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Atti, Documenti, Concili e Sinodi nel Pontificato di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2007 23:06
04/10/2005 02:03
 
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Relazione del Cardinal Angelo Scola ad introduzione del dibattito sinodale


CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 3 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la “Relatio Ante Disceptationem” pronunciata questo lunedì mattina dal Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia e Relatore Generale al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, nel corso della Prima Congregazione Generale del Sinodo.


INTRODUZIONE

Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo

I. Stupore eucaristico

Quando celebrano l’Eucaristia, “i fedeli possono rivivere in qualche modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31) [1]. Per questo Giovanni Paolo II afferma che l’azione eucaristica suscita stupore [2]. Lo stupore è la risposta immediata dell’uomo alla realtà che lo interpella. Esprime il riconoscimento che la realtà gli è amica, è un positivo che incontra le sue attese costitutive. San Paolo, scrivendo ai Romani, ne spiega la ragione: la realtà custodisce il disegno buono del Creatore. A tal punto che l’Apostolo ha potuto dire degli uomini “che soffocano la verità nell’ingiustizia” che sono “inescusabili” perché “pur conoscendo Dio” - dal momento che “dalla creazione del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute” - “non gli hanno reso gloria né gli hanno reso grazie come a Dio” (cfr. Rm 1, 19-21). Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo tempo nell’esperienza dell’uomo, quando, a causa della finitudine e del male, in lui si fa strada la paura che la positività della realtà non permanga.

Così, da una parte, l’azione eucaristica, come del resto l’intero cristianesimo in quanto sorgente di stupore [3], si inscrive nell’esperienza umana come tale. Tuttavia, dall’altra, Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e del tutto gratuito. Nell’Eucaristia si rivela che quello di Dio è un disegno di amore. In Essa il Deus Trinitas, che in Se stesso è amore (cfr. 1Gv 4, 7-8), si abbassa nel Corpo donato e nel Sangue versato da Cristo Gesù, fino a farsi cibo e bevanda che alimentano la vita dell’uomo (cfr. Lc 22, 14-20; 1Cor 11, 23-26).

Come i due di Emmaus, rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il proprio cammino (cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo di Dio, abbandonandosi alla forza del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.

Giovanni Paolo II con grande lungimiranza, subito fatta propria da Benedetto XVI, volle prolungare i benefici frutti del Grande Giubileo nello speciale Anno Eucaristico [4], stabilendo che questa XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi fosse dedicata a L’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. La solenne celebrazione eucaristica con cui ieri l’abbiamo iniziata nella Basilica di San Pietro, ci ha oggettivamente aperti a quell’atteggiamento di stupore che, se opportunamente assecondato durante i nostri lavori, contribuirà a far riscoprire la centralità e la bellezza dell’Eucaristia alla Chiesa sparsa in tutto il mondo.

Perché l’Eucaristia è l’affascinante cuore della vita del popolo di Dio destinato alla salvezza dell’umanità intera? Perché essa svela e rende presente nell’oggi della storia Gesù Cristo come senso compiuto dell’umana esistenza in tutte le sue dimensioni personali e comunitarie [5]. E lo documenta a livello antropologico, cosmologico e sociale.

“Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” [6]: nell’Eucaristia questa centrale affermazione conciliare rivela tutto il suo realismo. Nel pane e nel vino, frutti della terra e del lavoro, è ricapitolata l’offerta totale che l’uomo, uno di anima e di corpo [7], fa di sé, dei suoi affetti e del suo operare; è espresso il suo rapporto di permanente interazione col cosmo e, nello stesso tempo, si documenta la sua originaria solidarietà con tutti i fratelli uomini, a partire dalla famiglia e dalle comunità più prossime per giungere fino agli estremi confini della terra.

Nel dono eucaristico è consentito al credente l’accesso alla Verità vivente e personale che fa “liberi davvero” (cfr. Gv 8, 36). Nell’Eucaristia l’invito di Gesù “se vuoi essere perfetto” (Mt 19, 21) assume tutta la sua pregnanza. L’uomo è provocato ad uscire da se stesso verso gli altri e la realtà tutta, perché sia soddisfatto il desiderio inestirpabile di felicità che porta nel proprio cuore [8]. Nell’Eucaristia Gesù diviene concretamente Via a quella Verità che dà la Vita (cfr. Gv 14, 6) [9].
In Essa, la Chiesa, realtà nello stesso tempo personale e sociale, diviene concretamente un popolo di popoli, quella mirabile entità etnica sui generis di cui parlava Paolo VI [10].

Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa “è l’intero Triduum Paschale, ma questo è come raccolto, anticipato e ‘concentrato’ per sempre nel dono eucaristico” in quanto attua “una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel Triduum e lo scorrere dei secoli” [11]. Per questo, da duemila anni il popolo santo di Dio, a qualunque generazione, ceto, razza o cultura appartenga, conviene ogni domenica nell’ecclesia eucaristica, confessando pubblicamente la propria fede. L’Eucaristia, infatti, in se stessa e nella sua connessione con il settenario sacramentale, svela tutta la portata del mistero della fede [12]. Ciò spiega concretamente la ragione per cui anche nei tempi e nei luoghi di maggior travaglio la Chiesa, sostenuta dallo Spirito, non è mai venuta meno. Ad impedirlo ha contribuito proprio la prassi bimillenaria [13] di porre al centro l’azione eucaristica domenicale.

Sono questi, in estrema sintesi, i motivi che possono suscitare lo stupore eucaristico in uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La presente Relatio ante disceptationem intende illustrarli un poco. Nel quadro preparatorio tracciato dai Lineamenta prima e dall’Instrumentum laboris poi, senza pretesa di completezza, ma senza evitare i principali problemi, essa ha il solo scopo di aprire il dialogo tra i Padri Sinodali.

Per comodità ne anticipo le articolazioni. Dopo aver fatto riferimento allo stupore eucaristico, l’Introduzione (Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo) evidenzia il nesso dell’Eucaristia con l’evangelizzazione e con la ratio sacramentalis propria della Rivelazione. Nel Primo Capitolo (Il novum del culto cristiano) cercherò di mettere in luce la novità del culto cristiano. Il Secondo Capitolo (L’azione eucaristica) tratterà dell’azione eucaristica nei suoi elementi distintivi e nel necessario nesso tra ars celebrandi e actuosa participatio. Un Terzo Capitolo (Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia) vuole mostrare come l’Eucaristia possieda intrinsecamente una dimensione antropologica, una dimensione cosmologica e una dimensione sociale. La Conclusione (L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo) offrirà una ripresa sintetica della materia svolta per terminare con un breve auspicio circa i nostri lavori.

II. L’Eucaristia implica evangelizzazione

I dati raccolti dall’Instrumentum laboris preparato in vista di quest’Assemblea Sinodale mostrano che la pratica eucaristica è assai varia nelle grandi aree del globo. Questo ha certamente a che fare con le loro significative differenze culturali, che si esprimono in maniera evidente anche nella qualità della partecipazione all’Eucaristia che, a sua volta, è connessa all’autenticità dell’ars celebrandi.

Un rilievo generale, tuttavia, si impone. Lo spegnersi dello stupore eucaristico dipende, in ultima analisi, dalla finitudine e dal peccato del soggetto. Spesso però questo trova un terreno di coltura nel fatto che la comunità cristiana che celebra l’Eucaristia è distante dalla realtà. Vive astrattamente. Non parla più all’uomo concreto, ai suoi affetti, al suo lavoro, al suo riposo, alle sue esigenze di unità, di verità, di bontà, di bellezza. E così l’azione eucaristica, separata dall’esistenza quotidiana, non accompagna più il credente nel processo di maturazione del proprio io e nel suo rapporto con il cosmo e con la società.
L’Assemblea Sinodale dovrà indagare attentamente questo stato di cose e suggerire i rimedi possibili. Non potrà limitarsi a ribadire la centralità dell’Eucaristia e del dies Domini.

Oggettivamente essa è fuori discussione, ma la difficoltà sta nel come ridestare lo stupore, generato dall’Eucaristia, nei tanti battezzati non praticanti (in taluni paesi europei possono superare l’80%). “Prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia - non dobbiamo dimenticarlo -, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione” [14]. Sono quindi indispensabili l’annuncio e la testimonianza personale e comunitaria di Gesù Cristo a tutti gli uomini ai fini di suscitare comunità cristiane vitali ed aperte. Inoltre la vita di tali comunità domanda una sistematica formazione al “pensiero di Cristo” (1Cor 2, 16) (catechesi - in modo del tutto particolare quella riguardante l’iniziazione cristiana dei bambini e degli adulti -, cultura). Passa attraverso l’educazione al gratuito (carità, impegno di condivisione sociale). Chiede una comunicazione universale della vita nuova in Cristo (missione). In una parola i fattori costitutivi dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione sono essenziali implicazioni dell’azione eucaristica.

III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione

Il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum, ha messo in evidenza il carattere di avvenimento proprio della Rivelazione. Ha così offerto una solida base dottrinale al realismo eucaristico che solo garantisce la contemporaneità tra il Triduum salvifico della Pasqua e l’uomo di ogni tempo. La Costituzione approfondisce l’insegnamento del Vaticano I in chiave cristocentrica. La Rivelazione si compie e completa nella Persona e nella storia di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, crocifisso, morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza [15]. Nella Sua opera di redenzione Egli rivela il volto misericordioso del Padre che, mediante la potenza dello Spirito del Risorto, ci rende figli nel Figlio (cfr. Ef 1, 5). “Nomen Trinitatis publicando” [16] Gesù Cristo, attraverso il dono totale della Sua vita innocente, scioglie l’enigma dell’uomo e, in tal modo, valorizza la sua libertà abilitandolo a decidere su di sé. Gesù Cristo, infatti, domanda alla libertà di ogni uomo di accogliere, mediante l’obbedienza della fede, questo Suo dono in ogni atto della propria esistenza (cfr. Ap 3, 20). Tale accoglienza implica a sua volta, da parte dell’uomo, il dono totale di sé (cfr. Mt 19, 21). Ne consegue l’esclusione di ogni concezione magica del sacramento in generale e dell’Eucaristia in particolare.

L’evento unico e irrepetibile del Triduum Paschale è stato da Cristo stesso anticipato nella Cena con i Suoi, che Egli ha fortemente voluto (cfr. Lc 22, 15). Sedendo a mensa con gli apostoli nel cenacolo, Gesù ha istituito l’Eucaristia. Attraverso il dono dello Spirito Santo che rende possibile attuare efficacemente il comando “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1Cor 11, 25), Egli apre al credente di ogni tempo la possibilità di aver parte alla salvezza.

Nell’azione eucaristica, pertanto, la libertà di Dio incontra effettivamente la libertà dell’uomo. A partire da questo incontro di libertà il cristiano, segnato dal riconoscimento del dono di Dio e della comunione con Lui e con i fratelli, è sospinto a dare a tutta la sua vita una forma eucaristica [17]. E questo perché nell’Eucaristia si esprime in modo eminente quella che Fides et ratio chiama la “ratio sacramentalis della rivelazione” [18]. Essa consente al fedele di scoprire che, attraverso tutte le circostanze e tutti i rapporti di cui è obiettivamente costituita l’esistenza umana, l’evento di Gesù Cristo chiama la sua libertà ad un progressivo coinvolgimento con la vita della Trinità.

Ad accompagnarlo in questa esperienza è Gesù stesso: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per questo Egli assicura alla comunità cristiana la Sua amorevole presenza: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Così ha vissuto dall’inizio la comunità primitiva: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). E sulla vita di questo popolo di Dio che attraversa la storia getta una luce sfolgorante la prospettiva escatologica in cui Gesù ha collocato, fin dalla sua istituzione, l’azione eucaristica: “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26, 29; Mc 14, 25; Lc 22, 18).

La ratio sacramentalis implicata nel mistero della incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, mostra che la vita di ogni uomo è obiettivamente vocazione. Ogni stato di vita [19] - matrimonio, sacerdozio ministeriale, verginità consacrata - riceve dal mistero eucaristico la radice ultima della propria forma. Pertanto, nella convocazione eucaristica, ogni credente trova l’origine ed il senso della propria vocazione che imprime alla sua esistenza una forma eucaristica.

CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano


Il dato imponente della prassi bimillennaria della celebrazione eucaristica domenicale, decisivo per la genesi e la crescita delle comunità cristiane di ogni tempo e luogo, non è casuale. Questo primato dell’Eucaristia come azione si spiega esaurientemente a partire dalla ratio sacramentalis della rivelazione da cui sgorga la forma eucaristica dell’esistenza cristiana. Per questo occorre mettere con decisione al centro dei nostri lavori sull’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, l’approfondimento dell’azione eucaristica stessa. Questa scelta consente di superare ogni falsa opposizione tra teologia e liturgia.

I. La “logike latreía” (Rm 12, 1)

Pur riconoscendo con gli studiosi una certa differenziata continuità antropologica con i riti propri delle svariate forme religiose, in modo particolare con i riti sacrificali dell’Antico Vicino Oriente, con le cene ellenistiche ed in specie con i pasti sacri del giudaismo di epoca ellenistica, è oggi da tutti riconosciuto che l’Eucaristia di Gesù nell’Ultima Cena ha dato vita ad un novum.
L’istituzione dell’Eucaristia si inserisce in una cena rituale, il cui contesto pasquale è ormai accertato (cfr. Mt 26, 19-20; Mc 16-18; Lc 22, 13-14; Gv 13, 1-2) [20], come quella singolare azione mediante la quale Gesù associa i Suoi alla Sua ora e missione anticipando il sacrificio della Sua Pasqua, strada definitiva per l’instaurarsi del Regno. Mangiando il Suo Corpo e bevendo il Suo Sangue, i discepoli sono incorporati a Cristo: in tal modo si attua quella comunione che costituisce la Chiesa.

Nell’Ultima Cena Gesù Cristo, “parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti” [21], offre Se stesso come unica vittima proporzionata al Padre (cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 23ss). In questo atto Egli coinvolge però anche i Suoi, non per un formale e triste ricordo della Sua persona e della Sua azione, ma per la permanente ed attiva partecipazione alla Sua offerta dei discepoli fino alla fine dei tempi: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19).

Emerge così il vincolo indissolubile che lega l’Eucaristia alla Chiesa e la Chiesa all’Eucaristia. Non a caso ecclesia è il termine tecnico che, fin dall’inizio, indica l’azione del riunirsi eucaristico dei cristiani (cfr. 1Cor 11, 18; 14, 4-5.19.28). “La Chiesa vive dell’Eucaristia fin dalle sue origini. In essa trova la ragione della sua esistenza, la fonte inesauribile della sua santità, la forza dell’unità e il vincolo della comunione, l’impulso della sua vitalità evangelica, il principio della sua azione di evangelizzazione, la sorgente della carità e lo slancio della promozione umana, l’anticipo della sua gloria nel banchetto eterno delle Nozze dell’Agnello (cfr. Ap 19, 7-9)” [22].

Da quanto detto l’azione eucaristica emerge in tutta la sua forza di fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale del cristiano, perché esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logike latreía: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (tçn logiken latreían)” (Rm 12, 1). In questa visione paolina del nuovo culto come offerta totale della propria persona - “Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” [23] -, è definitivamente superata ogni separazione tra sacro e profano.

Il culto cristiano non è una parentesi all’interno di un’esistenza vissuta in un orizzonte profano. Non è neppure un puro atto sacrificale e riparatorio delle offese o delle prese di distanza dallo sguardo di Dio. Il nuovo culto cristiano diventa espressione di tutta l’esistenza rinnovata: “sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10, 31). Ogni atto di libertà del cristiano è chiamato così ad essere atto di culto. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della spiritualità cristiana.

In quanto assume l’umano in tutta la sua densità storica l’Eucaristia, vertice del settenario sacramentale [24], rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo predestinato e chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio stesso (cfr. Ef 1, 4-5). Si pensi alla straordinaria efficacia del Battesimo: scopriamo che i figli, incorporati a Cristo nella Chiesa, sono nostri perché sono figli del Padre nostro che è nei cieli. La Confermazione svela ai cresimandi, chiamati alla testimonianza, che gli affetti ed il lavoro ricevono la loro verità dal dono dello Spirito di Gesù Cristo morto e risorto. Attraverso il sacramento l’esperienza determinante della vita affettiva, il Matrimonio, viene affidata dalla Chiesa al Signore. Lui solo è in grado di realizzare il “per sempre” dell’amore che ogni sposa e ogni sposo, quando ama veramente, ha nel cuore. E non è forse la più umana e delicata attenzione alla libertà - spesso ferita dal peccato - quella che la Chiesa ci offre invitandoci alla riconciliazione con Dio e con i fratelli nel sacramento della Penitenza?

Quando poi l’uomo viene ferito nella propria carne dalla inevitabile prova della malattia, l’Unzione degli infermi esprime la vicinanza speciale di Gesù che tanto ha patito ed è morto e risorto per noi. Una vicinanza del tutto particolare se accompagnata dalla regolare possibilità offerta agli ammalati di ricevere la Comunione e, quando è necessario, il Santo Viatico. E questo perché noi possiamo prontamente guarire e, in ogni caso, non perdiamo la speranza di risorgere con Lui e così di reincontrarLo e di reincontrarci nel nostro vero corpo. Taluni, poi, non per i loro meriti ma per iniziativa dello Spirito di Gesù, sono presi a servizio del popolo di Dio come ministri ordinati (sacramento dell’Ordine).

In tal modo la vita liturgica delle nostre comunità non fa altro che testimoniare come nel concreto snodarsi dell’umana esistenza - nascita, rapporti, amore, dolore, morte, vita dopo la morte - Gesù si faccia presente a tutti gli uomini ogni giorno, in ogni situazione [25]. Nel quadro tracciato emerge qui nuovamente la forza della ratio sacramentalis propria del genio cattolico.

II. Il valore del rito eucaristico

In questa visione inaugurata dall’Eucaristia cristiana non solo il culto ma anche il rito viene ad assumere una fisionomia radicalmente nuova. Quella cioè dell’azione di Cristo stesso che, col dono del Suo Spirito, ammette i Suoi alla presenza del Padre per “compiere il servizio sacerdotale” [26].
Per la sua natura di sorgente della logike latreía l’azione rituale eucaristica viene ad essere oggettivamente anche la più essenziale e decisiva di tutte le azioni umane. Nel rito eucaristico infatti fa irruzione, in un preciso istante del tempo, il significato compiuto della storia, e quindi la sua verità. In questo modo il rito eucaristico opera una discontinuità nel succedersi delle vicende quotidiane dell’uomo, ma è proprio nello spazio aperto da tale discontinuità che l’uomo impara a decidersi per la verità obiettivamente a lui donata nel rito stesso. Questa scelta avviene nella fede: si può rapportarsi alla verità donata solo nell’affidamento totale di sé. Pertanto l’azione eucaristica è fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana proprio in forza della celebrazione stessa del rito che, in tutta la sua sostanziale pienezza, esprime adeguatamente la fede vissuta del popolo cristiano.
Inserita temporalmente e spazialmente nella trama dell’esistenza quotidiana, ma nello stesso tempo proveniente “dall’alto” in quanto sacramento, cioè segno e strumento efficace della grazia divina, l’azione rituale eucaristica diventa paradigma dell’intera esistenza dell’uomo [27].

Il rito eucaristico non è accidentale rispetto all’esistenza personale e sociale, né estrinseco all’inevitabile essere dell’uomo per il mondo, ma è centro della vita reale della nuova creatura (cfr. 2Cor 5, 17; Gal 6, 15). La sua esistenza è compiutamente umana perciò storica, ma nello stesso tempo, in forza della memoria eucaristica del Corpo donato e del Sangue versato del Crocifisso Risorto, essa già vive nella prospettiva eterna della risurrezione (cfr. 1Cor 15, 19-22) [28]. Nell’azione eucaristica la liturgia terrestre è intimamente unita con quella celeste [29]. Lo scambio di comunione tra i vivi e i morti di cui le Messe di suffragio per i defunti sono importante espressione, costituisce una testimonianza permanente della fede della Chiesa nel nesso inscindibile tra vita terrena e vita eterna [30].

Questa visione unitaria dell’azione eucaristica come cuore di tutta l’esistenza cristiana è sempre stata presente nella coscienza ecclesiale. Dall’immedesimazione con l’azione compiuta da Gesù così come ci è conservata dal canone biblico, alla traditio che nel suo incessante ritmo di trasmissione e di recezione la assicura lungo il tempo e lo spazio; dalle variegate forme liturgiche dei primi secoli, che ancora splendono nei riti liturgici delle antiche Chiese di Oriente, fino alla predominante fissazione del rito romano; dalle precise indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di Pio V fino alla riforma liturgica del Vaticano II: Ogni tappa della vita della Chiesa conferma che l’azione eucaristica, fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana, coincide con il rito sacramentale che genera e compie il culto nuovo e definitivo (logike latreía).

La considerazione del rito in tutta la sua pienezza consente di evitare ogni frammentazione e giustapposizione tra l’azione eucaristica e le esigenze della nuova evangelizzazione, che vanno dall’annuncio testimoniale in ogni ambiente dell’umana esistenza fino alle necessarie implicazioni antropologiche, cosmologiche e sociali che l’Eucaristia obiettivamente mette in campo. Permette inoltre alla comunità cristiana di perseguire simultaneamente un’accurata fedeltà alle rubriche liturgiche ed un’attenta duttilità alle istanze di inculturazione. III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa

Lo stupore eucaristico dei due discepoli di Emmaus riverbera nella meraviglia dell’azione liturgica della celebrazione eucaristica. Essa è l’atto di culto chiamato ad esprimere in modo eminente l’unico evento pasquale.

Nell’Ultima Cena Gesù manifesta chiaramente coi Suoi gesti e con le Sue parole il legame intrinseco tra l’avvento del regno del Padre e il Suo destino personale (cfr. Mt 26, 29; Mc 14, 25, Lc 22, 15-16; Gv 12, 23-24). Nell’identificazione trasformatrice del pane e del vino con il Corpo e il Sangue di Cristo (presenza reale [31]), l’Ultima Cena anticipa sacramentalmente il sacrificio della nuova pasqua come la forma mediante la quale il Padre compie, nel Figlio e con l’opera dello Spirito Santo, il Suo disegno redentivo di salvezza: “Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi"” (Lc 22, 19-20). A nessuno sfugge la difficoltà che il linguaggio sacrificale, impiegato dalla Scrittura e dalla tradizione della Chiesa [32], incontra nella cultura odierna [33]. Tuttavia, se si vuol rispettare tutta la pregnanza del dono incondizionato che Gesù Cristo fa di Se stesso, appare oggi urgente riscoprire l’Eucaristia come sacrificio. Gesù Cristo chiama i Suoi a quella forma integrale di culto (logike latreía) che è l’offerta di tutta la propria vita, in cui il cristiano viene plasmato progressivamente proprio mediante la piena, consapevole ed attiva partecipazione alla celebrazione eucaristica [34].

