione di un cristiano e quindi al culto pubblico ecclesiastico, a lui dovuto.

QUALE CULTO SI DEVE AI BEATI E AI SANTI?


Ai beati e ai santi è dovuto il culto di venerazione, e non di adorazione, essendo questo riservato unicamente a Dio. Non bisogna dimenticare che scopo ultimo della venerazione dei santi è la gloria di Dio e la santificazione dell’uomo attraverso una vita pienamente conforme alla volontà divina e l’imitazione delle virtù di coloro che furono eminenti discepoli del Signore.
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