L’invito a mangiare il Suo Corpo e a bere il Suo Sangue (comunione) costituisce la via sicura alla salvezza (cfr. Gv 6, 47-58) [35]. Il memoriale pertanto, in continuità con la pasqua ebraica (cfr. Dt 16, 1ss), possiede la fisica concretezza dell’assunzione delle specie eucaristiche, al riparo da ogni riduzione intellettualistica della fede. Il frutto di quest’azione è la comunione sacramentale con Cristo (cfr. 1Cor 10, 16), resa possibile dall’amore con cui lo Spirito glorifica la carne del Risorto. Lo stesso Spirito che mosse Cristo al dono totale di Sé muove i Suoi ad accoglierLo nell’obbedienza della fede, li muove a permanere in Lui ed a ricevere così la vita come Egli la riceve dal Padre (cfr. Gv 14, 26; 16, 13).

Questo sacramento è dato per la comunione degli uomini in Cristo. Per Paolo la koinonia è il frutto dell’Eucaristia mediante la quale i cristiani, incorporati a Cristo, diventano un solo corpo e partecipano di un solo Spirito (cfr. 1Cor 10, 16-17) [36]. Essi costituiscono il nuovo popolo di Dio che, guidato dai successori degli apostoli cum et sub il successore di Pietro, attraversa la storia con la speranza certa che Gesù Risorto costituisce la caparra della loro personale risurrezione (cfr. 1Cor 15, 17-20).

Al di fuori di questa comunione eucaristica e sacramentale la Chiesa non è pienamente costituita [37]: l’Eucaristia fa la Chiesa. Il nuovo popolo di Dio (corpo ecclesiale) si configura a partire dal Corpo eucaristico di Cristo che rende sacramentalmente presente il Corpo di Gesù nato dalla Santissima Vergine Maria [38]. Il corpo ecclesiale viene così ad essere realmente plasmato come corpo di Cristo presente nel tempo e nella storia, in forza del vincolo che lo lega inscindibilmente con il Corpo eucaristico di Cristo [39]. Proprio nella celebrazione rituale dell’eucaristia la Chiesa realizza la forma stessa della sua identità di popolo radunato dall’amore di Dio.

1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza

Ciò diventa ancora più chiaro se si guarda alla venerabile tradizione che ha sempre riconosciuto nel Vescovo il liturgo per eccellenza e l’amministratore dei sacramenti [40]. Il Vescovo non presiede l'eucaristia, in forza di una ragione meramente giuridica, perché è il “capo” della chiesa locale, ma per fedeltà al comando stesso del Signore che ha affidato il memoriale della sua Pasqua a Pietro e agli apostoli. Li ha costituiti fedeli dispensatori dei Suoi misteri e, in forza di questo, primi responsabili dell’annuncio evangelico nel mondo intero. Per questa ragione “il Vescovo diocesano è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica. Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa” [41]. Questo è particolarmente evidente nell’ordinata concelebrazione eucaristica “che manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio” [42]. La comunione con il Vescovo è la condizione perché sia legittima la celebrazione eucaristica in favore del popolo di Dio.

Viene ancora una volta alla luce la fecondità della ratio sacramentalis della rivelazione: il soggetto ecclesiale (personale e comunitario) non partecipa compiutamente alla redenzione se non accoglie la modalità sacramentale che costituisce la forma che Gesù ha scelto per permanere all’interno delle vicende umane.

2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano

Una seconda conferma di come in concreto la celebrazione eucaristica fa la Chiesa è la radicale diversità tra il tempio cristiano e quello pagano o lo stesso tempio giudaico. Mentre il tempio pagano e quello giudaico erano caratterizzati dalla presenza della divinità e per tale presenza erano considerati sacri e sacralizzanti, il “luogo” di culto cristiano consiste in un certo senso nella stessa azione della celebrazione del mistero. Il vocabolo ecclesia indica l’azione del riunirsi dei cristiani. Solo come conseguenza è passato ad indicare il luogo stesso in cui, in tale riunione, si realizza la presenza divina.

Inoltre mentre nel tempio pagano e, in un certo senso, anche in quello giudaico, l’incontro dei fedeli è in qualche modo casuale, nel luogo di culto cristiano esso è costitutivo del tempio stesso. I singoli fedeli sono le pietre vive del tempio (cfr. 1Pt 2, 5). Lo Spirito è il cemento che li unifica (cfr. Ef 2, 22).

Questo spiega la cura con cui la Chiesa non cessa di offrire indicazioni in merito all’architettura e all’arte sacra [43]. I templi, infatti, vanno modellati sull’assemblea liturgica in actu celebrationis, come “epifania” della communio hierarchica che è la Chiesa.



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3. Una terza conferma: “Intercomunione?”

Un problema pastorale assai delicato, legato all’ambito ecumenico, consente un’ulteriore verifica del fatto che, all’interno dell’inscindibile nesso tra Eucaristia e Chiesa, la causalità dell’Eucaristia sulla Chiesa (l’Eucaristia fa la Chiesa) è essenziale e prioritaria rispetto a quella della Chiesa sull’Eucaristia (la Chiesa fa l’Eucaristia) [44]. Questo dato conduce a sottolineare il peso decisivo dell’Eucaristia nella prassi ecumenica.

Sono noti gli ormai numerosi sviluppi in materia [45]. Essi sono, ad un tempo, conseguenza e causa dell’intenso lavoro ecumenico del XX secolo. Anzitutto va rilevata la sostanziale comunione di fede tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in tema di Eucaristia e sacerdozio [46], comunione che, attraverso un maggiore reciproco approfondimento della Celebrazione Eucaristica e della Divina Liturgia, è destinata a crescere [47]. Si deve inoltre salutare positivamente il nuovo clima a proposito dell’Eucaristia nelle comunità ecclesiali nate a partire dalla Riforma. Secondo gradi diversi e con qualche eccezione anche tali comunità sottolineano sempre di più la decisività dell’Eucaristia come elemento chiave nel dialogo e nella prassi ecumenica.

Sulla base di questi ed altri dati si può capire che, anche dopo i pronunciamenti del Magistero in proposito [48], non cessi di porsi la seguente questione: l’”intercomunione” di fedeli appartenenti a diverse Chiese e comunità ecclesiali può costituire uno strumento adeguato per favorire il cammino verso l’unità dei cristiani?

La risposta dipende da una attenta considerazione della natura dell’azione eucaristica in tutta la sua pienezza di mysterium fidei [49]. La celebrazione eucaristica, infatti, è per sua natura professione di fede integrale della Chiesa. Incastonando il sacrificio del Golgota nell’Ultima Cena il Signore realizza la comunione della Sua Persona con i Suoi discepoli e la rende possibile a tutti i fedeli di tutti i tempi e luoghi. La partecipazione a tale comunione supera la capacità dell’amore umano e delle sue pur nobili intenzioni. Mediante l’ascolto della Parola che si realizza pienamente nell’accogliere l’offerta del Corpo e del Sangue di Cristo, l’azione eucaristica esprime la pienezza della fede e l’unità visibile dei fedeli al cui servizio Gesù invia gli apostoli come sacerdoti e pastori.

Solo in quanto attua la piena professione di fede apostolica in questo mistero l’Eucaristia fa la Chiesa. Se è l’Eucaristia ad assicurare la vera unità della Chiesa, una celebrazione o una partecipazione all’Eucaristia che non implichi il rispetto di tutti i fattori che concorrono alla sua pienezza finirebbe, al di là di ogni buona intenzione, per dividere ulteriormente e all’origine la comunione ecclesiale. L’intercomunione, pertanto, non appare come un mezzo adeguato per raggiungere l’unità dei cristiani [50].

Questa affermazione circa l’intercomunione non esclude che, in circostanze del tutto speciali e nel rispetto di condizioni oggettive [51], si possano ammettere alla comunione eucaristica, in quanto panis viatorum, singole persone appartenenti a Chiese o comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso il necessario rigore esige che si parli di ospitalità eucaristica. Siamo in presenza della sollecitudine pastorale (storico-salvifica) della Chiesa che viene incontro ad una particolare circostanza di bisogno di un fedele battezzato [52]. In questi casi la Chiesa cattolica ammette alla comunione eucaristica un fedele non cattolico se egli lo richiede spontaneamente, manifesta adesione alla fede cattolica circa il sacramento eucaristico ed è spiritualmente ben disposto.

Le problematiche sottostanti alla inadeguata categoria di “intercomunione” e la prassi dell’ospitalità eucaristica urgono un’ulteriore riflessione, a partire dall’intrinseco nesso tra Eucaristia e Chiesa, sul rapporto tra comunione eucaristica e comunione ecclesiale. In questo senso potrà essere utile che l’Assemblea Sinodale ritorni su questo argomento.

Nel rispondere all’improcrastinabile urgenza del cammino ecumenico non si deve tuttavia trascurare la via maestra. Il non poter accedere alla concelebrazione eucaristica e alla comunione eucaristica da parte di cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali e l’eccezionalità dell’ospitalità eucaristica, non possono essere solo causa di dolore; piuttosto debbono rappresentare un pungolo permanente per il continuo e comune approfondimento del mysterium fidei che esige da tutti i cristiani l’unità nell’integrale professione di fede.

CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica


Dopo aver suggerito taluni elementi di carattere metodologico per spiegare il novum del culto e del rito cristiano, è ora opportuno considerare da vicino l’azione eucaristica in se stessa. Anzitutto verranno presi in esame i principali elementi distintivi della celebrazione eucaristica. In una seconda parte saranno proposte talune riflessioni sull’ars celebrandi e l’actuosa participatio.

I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica

Uno sguardo sintetico agli elementi distintivi della celebrazione dell’Eucaristia rivela la forza dell’armoniosa ed articolata unità del rito eucaristico. In questa sede non si intende ripercorrere in modo completo la scansione dei diversi momenti della celebrazione eucaristica, ma limitarsi ad identificarne il nucleo essenziale: l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica. A partire da quanto esposto fino ad ora la considereremo nella sua natura essenziale di dono. Di conseguenza però si dovrà porre in rilievo come, di fronte alla presenza eucaristicamente elargita di Gesù, i fedeli siano chiamati all’adorazione, e come, davanti a un così grande mistero, debbano confessare i propri peccati invocando il perdono. Né si mancherà di far cenno al compito (ite missa est) che per sua natura un simile dono genera.

1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica

Nell’evoluzione storica che va dall’Ultima Cena di Gesù Cristo all’Eucaristia di cui ancora oggi la Chiesa vive, il nucleo costitutivo e permanente dell’azione rituale è dato dalla stretta unità tra liturgia della parola e liturgia eucaristica [53].
In quest’unità “eulogia” ed “eucaristia” propongono alla fede dei seguaci di Cristo il mistero pasquale attraverso l’ascolto e la spiegazione delle Scritture (omelia [54]), indisgiungibile dalla ripresentazione del sacrificio (preghiera eucaristica) che culmina nella comunione con il pane ed il vino trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo [55]. Lo si vede nella struttura comparata dei racconti di istituzione, lo si può cogliere nell’azione di Emmaus, se ne riceve conferma nella descrizione della vita comune dei primi cristiani che Atti 2, 42 ci offre. Così come, senza soluzione di continuità, ne dà testimonianza tutta la storia della celebrazione eucaristica fino a quella delineata nell’attuale Messale.

Da questa indisgiungibile unità emergono alcuni elementi costitutivi dell’unica Eucaristia di Gesù Cristo che attua la fede dei cristiani. Innanzitutto il dato che il protagonista dell’azione liturgica è Gesù Cristo. Egli, concentrando la Sua Persona e la Sua storia nell’evento della Pasqua, si rivela nello stesso tempo come sacerdote, vittima ed altare.

In quanto sacerdote Gesù Cristo, per la potenza dello Spirito, diviene il pontefice tra Dio Padre ed il popolo (cfr. Eb 5, 5-10) [56]. Come testimoniano i racconti della Cena, Egli stesso interpreta la Sua missione sacerdotale oggettivamente nell’eulogia scritturistica e nell’offerta sacrificale. Ma Gesù è, nello stesso tempo, vittima di propiziazione (cfr. 1Gv 2, 2; 4, 10) e in tal modo il Suo sacerdozio implica il dono totale di Sé che si manifesta nell’offerta del pane e del vino trasformati nel Suo Corpo donato e nel Suo Sangue versato (sacrificio [57]), cui il popolo fisicamente prende parte (comunione [58]). Questo sacerdote, che è anche vittima, offre il Suo sacrificio sulla croce [59]. Inchiodato sulla croce abbassa il cielo sulla terra, riconciliando (redenzione) l’uomo con Dio (cfr. Ef 2, 14-16; Col 1, 19-20). La croce conficcata nel Golgota finisce per esprimere l’intero cosmo e Cristo, sacerdote e vittima, diventa una sola cosa con la croce cui è inchiodato. Si fa così anche altare cosmico.

La consapevolezza di questo dovrebbe impedire il progressivo affievolirsi del senso del mistero cui oggi sono esposte non poche comunità cristiane soprattutto nella celebrazione eucaristica. Per non cadere in una visione ‘sacrale’ certamente non cristiana, si rischia, per così dire, di fare della liturgia una mera espressione della dimensione “orizzontale” della comunità, dimenticando quella “verticale”.

Gesù Cristo, unico ed irripetibile protagonista del rito eucaristico, convoca nello Spirito l’assemblea dei cristiani, chiamata a prendere parte nella fede (Credo), in modo articolato ed ordinato, ai santi misteri celebrati in suo favore (Messe pro populo). Nel silenzio, nel dialogo, nel canto, nei gesti corporei si snoda l’azione eucaristica attraverso la quale all’assemblea dei fedeli è comunicata la salvezza [60]. A proposito di quanto detto si avverte l’esigenza di un approfondimento della formazione liturgica indirizzata a tutto il popolo di Dio - la nostra catechesi dovrebbe ricuperare la fondamentale dimensione mistagogica dei primi secoli - e, in particolare, a tutti coloro che sono chiamati a svolgere ministeri o uffici durante la celebrazione (presbiteri, diaconi, lettori, accoliti, ministranti, schola cantorum).

Nell’articolarsi degli uffici della celebrazione, che si svolge all’interno del tempio cristiano orientato all’altare, cui sono coordinati l’ambone e la sede, il sacerdote compie il suo singolare ministero con la particolare assistenza del diacono. Nel momento decisivo della celebrazione egli agisce in persona Christi capitis [61] assicurando, in forza del sacramento dell’ordine, non a caso incastonato da Cristo stesso all’interno dell’istituzione eucaristica dell’Ultima Cena, ciò che la comune Tradizione dell’oriente e dell’occidente chiama l’economia sacramentale [62]. Essa è opera dello Spirito Santo invocato durante l’Eucaristia attraverso l’epiclesi perché attui la conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo [63] e perché generi la res eucaristica che è l’unità della Chiesa [64].
Si capisce allora come l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica sfoci nella comunione sacramentale [65], alla quale i fedeli sono ammessi, con significativo realismo, attraverso l’atto fisico della processione. Mediante l’assimilazione delle sacre specie, in realtà, come ha sempre professato la Chiesa, i fedeli sono assimilati a Cristo, a Lui incorporati, per la loro salvezza [66] e per la salvezza del mondo [67]. Tempo e spazio, insopprimibili coordinate della vita dell’uomo, sono assunti e trasformati dall’azione eucaristica in vista di questa salvezza. Se la configurazione del tempio manifesta questa trasformazione dello spazio, la bellezza e l’articolazione dell’Anno Liturgico a partire dal Triduo pasquale passando per il dies Domini e i tempi liturgici, esprimono eucaristicamente la redenzione del tempo: esso non è più una successione di istanti destinati a svanire, ma diventa sacramento dell’eterno.

a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso

Il carattere di dono proprio dell’azione eucaristica, che implica il comunicarsi della libertà del Deus Trinitas, in Gesù Cristo, alla libertà degli uomini domanda che la sua gratuità non sia mai misconosciuta. Anche se provoca grande sofferenza, la sua mancanza non conferisce al fedele e al popolo di Dio alcun diritto all’Eucaristia.

Per la stessa ragione il dono dell’Eucaristia non può mai essere idolatricamente “posseduto” da parte dell’uomo, non sopporta un’attitudine quasi gnostica di preteso dominio. Né l’adorazione eucaristica può risolversi in uno sguardo che pretenda di “comprendere” la latens deitas, anche se Gesù Cristo, in atto di estremo abbassamento, si lega alla permanenza delle specie.

a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote

Il problema della scarsità di presbiteri va affrontato con coraggio nell’orizzonte dell’Eucaristia come dono. Questo stato di cose ha dato luogo ad un incremento considerevole delle Assemblee domenicali in attesa di sacerdote” (liturgie della Parola con o senza distribuzione della Comunione, celebrazioni della Liturgia delle Ore o di devozioni popolari) [68].

In proposito è importante innanzitutto ribadire l’appartenenza di ogni comunità, soprattutto parrocchiale, ad una diocesi [69]. L’Eucaristia non è mai fatta mancare alla Chiesa particolare. Per questa ragione è buona prassi pastorale incoraggiare al massimo la partecipazione all’Eucaristia in una delle comunità della diocesi, anche quando ciò richieda un certo sacrificio. In secondo luogo è utile sottolineare chiaramente per i fedeli il carattere propedeutico all’Eucaristia di ogni celebrazione domenicale in attesa di sacerdote. Là dove una certa mobilità non fosse agevole, la convenienza di queste assemblee si vedrà proprio dalla loro capacità di accentuare nel popolo l’ardente desiderio dell’Eucaristia.

I sacrifici e fino all’eroismo compiuti da non pochi cristiani perseguitati per vivere l’Eucaristia mostrano come la sua assenza non possa mai essere colmata da altre pur significative forme di culto. Vogliamo in proposito rendere omaggio alla straordinaria esperienza eucaristica del compianto Cardinale Van Thuan durante la sua prigionia.

a2. Viri probati?

Per sopperire alla scarsità di sacerdoti, taluni, guidati dal principio salus animarum suprema lex, avanzano la richiesta di ordinare fedeli sposati, di provata fede e virtù, i cosiddetti viri probati. La richiesta è spesso accompagnata dal positivo riconoscimento della bontà della secolare disciplina del celibato sacerdotale. Essi però affermano che questa legge non dovrebbe impedire di dotare la Chiesa di un numero adeguato di ministri ordinati, quando la penuria di candidati al sacerdozio celibatario assumesse proporzioni estremamente gravi.

È superfluo ribadire, in questa sede, i profondi motivi teologici che hanno condotto la Chiesa latina ad unire il conferimento del sacerdozio ministeriale al carisma del celibato. Si impone piuttosto la domanda: questa scelta e questa prassi sono pastoralmente valide anche in casi estremi come quelli cui si è fatto cenno?

Sembra ragionevole rispondere in senso positivo. Essendo intimamente correlato all’Eucaristia, il sacerdozio ordinato partecipa della sua natura di dono e non può essere oggetto di un diritto. Se è un dono il sacerdozio ordinato chiede di essere incessantemente domandato (cfr. Mt 9, 37-38). E diventa assai difficile stabilire il numero ideale di sacerdoti nella Chiesa, dal momento che essa non è una “azienda” che si debba dotare di una determinata quota di “quadri dirigenti”!

Sul piano pratico l’improcrastinabile urgenza della salus animarum spinge a ribadire con forza, soprattutto in questa sede, la responsabilità che ogni Chiesa particolare ha nei confronti della Chiesa universale e pertanto di tutte le altre Chiese particolari. Saranno, perciò, di grande utilità le proposte che in questa Assemblea Sinodale verranno fatte per individuare i criteri di una più adeguata distribuzione del clero nel mondo. In proposito la strada da percorrere appare ancora lunga.

Conviene forse anche ricordare che, lungo la storia, la Provvidenza ha sostenuto il valore profetico ed educativo del celibato anche domandando una speciale disponibilità per il ministero sacerdotale a realtà di vita consacrata, nel rispetto del loro carisma e della loro storia. Si può qui citare la prassi dell’ordinazione dei monaci nelle Chiese orientali o all’interno della tradizione benedettina [70].

2. Adorazione
Il carattere di dono proprio dell’Eucaristia permette di superare, proprio a partire da una attenta considerazione del rito della Messa nella sua natura di azione liturgica, una impropria contrapposizione, creatasi a volte a partire dall’epoca moderna, tra l’Eucaristia come cibo che deve essere mangiato (convito) e come presenza divina da adorare.

Se è vero che nel primo millennio l’adorazione eucaristica non si esprimeva nelle forme da noi oggi conosciute, tuttavia si deve affermare che, fin dall’origine, essa è stata ben presente alla coscienza del popolo di Dio. Il secondo millennio ne ha ulteriormente esplicitato il valore, non senza trarre beneficio dalla controversia sulla presenza reale nel medioevo e da quelle sulla permanenza di Cristo nelle specie eucaristiche con la Riforma.

Durante l’Ultima Cena, nei commensali la coscienza della concreta presenza di Cristo, che si identifica con il pane ed il vino consacrati (cfr. Mc 14, 22-24; Mt 26, 26-28; 1Cor 11, 24-25; Lc 22, 19-20) domandando adorazione, è imponente. È innegabile quindi che la pratica dell’adorazione eucaristica, così come si attua oggi nella Chiesa latina, ha reso più evidente un dato che appartiene all’essenza della fede nel mistero eucaristico [71].

Porre in alternativa il mangiare e l’adorare significa non tener conto dell’integralità e dell’articolata unità del mistero eucaristico [72]. La Cena eucaristica non è unicamente un pasto in comune, ma è il dono che Cristo fa di Sé. Partecipare a questo dono mangiando il Suo Corpo implica già un essersi prostrato con fede in adorazione [73]. Pertanto l’adorazione del Santissimo Sacramento è tutt’uno con la celebrazione da cui proviene e a cui rinvia [74]: “Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione” [75]. Questa piena coscienza del valore dell’adorazione deve esprimersi fin nella rilevanza artistico-architettonica che è dovuto alla custodia della Santissima Eucaristia nelle nostre chiese [76].

Ovviamente però occorre ribadire con decisione che, come la manducazione, così anche l’adorazione eucaristica è sempre un’azione ecclesiale [77]. Non può essere concepita come una pratica di pietà individualistica. Adorare Cristo durante la consacrazione e la comunione ed adorarLo presente nel tabernacolo, significa riconoscersi e comportarsi come membro del Suo Corpo ecclesiale. Così quello eucaristico non è un incontro che si esaurisce nell’atto della manducazione, ma è un incontro permanente, come è permanente, in forza della presenza eucaristica, la continua venuta del Signore nella Sua Chiesa [78].

Alla luce della natura ecclesiale dell’adorazione si comprende meglio perché la pietà cristiana abbia unito all’adorazione eucaristica anche la ‘riparazione’ per i peccati del mondo: dinanzi al Signore noi tutti membra del Suo Corpo siamo responsabili gli uni degli altri [79].

3. Atteggiamento di confessione e penitenza

Ricevere, nella celebrazione eucaristica, il dono del Corpo e del Sangue del Signore Gesù è l’espressione culminante della sequela di chi si riconosce discepolo e si lascia introdurre alla comunione con Lui.

La differenza radicale tra Colui che si dona e colui che riceve il dono, ben documentata dalla sproporzione tra l’incommensurabile ricchezza dell’evento pasquale e l’estrema povertà delle specie del pane e del vino, apre il fedele alla coscienza del mysterium tremendum dell’Eucaristia. Non ci si può accostare ad Essa senza percepire tutta la propria indegnità e senza prepararvisi invocando il perdono dei peccati [80].

Emerge così non solo il significato dell’atto penitenziale dei riti di introduzione, reso solenne in casi particolari dall’aspersione con l’acqua benedetta che richiama il battesimo, ma soprattutto l’intrinseco rapporto tra l’Eucaristia e il sacramento della riconciliazione [81].

Quando i fedeli, incorporati a Cristo per il battesimo, commettono un peccato mortale si separano dalla comunione con Lui e con la Sua Chiesa, la cui espressione piena è la comunione sacramentale [82]. Tuttavia il Padre misericordioso non li abbandona, ma attraverso la medicina voluta da Gesù stesso [83], li invita alla libera, personale, umile confessione delle colpe per riaccoglierli con un più intenso abbraccio - attraverso la contrizione, la confessione dei peccati, l’assoluzione da parte del ministro, che anche qui agisce in persona Christi capitis, e la penitenza [84] - nella comunione con Lui che si dilata a tutti i fratelli. Per questa ragione un’adeguata catechesi eucaristica non può mai essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr. 1Cor 11, 27-29) [85].

Nell’atteggiamento di confessione affonda le proprie radici anche la venerabile pratica del digiuno eucaristico, alla quale, in quest’Assemblea, sarà utile dedicare qualche riflessione.

a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica

In quest’ottica merita particolare attenzione la singolare modalità con cui i divorziati risposati sono chiamati a vivere la comunione ecclesiale. A nessuno sfugge la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa.
Bisogna constatare che alla base di questa tendenza non vi è solo superficialità. Al di là delle considerevoli diversità di situazioni nei vari continenti, si deve riconoscere che - soprattutto in paesi di lunga tradizione cristiana - non pochi battezzati si sono uniti in matrimonio sacramentale per meccanica adesione alla tradizione. Parecchi di questi divorziano e si risposano. Praticando la vita cristiana taluni manifestano grave disagio e talora notevole dolore di fronte al fatto che l’unione seguita al matrimonio impedisce loro la piena partecipazione alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. Preziose indicazioni dottrinali e pastorali sono state offerte da Familiaris consortio e da altri documenti [86]. Occorre che tutta la comunità cristiana sostenga i divorziati risposati nella consapevolezza di non essere esclusi dalla comunione ecclesiale. La loro partecipazione alla celebrazione eucaristica consente, in ogni caso, quella comunione spirituale che, se ben vissuta, fa eco al sacrificio stesso di Gesù Cristo.

D’altra parte l’insegnamento del Magistero in proposito non è solo teso ad evitare il dilagare di una mentalità contraria all’indissolubilità del matrimonio e lo scandalo del popolo di Dio. Ci pone, invece, di fronte al riconoscimento del nesso oggettivo che unisce il sacramento dell’Eucaristia a tutta la vita del cristiano e, in particolare, al sacramento del matrimonio [87].

Infatti l’unità della Chiesa, che è sempre dono del Suo Sposo, scaturisce permanentemente dall’Eucaristia (cfr. 1Cor 10, 17). Perciò nel matrimonio cristiano, in forza del dono sacramentale dello Spirito, il vincolo coniugale, nella sua natura pubblica, fedele, indissolubile e feconda, è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5, 31-32) [88]. In tal modo il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo e che li costituisce in comunità di vita e di amore coniugale ha, per così dire, una forma eucaristica.
Nella presente Assemblea saranno tuttavia da approfondire ulteriormente e prestando grande attenzione ai complessi e assai differenziati casi, le modalità oggettive per verificare l’ipotesi di nullità del matrimonio canonico. Verifica che per rispettare la natura pubblica, ecclesiale e sociale del consenso matrimoniale non potrà non avere a sua volta un carattere pubblico, ecclesiale e sociale [89]. Quindi il riconoscimento della nullità del matrimonio deve implicare una istanza oggettiva che non può ridursi alla singola coscienza dei coniugi, neppure se sostenuta dal parere di una illuminata guida spirituale.

Proprio per questo tuttavia è indispensabile proseguire nell’opera di ripensamento della natura e dell’azione dei tribunali ecclesiastici perché siano sempre più un’espressione della normale vita pastorale della Chiesa locale [90]. Oltre alla continua vigilanza sui tempi e sui costi, si potrà pensare a figure e procedure giuridiche semplificate e più efficacemente rispondenti alla cura pastorale. Non mancano significative esperienze in proposito in varie diocesi. I Padri sinodali, in questa stessa Assemblea, avranno occasione di farne conoscere altre.

Resta in ogni caso decisiva l’azione pastorale ordinaria di preparazione remota, prossima e immediata dei fidanzati al matrimonio cristiano, nonché l’accompagnamento quotidiano alla vita delle famiglie all’interno della grande dimora ecclesiale. Infine riveste particolare importanza la cura e la valorizzazione delle molte iniziative tese ad accompagnare i divorziati risposati a vivere, nel seno della comunità cristiana, con serenità il sacrificio obiettivamente richiesto dalla loro condizione.

4. Ite missa est

L’Eucaristia è cibo viatorum per i fedeli in cammino nella storia verso la vita eterna. Si tratta di una verità che, in particolare, la tradizione liturgica delle Chiese Ortodosse non ha cessato di riproporre [91]. L’azione di lode e di grazia che si attua nella celebrazione eucaristica, memoriale sacramentale della Pasqua di Cristo, riempie il fedele di una singolare gratitudine. Essa non si manifesta solo nel “ringraziamento” devoto dopo la comunione, che la prassi ecclesiale raccomanda attraverso il silenzio e che può essere accompagnato dal canto meditativo, ma si esprime pienamente nel mandato a dilatare questa comunione a tutti i fratelli uomini. Questo esito missionario della partecipazione eucaristica non ha anzitutto il carattere di un “dovere”, ma quello della testimonianza gratuita della progressiva trasformazione di tutta la propria esistenza resa possibile dal dono sacramentale, accolto dall’umana libertà, a favore di tutti [92].

La testimonianza viene allora a coincidere con quella logike latreía mediante la quale la comunione con Cristo investe tutte le circostanze e tutti i rapporti che si instaurano negli ambiti dell’umana esistenza. Nella vita passata e presente della Chiesa, figura emblematica di una tale testimonianza è il martire. Come Cristo stesso egli, per pura grazia, fa della consegna eucaristica della propria vita un’offerta gradita al Padre.

In tal modo e con naturalezza l’Eucaristia attraversa e trasforma la storia personale, comunitaria e sociale. In questo consiste primariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa [93].
04/10/2005 02:08
 
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(continua -3)
II. Ars celebrandi e actuosa participatio

Da questa visione centrata sull’Eucaristia come azione ecclesiale che si esprime nell’unità del rito eucaristico - il cui cuore è la liturgia della parola intrinsecamente ordinata a quella eucaristica [94], dono accolto in spirito adorante, che domanda un atteggiamento di confessione ed urge alla missione -, emerge un dato che merita di essere rimarcato con decisione.

Affermare che l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa significa anzitutto riconoscere la necessaria obbedienza della Chiesa stessa nei confronti del sacramento eucaristico. Vi si esprime il primato della traditio sulla receptio: nell’Ultima Cena l’iniziativa è di Gesù che si consegna ai Suoi; nel passaggio dalla Cena alla liturgia ecclesiale Paolo ci attesta che egli tramanda ciò che ha ricevuto (cfr. 1Cor 11, 23); nel differenziarsi dei riti e nel susseguirsi delle riforme liturgiche il criterio guida è sempre quello del primato della traditio [95]. Pertanto in ogni celebrazione eucaristica la comunità vive l’esperienza che fu già degli apostoli nel cenacolo: i fedeli sono chiamati a ricevere Colui che si dona.

Questo elemento costitutivo dell’azione eucaristica conduce ad una conseguenza pastorale decisiva: la necessità di superare ogni dualismo tra l’ars celebrandi e l’actuosa participatio. La partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa del popolo di Dio [96] - soprattutto in occasione del precetto domenicale - coincide infatti con l’adeguata celebrazione dei santi misteri. Ancora una volta viene in primo piano il carattere di dono proprio dell’Eucaristia. Se si cura e quando si cura oggettivamente l’arte della celebrazione la partecipazione può diventare veramente plena, conscia ed actuosa [97]. Si tratta di obbedire al rito eucaristico nella sua straordinaria completezza, riconoscendone la forza canonica e costitutiva dal momento che, non a caso, da duemila anni assicura l’esistenza della Santa Chiesa di Dio.

Questo criterio deve orientare, nel rispetto delle svariate sensibilità culturali, le modalità con cui sollecitare la partecipazione di tutti i fedeli al rito stesso. Per non ridursi a mera ripetizione di formule e di gesti, essa domanda la consapevole offerta di sé da parte di ogni fedele che attua in tal modo il sacerdozio battesimale del popolo di Dio. In questo contesto si comprende anche la preziosa utilità delle norme liturgiche che la Santa Sede, le Conferenze Episcopali e gli Ordinari mettono a disposizione delle Chiese.

Nel quadro tracciato vanno intesi e vissuti anche tutti i ministeri e gli uffici connessi al rito liturgico. La loro funzione non è quella di gratificare chi li svolge come suggerisce un’impropria idea di partecipazione attiva dei fedeli, invero assai esteriore. La loro azione essenziale ha come scopo di assicurare a tutta l’assemblea la bellezza e la dignità oggettiva della celebrazione [98].
Senza poter entrare negli importanti problemi specifici, in questa relazione sarà utile richiamare che anche l’arte posta a servizio dell’azione eucaristica - soprattutto per quanto riguarda gli arredi sacri [99] -, così come i canti e la musica, ricevono a loro volta piena luce dall’ars celebrandi. Concorrono all’actuosa participatio se rispettano questa oggettiva ars celebrandi [100].

CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia


I. Due premesse

La considerazione del rito eucaristico come azione sacramentale che sola è in grado di rendere ragione dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, non sarebbe completa se non si mostrasse la sua forza di trasformazione della vita personale e comunitaria dei fedeli e, attraverso di essa, la sua fecondità nei confronti di tutta la famiglia degli uomini e dei popoli. In altre parole l’Eucaristia, conferendo all’esistenza cristiana forma eucaristica, influenza non solo le persone e le comunità ecclesiali, ma attraverso di esse anche le società, le culture, così come determina l’interazione dell’uomo con il cosmo.

1. Eucaristia ed evangelizzazione

L’unicità dell’evento pasquale, che dà origine all’intrinseca unità di Eucaristia e Chiesa documentata in quell’unitario atto di culto che è il rito eucaristico, genera anche la profonda unità tra la vita e la missione del cristiano e quella della Chiesa tutta. La testimonianza comune del gratuito e soddisfacente incontro con Cristo sfocia nell’annuncio e nell’invito a tutti i fratelli uomini, nessuno escluso, a prendere parte alla vita della comunità cristiana. Perseguendo nella comunità l’educazione alla gratuità, al pensiero di Cristo e all’universalità, i cristiani sono spinti ad impegnarsi con tutti gli uomini a livello culturale, ecologico e sociale.

Così concepita la vita quotidiana del soggetto cristiano (spiritualità eucaristica), sempre personale e comunitario, attua in concreto l’evangelizzazione e la nuova evangelizzazione in cui è sempre implicata la promozione umana. 2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione

L’evangelizzazione, per la natura dell’uomo e in forza del dinamismo dell’Incarnazione, è sempre storicamente situata ed è chiamata ad interagire con le più diverse culture. Si capisce bene pertanto la cura che, dopo il Concilio Vaticano II, è stata posta dalle varie Chiese al processo di inculturazione dei riti liturgici. Tale urgenza è stata ribadita dal Magistero molte volte negli ultimi decenni [101]. Vale la pena ricordare che la condizione decisiva per il necessario sviluppo di questo importante processo che, per sua natura, richiede di essere sottoposto a continua verifica, è il riconoscimento previo della originaria interculturalità dell’evento celebrato.

La celebrazione eucaristica ripresenta l’evento pasquale che pone, per se stesso, le condizioni della sua comunicabilità a tutte le culture umane. Essa è resa possibile dalla universale singolarità della Persona e della storia di Gesù Cristo che proprio attraverso l’incarnazione assume l’intera condizione umana. Per esprimere la dimensione interculturale dell’Eucaristia è prezioso - soprattutto in occasione di grandi celebrazioni internazionali o nelle Chiese dove sia rilevante l’afflusso di visitatori stranieri - l’impiego della lingua latina.

Nel rispetto di questa prospettiva, l’uso delle lingue vernacole ed il ponderato ricorso a forme espressive peculiari nel rito, nei templi, negli arredi e nei canti per celebrare l’azione eucaristica, che deve rimanere in ogni caso sempre ed a qualunque latitudine l’unica Eucaristia istituita da Cristo [102], possono diventare feconda e paradigmatica espressione della necessità dell’inculturazione per l’evangelizzazione [103].


Se condizione per l’inculturazione è il riconoscimento dell’interculturalità del mistero celebrato, allora per sua natura ogni inculturazione implica una continua evangelizzazione della cultura stessa. Questa non sarà priva di un’inevitabile istanza “critica” nei confronti della cultura in cui una determinata comunità cristiana si trova a vivere e a celebrare.

Nell’equilibrato nesso tra evangelizzazione e inculturazione assicurato dalla natura interculturale dell’Eucaristia, trova spazio anche il dialogo interreligioso [104]. Si tratta di un momento intrinseco alla fede della comunità cristiana decisivo in contesto missionario e soprattutto nel popolato continente asiatico. In questo ambito conviene guardare con attenzione alle Chiese di Oriente per trarre profitto dalla loro esperienza.

II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia

Se l’Eucaristia è il dono dell’incontro sacramentale tra l’uomo e il Dio di Gesù Cristo che rende “liberi davvero” (Gv 8, 36), allora tale evento possiede per sua natura una fondamentale dimensione antropologica.

La trasformazione dell’esistenza ad opera dell’azione eucaristica si documenta anzitutto nella tensione dei cristiani alla sequela di Cristo. Più volte san Paolo afferma che l’esistenza della nuova creatura si svolge tutta in Cristo (cfr. Rm 6, 11; Gal 2, 20) [105]. Nella comunione al Corpo e al Sangue di Cristo il Deus Trinitas viene incontro all’uomo. La Sua irruzione nel quotidiano offre all’uomo la possibilità di non farsi richiudere nella propria finitudine e nel proprio peccato.
Questo dono personale si espande con naturalezza nella comunione tra i cristiani: l’unità della Chiesa è, come abbiamo già ricordato, la res del sacramento. Come documentano le narrazioni neotestamentarie circa la comunità primitiva, la genesi sacramentale assicura l’oggettività della comunione che tende a permeare tutti gli aspetti spirituali e materiali dell’esistenza dei cristiani (cfr. At 2, 42-44; 4, 32-33)[106].

Dottrina, morale, ascesi e spiritualità non sono espressioni di una generica religiosità, ma in forza della loro radice eucaristica, diventano articolazioni unitarie del compiersi del disegno di Dio su ogni persona e su tutta la storia: “fare di Cristo il cuore del mondo” [107]. In tal modo tutta la vita è concepita come vocazione e questo consente quell’imitatio Christi testimoniata lungo i secoli dai santi nei diversi stati di vita. L’esistenza cristiana trascorre sulle orme di quella del Maestro, tesa all’eternità eppure responsabilmente e costruttivamente attenta ad ogni risvolto della storia [108].
Annuncio e testimonianza, catechesi, educazione cristiana personale e comunitaria, condivisione con l’uomo e le sue espressioni fatte di affetti, di lavoro e di riposo, fino ad affrontare delle scottanti questioni antropologiche che oggi scuotono l’humanum (amore, matrimonio, famiglia, vita, malattia e morte), sono per il cristiano aspetti obiettivamente implicati nella celebrazione eucaristica domenicale.

III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia

Nell’azione eucaristica, che in ultima istanza poggia sull’unità in Cristo Gesù di sacerdote, vittima ed altare, la nuova creatura è condotta a rinnovare continuamente il suo rapporto con la materia e col cosmo [109]. San Paolo mette in evidenza la relazione tra il fecondo travaglio della nuova creatura e quello della nuova creazione (cfr. Rm 8, 19-23; 2Cor 5, 17). Travaglio antropologico e travaglio cosmologico sono uniti nella sempre incombente prospettiva escatologica. È importante evidenziare la dimensione cosmologica dell’Eucaristia, come documenta fin dall’antichità l’orientamento stesso del tempio cristiano.

La forma eucaristica dell’esistenza consente di evitare alla radice, almeno in linea di principio, due gravi rischi che comprometterebbero pesantemente il rapporto uomo-cosmo. Da un lato quello di un antropocentrismo esasperato che fa dell’uomo il padrone assoluto del creato. Nella presentazione dei doni (i frutti della terra e del lavoro umano: il pane e il vino a cui si unisce l’acqua) si esprime esplicitamente che i protagonisti del rapporto uomo-creato non sono semplicemente due, la comunità degli uomini ed il cosmo, ma tre. Confermando quanto già contenuto nel secondo racconto della creazione (cfr. Gn 2, 4b-25) vi è un Terzo che mette in relazione uomo e creato: Dio che, fin dall’inizio, pose l’uomo nel “giardino” perché lo coltivasse e lo custodisse. Uomo e cosmo sono uniti nell’unica historia salutis guidata da Dio. Nella redenzione, Cristo apre la prospettiva della glorificazione finale all’uomo e al cosmo, ridimensionando definitivamente ogni pretesa antropocentristica.

Dall’altro lato l’equilibrato rapporto tra Dio, uomo e cosmo - esplicitato dall’Eucaristia - esclude ogni biocentrismo o ecocentrismo che conduca ad eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi [110].

La dimensione cosmologica dell’Eucaristia trova un emblema assai significativo nella vita di san Francesco d’Assisi. Il famoso Cantico di frate sole appare come una documentazione potente, poeticamente efficace, della posizione dell’uomo che vive una esistenza determinata eucaristicamente e che, per questo, sa riconoscere ogni creatura nel suo nesso con Dio: “Laudato sii mi’ Signore cum tucte le tue creature”. La coscienza di san Francesco esprime l’atteggiamento di gratitudine a Dio per e con tutte le cose. Gratitudine che egli impara proprio nel mistero eucaristico, di cui nel suo tempo non a caso fu mirabile cantore e difensore, in obbedienza ai decreti del Concilio Laterano IV [111].

La dimensione comunitaria dell’azione eucaristica consente inoltre ai cristiani di non dimenticare che il creato-cosmo è un bene comune ed universale e che l’impegno verso di esso si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro. Pertanto la responsabilità verso il creato prende la fisionomia di una cura verso questa nostra dimora che in un certo senso prolunga il corpo, e deve trovare adeguate traduzioni a livello educativo, sociale e giuridico che ne rispettino il valore simultaneamente di dimora e di risorsa [112].

Anche il tempio cristiano ed in esso la cappella o l’ambito riservato alla custodia e all’adorazione con il tabernacolo, esprimendo la cura per la dimora del Corpo eucaristico ed ecclesiale di Gesù Cristo, possono diventare preziose risorse educative dell’assemblea ecclesiale ad un corretto rapporto tra l’uomo ed il creato.

IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia

Il dono totale di Sé, assicurato eucaristicamente da Cristo all’uomo di ogni tempo, è per la salvezza di tutti. In questo senso l’Eucaristia è per il mondo. I Vangeli sinottici ricordano nella decisiva parabola del buon grano e della zizzania che l’impegno del seguace di Cristo ha come campo il mondo (cfr. Mt 13 38). Balza così agli occhi come l’Eucaristia possieda un’intrinseca dimensione sociale inseparabile da quella cosmologica ed antropologica.

La storia della Chiesa, ricca di opere di carità e fermento creativo di istituzioni di rilevanza civile e politica, lo documenta con dovizia di elementi. Né mancherà, nei lavori di questi giorni, l’occasione per averne ulteriore conferma dalle Chiese particolari qui rappresentate.

La carità è essenzialmente eucaristica [113], così come l’Eucaristia è carità [114]. L’elemosina che i fedeli compiono in occasione della celebrazione domenicale indica con chiarezza l’importanza di questo nesso. Tra le innumerevoli testimonianze di santità legate alla carità vogliamo ricordare quella della Beata Teresa di Calcutta. Il suo carisma, profondamente marcato dal rapporto con il sacramento eucaristico, seppe riconoscere l’amore di Cristo come sorgente inestinguibile di condivisione nei confronti dei moribondi più miseri ed abbandonati.

Nel frangente attuale, contrassegnato dalla violenta transizione dalla modernità ad una nuova configurazione culturale e geopolitica (post-modernità?), le urgenze sociali, cui il cristiano che vive la propria esistenza in forma eucaristica deve far fronte, appaiono particolarmente acute e differenziate. La globalizzazione, la società delle reti, i nuovi orizzonti aperti dalle bio-tecnologie e il processo di inevitabile mescolanza tra popoli e culture, purtroppo accompagnato da guerre, terrorismo e violenze disumane, rendono improrogabile l’urgenza di giustizia sociale e di pace.

La situazione di povertà e, non di rado, di endemica miseria, cui un’ampia fetta della popolazione del globo, soprattutto in Africa, è condannata, costituisce una ferita che inesorabilmente giudica l’autenticità con cui i cristiani di ogni latitudine vivono l’Eucaristia. Riunirsi ogni domenica, in qualunque luogo della terra, per aver parte allo stesso Corpo e allo stesso Sangue di Cristo, impone il dovere di una lotta tenace a tutte le forme di emarginazione e di ingiustizia economica, sociale e politica cui sono sottoposti i nostri fratelli e sorelle, soprattutto i bambini e le donne. Le forme di questa lotta esigono criteri adeguati derivanti dal proporzionato rapporto tra carità e giustizia che fin dai tempi apostolici l’Eucaristia ha reclamato come necessario per la vita associata (cfr. 1Cor 11, 17-22; Gc 2, 1-6). La comunità cristiana, cosciente della sua singolare natura, deve continuare, con appropriate analisi e operando le debite distinzioni, a cercare i mezzi adeguati per far fronte ad un male che oggi ha assunto dimensioni planetarie e più che mai grida vendetta al cospetto di Dio (cfr. Gen 4, 10).

Appare evidente che l’affronto di una questione così rilevante, come quella della giustizia sociale, non può essere disgiunto dall’instancabile dovere di perseguire la pace. Del resto il rapporto pace-Eucaristia, ben espresso nel rito latino dall’abbraccio fraterno che precede la comunione, si fonda sull’incrollabile convinzione che “Cristo stesso è la nostra pace” (Ef 2, 14). La radice eucaristica dell’azione del cristiano per la pace lo porrà al riparo da due gravi insidie in proposito. Quella del pacifismo utopico, da una parte, e quella di una sorta di Realpolitik che considera inevitabile la guerra, dall’altra. La pace invece è un compito difficile e gravoso che ci sta sempre davanti e va pazientemente perseguito ogni giorno nella propria persona e in tutti i rapporti, cominciando da quelli familiari, per passare dalle comunità intermedie, fino a giungere a quelle internazionali.

Queste decisive implicazioni sociali dell’azione eucaristica richiedono il contributo dei cristiani per l’edificazione di una società civile, nelle diverse aree culturali dell’umanità. Basandosi sui principi di solidarietà e di sussidiarietà, costitutivi dell’insegnamento sociale della Chiesa, i cristiani promuovono una società civile che poggi sulla dignità e sui diritti della persona, anzitutto sul diritto alla libertà religiosa, e su quelli di tutti i corpi intermedi, in particolare della famiglia.

Nella stessa direzione i cristiani contribuiscono, con tutti gli uomini di buona volontà e nel rispetto della natura oggi per lo più plurale delle società, alla promozione di istituzioni statali e internazionali che favoriscano un buon governo. Oltre a promuovere e regolare una vita buona a livello delle singole nazioni, queste debbono concorrere all’ormai improrogabile necessità di costruire un nuovo ordine mondiale basato su regole condivise e vincolanti che garantiscano a tutti i popoli la possibilità di uno sviluppo equilibrato ed integrale delle risorse naturali e umane.

CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo


I. Ripresa sintetica

Nell’incontro di libertà che l’azione liturgica propizia, da duemila anni nel rito eucaristico per l’uomo si rinnova, con particolare intensità, l’esperienza dello stupore. Proprio nell’attuarsi del rito, per l’abbassamento del Figlio morto in croce e risorto e attraverso il dono dello Spirito, il Padre si mostra, si dona e si dice all’uomo. Nell’eulogia e nell’eucaristia, nell’ascolto della parola e nella consumazione del sacrificio, il fedele adoratore del Dio vero, dopo il confiteor, è ammesso a comunicare al Corpo che redime in forza dell’irrepetibile avvenimento della Pasqua di Gesù, ed è inviato a testimoniare la redenzione al mondo intero.

L’Eucaristia diviene simultaneamente fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa nell’azione stessa in cui viene celebrata. Evento pasquale, Eucaristia e Chiesa realizzano in tal modo la forma concreta mediante la quale, lungo la storia, la Trinità viene incontro agli uomini per salvarli.

Le meraviglie della grazia divina sono racchiuse nelle sacre specie del pane e del vino convertite nel Corpo e nel Sangue di Cristo. In esse il Figlio di Dio, umanato, “passo” e risorto, resta volontariamente consegnato in attesa del libero coinvolgimento dell’uomo. La Chiesa celebra questi misteri, si alimenta a questo cibo celeste e lo adora riconoscendo in Gesù sacramentato la Via alla Verità e alla Vita.

L’uomo che per grazia accoglie questo dono fa ogni volta una singolare esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che lo provoca ad una decisione. Accorgendosi allora dell’abissale differenza tra l’infinita libertà di Dio che si dona eucaristicamente e la pochezza dell’umana libertà il fedele si abbandona a Cristo, trasforma la sua esistenza in offerta vivente.

Questa assume una vera e propria forma eucaristica a livello personale e a livello sociale. La fisionomia del cristiano e della comunità dei fedeli vive di questa forma eucaristica che progressivamente trasfigura i ritmi dell’esistenza personale, mentre contribuisce all’edificazione di una vita buona anche a livello sociale. Il nascere, il crescere, l’educare, l’amare, il soffrire e il morire sono segnati dalla potenza eucaristica che si articola in tutto il settenario sacramentale e, in forza dell’Eucaristia, la vita dei cristiani e delle comunità trae benefico influsso dall’accoglienza dei doni dello Spirito, dall’incremento delle virtù, dalla scoperta che i comandamenti di Dio, autenticamente obbediti, sono il compimento dell’amore. Si rinnova in profondità il rapporto dell’uomo redento con il cosmo, mentre con energia sempre risorgente i cristiani sono sospinti ad un radicale impegno per la giustizia sociale e per l’edificazione della pace.

Soprattutto in questo tempo di singolare travaglio in cui versano tutte le aree culturali del mondo, il cristiano che vive la propria esistenza comunitaria in forma eucaristica, si fa instancabile annunciatore e testimone di Gesù Cristo e del Suo Vangelo in tutti gli ambienti dell’umana esistenza: dal quartiere alla scuola, al lavoro, al mondo della cultura, dell’economia, della politica, delle comunicazioni sociali ecc.

Le comunità cristiane, fondate eucaristicamente, diventano luoghi in cui ogni uomo può fare esperienza che la sequela di Cristo apre alla vita eterna offrendo, già dall’interno della storia, il centuplo (cfr. Mt 19, 29). Donne ed uomini di ogni ceto, etnia e cultura possono, in ogni momento della loro vita, incontrare altri uomini e donne, i cristiani, che in forza dell’esistenza eucaristica, si propongono loro come compagni discreti di un cammino di libertà.

II. Un auspicio finale

Questa forma eucaristica della personalità e della comunità cristiana non è un’utopia. Già vive pienamente in Maria, donna eucaristica. Per il suo fiat Maria è l’emblema del dono eucaristico di sé e della Chiesa immacolata. I Padri e il Magistero della Chiesa hanno sempre sottolineato l’indisgiungibile rapporto tra Maria e la Chiesa [115]. Giovanni Paolo II, definendola donna eucaristica [116], ha chiamato per nome la forma di questo rapporto. Esso fiorisce infatti sulla partecipazione del tutto singolare della Madre all’offerta compiuta di Sé fatta dal Figlio.
Chiediamo alla Vergine Immacolata e a tutti i Santi che i lavori di quest’Assemblea Sinodale possano svolgersi nell’orizzonte benefico di questa forma eucaristica.
05/10/2005 13:07
 
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La Comunione in mano, tema discusso nel Sinodo
I Padri sinodali preoccupati per l’arte della celebrazione dell’Eucaristia



CITTA’ DEL VATICANO martedì, 4 ottobre 2005 (ZENIT.org).


L’“arte della celebrazione” (“ars celebrandi”) dell’Eucaristia e i suoi aspetti concreti, come quello della Comunione in mano, sono temi che stanno suscitando l’interesse dei partecipanti al Sinodo.

La questione della Comunione in mano è stata posta da un Vescovo della Lituania, che si è dichiarato contrario, chiedendo che venga sempre ricevuta in bocca.

In seguito la questione è stata affrontata dal Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha spiegato le argomentazioni a favore e contro questa pratica.

Il porporato nigeriano ha menzionato le difficoltà che possono sorgere dall’amministrazione della Comunione in mano, che permette che una persona possa portare via la Comunione senza comunicarsi.

Isidro Catela, addetto stampa per la lingua spagnola del Sinodo dei Vescovi, ha spiegato ai giornalisti che c’è stato il caso di una persona che ha conservato un’ostia consacrata da Giovanni Paolo II e l’ha venduta ad una nota casa d’aste su Internet.

A volte le ostie sono state utilizzate anche per riti satanici.

Per questo motivo, il Cardinale Arinze ha chiesto ai sacerdoti che, nel dare la Comunione in mano, prestino particolare attenzione affinché chi si comunica non possa perseguire altri fini.

Il porporato ha infine spiegato che è una decisione che dipende dalle Conferenze Episcopali di ogni Paese.

Catela ha reso noto che i Padri Sinodali vogliono sottolineare la necessaria nobilitazione del rito eucaristico e alcuni hanno constatato che l’assenza di fedeli in alcune Messe domenicali è dovuta alla “negligenza nell’‘ars celebrandi’”.

Dei Padri sinodali hanno chiesto nei seminari se si sta dando un’“adeguata formazione” in oratoria, estetica e comprensione del significato del rito eucaristico.

Circa i mezzi di comunicazione e la trasmissione delle celebrazioni eucaristiche in TV, due Padri Sinodali e l’Arcivescovo John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, hanno osservato che è opportuno che si tratti di “trasmissioni che siano un modello e non un motivo di maggiore preoccupazione o di disorientamento per il credente”.

05/10/2005 23:40
 
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Martedì mattina : sintesi degli interventi dei padri sinodali
1. Una realtà dolorosa: la secolarizzazione, una cultura che disumanizza
- Deterioramento sociale:
La secolarizzazione come processo culturale è penetrata nei nostri ambienti. Sta minando il patrimonio culturale del nostro popolo e alcuni segni sono già evidenti nella realtà che viviamo: esiste una piaga sociale che disumanizza l’ambiente e lo rende immorale a causa dell’allontanamento da Dio e del rifiuto dei principi cristiani. L’alcolismo e il divorzio si sono insinuati sottilmente nella società come qualcosa di normale e la tossicodipendenza, la pornografia, gli omicidi, la violenza, ecc. sono mali sociali che ci tormentano.
- Crisi morale:
La Chiesa è stata attaccata, non c’è rispetto per i suoi rappresentanti che vengono sottoposti costantemente a critiche pungenti e caricature sarcastiche.
Inoltre la crisi morale svilisce la dignità della persona. Siamo invasi dalla propaganda asfissiante del consumismo che contrasta con la nostra realtà offuscata e si impongono a noi l’idolatria del denaro e del piacere.
- Attacchi alla nostra cultura:
Questa ideologia distruttrice sta minando la famiglia mentre favorisce il piacere erotico, sfrenato, una cultura egoista che introduce a poco a poco costumi alieni alla nostra tradizione, come, per esempio, l’impulso dato a spettacoli che screditano la dignità della donna e spingono al consumo smisurato di alcol. Questa situazione è tanto più dolorosa per la Chiesa, in quanto queste celebrazioni, che si potrebbero chiamare carnevali, stravolgono il senso delle celebrazioni religiose strumentalizzandole ideologicamente e creando ancora più confusione e assenza di Dio.
- Impegno ecclesiale:
I danni causati dalla diffusione del secolarismo di questi ambienti, sottolineano l’urgenza di una coraggiosa evangelizzazione in tutti gli ambienti sociali, capace di trasformare e umanizzare tali strutture in modo che esse tornino alla loro vera unità in Cristo (cf. Ef. 1,10; Chiesa in America 67)
2. Un’ora provvida: la celebrazione di questo anno eucaristico
- L’ Eucaristia: alimento che dà forza per il cammino
Nell’Eucaristia, come la definisce il Concilio Vaticano II, noi cristiani incontriamo la fonte e il culmine di tutto ciò che siamo. In quest’ora provvida, il Signore ci invita a contemplare la nostra realtà e a volgere lo sguardo verso l’alto per ritrovare la speranza e il coraggio di lottare contro tutto ciò che ci allontana da Dio.
Il Signore ci esorta come il Profeta Elia: Alzati e mangia, “perché è troppo lungo per te il cammino” (1 Re 19,7). Nel sacramento dell’Eucaristia troviamo l’alimento che ci dà la forza di lottare contro il peccato e lo scoraggiamento, l’indifferenza e la mancanza di speranza.
Il cammino è ancora troppo lungo e senza questo alimento non potremmo sopportare le prove, le difficoltà e la sofferenza che ci si presentano nella vita quotidiana. - Comunione:
L’Anno dell’Eucaristia ci ha invitato costantemente a un rinnovamento dello spirito di comunione, nella riconciliazione e nell’amore fraterno, nella solidarietà e nello spirito missionario. Ciò va ben oltre un semplice evento, un incontro celebrativo. Esige un approfondimento nel più intimo della nostra vita interiore ed ecclesiale. Dunque la celebrazione di questo Anno eucaristico è per noi un forte richiamo all’unità e alla comunione di tutta la Chiesa in Nicaragua, a un ritorno alle radici della fede cristiana che ha reso feconde le nostre comunità.

- S.E.R. Mons. Paul-André DUROCHER, Vescovo di Alexandria-Cornwall (CANADA)

La croce di Cristo, formata da un tronco e da una trave, ricorda le due dimensione della morte salvifica del Cristo: verticale, la glorificazione del Padre; orizzontale, la salvezza dell’umanità.
La croce invita la comunità cristiana a unirsi al Cristo secondo queste due dimensioni - la lode al Padre e la preghiera per il mondo - trasformando allo stesso tempo l’Eucaristia in un’azione liturgica dossologica e missionaria. Nel nostro mondo contemporaneo, cerchiamo prima di tutto la realizzazione personale e le soddisfazioni immediate. In un tale contesto culturale, si rischia di ridurre l’Eucaristia alla mera dimensione dei propri bisogni e desideri. Occorre quindi sviluppare queste dimensioni dossologica e missionaria coltivando l’arte di officiare, ponendo particolare attenzione alle possibilità di lode e di apertura sul mondo già presenti nel cuore della liturgia, con la libertà di sviluppare nuove formule di preghiera, nuovi prefazi o un nuovo rito di congedo. Tutto questo con l’intento di mettere in atto nella celebrazione quello che già la croce astile simbolizza.

- S.Em.R. Card. Javier LOZANO BARRAGÁN, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (CITTÀ DEL VATICANO)

L’Eucaristia assunta come Viatico ci mette nella contemporaneità dell’avvenimento salvifico al momento della morte. Ha quindi il significato di vita, comunione ed eternità. In quanto vita, la nostra morte si unisce nel Viatico alla morte e risurrezione di Cristo. Così completiamo nel nostro corpo quello che manca alla passione di Cristo ed entriamo nella sua gloriosa risurrezione. La nostra vita diventa merito per i meriti di Cristo, grazie allo Spirito Santo che conferisce merito alla virtù e ci introduce alla gioia eterna. In quanto comunione, con il Viatico la morte cessa di essere solitudine e diventa la più grande compagnia: ci trasmette la trasparenza di noi stessi, ci unisce a Cristo centro dell’universo e con tutto l’universo ci apre alla compagnia di tutta la Chiesa attraverso la comunione dei santi, ci unisce alla Santissima Vergine Maria, a tutti i santi, a tutti i membri della Chiesa. Con il Viatico giungiamo al momento della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Vinciamo la solitudine. La solitudine della morte è inversamente proporzionale alla fede nel Viatico. In quanto eternità, con il Viatico superiamo la mobilità del desiderio nella pienezza dell’amore trinitario a cui partecipiamo avendo in Cristo la gioia perenne di giungere alla pienezza della vita divina.


- S.E.R. Mons. Geraldo LYRIO ROCHA, Arcivescovo di Vitória da Conquista (BRASILE)

Ci sono celebrazioni della Santa Messa trasmesse dalla televisione che, in alcune parti sollevano serie e gravi preoccupazioni. Sarebbe della massima convenienza che, circa queste questioni, fosse ricordato che nella liturgia celebriamo il Mistero Pasquale. Ci sia, da parte di tutti, rispetto e fedeltà a quanto stabilisce il Magistero della Chiesa circa la celebrazione della Santa Messa e il Culto Eucaristico, affinché si evitino deviazioni ed abusi, soprattutto nelle trasmissioni televisive. Quelli che assistono alla Messa in TV siano stimolati a partecipare dalla celebrazione nell’assemblea liturgica. Ogni celebrazione abbia sempre un tono orante affinché traspaia la dimensione di sacralità del mistero celebrato. Sia dato il dovuto valore ai simboli liturgici, si curi l’espressione artistica dello spazio celebrativo, degli oggetti, delle vesti liturgiche. Il canto e la musica siano in accordo con l’indole propria della celebrazione, il tempo liturgico e i momenti celebrativi.

[Testo originale: italiano]

- S.E.R. Mons. Pedro Ricardo BARRETO JIMENO, S.I., Arcivescovo di Huancayo (PERÙ)

C’è preoccupazione e scontento nel mondo odierno di fronte al fallimento delle speranze dell’uomo riguardo all’ambiente e alla povertà estrema perché “Dio è stato estromesso dalla vita pubblica”, per questo “la crisi ecologica, non costituisce solamente un problema scientifico e tecnico esso è - anche e principalmente - un problema etico e morale”. E’ opinione della Chiesa che“La tecnologia che inquina può anche decontaminare; la produzione che accumula può anche distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita , per la dignità dell’uomo e i diritti delle generazioni umane, presenti e future”.
Il cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia per la pace del mondo.E’ un autentico “segno dei tempi” che esige da noi una conversione ecologica. La Chiesa ha una grande responsabilità in questo campo spirituale. Infatti “l’Eucaristia, essendo il culmine al quale tende tutto il creato, è la risposta alla preoccupazione del mondo contemporaneo anche per l’equilibrio ecologico”.
Come “frutto della terra”, il pane e il vino rappresentano la creazione che ci è stata affidata dal Creatore. Per questo, l’Eucaristia è in relazione diretta con la vita e la speranza dell’umanità e deve essere la preoccupazione costante della Chiesa e segno di autenticità Eucaristica. “Non solo l’uomo ma anche l’intera creazione attende i nuovi cieli e la nuova terra (cf. 2 Pt 3,13) e la ricapitolazione di tutte le cose, anche quelle della terra in Cristo (cf. Ef 1,10)”.
Come frutto del lavoro dell’uomo, in molte parti del mondo, come accade nel territorio della Archidiocesi di Huancayo (Perù), l’aria, la terra e la conca del fiume Mantaro sono seriamente compromessi dall’inquinamento. L’Eucaristia ci impegna a fare sì che il pane e il vino siano frutto “della terra fertile, pura e incontaminata”. Perciò è necessario rendere sempre più visibile la “comunione” nel Collegio Episcopale, unito sotto il Vicario di Cristo e “la collegialità affettiva e effettiva, da cui deriva la preoccupazione di noi Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale...” promuovendo la partecipazione dei laici.
La fede nel Cristo risorto fa sì che la Chiesa sia “un progetto di solidarietà” per condividere i beni con i più poveri e vivere nella Chiesa la spiritualità eucaristica.

[Testo originale: spagnolo]

– S.Em.R. Card. Jorge Arturo MEDINA ESTÉVEZ, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (CITTÀ DEL VATICANO)

I tre aspetti dell’Eucaristia, Sacrificio, presenza reale e Comunione sacramentale non sono realtà giustapposte, ma si articolano in modo che la realtà centrale sia quella sacrificale. La presenza reale dà la sua piena dimensione al Sacrificio eucaristico e la Santa Comunione è partecipazione al sacrificio. Nessuna di queste realtà può essere separata dalle altre due e insieme fanno sì che tutta la vita cristiana sia consacrata alla gloria di Dio.
Intimamente unita alla natura sacrificale è la dimensione propiziatoria della celebrazione eucaristica, a favore sia dei vivi sia dei morti. La liturgia esequiale guarda anzitutto al suffragio per l’anima del defunto ed è un abuso trasformare l’omelia esequiale in un elogio della persona deceduta.

[Testo originale: spagnolo]

- S.Em.R. Card. Cormac MURPHY-O'CONNOR, Arcivescovo di Westminster, Presidente della Conferenza Episcopale (GRAN BRETAGNA (INGHILTERRA E GALLES)

Nutro la sincera speranza che il nostro dibattito si concentri sulle implicazioni dell’Eucaristia per la comunità ecclesiale e per la sua missione nel mondo. La Relazione Finale del Sinodo del 1985 scelse come titolo: Ecclesia sub Verbo Dei celebrans mysteria Christi pro salute mundi. In questo titolo troviamo, legate insieme, le quattro componenti fondamentali del Concilio Vaticano II.
Nel fare riferimento al Sinodo Straordinario del 1985 indico molto esplicitamente uno dei maggiori risultati ottenuti grazie a esso, vale a dire il concentrarsi su koinonia/comunione - Ecclesiologia communionis.
Sono convinto che un recupero della teologia e dell’ecclesiologia di koinonia nei suoi vari aspetti sia davvero un frutto della presenza dello Spirito del Cristo Risorto nella sua Chiesa e che ciò costituisca un tema di immenso valore ecumenico.
È essenziale che la relazione profonda tra comunione/koinonia e l’Eucaristia diventi una caratteristica centrale delle nostre discussioni e di ogni documento che verrà fuori da questa assemblea. Non possiamo ridurre le nostre riflessioni durante questo Sinodo alla limitata discussione di norme pratiche o di indicazioni catechetiche, per quanto importanti esse siano.
Questo Sinodo sull’Eucaristia ci porta al cuore di tutto ciò che il Concilio Vaticano II ha cercato di dire sulla Chiesa, sul mondo e sul destino di tutta la storia umana nel mistero della Santissima Trinità.

[Testo originale: inglese]

- S.E.R. Mons. Gerald William WIESNER, O.M.I., Vescovo di Prince George (CANADA)

Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, Papa Giovanni Paolo II indica la celebrazione dell’Anno Santo del 2000 come un’opportunità, per la Chiesa, di analizzare fino a che punto si è rinnovata alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Il Concilio, in modo chiaro e ripetuto, chiede la piena, consapevole e attiva partecipazione dei fedeli alla celebrazione della liturgia. Questa qualità di partecipazione è richiesta sia per la natura stessa della liturgia, sia in virtù del battesimo.
Il sacerdozio regale, conferito ai fedeli attraverso il sacramento del battesimo, esige da loro e li abilita a offrire la Vittima divina al Padre e a offrire se stessi insieme con la Vittima divina.
Come indicato nell’Instrumentum laboris, molti non hanno una corretta comprensione dell’Eucaristia e pertanto non riescono a partecipare adeguatamente. Questo breve intervento vuole essere uno sforzo per sottolineare e affrontare tale questione.

[Testo originale: inglese]

- S.Em.R. Card. Justin Francis RIGALI, Arcivescovo di Philadelphia (STATI UNITI D'AMERICA)

Parlare dell’“Eucaristia Mistero della Fede” (n. 28) significa anche parlare dell’“Eucaristia Mistero dell’Amore Trinitario”. Lo stesso vale quando si parla del Sacrificio di Gesù (n. 37).
Nel trattare il rapporto di Gesù con Suo Padre nella comunione della Santissima Trinità troviamo la spiegazione più profonda dell’Eucaristia, specialmente come sacrificio, un sacrificio rinnovato nell’Eucaristia.
L’amore di Cristo per noi e l’amore del Padre che ha mandato Suo Figlio nel mondo per salvarci spiegano in larga misura l’Eucaristia. Altri due aspetti dell’amore di Dio sono, comunque, ancora più fondamentali per una comprensione dell’Eucaristia e di tutta la sofferenza che Cristo ha sopportato per noi sul Calvario. L’Eucaristia scaturisce direttamente dall’amore del Figlio di Dio per il Padre come risposta all’eterno amore con cui Egli è amato dal Padre nello Spirito Santo.
La più grande proclamazione di Gesù è stata l’amore che il Padre nutre per Lui e l’amore che Lui nutre per il Padre. Gesù dice: “Il padre ama il Figlio” (Gv 3,35; 5,20). “Il Padre mi ama” (Gv 10,17). “Io amo il Padre” (Gv 14,31).
Il Sacrificio di Gesù è motivato dal Suo amore per il Padre e dalla Sua obbedienza al Padre. Il Calvario e l’Eucaristia, che rappresenta nuovamente e rinnova il Calvario, esprimono lo scambio d’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. La Risurrezione è la risposta d’amore del Padre al Sacrificio di Cristo e la più grande proclamazione del suo eterno amore per Suo Figlio. Come mistero della fede l’Eucaristia è, soprattutto, il mistero dell’Amore Trinitario.

- S.E.R. Mons. Clément FECTEAU, Vescovo di Sainte-Anne-de-la-Pocatière (CANADA)

A giusto titolo il documento che è stato sottoposto allo studio di questa assemblea sinodale raccomanda di affermare con insistenza che Gesù Cristo è realmente presente nel Sacramento dell’Eucaristia.
L’Instrumentum Laboris, al numero 38, sollecita nuovamente la presente assemblea sinodale ad affermare che “la presenza permanente e sostanziale del Signore nel sacramento non è tipologica o metaforica.”.
A questo proposito è giusto che si chieda “di spiegare la teologia della consacrazione” per facilitare il dialogo ecumenico e per renderne più facile la comprensione ai cattolici stessi. Sarebbe anche opportuno chiedere a degli specialisti di sviluppare un linguaggio più consono per la catechesi di questo grande mistero.
Spesso accade che si consideri l’Eucaristia come un qualcosa di statico quando invece si tratta di una realtà dinamica. L’Eucaristia non è solo la persona di Cristo - non solamente presente - ma in azione costante e permanente di sacrifico anche se sotto forma di memoriale.
E auspicabile che degli specialisti suggeriscano un nuovo linguaggio su questo aspetto, in modo che i pastori, i catechisti e i fedeli giungano a una comprensione più profonda e più autentica della presenza del Signore nell’Eucaristia.
L’atto di adorazione, l’atteggiamento interiore di adorazione, costituisce il luogo dove culmina l’espressione della fede nella presenza del Signore nel Santissimo Sacramento. Bisognerebbe tuttavia evitare di interpretare questa affermazione, nel senso che le celebrazioni di adorazione fuori dal contesto della messa non rappresentino un’espressione della fede più grande di questa.
Ci auguriamo che questa assemblea sinodale approfondisca questa questione dell’Adorazione Eucaristica; nell’impegno per rinnovare questa pratica spiegandone il senso e fornendo testi e preghiere idonee a sostenere quella delle persone che non hanno ancora l’abitudine della preghiera spontanea.


- S.Em.R. Card. Miguel OBANDO BRAVO, S.D.B., Arcivescovo emerito di Managua (NICARAGUA)

Gesù ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana e, quindi, della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore.
Il comportamento della persona è pienamente umano quando nasce dall’amore ed è subordinato ad esso. Questa verità è valida anche in ambito sociale: è necessario che i cristiani siano testimoni profondamente convinti e, con la loro vita, sappiano testimoniare che l’amore è l’unica forza che può condurre alla perfezione personale e sociale e guidare la storia verso il bene.
Per plasmare una società più umana, più degna della persona, è necessario rivalutare l’amore nella vita sociale - a livello politico, economico, culturale -, rendendolo norma costante e suprema dell’azione.
Solo la carità può cambiare completamente l’uomo. Tale cambiamento non significa annullare la dimensione terrena in una spiritualità disincarnata. Chi pensa di attenersi alla virtù soprannaturale dell’amore senza tener conto del suo corrispondente fondamento naturale che comprende i doveri della giustizia, inganna sé stesso: la carità è il più importante comandamento sociale. Rispetta il prossimo e i suoi diritti.
La carità, però, non può risolversi nella dimensione terrena delle relazioni umane e sociali, perché tutta la sua efficacia deriva proprio dal suo riferimento a Dio.
Non si può parlare di Eucaristia senza fratellanza, senza almeno un atteggiamento di apertura, una volontà di unione e di mutua dedizione.
Nella celebrazione eucaristica si accumulano elementi di fratellanza (il Padre nostro, il segno della pace, la frazione del pane). Con ciò si vuole semplicemente sottolineare l’aspetto “orizzontale“ della nostra comunione.


- S.Em.R. Card. Telesphore Placidus TOPPO, Arcivescovo di Ranchi (INDIA)

La Chiesa locale del territorio tribale all’interno dell’India, che conta attualmente oltre 2 milioni di fedeli, rappresenta indubbiamente una delle storie più belle di successi della missione della Chiesa cattolica. In soli 130 anni l’Arcidiocesi di Ranchi ha dato vita a 12 diocesi, ordinando 23 vescovi, centinaia di sacerdoti e migliaia di religiosi. Attribuisco questo dinamismo e questa crescita interamente alla nostra particolare devozione all’Eucaristia. Essa forma la nostra stessa ‘identità’. Dacché le popolazioni tribali hanno accolto il Vangelo, la ‘presenza reale’ del Signore risorto nell’Eucaristia li ha resi liberi, ha offerto loro la salvezza, trasformandoli in ‘nuova creazione’ in Cristo.
Desidero quindi richiamare l’attenzione di questo Sinodo sull’“aspetto salvifico”dell’Eucaristia, e condividere con voi ciò che la fede cristiana ha fatto per noi. C’è innanzitutto la realtà dell’amore di Dio, simbolizzata - nella tradizione cattolica - dall’immagine del Sacro Cuore, che ci conduce direttamente al Mistero Pasquale e all’Eucaristia (cf Gv 19, 34).
C’è quindi la realtà dell’“anamnesi”, vale a dire che la fede della Chiesa rende il Mistero Pasquale del nostro Salvatore Gesù Cristo spiritualmente presente ai fedeli. Questo ci ha insegnato il nostro fondatore, il missionario Constant Lievens. Più recentemente, il nostro amato Papa di venerata memoria, Giovanni Paolo II, e la Beata Madre Teresa di Calcutta, hanno sottolineato questa realtà di partecipazione all’Eucaristia. I cristiani delle nostre zone tribali dell’interno hanno piena fiducia, oggi, che la morte salvifica e la risurrezione di Gesù hanno privato della loro forza i principati e le potestà dell’universo e distrutto il loro potere (cf Col 2, 14-15). In questa esperienza di fede del nostro popolo, l’Eucaristia ha operato un cambiamento esemplare allontanandolo dai sacrifici di sangue di un tempo, con cui cercava di placare i cosiddetti “spiriti maligni”, orientandolo verso la nuova ed eterna alleanza stabilita in Gesù Cristo.
C’è inoltre la realtà dell’“admirabile Commercium”, mediante il quale “partecipiamo della divinità di Cristo, che si è umiliato per condividere la nostra umanità”. Questa realtà non porta semplicemente la salvezza, ma un “meraviglioso scambio”, vale a dire una trasformazione in “eredi di Dio” e “coeredi con Gesù Cristo”. I fedeli sono veramente stati liberati da tutti i vincoli e hanno ricevuto la “libertà dei figli di Dio”.
Questo Sinodo, provvidenziale, deve portare tutti i cristiani a partecipare all’Eucaristia con una nuova intensità e profondità di fede. Che l’intercessione di Maria, “Donna dell’Eucaristia”, porti alla salvezza continua del mondo, alla vera liberazione e all’abbondanza di vita grazie a suo Figlio, Gesù Cristo, Pane di vita!

- S.Em.R. Card. James Francis STAFFORD, Penitenziere Maggiore (CITTÀ DEL VATICANO)

Le mie riflessioni hanno il loro fondamento nel mistero pasquale celebrato nell'Eucaristia. In particolare, per il mio servizio alla Chiesa come Penitenziere Maggiore e, quindi, per la mia esperienza nell'attività della Penitenzieria Apostolica, vorrei sottolineare l'importanza attuale del nesso tra Eucaristia e Penitenza.
1. Tutta la vita e la missione della Chiesa deriva la sua ragion d'essere e il suo vigore dall'Eucaristia ed è tutta orientata a rendere presente nella storia dell'umanità l'efficacia salvifica del mistero della morte e risurrezione di Cristo. Nell'adempiere il mandato di Cristo ("Fate questo in memoria di me" [Lc 22,19]), la Chiesa si riconosce come il popolo dei redenti, dei salvati, dei riconciliati con il Padre nel sangue del Figlio. Nello stesso tempo la Chiesa si riconosce come il nuovo popolo di Dio, pellegrino che sperimenta le tentazioni e le insidie del cammino, e anche le infedeltà dei suoi membri. Ne deriva una costante esigenza di conversione e un permanente bisogno di riconciliazione.
2. La vita cristiana, quindi, è autentica quando è vissuta in atteggiamento di continua conversione personale e comunitaria, che ha la sua espressione più alta nel segno della riconciliazione sacramentale. Rinnovare l'alleanza di amicizia con Dio non è solo una decisione intima del cristiano penitente, ma richiede un segno riconosciuto nella e dalla comunità ecclesiale, nella persona del ministro, perché il peccato ha spezzato il vincolo di amicizia con il Signore e con la Chiesa. La partecipazione al banchetto eucaristico con i fratelli comporta, come condizione ineludibile, un segno pubblico di riconciliazione espressi dal peccato.
3. Concludo il mio intervento con una raccomandazione: è auspicabile che in ogni diocesi ci sia la presenza del canonico penitenziere o almeno di un sacerdote che svolga il medesimo incarico, come previsto dal canone 508 del Codex Juris Canonici. Sono loro che possono aiutare i confessori nel loro delicato ministero e istruirli su eventuali ricorsi alla Penitenzieria Apostolica. E' un servizio prezioso a favore delle serenità della coscienza di molti fedeli, come testimonia il lavoro quotidiano della stessa Penitenzieria Apostolica.

- Rev. P. Mark R. FRANCIS, C.S.V., Superiore Generale dei Chierici di San Viatore

Vorrei commentare il paragrafo 8 dell’Instrumentum laboris visto che rispecchia una delle debolezze che io ravvedo nell’approccio dell’intero documento, debolezze che sono sia teologiche sia pastorali. Volendo sottolineare l’importanza dell’adorazione di Cristo nelle due specie eucaristiche, il documento sembra attribuire la stessa importanza alla celebrazione liturgica in sé e alle espressioni di pietà popolare nei confronti dell’Eucaristia. Ciò pare condurre ad alcune affermazioni riduttive. Ad esempio, nell’articolo 8 si legge che la presenza di Cristo “è l’esito fondamentale del sacramento”. È un modo incompleto e impoverito di intendere il “fine dell’Eucaristia. Si tratta qui della res sacramenti o res tantum della teologia sacramentale scolastica che il Concilio di Trento, quale fonte autorevole, ha descritto in modo molto più esaustivo come comunione del credente con Cristo e come pegno della gloria futura. Cristo è realmente e veramente presente nell’Eucaristia, non solo per essere presente ma per avere un effetto di cambiamento nel credente. Questo fatto viene sottolineato da molte preghiere che nel Messale Romano si recitano dopo la comunione. Esso costituisce anche una parte importante del riscoperto fondamento pneumatologico dell’Eucaristia nel Rito Latino espresso dall’epiclesi di comunione delle “nuove” preghiere Eucaristiche: per esempio, la Preghiera III: “Spiritu eius Sancto repléti, unum corpus et unus spiritus inveniamur in Christo”.
Ritengo che il documento debba porre maggiore enfasi sull’insegnamento Eucaristico tradizionale della Chiesa: l’adorazione del Santissimo Sacramento scaturisce dalla stessa Messa e a essa riconduce. Le parole poste in apertura dei praenotanda dei Riti della Santa Comunione e Adorazione dell’Eucaristia al di fuori della Messa (Eucharistiae Sacramentum) avrebbero potuto qui essere richiamate utilmente: “Scopo primario e originario della conservazione dell’eucaristia fuori della messa è la amministrazione del viatico; scopi secondari sono la distribuzione della comunione e l’adorazione di nostro signore Gesù Cristo, presente nel sacramento” (ES 5). Questo è anche coerente con il modo in cui il Concilio di Trento affronta l’Adorazione Eucaristica al di fuori della Messa: l’Eucaristia è stata istituita da Cristo... “ut sumatur” affinché possa essere ricevuta; in secondo luogo, che essa venga giustamente e opportunamente adorata nel sacramento custodito nel tabernacolo (Cfr. Sessio XIII, Caput V).
Ciò non vuole in nessun modo negare il valore dell’esposizione dell’Eucaristia e altre pratiche eucaristiche popolari della Chiesa Latina. Semplicemente, ritengo che ci sia bisogno di un maggiore apprezzamento dell’azione dell’Eucaristia, un’azione che è, come afferma il Sacrosanctum Concilium, “Attamen Liturgia est culmen ad quod actio Ecclesiae tendit et simul fons unde omnis eius virtus emanat” (SC 14).
Enfatizzando maggiormente il momento della celebrazione dell’Eucaristia, sia nella Liturgia della Parola che nella Liturgia Eucaristica, ritengo che potrebbe essere rafforzato un’altro punto debole del documento, vale a dire la mancanza di una reale attenzione alle modalità pratiche con cui migliorare ciò che l’IL chiama l’ars celebrandi (52). Se il Sinodo deve avere un effetto positivo sulla vita eucaristica del credente, è necessario, nell’istruzione seminariale e nei programmi di formazione permanente per sacerdoti e diaconi, dare maggiore importanza a quegli strumenti pratici che servono a preparare e ad incoraggiare i sacerdoti ad una migliore comprensione delle Sacre Scritture, a preparare omelie che proclamino veramente la Buona Novella e a coltivare uno stile efficace di celebrazione. Quanti dei nostri seminari, ad esempio, dedicano del tempo alla questione pratica della predicazione o del modo di presiedere alla liturgia? In qualità di Superiore Generale, nell’esaminare la formazione seminariale dei miei candidati al sacerdozio nei 14 paesi in cui è attiva la mia comunità, la mia impressione è che, dal punto di vista dell’aiuto pratico, venga trasmesso loro poco nell’omiletica o nel presiedere le liturgie. Senza dubbio ci sono fattori sociologici e di altro tipo che si oppongono alla partecipazione dei fedeli cristiani alla Messa. Ma piuttosto che attribuire semplicemente la colpa della bassa percentuale di chi frequenta la Messa, in molti paesi, alla mancanza di fede dei nostri cattolici e alla secolarizzazione della società, dobbiamo riconoscere con tristezza che una cattiva predicazione, associata a celebrazioni eucaristiche poco preparate e mediocremente eseguite, allontana talvolta le brave persone dalla Chiesa.

[Testo originale: inglese]

- S.E.R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kisangani, Presidente della Conferenza Episcopale (CONGO )

Parlo a nome della Conferenza Episcopale del Congo (CENCO).
Il mio intervento verte sugli effetti spirituali e sulle implicazioni sociali dell’Eucaristia (Instrumentum Laboris, nn. 11 e 79).
1. In un paese come il nostro, la Repubblica democratica del Congo, dove da nove anni, il popolo impoverito vive i tormenti di una guerra ingiusta e inutile, l’Eucaristia, celebrata sempre in una atmosfera di festa e di gioia ma anche con la preoccupazione dell’inculturazione, costituisce per i fedeli:
- un nucleo ardente di carità, dove si impara il valore incomparabile della vita e il prezzo inestimabile dell’amore di Colui che ama talmente la vita che opta liberamente per la morte, per dare la vita in abbondanza (cf Gv 10,10);
- un luogo in cui si edifica continuamente la Chiesa-famiglia di Dio, sacramento di unità e di fraternità, di perdono, di riconciliazione e di pace (cf SCEAM, Lettera pastorale “Le Christ est notre Paix (Eph 2,14)”, Accra, 2001);
- una sorgente inestinguibile di consolazione, di conforto e di resistenza nelle prove e sofferenze unite alla Croce e alla Risurrezione di Cristo (cf 2 Tm 2,11-12a);
- una scuola di umiltà collettiva dove, in quanto popolo, sperimentiamo il mistero pasquale della purificazione attraverso l’abbassamento e l’umiliazione: strada maestra verso la risurrezione e l’innalzamento sia spirituale sia materiale.
2. Per quanto riguarda l’Eucaristia, la teologia insegna che gli effetti spirituali dell’Eucaristia nella vita dei fedeli sono l’incorporazione a Cristo e la concorporazione fra le membra del suo corpo, detta anche koinonia: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane” (1Cor 10, 16-17; cf Ecclesia de Eucharistia, n. 22-24; Instr. Laboris n. 11). Questa è la grazia sacramentale propria dell’Eucaristia.
3. D’altronde, nella celebrazione eucaristica, diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo che ci doni il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo”... “che ci doni questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo” (Offertorio). Cioè l’Eucaristia ricapitola la ricchezza e la povertà del mondo, povertà che sottolinea fortemente la povertà delle specie eucaristiche. L’Eucaristia “ricapitola in un solo capo, Cristo” (cf Ef 1,10), tutta l’umanità nella sua produttività e nella sua povertà, cioè il mondo dei ricchi e quello dei poveri. Così dunque, la ricapitolazione (anakephalaiôsis) dell’economia della salvezza implica quella dell’umanità-famiglia nella sua vita quotidiana e sociale. È la salvezza integrale e la vera liberazione in Cristo, centro e culmine della Storia, Alfa e Omega.
4. Ecco perché l’Eucaristia quotidiana deve diventare per i discepoli di Cristo in generale un invito pressante a costruire un mondo più fraterno e unito, più giusto e solidale. In particolare, fruendo dei benefici dell’Eucaristia quotidiana, la Chiesa deve invitare gli esperti dell’economia e delle finanze come pure i cristiani preposti a prendere decisioni geopolitiche a lavorare incessantemente per instaurare un nuovo ordine economico mondiale, nel quale la solidarietà e la condivisione devono andare oltre l’aspetto umanitario, spesso legato ad interessi politici, per diventare una dimensione intrinseca al sistema stesso. Così, la cancellazione, molto apprezzata, del debito estero dei paesi più poveri, iniziativa delle più felici, richiama, a sua volta, ad un esame più approfondito di nuovi meccanismi in grado di evitare ormai a questi stessi paesi degli indebitamenti dello stesso genere.




07/10/2005 21:00
 
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Si può dare la Comunione a chi nega i principi cristiani? No, risponde il Cardinale López Trujillo


CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 7 ottobre 2005


“Si può permettere l'accesso alla Comunione eucaristica a coloro che negano i principi e i valori umani e cristiani?”, ha chiesto questo venerdì il Cardinale Alfonso López Trujillo prendendo la parola davanti al Sinodo dei Vescovi.

Il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha posto la questione riferendola in particolare ai politici e ai legislatori, offrendo un “no” netto come risposta.

“Non si può separare una cosiddetta opzione personale dal compito socio-politico – ha affermato il porporato colombiano –. Non è un problema ‘privato’, occorre l'accettazione del Vangelo, del Magistero e della retta ragione!”.

“Oggi i progetti di legge e le scelte fatte o da fare mettono in grave pericolo ‘la stupenda notizia’, cioè il Vangelo della famiglia e della vita, che formano un'unità inscindibile”, ha affermato.

“E' in gioco il futuro dell'uomo e della società e, per tanti aspetti, la genuina possibilità di una evangelizzazione integrale”, ha aggiunto.

“Il tessuto sociale è ferito in modo letale”, perché queste leggi, come ha spiegato, attentano contro i diritti più fondamentali, come quello alla vita, “ad iniziare dal delitto abominevole dell'aborto”.

“C'è, come spesso si sente, un'argomentazione spuria per una cosiddetta libera scelta politica, che avrebbe il primato sui principi evangelici ed anche sul riferimento ad una retta ragione”, ha denunciato il Cardinale.

In questo modo, ha proseguito, sono state introdotte legislazioni sulle coppie di fatto, “che almeno implicitamente costituirebbero un'alternativa al matrimonio, sebbene queste unioni siano semplicemente una ‘finzione giuridica’”.

Per descriverle ha utilizzato un’espressione coniata dalla Conferenza Episcopale Spagnola, “denaro falso messo in circolazione”.

“Peggio ancora”, ha aggiunto, quando si tratta di “‘coppie’ dello stesso sesso, cosa finora sconosciuta nella storia culturale dei popoli e nel diritto, anche se non presentate come ‘matrimonio’”, e si offre loro anche “l’adozione di bambini”.

“I politici e i legislatori devono sapere che, proponendo o difendendo i progetti di leggi inique, hanno una grave responsabilità e devono porre rimedio al male fatto e diffuso per poter accedere alla comunione con il Signore che è via, verità e vita”, ha concluso.

08/10/2005 00:34
 
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Sinodo 3. Il primo applauso va a un vescovo romeno



S'è dovuto aspettare il quarto giorno del sinodo, giovedì 6 ottobre, per udire levarsi dall'aula il primo applauso.

L'applaudito è Lucian Muresan, arcivescovo di Fagaras e Alba Julia, presidente della conferenza episcopale di Romania.


E questo è l'intervento che ha scosso e commosso l'uditorio, nella sintesi diffusa dalla sala stampa vaticana:


Mi rifaccio al primo capitolo dell'Instrumentum Laboris, numero 3: fame del Pane di Dio. "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la vita al mondo" (Gv. 6, 33)

Nel nostro paese, Romania, i comunisti hanno cercato di dare all'uomo soltanto il pane materiale, ed hanno voluto cacciare dalla società e dal cuore della persona umana il "pane di Dio". Adesso ci rendiamo conto che, mettendo fuori legge la nostra Chiesa greco-cattolica, avevano una grande paura del Dio presente nell'Eucaristia.

Affinché i sacerdoti non potessero più celebrare e parlare di Dio furono messi in carcere per la sola colpa di essere cattolici. La stessa sorte l'hanno avuta i laici che partecipavano alle Sante Messe celebrate clandestinamente. Nel famoso periodo della "rieducazione" e del "lavaggio del cervello" nelle carceri della Romania, per compromettere i sacerdoti, per ridicolizzare l'Eucaristia e per distruggere la dignità umana, i persecutori li hanno obbligati a celebrare con degli escrementi, ma non sono riusciti a togliere loro la fede.

Invece, quante Sante Messe celebrate clandestinamente in un cucchiaio a posto del calice e con il vino fatto di qualche chicco d'uva trovato sulla strada; quanti rosari confezionati su un filo con qualche pezzo di pane; quante umiliazioni, quando durante l'inverno a meno 30 gradi erano svestiti a pelle nuda per la perquisizione; quante giornate passate nella famosa stanza nera, come pena perché furono scoperti nella preghiera. Mai, nessuno lo saprà. Questi martiri moderni, del XX secolo hanno offerto tutta la loro sofferenza al Signore per la dignità e la libertà umana.

Viviamo oggi la libertà dei figli di Dio veramente "affamati del pane eucaristico". Confermo questa affermazione con la partecipazione alla Divina Liturgia dellÍ80 per cento dei nostri fedeli; con le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa che non mancano; con tanta gente di gran spicco intellettuale che è molto vicina alla Chiesa.

Purtroppo dopo la caduta del regime sono sorte nel nostro paese delle piaghe molto pesanti: l'aborto, l'abbandono dei bambini, la corruzione, l'immigrazione. Il comunismo ha promesso all'uomo il paradiso sulla terra, ed è riuscito a distruggere la coscienza dei nostri popoli dell'Est europeo; adesso per rifarla c'è bisogno di molto tempo. La chiesa Cattolica in Romania e minoritaria (12 per cento) ed insieme con i fratelli ortodossi cerchiamo di rimarginare queste piaghe.

Le speranze non mancano, e penso prima di tutto al profondo senso religioso del nostro popolo, alla profonda devozione con cui questo popolo si accosta alle celebrazioni liturgiche ed all'eucaristia, al sangue dei nostri martiri che pregano per noi davanti al Signore, e che per il loro sangue fanno nascere nuove generazioni di fedeli.
10/10/2005 11:40
 
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I sette grandi temi della prima settimana del Sinodo

Bilancio dei primi giorni di sessioni realizzato da Isidro Catela

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 9 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Si è conclusa la prima delle tre settimane del Sinodo dei Vescovi dedicato all’Eucaristia e un primo bilancio “potrebbe riguardare sette temi”, afferma Isidro Catela, informatore in lingua spagnola durante l’assemblea.

Catela ha sottolineato che questi temi non esauriscono il Sinodo, ma sono i punti più menzionati dai Padri sinodali in questi giorni. Ci sono altre questioni, ha infatti spiegato, che non sono emerse perché si sta seguendo cronologicamente l’“Instrumentum laboris” e che verranno affrontate nei prossimi giorni.

Il tema che ha suscitato più interesse è quello della “dimensione sacrificale dell’Eucaristia”, al quale il Papa ha dedicato il suo intervento libero di giovedì.

“Sacrificio” e “banchetto” sono due parole ricorrenti nei discorsi dei Padri Sinodali. In questo contesto si inseriscono “le esperienze di martirio contemporaneo, non solo di persone conosciute, ma anche della sofferenza quotidiana di tanta gente”, ha detto Catela.

Il secondo tema è quello delle “finalità dell’Eucaristia”, della sua dimensione verticale – incontro con Dio – ed orizzontale – comunitaria – in un mondo affamato a livello materiale e spirituale.

E’ qui che si inserisce la questione dell’Eucaristia e della vita, affrontata nel numero 73 dell’“Instrumentum laboris”, in cui si fa riferimento alla coerenza di politici e legislatori credenti, così come all’impegno di ogni cristiano nella vita pubblica.

Il terzo tema si riferisce a questioni normative e di abusi, con alcuni riferimenti al Concilio Vaticano II e al Concilio di Trento per quanto riguarda la presenza reale dell’Eucaristia.

L’“ars celebrandi” o “arte della celebrazione” è il quarto tema su cui si è discusso. Si parla, ad esempio, dell’opportunità di ricevere la Comunione in mano o in bocca, del posto centrale che deve avere il tabernacolo in una chiesa o della necessità dell’adorazione e del silenzio.

Il quinto tema è quello del dialogo ecumenico e dell’intercomunione – la possibilità di amministrare la comunione sacramentale a cristiani di altre confessioni –, che secondo Catela “suscita un grande interesse, molto vario, negli interventi liberi”.

Catela ha anche indicato che si sta discutendo del contesto di secolarizzazione ed indifferenza religiosa, così come delle liturgie in attesa (e non in assenza, come hanno sottolineato molti Vescovi) di sacerdoti e del celibato nella Chiesa.

“C’è la convinzione che il celibato nella Chiesa latina debba essere promosso”, ha aggiunto.

Il sesto tema fa riferimento al rapporto tra l’Eucaristia e gli altri sacramenti, perché l’Eucaristia è “sacramento dei sacramenti”, ha proseguito Catela, spiegando che i Padri sinodali vogliono che si insista soprattutto sul rapporto “Eucaristia e Penitenza” e che si compia una “catechesi integrale”, capace di collegare fra di loro i vari sacramenti. Qualche intervento nell’Aula del Sinodo ha chiesto che venga convocato un Anno della Penitenza e, in altri casi, che sia prolungato l’Anno dell’Eucaristia collegandolo alla Famiglia.

Il settimo ed ultimo tema è quello della “riconciliazione che deve portare alla pace”. I partecipanti insistono sulla necessità che la Chiesa sia uno strumento di riconciliazione e che l’Eucaristia serva come esperienza.

Alcune testimonianze di Vescovi provenienti dai Paesi africani hanno reso noto che l’Eucaristia è l’unico momento di incontro tra etnie distinte e rivali. Vari Padri Sinodali hanno chiesto che nel messaggio finale si faccia riferimento a Gerusalemme e alla Terra Santa per il loro legame con l’Eucaristia e con il desiderio di pace.

12/10/2005 02:06
 
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Sinodo: Danze e canti africani durante le Messe contro canto Gregoriano e uso del latino
Danze e canti africani durante le Messe contro canto Gregoriano e uso del latino


CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 11 ottobre 2005 .

Questo lunedì, al Sinodo dei Vescovi, è stato sottolineato il valore delle espressioni religiose delle chiese locali – come le danze e i canti africani – nel promuovere la partecipazione e la fede popolari, contro l’uso del canto Gregoriano e del latino.

Dopo una settimana di lavori sinodali incentrati per la maggior parte sugli “abusi” liturgici, il primo a sollevare questa questione è stato lunedì mattina l'Arcivescovo di Abuja in Nigeria, nonché Presidente della Conferenza Episcopale di questo Paese, monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, in un discorso accolto con prolungati applausi da parte dei Padri sinodali.

“L'Instrumentum laboris – ha esordito l’Arcivescovo di Abuja – in molti punti esprime cautela, prudenza e talvolta manifesta ansietà riguardo a errori, esagerazioni e sperimentazioni azzardate a tale riguardo: indubbiamente è ragionevole manifestare queste riserve, esse vanno prese seriamente, ma nell'insieme, non devono causare falsi allarmismi”.

''Anzi – ha aggiunto – dobbiamo rallegrarci delle cose meravigliose che lo Spirito compie nelle nostre chiese locali: in tutta l'Africa, negli ultimi quaranta anni, sono emerse bellissime celebrazioni eucaristiche che hanno approfondito la fede della gente, migliorato la qualità della loro partecipazione, intensificato l'amore per il sacerdozio, infuso gioia e speranza in mezzo allo scoraggiamento e alla disperazione, incentivato rapporti ecumenici e in generale ha promosso l'evangelizzazione”.

Al numero 81 l’L'Instrumentum laboris segnala “che non sempre gli elementi locali, come canti, gesti, danze, abiti, vengono adeguatamente sottomessi ad una purificazione per poi incorporare alla celebrazione liturgica solo quello che conviene al culto eucaristico”.

Aggiungendo anche che “non sono mancati casi di adattamenti liturgici promossi in buona fede senza un'adeguata conoscenza della cultura locale, provocando scandalo per i fedeli”.

L'eucaristia, ha sottolineato monsignor Onaiyekan, “merita e sta ricevendo il meglio delle nostre culture: non avremo molto da offrire in termini di maestose architetture di cattedrali come quelle europee o di splendidi dipinti quali quelli di Michelangelo o di Leonardo da Vinci, ma quanto abbiamo siamo felici di donarlo: i nostri canti e le nostre poesie, il rullo dei nostri tamburi e i ritmi delle nostre danze, tutto per la gloria di Dio”.

“Concludo – ha detto – con il dolce ricordo del nostro caro papa Giovanni Paolo II, il cui amore, rispetto e ammirazione per i nostri sforzi di inculturazione dell'eucaristia si sono manifestati chiari e vividi non soltanto nelle celebrazioni delle sue molte visite in Paesi dell'Africa, ma in tante occasioni proprio qui, nella Basilica di San Pietro”.

Lo stesso giorno, nel prendere la parola il Vescovo di Chipata (Zambia), monsignor George Cosmas Zumaire Lungu, ha invece osservato che a suo avviso l’utilizzo del canto Gregoriano, dell'organo e del latino nelle liturgie degli incontri internazionali è un guardare all'indietro piuttosto che al futuro, e non permette ai laici di partecipare alle celebrazioni eucaristiche.

''Ritengo – ha detto facendo riferimento ad alcuni passaggi dell’Instrumentum laboris – questa parte del documento troppo ottimista riguardo all'organo, al canto Gregoriano e perfino all'uso della lingua latina negli incontri internazionali per venire incontro alle necessità dei popoli di ogni luogo e tempo”.

“La mia proposta – ha proseguito poi – è che non dovremmo guardarci indietro e rendere universali questi strumenti di culto. La nostra riflessione sui temi culturali non dovrebbe confrontarsi, o mettersi in rapporto con l'organo, il canto Gregoriano o il latino, anche se possono rappresentare delle opzioni per quanti li trovano utili”.

“La comunicazione e la partecipazione sono vitali in ogni celebrazione liturgica, compresa la celebrazione eucaristica. Le nostre speranze sono nel futuro, non nel passato”, ha poi detto a conclusione del suo intervento.

In un intervento tenuto nel pomeriggio del 10 ottobre, monsignor Cornelius Kipng'eno Arap Korir, Vescovo di Eldoret e Presidente della Conferenza Episcopale del Kenya, ha sottolineato l’importanza che la domenica riveste in Africa come momento di “condivisione del Mistero pasquale” e di impegno “a superare l’odio e il tribalismo”.

“I nostri cristiani attendono con ansia la celebrazione domenicale della Messa. Il senso di festa, celebrazione e gioia delle nostre assemblee eucaristiche va condiviso con tutta la Chiesa. È la gioia di stare insieme come famiglia di Dio”, ha affermato il presule.

Citando poi il numero 42 della Esortazione Apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” ha ricordato che “gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio e di un mondo spirituale”, e “la celebrazione eucaristica domenicale intende ricorrere a questa ricchezza insita nel popolo al fine di consentire alle comunità cristiane di partecipare pienamente e attivamente al mistero pasquale”.
12/10/2005 23:51
 
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Perdere il celibato sacerdotale sarebbe un “errore gravissimo”, avverte il Cardinale Pell


Non è la soluzione al declino delle vocazioni sacerdotali

mercoledì, 12 ottobre 2005




Il Cardinale George Pell, Arcivescovo di Sydney, ha preso la parola davanti al Sinodo dei Vescovi per avvertire che per la Chiesa cattolica di rito latino sarebbe un “errore gravissimo” perdere la tradizione del celibato sacerdotale.

Il porporato australiano ha riconosciuto che nel suo Paese, così come in Nuova Zelanda, c’è un declino delle vocazioni e allo stesso tempo una certa confusione circa il modo in cui ha avuto luogo la proliferazione dei ministri dell’Eucaristia.

“I miei suggerimenti a questo Sinodo su come affrontare queste ‘ombre’ presumono il mantenimento della Chiesa latina di tradizione antica e la disciplina del celibato obbligatorio per il clero diocesano e gli ordini religiosi”, ha affermato il Cardinale.

“Perdere tale tradizione adesso rappresenterebbe un errore gravissimo, che genererebbe confusione nelle zone di missione e non rafforzerebbe la vitalità spirituale del Primo mondo”.

“Rappresenterebbe un distacco dalla pratica del Signore stesso, porterebbe gravi svantaggi pratici all’azione della Chiesa – vale a dire finanziari – e indebolirebbe il significato di ‘segno’ del sacerdozio; indebolirebbe inoltre la testimonianza al sacrificio amorevole e alla realtà dei Novissimi, e il premio in cielo”, ha avvertito.

“Dobbiamo ricordare la situazione della Chiesa 500 anni fa, prima della Riforma. Era un piccola, debole comunità separata dall’Oriente. L’enorme espansione da allora e la purificazione dei vertici della Chiesa (imperfetta ma sostanziale) sono avvenute soprattutto grazie alle vite di suore, frati e sacerdoti celibi”.

“I recenti scandali sessuali non hanno scalfito questi successi”, ha aggiunto il porporato australiano.

Per quanto riguarda la proliferazione dei ministri dell’Eucaristia, il Cardinale Pell ha chiesto al Sinodo di “mettere a punto un’ulteriore lista di suggerimenti e criteri per regolare il servizio all’Eucaristia, soprattutto la domenica”.

“‘Liturgie in attesa di sacerdote’ sarebbe meglio di ‘Liturgie senza sacerdote’. Non esiste qualcosa come ‘liturgia condotta da laici’, perché i laici possono condurre soltanto le preghiere devozionali e le para-liturgie”.

Il Cardinale ha lodato il suggerimento di monsignor Pierre-Antoine Paulo, O.M.I., Arcivescovo coadiutore di Port-de-Paix, che ha proposto davanti al Sinodo di utilizzare la definizione “ministri straordinari della Santa Comunione” anziché “ministri dell’Eucaristia”.

“I servizi eucaristici o le liturgie della Parola, quando i sacerdoti sono disponibili, non dovrebbero essere delegati. Queste inutili sostituzioni di persona spesso non sono motivate dalla fame del Pane di Vita, ma dall’ignoranza e dalla confusione, se non addirittura dall’ostilità al ministero sacerdotale e ai sacramenti”, ha denunciato.

“Fino a che punto le celebrazioni regolari dei servizi eucaristici, una domenica dopo l’altra, rappresentano un autentico sviluppo, o non una distorsione, una protestantizzazione che rischia di gettare in confusione perfino chi va regolarmente a Messa?”, ha chiesto.

Isidro Catela, portavoce nel Sinodo per i giornalisti di lingua spagnola, ha spiegato che nessuno dei Vescovi della Chiesa cattolica di rito latino che hanno preso la parola ha proposto cambiamenti nella disciplina attuale che stabilisce il celibato per i sacerdoti.

Catela ha spiegato che gli unici che hanno parlato dell’ordinazione di sacerdoti sposati come di una ricchezza sono stati i Vescovi e i Patriarchi delle Chiese orientali unite a Roma, dove ci sono sacerdoti sposati. In queste Chiese, tuttavia, i Vescovi devono essere necessariamente celibi.
27/10/2005 14:28
 
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Il Cardinale Arinze: la Buona Novella non è “un articolo di contrabbando” da nascondere


Intervenendo sul tema “La Chiesa Cattolica oggi e le religioni del Mondo”

La Buona Novella cattolica non è “un articolo di contrabbando che dobbiamo nascondere”, ma una realtà da predicare apertamente, “a mezzogiorno”, ha affermato il Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Nel tenere questo mercoledì una conferenza sul tema “La Chiesa Cattolica oggi e le religioni del Mondo” presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, il porporato ha detto che “arriva un momento in cui dobbiamo annunciare Gesù”, perché “verso Dio siamo obbligati a cercare la verità religiosa”.

Questa verità, ha spiegato, consiste nel fatto che “Gesù Cristo è l’unico salvatore di tutta l’umanità”.

C’è “un solo Dio, un solo mediatore tra Dio e l’umanità”, ha proseguito il porporato africano, ricordando che Gesù ha istituito la Chiesa come “via ordinaria per la salvezza”.

La salvezza, ha aggiunto, “è un’iniziativa divina”, “alla quale siamo chiamati e rispondiamo”. Non siamo noi che “iniziamo l’avventura”, ma Dio, e “senza la grazia nessuno si salva”.

La salvezza che nel progetto divino include tutta l’umanità ed abbraccia i membri delle diverse religioni, “sarà sempre la salvezza di Gesù Salvatore”, ha affermato il Cardinale Arinze. E anche se gli interessati non lo conoscono, quando arriveranno in cielo troveranno questa “dolce sorpresa”, ha aggiunto.

Da cosa deriva, allora, la necessità dei missionari? La Chiesa cattolica ha il “mandato divino di andare nel mondo intero”, ha risposto il porporato nigeriano, sottolineando come dopo 2000 anni di cristianesimo “la missione del Redentore sta soltanto incominciando”.

Non basta soltanto “avere la possibilità di salvezza”, ha constatato infatti il Cardinale; bisogna anche “ricevere i mezzi per la salvezza nella loro pienezza e abbondanza”, e “solo nella Chiesa abbiamo tutti questi mezzi”.

La Chiesa, ha spiegato, è una “comunità di fede, di carità, di culto, di servizio fondata da Gesù Cristo”, che le ha promesso “la sua assistenza e la presenza dello Spirito Santo fino alla fine del mondo”.

In questa Chiesa che armonizza il naturale e il soprannaturale, ha proseguito, noi sappiamo ciò che crediamo, la fede, che “non è una questione di ‘sì, se, no, ma, forse’”, ma che ha come oggetto Gesù, per cui “è in Dio che noi crediamo”.

Secondo il Cardinal Arinze, la Chiesa cattolica è “per molte ragioni singolare”.

In primo luogo, chi ha fondato la Chiesa è lo stesso Figlio di Dio, che ha due nature e che “insegnò, fece miracoli, soffrì, morì, risorse e diede alla Chiesa il potere di celebrare i suoi misteri fino alla fine dei tempi”.

Quando la Chiesa celebra la Messa è Gesù stesso che celebra, così come negli altri sacramenti la persona principale che agisce è Cristo, ha riconosciuto il porporato.

Cristo, infatti, è “sempre presente nella sua Chiesa”: “nel popolo raccolto per il culto”, “nella gerarchia” – perché “è Gesù che ha istituito la sua Chiesa per avere sacerdoti, Vescovi, Papi” – e “specialmente nelle celebrazioni sacramentali” – e ancora di più nell’Eucaristia – in cui la presenza reale di Gesù si dispiega “in modo tutto speciale”.

La Chiesa cattolica, inoltre, “è locale e anche universale per volontà di Dio”, ha aggiunto, ricordando che “è a casa tra tutti i popoli, culture, lingue, tempi, stati sociali”.

I modi per aderire a questa grande “famiglia della salvezza”, ha spiegato, sono il Battesimo e la fede, attraverso i quali “entriamo nella Chiesa come si entra in una casa per la porta”

Il Prefetto della Congregazione vaticana ha quindi ricordato le varie tappe della collaborazione che unisce la Chiesa cattolica e i musulmani, partendo dalla Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo (1994).

In quell’occasione di fronte alle proposte avanzate da alcuni Paesi ricchi di fornire aiuti allo sviluppo a quelli poveri in cambio del controllo delle nascite, cattolici e musulmani avevano fatto fronte comune “per difendere il valore della famiglia, la vita umana”, nella “promozione della giustizia, dello sviluppo, della pace”.

Pur riconoscendo la fondamentale importanza del dialogo e della collaborazione tra le religioni, il porporato ha quindi ricordato la necessità di tutelare e promuovere l’identità cristiana e cattolica dei Paesi europei, affinché questa “non si venda per una collaborazione nebulosa”.

Successivamente il Cardinale Arinze ha constatato che ci sono persone che “vogliono distruggere l’identità religiosa di alcune Nazioni”, nella cui storia l’elemento cristiano è stato “essenziale”, ed ha auspicato che l’Italia “non perda la propria cultura, che ha matrice cattolica”.

In Europa ci sono persone “troppo liberali”, che “non sanno abbastanza di cristianesimo” e “sono relativiste in materia religiosa”, ha denunciato Arinze, rivelando come questo permetta ad altre religioni o alle sette di insinuarsi facilmente nelle diverse realtà sociali e di sottrarre fedeli alla Chiesa.

Molti sono purtroppo indifferenti riguardo a questo problema, ha concluso, ma un atteggiamento del genere “non è progresso”.

18/11/2005 11:53
 
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Dichiarazioni del Card. Arinze
Il Cardinal Arinze: “La gente non va a Messa per essere intrattenuta”

“Va a Messa per adorare Dio”, afferma il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 17 novembre 2005


Di fronte alle improvvisazioni a cui si assiste durante le liturgie, soprattutto nella scelta delle musiche, il Cardinal Francis Arinze ribadisce l’importanza di fare della Messa un momento di riflessione e incontro con Dio, più che una forma di intrattenimento.

In un’intervista rilasciata alla rivista statunitense “Inside the Vatican”, il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha tracciato un bilancio complessivo del recente Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia e degli sviluppi nella pratica liturgica a 40 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

“Per quanto riguarda la musica nella liturgia, dovremmo iniziare dicendo che la musica gregoriana è la preziosa eredità della Chiesa – ha osservato –. Non dovrebbe essere eliminata. Se quindi in una diocesi o in un Paese particolare nessuno ascolta più la musica gregoriana, allora qualcuno ha commesso un errore”.

La Chiesa, ha spiegato, non dice che dovrebbe esserci solo musica gregoriana: “c’è posto per la musica che rispetta quella lingua specifica, quella cultura, quel popolo”, ed è una questione “che deve essere affrontata dalla Conferenza Episcopale, perché in genere va al di là dei confini di una diocesi”.

“L’ideale sarebbe che i Vescovi avessero una Commissione di Musica Liturgica che studia il testo e la musica degli inni. E quando la Commissione è soddisfatta, il parere viene presentato ai Vescovi per l’approvazione, a nome del resto della Conferenza”, ha proposto.

Secondo il Cardinale, “non ci devono essere individui che compongono qualcosa e lo cantano in chiesa. Non è una cosa giusta. Non importa quanto sia grande il loro talento”.

Quanto agli strumenti utilizzati nella liturgia, “la Chiesa dovrebbe essere consapevole del fatto che adorare in chiesa non è lo stesso che cantare in un bar, o in un raduno di giovani”.

“Non mi pronuncerò dicendo ‘mai la chitarra’ – ha spiegato –. Sarebbe piuttosto rigido. Gran parte della musica per chitarra, però, potrebbe non essere adatta per la Messa”.

Per il porporato, “il giudizio dovrebbe essere lasciato ai Vescovi del luogo. E’ più saggio, anche perché ci sono strumenti in molti Paesi che non vengono usati ad esempio in Italia o in Irlanda”.

“La gente non va a Messa per essere intrattenuta – ha constatato il Prefetto della Congregazione vaticana –. Va a Messa per adorare Dio, per ringraziarlo, per chiedergli perdono per i peccati ed altre cose di cui ha bisogno”.

“Quando vuole divertirsi, sa dove andare: nella sala parrocchiale, nel teatro, presumendo che il suo divertimento è accettabile da un punto di vista teologico morale”, ha aggiunto il porporato, che ha da poco celebrato il 40° anniversario della sua ordinazione episcopale.

18/11/2005 20:33
 
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La "cura Levada" e i primi frutti
Nella prima intervista dalla nomina a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor William Levada ha commentato il lavoro portato avanti dai vescovi statunitensi dopo gli scandali sugli abusi sessuali che hanno investito alcuni membri del clero. Ai microfoni della Radio Vaticana, Levada, ex arcivescovo di Portland (Oregon) e di San Francisco, si è detto molto soddisfatto circa lo stato di applicazione delle norme stabilite nel giugno del 2002 a Dallas per far fronte alla crisi aperta nella Chiesa americana all’indomani degli scandali, affermando che “da quando sono state messe in pratica si sono rivelate sicuramente molto efficaci”. Le norme di Dallas rientrano in un programma a cui la Chiesa cattolica americana ha aderito, il cui intento è quello di rispettare la Charter for the Protection of Children and Young People (Carta per la Protezione dei Bambini e dei Giovani) e le Essential Norms for Diocesan/Eparchial Policies Dealing with Allegations of Sexual Abuse of Minors by Priests or Deacons (Norme per la gestione dei casi di abuso sessuale su minori perpetrati da membri del clero).
Levada - che ha spiegato che la scelta di Ratzinger di nominarlo a capo dell’ex Sant’Uffizio è stata a suo avviso dettata proprio dalla sua esperienza, maturata negli USA, rispetto ai tanti casi di preti pedofili - ha spiegato che oggi i vescovi del Paese hanno più coscienza del fenomeno e sono maggiormente in grado di prevenirlo. Levada, nel corso dell’intervista, non ha fatto nessun accenno al prossimo documento del Vaticano - atteso per fine mese - circa l’inammissibilità dell’accettazione nei seminari di persone con tendenze omosessuali, ma ha invece commentato il recente Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia conclusosi con il mese di ottobre. “Ritengo che le 50 Proposizioni finali - ha detto Levada -, alcune delle quali erano piuttosto buone, rappresentino sicuramente le cose che qualcuno ha detto, ma anche che non abbiano catturato gli interventi meravigliosi e pieni di ispirazione che molti vescovi hanno esposto partendo dalla loro esperienza”.
“Ad esempio il cardinal Toppo, uno dei Presidenti del Sinodo proveniente dall’India, ha parlato dell’amore per l’Eucaristia portato alla sua tribù di bassissima casta e di quanto l’idea che Cristo venga a stare con loro, a donarsi a loro, abbia fatto per la loro autostima e abbia trasformato la loro cultura”.
21/11/2005 18:59
 
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Motu proprio del Papa
In futuro, per le attività pastorali ad Assisi, i Francescani dovranno ottenere il consenso del Vescovo

Lo ha stabilito Benedetto XVI con un “Motu proprio”

CITTA’ DEL VATICANO/ASSISI, domenica, 20 novembre 2005


Con un “Motu proprio”, reso noto questo sabato dalla Sala Stampa vaticana, Benedetto XVI ha stabilito le nuove norme che regoleranno le iniziative pastorali della Basilica di San Francesco e del Sacro Convento di Assisi, così come della Basilica di Santa Maria degli Angeli, i luoghi sacri dove è conservata maggiormente la tradizione francescana.

Secondo quanto contenuto in questo documento, la giurisdizione canonica su entrambe le Basiliche spetterà alla diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, per la quale il Papa ha nominato di recente l’Arcivescovo Domenico Sorrentino , 57 anni, che prende il posto – per raggiunti limiti di età – di monsignor Sergio Goretti.

Nel “Motu proprio”, Benedetto XVI spiega che la decisione nasce dall’esigenza “di realizzare una più efficace intesa tra le attività che si svolgono sia nella Basilica di San Francesco (con annesso Sacro Convento), sia nella Basilica di Santa Maria degli Angeli (ed unito Convento) e la pastorale della Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, e anche con la pastorale promossa a livello regionale e nazionale dalle rispettive Conferenze episcopali”.

Finora le due Basiliche, in base ai “Motu proprio” di Paolo VI (Inclita toto, dell’8 agosto 1969 ed ex Audientia, del 12 maggio 1966) si trovavano sotto la diretta giurisdizione dell’Ordine francescano: ai Conventuali era assegnata la Basilica di Santa Maria degli Angeli, con la “Porziuncola”, e ai Minori quella di San Francesco, dove è sepolto il fondatore.

Il Papa ha anche stabilito che un Cardinale verrà d’ora in avanti assegnato alle due Basiliche in qualità di Legato pontificio, il quale “pur non godendo di giurisdizione, avrà il compito di perpetuare con la sua autorità morale gli stretti vincoli di comunione tra i luoghi sacri alla memoria del Poverello e questa Sede Apostolica”.

“Egli potrà impartire la Benedizione Papale nelle celebrazioni che presiederà in occasione delle maggiori solennità liturgiche”, si legge di seguito.

Conseguenza della nuova disciplina è che “i Padri Francescani, Conventuali e Minori, per tutte le iniziative che hanno risvolti pastorali, dovranno pertanto chiedere ed ottenere il consenso del Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino”.

“Questi, poi – come recita il documento –, sentirà il parere del Presidente della Conferenza Episcopale Umbra per le iniziative che hanno riflessi sulla Regione umbra o della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana per le quelle a più ampio raggio”.

In alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia giornalistica “ANSA”, monsignor Sergio Goretti, che è stato alla guida della diocesi di Assisi per 25 anni, ha affermato che “ad Assisi era assurdo che esistessero delle vere e proprie enclave autonome sulle quali proprio il Vescovo non aveva alcun potere”.

“E’ un bene che il mio successore non abbia da questo punto di vista i problemi che ho avuto io. Spesso venivo a sapere dai giornali di certe iniziative, e non sempre la mia gente capiva tutto questo”, ha raccontato.

“Le nuove norme emanate dal Pontefice da questo punto di vista sono un passo molto importante, per evitare che nella Chiesa locale possano esistere delle enclave autonome”, ha poi osservato.

25/11/2005 12:24
 
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“In sede pubblica di Dio non si parla”, constata il Cardinale Ruini



ROMA, giovedì, 24 novembre 2005 (ZENIT.org).- Intervenendo questo mercoledì a Roma, ad un incontro-dibattito sul tema della laicità, il Cardinale Camillo Ruini ha affermato che “in sede pubblica di Dio non si parla”, e che nel leggere gli articoli di scienza si constata spesso che “chi scrive intende dimostrare che Dio non c’è e che l’essere umano è autosufficiente”.

All’incontro sul tema “Quando i simboli diventano cartoline illustrate – il travaglio della modernità” organizzato da “Viam Scire” nell’ambito del Progetto culturale della Chiesa italiana, hanno partecipato oltre al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, anche il professor Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, lo storico Ernesto Galli della Loggia e il Direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara.

Alla domanda di Galli della Loggia sul perché la Chiesa si occupi così tanto di morale invece che di Dio, il Cardinale Ruini ha risposto: “Siamo di fronte ad un paradosso, ho vissuto epoche in cui l’insistenza della Chiesa sui temi etici era molto maggiore di quella odierna. Oggi appare più vistosa ma negli anni Quaranta la morale era molto più praticata, c’era una insistenza nella predicazione ecclesiastica”.

Sui temi di morale, ha continuato il Cardinale Vicario di Roma “la formazione dei gruppi giovanili, che erano divisi in maschi e femmine, era marcatissima, oggi è difficile che i sacerdoti nelle omelie affrontino questi temi che sono più presenti nel Magistero pubblico. Io stesso quando parlo nelle parrocchie affronto il tema di Cristo e della vita eterna, più che dei temi etici”.

Il Presidente della CEI ha quindi rilevato che “c’è da fare il confronto tra etica pubblica ed etica vissuta. Mentre l’etica pubblica sembra non avere nessuna rilevanza, per quanto riguarda l’etica privata ognuno tende a fare come meglio crede”.

“Ma la Chiesa non ha colpe”, ha sottolineato Ruini. “E’ vero che noi vorremmo che quei temi come il rapporto tra Dio e l’uomo e l’escatologia, fossero centrali, ma sfuggono al dibattito pubblico, non vengono raccolti, mentre si parla con insistenza dei temi etici per tutti più visibili. Invece queste tematiche sono confinate nel Magistero della Chiesa e nel quotidiano restano riservate e silenziose”.

Lo storico Galli della Loggia ha quindi affermato che “in un mondo che cambia velocemente e che perde ogni giorno un pezzetto del passato, la Chiesa viene identificata come l’unica che tiene fede alla tradizione”.

Il Cardinale Ruini, prendendo spunto da questa affermazione, ha sottolineato che “la Chiesa è Tradizione” e che “senza Tradizione la Chiesa non esiste”.

“La Tradizione è Dio che parla all’umanità … Il Dio di Abramo che fa da spartiacque. La Chiesa è convinta che all’origine c’è la Rivelazione c’è l’eterno” e rappresenta “il tema dell’assoluto nella storia”, ha spiegato.

Nell’intervento di apertura, Giuliano Ferrara ha detto che la rivoluzione francese e quella statunitense indicano almeno due modelli di laicità. Il Direttore de “Il Foglio” ha precisato che “secondo gli europei la laicità è figlia della rivoluzione francese in cui c’è il culto dello Stato che impone e dispone. I cittadini sono liberi di coltivare la loro fede, ma in ambiti strettamente confessionali”.
“Altra laicità – ha continuato Ferrara – è quella statunitense in cui il Governo è limitato e federativo. E sia la Dichiarazione di Indipendenza, che la Costituzione americana si basano sul riconoscimento del Diritto naturale che precede lo Stato”.

Alla domanda su qual è la laicità di cui gli europei hanno più bisogno, il professor Ornaghi ha risposto citando l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, il quale in una conferenza del 2002, sostenne che “a partire dall’illuminismo, la cultura dell'Occidente si allontana con velocità crescente dai suoi fondamenti cristiani”.

Il Rettore della “Cattolica” ha riconosciuto lo stato di crisi del concetto di laicità ed ha osservato che “c'è bisogno di un rinnovamento culturale. Bisogna chiedersi se le categorie che avevano misurato e definito la laicità funzionino ancora. Probabilmente arriveremo a una laicità diversa da quella che i secoli ci hanno imposto”.

Intervenendo al dibattito, Ernesto Galli della Loggia ha ricordato che “nell’Ottocento i grandi temi della laicità prendevano di petto le verità cristiane, mentre oggi la massima contrapposizione nasce dal fatto che la Chiesa viene accusata di voler condizionare la morale privata”.

In questo contesto – ha continuato – “si vuole ridurre lo spazio pubblico della Chiesa, perché è inconcepibile che la Chiesa indichi una morale”.

Secondo Galli della Loggia “nel vecchio laicismo il messaggio cristiano non era messo in discussione. Oggi finisce nel mirino solo quel lato sociale che attenuerebbe il messaggio religioso”.
30/11/2005 02:26
 
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Sacerdozio ed omosessualità: tre casi in cui è impedita l’ordinazione
martedì, 29 novembre 2005


Pratica dell’omosessualità, tendenze omosessuali profonde e sostegno alla “cultura gay”



Non è possibile l’ammissione in seminario o al sacerdozio di persone che “praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”, spiega un documento pubblicato questo martedì dalla Santa Sede.

L’attesa Istruzione – nelle ultime settimane erano filtrate varie notizie sugli organi di informazione – è pubblicata dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica e porta la firma del Cardinale Zenon Grocholewski e dell’Arcivescovo Michael Miller, C.B.S., rispettivamente Presidente e Segretario del Dicastero vaticano.

Il documento “circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri”, approvato da Papa Benedetto XVI il 31 agosto 2005, è stato pubblicato nel giorno in cui ricorre la memoria di San Carlo Borromeo, patrono dei seminari.

Il documento, estremamente delicato e rispettoso delle persone con tendenze omosessuali, non contiene novità straordinarie. Il suo impatto mediatico è dovuto in parte alle nuove tendenze culturali, in particolare a ciò che l’istruzione definisce “cultura gay”.

Fin dalle sue origini, la Chiesa cattolica, così come altre Chiese, non ha ammesso persone che praticano l’omosessualità o che le difendano in pubblico.

Il documento compie la distinzione stabilita dal Catechismo della Chiesa Cattolica tra “atti” omosessuali, che la Sacra Scrittura definisce “peccati gravi”, e “tendenze” omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne.

Anche se queste ultime sono “oggettivamente disordinate” e spesso costituiscono “una prova”, le persone che le sperimentano “devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”.

Queste persone, secondo l’istruzione, “sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare”.

Secondo l’Istruzione, gli uomini con tendenze omosessuali profondamente radicate non possono essere ammessi al sacerdozio perché si trovano “in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”.

“Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell'Ordinazione diaconale”, si legge.

Il documento sottolinea la responsabilità di Vescovi, Superiori Maggiori (nel caso dei religiosi candidati al sacerdozio), educatori dei Seminari e direttori spirituali di aiutare nel “discernimento” sull’idoneità dei candidati al sacerdozio, che “nel caso di un dubbio serio” non devono essere ammessi all’ordinazione.

“Il candidato stesso è il primo responsabile della propria formazione” ed il primo che deve cercare di applicare il discernimento richiesto dalla Chiesa, conclude.

19/01/2007 21:46
 
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Miriam...Ti rendo conto che il tuo post d'oggi - malgrado che appariva nel 'board' da postato all'ora 19:26 - non si trova.

E capitato 3-4 volte per me fino a che sono resa conto che questo 'incomodo' capita quando il testo oltrapassa una certa lunghezza, dunque ci vuole tagliarlo in due. Spero che questo 'tip' sia utile anche agli altri utenti.

[Modificato da TERESA BENEDETTA 19/01/2007 21.48]

08/02/2007 00:38
 
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La pena di morte, “un affronto alla dignità umana”, secondo la Santa Sede

Dichiarazione in occasione del congresso mondiale celebrato a Parigi



Il vertice, celebrato a Parigi dal 1° al 3 febbraio, ha contato sulla partecipazione di numerose istituzioni cattoliche impegnate nella difesa della vita umana.

La dichiarazione, scritta in francese, constata che “il Congresso di Parigi ha luogo in un momento in cui la campagna per l'abolizione della pena di morte ha dovuto far fronte alle inquietanti sfide in ragione delle recenti esecuzioni. Le coscienze sono state risvegliate dalla preoccupazione di un maggiore riconoscimento della dignità inalienabile degli esseri umani e dell'universalità e integralità dei diritti umani, cominciando dal diritto alla vita”.

Come negli ultimi due congressi sul medesimo tema, “la Santa Sede coglie questa occasione per accogliere e riaffermare il suo sostegno a tutte le iniziative volte a difendere il valore implicito e l'inviolabilità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. In tale prospettiva, la Santa Sede richiama l'attenzione sul fatto che l'uso della pena di morte è non soltanto rifiuto del diritto alla vita ma anche un affronto alla dignità umana”.

“Mentre la Chiesa cattolica continua a sostenere che le autorità legittime dello Stato hanno il dovere di proteggere la società dagli aggressori, e che certi stati hanno tradizionalmente incluso la pena capitale fra i mezzi utilizzati per conseguire tale fine, difficilmente si può giustificare oggi la scelta di una tale opzione. Gli stati hanno a loro disposizione nuovi mezzi di prevenire efficacemente i crimini, rendendo colui che ha commesso un'offesa incapace di fare del male – senza togliere definitivamente al reo la possibilità di emendarsi”.

“Se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”, aggiunge la dichiarazione distribuita questo mercoledì dal Vatican Information Service (VIS).

“Ogni decisione di pena capitale comporta numerosi rischi: il pericolo di punire persone innocenti; la tentazione di promuovere forme violente di vendetta più che un vero senso di giustizia sociale; un'offesa evidente contro l'inviolabilità della vita umana (...) e, per i cristiani, si tratta anche del disprezzo dell'insegnamento evangelico sul perdono”.


La dichiarazione conclude rinnovando l'apprezzamento della Santa Sede per gli organizzatori del Convegno e per i governi, per i gruppi che lavorano “all'abolizione della pena capitale e per porre una moratoria universale alla sua applicazione”.
23/02/2007 00:25
 
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Lettera del cardinale Ignace Moussa I Daoud a tutti i pastori della Chiesa universale per sostenere le comunità cristiane in Terra Santa, che vivono tra inaudite sofferenze


Un appello urgente a sostenere i cristiani della Terra Santa, dove si registrano ogni giorno inaudite sofferenze: a lanciarlo è il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Ignace Moussa I Daoud, nella Lettera tradizionalmente rivolta nel Tempo della Quaresima a tutti i pastori della Chiesa universale per promuovere la cosiddetta “Collecta pro Terra Sancta”. Il servizio di Sergio Centofanti: Si tratta di una iniziativa che si svolge ogni anno per mandato pontificio: la prima Colletta risale a Papa Martino V, che stabilì nel 1421 le norme circa la raccolta delle offerte per tale scopo. “La Congregazione per le Chiese Orientali – scrive il cardinale Daoud - è erede di questa premura e si sente sempre solidale con i cristiani della Terra Santa e di tutta la regione mediorientale, ove la crisi politica ed economica non è ancora risolta e si registrano ogni giorno inaudite sofferenze”. Il porporato ricorda “l'universale e urgente bisogno di sostenere i fratelli e le sorelle di quella Terra in qualsiasi modo, e particolarmente invocando per essi la pace che viene dall’Alto”.

E’ grave – sottolinea, infatti - la responsabilità che incombe sulla Chiesa universale a riguardo della Chiesa Madre di Gerusalemme. A tutti i cattolici del mondo si fa, dunque, dovere di accompagnare con la preghiera e la solidarietà anche economica le comunità cristiane di quella Terra benedetta, che, tra mille difficoltà, offrono quotidianamente e in silenzio un’autentica testimonianza al Vangelo”.


Le offerte vengono devolute in modo particolare alle comunità cristiane che vivono in Israele e Palestina, ma sostengono anche le necessità dei cristiani di Libano, Siria, Iraq, Giordania ed Egitto. Una speciale attenzione viene data alle Istituzioni scolastiche, quali l’Università di Betlemme e le scuole cattoliche dei vari livelli.



“Il grazie più sentito” per quanto viene annualmente raccolto – conclude il cardinale Daoud – “viene dal Santo Padre”, che “accompagna con la preghiera e la benedizione” tutte le Chiese e tutti i benefattori della Terra del Signore”.
13/03/2007 14:50
 
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
"SACRAMENTUM CARITATIS"

SULL’EUCARISTIA FONTE E CULMINE
DELLA VITA E DELLA MISSIONE DELLA CHIESA


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale del Santo Padre Benedetto XVI "Sacramentum Caritatis" sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.

Intervengono alla Conferenza Stampa l’Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, Relatore Generale all’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2 - 23 ottobre 2005) e S.E. Mons. Nikola Eterovic, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.


L'intervento del Cardinale Scola e una sintesi dell'Esortazione:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ANGELO SCOLA

I. Introduzione

1. Nello spazio dell’amore

Non è un caso che, tra tutte le denominazioni attribuite lungo i secoli all’Eucaristia, il Santo Padre abbia scelto come titolo del presente documento una delle espressioni con cui san Tommaso d’Aquino ha definito il Mistero eucaristico: Sacramentum Caritatis. Per l’Aquinate, infatti, il memoriale del dono che Cristo fa di Sé nel Suo corpo e nel Suo sangue è sacramento supremo dell’amore divino. Brilla così nell’Esortazione Apostolica il profondo magistero della Deus caritas est. L’insistenza del Santo Padre, in questi due anni di pontificato, sulla verità dell’amore dice con chiarezza che siamo di fronte ad uno dei temi cruciali su cui si gioca il futuro della Chiesa e dell’umanità. Anche se il Papa non l’avesse esplicitamente affermato - «intendo porre la presente Esortazione in relazione con la mia prima Lettera enciclica Deus caritas est» (n. 5) – sarebbero bastati i frequenti riferimenti all’Enciclica per confermarlo (cfr. nn. 5, 9, 11, 82, 88, 89).

L’amore eucaristico di Gesù continua a stupire. Ha stupito i dodici mentre Egli si chinava a lavare loro i piedi, amandoli "sino alla fine"; ha stupito i discepoli di Emmaus nello spezzare il pane. È l’amore incarnato di Dio, che per sua natura sorprende sempre. Quello "stupore eucaristico" di cui il servo di Dio Giovanni Paolo II ha parlato con efficace intensità, viene proposto come la via maestra, accessibile agli uomini e alle donne del nostro tempo, per fare l’esperienza dell’amore.

2. Frutto del lavoro sinodale

Con l’Esortazione Apostolica Postsinodale di Sua Santità Benedetto XVI sull’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Sacramentum Caritatis, il lungo ed articolato itinerario della XI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi trova il suo frutto più maturo (cfr. nn. 3-4). Come è noto, le esortazioni apostoliche postsinodali configurano, all’interno del magistero pontificio, uno specifico "genere letterario". Il Sommo Pontefice vi raccoglie, conferma e approfondisce autorevolmente quanto è stato comunicato, dibattuto ed approvato lungo tutto l’itinerario sinodale, dalla indizione dell’Assemblea fino al termine dei lavori. Nel testo di Sacramentum Caritatis si sentono così riecheggiare, in modo implicito o esplicito, i vari documenti che hanno accompagnato i lavori sinodali: dai Lineamenta all’Instrumentum Laboris, dalle due Relationes, ante et post Disceptationem, fino alle 50 propositiones elaborate dai circuli minores ed approvate dalla plenaria. Così come è ben riconoscibile l’eco degli interventi liberi in aula – voluti per la prima volta da Benedetto XVI - che, oltre ad apporti dottrinali, hanno spesso offerto testimonianze commoventi di varie comunità e dei loro pastori. I cristiani, a volte anche a rischio della vita, diffondono l’amorosa carità di Cristo che celebrano nel mistero.

3. Nuovi approfondimenti

Se da una parte l’Esortazione Apostolica costituisce il frutto maturo di un cammino percorso, dall’altra si pone esplicitamente l’obiettivo di aprire la strada ad ulteriori approfondimenti. Essa mira, infatti, ad «esplicitare alcune fondamentali linee di impegno, volte a destare nella Chiesa nuovo impulso e fervore eucaristico» (n. 5). Un contributo prezioso in tal senso lo darà anche la pubblicazione del Compendio eucaristico proposto dai Padri sinodali (cfr. n. 92).

II. Un atto di receptio dell’insegnamento conciliare

1. Un’unità articolata

La lettura e lo studio dell’Esortazione è facilitata dalla sua struttura tanto articolata quanto saldamente unitaria. Essa poggia sull’inscindibile nesso di tre aspetti: Mistero eucaristico, azione liturgica e nuovo culto spirituale. Si tratta del cardine stesso di tutto l’insegnamento che il Santo Padre ha voluto proporre nell’Esortazione. Egli, infatti, afferma: «nel presente documento desidero soprattutto raccomandare, accogliendo il voto dei Padri sinodali, che il popolo cristiano approfondisca la relazione tra il Mistero eucaristico, l’azione liturgica e il nuovo culto spirituale derivante dall’Eucaristia, quale sacramento della carità» (n. 5).

L’Esortazione risulta in tal modo strutturata in tre parti ognuna delle quali approfondisce una delle tre dimensioni dell’Eucaristia superando ogni giustapposizione di dottrina, prassi liturgica e vita cristiana. Le tre parti del testo - Eucaristia, mistero da credere, Eucaristia, mistero da celebrare ed Eucaristia, mistero da vivere - sono a tal punto legate che i loro contenuti si illuminano a vicenda. Del resto un significativo guadagno del lavoro sinodale è proprio il superamento di taluni dualismi – per esempio quelli tra fede eucaristica e rito, tra celebrazione ed adorazione tra dottrina e pastorale - a volte ancora presenti nella vita della comunità ecclesiale e nella riflessione teologica.

E questo in forza dell'innovativa affermazione della centralità dell’azione liturgica nella vita della Chiesa. Essa è in effetti il cuore di tutto il testo. Proprio all’inizio della Seconda Parte del documento, Benedetto XVI, ricordando l’assioma classico lex orandi – lex credendi, afferma che «è necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che "l’intellectus fidei è sempre originariamente in rapporto all’azione liturgica della Chiesa". In questo ambito, la riflessione teologica non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo. Dall’altra parte, l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede» (n. 34).

L’insegnamento del Santo Padre illustra con chiarezza come l’azione liturgica (mistero da celebrare) sia quell’azione specifica che rende possibile la conformazione della vita cristiana (mistero da vivere, nuovo culto) da parte della fede (mistero da credere). Nel rito eucaristico (cfr. nn. 3, 6, 38, 40), luogo per eccellenza della traditio, il cristiano accoglie (receptio) il dono di Cristo stesso per diventare, in forza della fede e della rigenerazione sacramentale, membro del Suo corpo che è la Chiesa.

2. Ars celebrandi ed actuosa participatio

Alla luce di questo guadagno fondamentale occorre leggere una seconda novità dottrinale di grande importanza proposta dall’Esortazione. Si tratta di un insegnamento teso a favorire l’approfondimento ulteriore della riforma liturgica ed il rinnovamento della prassi celebrativa nelle comunità cristiane.

Mi riferisco all’importanza dell’ars celebrandi (arte di celebrare) per una sempre più actuosa participatio (partecipazione attiva, piena e fruttuosa). Particolarmente innovativa infatti appare, in riferimento alla celebrazione, l’insistenza del documento sulla dipendenza dell’actuosa participatio dall’ars celebrandi. Benedetto XVI, riprendendo la propositio 2 approvata dall’Assemblea Sinodale, afferma che «l’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr. 1pt 2, 4-5.9)» (n. 38).

3. Una riproposizione creativa di Sacrosanctum Concilium

L’insegnamento di Benedetto XVI circa l’inseparabile unità tra fede professata, azione liturgica e nuovo culto, risulta così essere uno sviluppo del n. 7 della Costituzione Sacrosanctum Concilium: «ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado». La dottrina di Benedetto XVI in proposito rappresenta un paradigma di recezione dei testi conciliari. Siamo qui in presenza di quell’ermeneutica della continuità che il Santo Padre ha esplicitamente richiamato come necessaria chiave di comprensione e recezione del Vaticano II (cfr. n. 3, nota 6).

III. Struttura e contenuti dell’Esortazione

È ora opportuno far un sintetico riferimento ai contenuti delle tre parti dell’Esortazione, soffermandoci su taluni aspetti dottrinali e sulle preziose indicazioni pastorali in esse offerte. A questo proposito giova notare, per inciso, che la Sacramentum Caritatis, offre almeno una cinquantina di proposte pratiche di carattere liturgico-pastorale. Proprio in forza dell’impianto profondamente unitario dell’Esortazione, presentando i singoli contenuti di ogni parte non si potrà prescindere dal mettere in evidenza i nessi con argomenti presenti nelle altre due sezioni del documento.

1. Eucaristia, mistero da credere

Il dono della Trinità

Nella Prima Parte (nn. 6-33) si illustra il mistero dell’Eucaristia a partire dalla sua origine trinitaria che ne assicura il permanente carattere di dono (cfr. nn. 7-8): «Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura. La Chiesa accoglie, celebra, adora questo dono in fedele obbedienza» (n. 8). In questo insegnamento si trova la radice profonda di quanto l’Esortazione insegna circa l’adorazione e il suo intrinseco rapporto con la celebrazione eucaristica (cfr. nn. 66-69): «l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa» (n. 66). Di seguito vengono puntualmente illustrate l’importanza della pratica (cfr. n. 67) e le forme (cfr. n. 68) dell’adorazione eucaristica.

Istituzione cristologica e opera dello Spirito

Particolarmente pregnanti e nutrite da forte afflato ecumenico sono le affermazioni del Santo Padre circa l’istituzione dell’Eucaristia in rapporto con la Cena pasquale ebraica (cfr. n. 10), che raccolgono il suo intervento in aula del 6 ottobre 2005. Scrive Benedetto XVI: «Con il comando "Fate questo in memoria di me" (Lc 22, 19; 1Cor 11, 25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente. Con queste parole, pertanto, il Signore esprime, per così dire, l’attesa che la sua Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono, sviluppando sotto la guida dello Spirito Santo la forma liturgica del Sacramento. Il memoriale del suo dono perfetto, infatti, non consiste nella ripetizione dell’Ultima Cena, ma propriamente nell’Eucaristia, ossia nella novità radicale del culto cristiano» (n. 11). È un passaggio decisivo per illuminare il novum radicale operato da Gesù all’interno della antica cena rituale. Noi, infatti, nel rito non ripetiamo l’atto cronologicamente situato dell’Ultima Cena di Gesù, ma celebriamo l’Eucaristia quale novum radicale del culto cristiano. Egli ci chiama ad entrare nella Sua stessa ora, il mistero di morte e di risurrezione, principio innovativo di trasformazione - «una sorta di "fissione nucleare"» (n. 11) - di tutta la storia e del cosmo intero. In questa prospettiva, peraltro, si comprende l’insistenza del documento sull’importanza della domenica come il giorno in cui risplende la pienezza del mistero pasquale (cfr. nn. 72-75).

Il Santo Padre indica con forza il criterio dell’autentica creatività liturgica quando, al n. 12, afferma: «questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dallo Spirito, sviluppa nel tempo e nello spazio» cioè in tutte le culture. L’opera feconda dello Spirito Santo nella stessa celebrazione eucaristica (epiclesi) si manifesta «in particolare riferimento alla transustanziazione» (n. 13).

Eucaristia e Chiesa

La radice trinitaria, cristologica e pneumatologica della celebrazione del Mistero eucaristico costituisce la base per un approfondimento della realtà teologica della Chiesa in chiave eucaristica. Diversi sono gli argomenti che il Papa propone in merito. Innanzitutto il fatto che l’Eucaristia è il principio causale della Chiesa: «in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati "per primo". Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo» (n. 14). Benedetto XVI, mentre afferma la circolarità tra l’Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa stessa che celebra l’Eucaristia, compie una significativa opzione magisteriale per il primato della causalità eucaristica su quella ecclesiale (cfr. n. 14). Anche questo approfondimento evidenzia un elemento di novità dottrinale di Sacramentum Caritatis.

L’origine eucaristica della Chiesa spiega poi il suo essere communio (cfr. n. 15) ed assicura la natura sacramentale della stessa Chiesa (cfr. n. 16).

L’Eucaristia e settenario sacramentale

Dal n. 16 al n. 29 l’Esortazione approfondisce la centralità dell’Eucaristia nel settenario sacramentale. Sono pagine particolarmente dense di indicazioni pastorali. Accenniamo alle più significative.

In primo luogo il riconoscimento del fatto che «la santissima Eucaristia porta a pienezza l’iniziazione cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale» (n. 17). Questo implica la necessità di verificare la prassi dell’ordine con cui vengono conferiti i sacramenti dell’iniziazione cristiana (cfr. n. 18). Rispetto al sacramento della riconciliazione il Santo Padre insiste sull’esigenza di «un deciso recupero della pedagogia della conversione che nasce dall’Eucaristia» (n. 21) attraverso la confessione frequente, le attenzioni pastorali a livello parrocchiale (ivi compreso l’uso e la collocazione dei confessionali) e diocesano (assicurare la presenza del penitenziere) ed un’adeguata pastorale delle indulgenze. L’Unzione degli infermi e il santo Viatico offriranno ai fedeli la possibilità di associare «il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti» (n. 22).

Eucaristia e Ordine

Particolare attenzione merita il nesso tra l’Eucaristia e i sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio, sia a motivo del ricco scambio avutosi in aula sinodale su questi temi sia per l’autorevole ripresa da parte del Santo Padre. Questi due sacramenti – i sacramenti al servizio della comunione, come li chiama il Catechismo della Chiesa Cattolica - trovano nell’Eucaristia la loro profonda ragion d’essere ed il loro alimento più potente.

Il testo dell’Esortazione si sofferma in molti passaggi sul legame tra Eucaristia, sacramento dell’Ordine e spiritualità sacerdotale (cfr. nn. 23-26, 39, 53, 75 e 80). A tale proposito viene ribadita l’insostituibilità del sacerdozio ministeriale per la valida celebrazione della santa Messa, la quale non deve mai essere confusa con altre celebrazioni in attesa di sacerdote presiedute da ministri autorizzati (cfr. n. 75). Benedetto XVI, inoltre, accogliendo quanto proposto dall’Assemblea Sinodale, riafferma ed approfondisce la relazione tra ordinazione sacerdotale e celibato: «Pur nel rispetto della differente prassi e tradizione orientale, è necessario ribadire il senso profondo del celibato sacerdotale, ritenuto giustamente una ricchezza inestimabile (…) In tale scelta del sacerdote, infatti, trovano peculiare espressione la dedizione che lo conforma a Cristo e l’offerta esclusiva di se stesso per il Regno di Dio. Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa latina a questo proposito» (n. 24). In tal modo papa Benedetto XVI, riprendendo il Magistero dei suoi predecessori ed in particolare le ragioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche dell’enciclica di Paolo VI Sacerdotalis Caelibatus (1967), respinge ogni giustificazione del celibato su basi puramente funzionali. Si tratta invece di una scelta «sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa» (n. 14). Viene in tal modo riconfermata la prassi latina della obbligatorietà del celibato sacerdotale quale ricchezza inestimabile per l’intera communio ecclesiale.

Il forte ridimensionamento numerico del clero, in atto in alcuni continenti, deve essere fronteggiato anzitutto con la testimonianza della bellezza della vita sacerdotale, mostrando ai giovani la profonda con-venienza della sequela radicale di Cristo e, in secondo luogo, con una formazione vocazionale accurata, mediante una precisa proposta di vita spirituale e un rigoroso discernimento che verifichi l’autenticità della motivazione vocazionale (cfr. n. 25). Il Santo Padre riserva un sentito grazie in generale ai presbiteri e ai presbiteri fidei donum in particolare (cfr. n. 26).

Eucaristia e Matrimonio

In modo specifico l’Esortazione Apostolica fa proprie ed approfondisce le riflessioni sinodali riguardanti il rapporto tra la divina Eucaristia e lo stato matrimoniale. Benedetto XVI ricorda che l’Eucaristia, sacramento sponsale per eccellenza, «corrobora in modo inesauribile l’unità e l’amore indissolubili di ogni Matrimonio cristiano. In esso, in forza del sacramento, il vincolo coniugale è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa» (n. 27). Si comprende il forte incoraggiamento e la vicinanza della Chiesa a tutte le famiglie fondate sul sacramento del matrimonio, protagoniste dell’educazione cristiana dei figli (cfr. n. 19), nonché la cura che le comunità cristiane debbono profondere per l’accurata formazione dei nubendi (cfr. n. 29).

A partire dal carattere nuziale dell’Eucaristia Benedetto XVI rilegge il tema della unicità del matrimonio cristiano, facendo riferimento alla questione della poligamia (cfr. n. 28), ed a quella della indissolubilità del vincolo coniugale (cfr. n. 29). Il testo contiene importanti suggerimenti pastorali rispetto a quei battezzati che versano nella dolorosa situazione di aver celebrato il sacramento del matrimonio e di aver poi divorziato e contratto nuove nozze. L’Esortazione dopo aver ribadito che essi, «nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione» (n. 29), elenca ben nove modalità di partecipazione alla vita di comunità di questi fedeli che, pur senza ricevere la Comunione, possono così adottare uno stile cristiano di vita. Il Santo Padre ribadisce inoltre la necessità, quando sorgono dubbi legittimi, di verificare in tempi ragionevoli l’eventuale nullità matrimoniale, mediante accurate indagini dei tribunali ecclesiastici da svolgersi con spirito autenticamente pastorale e quindi pervaso di amore per la verità. Infine Benedetto XVI dà forma compiuta anche al suggerimento dei Padri sinodali circa la situazione di coloro che, avendo celebrato validamente il matrimonio, per condizioni obiettive si trovano a non poter sciogliere i nuovi legami contratti, proponendo loro, con adeguato supporto pastorale, di impegnarsi «a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella» (n. 29), cioè trasformando il loro legame in amicizia fraterna. Al di là di facili preconcetti, tale suggerimento configura una proposta coraggiosa e realistica. L’esperienza pastorale indica questa strada come appropriata per riprendere il proprio cammino di fede e l’accesso ai sacramenti «con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale» (n. 29). Questi fedeli potranno riordinare gradatamente nel tempo gli affetti secondo la prospettiva autentica dell’amore, significato dal sacramento dell’altare.

L’Eucaristia caparra della vita eterna

La rilevanza antropologica del dono eucaristico è messa in evidenza dall’Esortazione in modo affascinante, quando essa si sofferma sulla dimensione escatologica dell’Eucaristia (cfr. nn. 30-32). Il Santissimo Sacramento, infatti, è caparra della vita eterna poiché «la nostra libertà finita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro» (n. 31).

2. Eucaristia, mistero da celebrare

La Seconda Parte dell’Esortazione (cfr. nn. 34-69) illustra lo svolgimento dell’azione liturgica nella celebrazione indicando gli elementi che meritano maggiore approfondimento ed offrendo alcuni suggerimenti pastorali di grande rilievo.

La bontà del rinnovamento liturgico

L’insegnamento racchiuso in questa Seconda Parte mette in evidenza la bontà della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II. Talune difficoltà ed abusi «non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate» (n. 3).

Alle fonti del rito eucaristico

Fedele al principio su cui si fonda tutto l’insegnamento proposto, l’Esortazione esordisce in questa seconda parte riconoscendo che «la sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale» (n. 34). Ecco perché è necessario riconoscere con forza che «la liturgia eucaristica è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito» e che, proprio in questo modo, «la Chiesa celebra il Sacrificio eucaristico in obbedienza al comando di Cristo, a partire dall’esperienza del Risorto e dall’effusione dello Spirito Santo» (n. 37). L’evento pasquale nell’azione eucaristica coincide così con il rito stesso inteso come radice del culto spirituale che imprime all’esistenza del cristiano una forma eucaristica.

Ne conseguono due considerazioni di carattere ad un tempo dottrinale e liturgico che costituiscono un originale apporto dell’Esortazione.

La bellezza liturgica

In primo luogo la sottolineatura della «bellezza intrinseca della liturgia» (n. 36) che «non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore» (n. 35). Su questo principio trovano fondamento le indicazioni del Papa in merito alla ricchezza dei segni liturgici (silenzio, paramenti, gesti: stare in piedi, in ginocchio… cfr. n. 40), all’arte posta al servizio della celebrazione (cfr. n. 41) – in merito si può anche ricordare quanto detto a proposito della collocazione del tabernacolo nelle Chiese (cfr. n. 69) -, e al canto liturgico. Tutti questi elementi sono fondamentali per lo sviluppo di quella catechesi mistagogica che l’Esortazione, sulla scia di quanto affermato dai Padri sinodali, ha proposto come strada «che porti i fedeli a addentrarsi sempre meglio nei misteri che vengono celebrati» (n. 64).

Il nesso ars celebrandi – actuosa participatio: indicazioni pratiche

La seconda considerazione che costituisce un notevole apporto per l’approfondimento dottrinale-liturgico dell’Eucaristia, riguarda la cosidetta ars celebrandi e il suo nesso intrinseco con l’actuosa participatio. Ci siamo già soffermati su questo argomento trattato in particolare dal n. 38 di Sacramentum Caritatis. Ora ci preme sottolineare alcune indicazioni dell’Esortazione tese a favorire questa participatio.

Il Santo Padre afferma che «l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana» (n. 52). Come si vede il riferimento è di nuovo all’unità articolata tra Mistero eucaristico, azione liturgica e nuovo culto spirituale. L’unità dei tre fattori appare evidente quando il Santo Padre descrive le condizioni personali per un’actuosa participatio (cfr. 55).

L’attiva partecipazione sarà inoltre favorita da un’ordinata inculturazione, che deve essere attuata «secondo le reali necessità della Chiesa, la quale vive e celebra il medesimo mistero di Cristo in situazioni culturali differenti» (n. 54). Le Conferenze Episcopali, d’accordo con la Santa Sede, si prenderanno cura di tale decisivo compito.

Sempre per favorire una partecipazione attiva più adeguata l’Esortazione si sofferma su taluni aspetti pastorali particolari – l’uso dei mezzi di comunicazione (cfr. n. 57); l’attenzione agli infermi e ai disabili (cfr. n. 58), ai carcerati (cfr. n. 59) e ai migranti (cfr. n. 60); le grandi concelebrazioni (cfr. n. 61) e le liturgie eucaristiche in piccoli gruppi (cfr. n. 63) – e propone un più normale ricorso alla lingua latina, soprattutto nelle grandi celebrazioni internazionali, senza trascurare il peso del canto gregoriano (cfr. n. 62). Non mancano inoltre precise indicazioni in merito alla partecipazione alle celebrazioni eucaristiche da parte dei cristiani non cattolici (cfr. n. 56) e anche di persone appartenenti ad altre religioni o non credenti (cfr. n. 50).

Su quanto questa actuosa partecipatio si esprima soprattutto nell’adorazione (cfr. nn. 66-69), e su come «l’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso» (n. 40) abbiamo avuto già modo di soffermarci.

La struttura della Celebrazione eucaristica

La Seconda Parte dell’Esortazione vuole anche offrire un contributo in merito alla struttura della celebrazione eucaristica (cfr. nn. 43-51). Emerge un’altra volta l’importante coincidenza tra azione liturgica e rito. Solo un’adeguata prassi rituale esprime quell’ars celebrandi che rende possibile l’actuosa participatio. Innanzitutto il Papa richiama «l’unità intrinseca del rito della santa Messa» (n. 44), che si deve esprimere anche nel modo con cui viene curata la liturgia della Parola. Infatti «la Parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alla persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza» (n. 45). Anche l’omelia deve contribuire a mostrare la stretta relazione della Parola di Dio «con la celebrazione sacramentale e con la vita della comunità» (n. 46). Inoltre Benedetto XVI richiama la notevole valenza educativa per la vita della Chiesa, soprattutto nell’attuale frangente storico, della presentazione dei doni (cfr. n. 47), dello scambio della pace (cfr. n. 49) e dell’Ite missa est (cfr. n. 51). Il Santo Padre affida lo studio di possibili modifiche su questi due ultimi punti ai competenti Dicasteri. Infine Benedetto XVI insegna che «la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell’istituzione» (n. 48).

3. Eucaristia, mistero da vivere

Nella Terza ed ultima parte l’Esortazione Apostolica (cfr. nn. 70-93) mostra la capacità del mistero creduto e celebrato di costituire l’orizzonte ultimo e definitivo dell’esistenza cristiana: «il mistero "creduto" e "celebrato" [possiede] in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana» (n. 70).

La rilevanza antropologica dell’Eucaristia

La riflessione della Terza Parte è in realtà già anticipata fin dall’inizio dell’Esortazione quando viene ribadita con forza la rilevanza antropologica dell’Eucaristia.

Con i tratti sobri ma incisivi che caratterizzano il suo insegnamento, Benedetto XVI riafferma, fin dalla prime righe dell’Esortazione, che il dono dell’Eucaristia è per l’uomo, risponde alle attese dell’uomo. Ovviamente di ogni uomo di ogni tempo, ma specificamente dell’uomo nostro contemporaneo: «Nel sacramento dell’altare, il Signore viene incontro all’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l’uomo affamato di verità e di libertà» (n. 2). La scelta delle parole usate - cuore mendicante, verità e libertà (cfr. n. 2) – non è certo casuale. Del tutto estranei a qualunque fuga spiritualistica dal mondo e dalle circostanze in cui sono chiamati a vivere, i cristiani incontrano nella celebrazione eucaristica il Dio vivo e vero capace di salvare la loro vita. E questa salvezza ha come interlocutrice l’umana libertà. Il dono dell’Eucaristia, infatti, interpella originariamente la libertà dell’uomo e ne costituisce l’anticipo della definitiva liberazione. Richiamando un tratto assai suggestivo dell’antropologia di sant’Agostino, il Santo Padre ricorda che l’uomo è coinvolto in totale libertà nelle proprie azioni solo là dove il proprio desiderio costitutivo è messo in gioco: l’anima che cosa desidera più ardentemente della verità? Pertanto, «proprio perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si rivolge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il dono di Dio» (n. 2). Inoltre, affidando ai Suoi discepoli il memoriale del dono del Suo corpo e del Suo sangue, Gesù coinvolge la loro libertà nel Suo stesso rendimento di grazie al Padre, inaugurando così il nuovo culto a Dio, mediante il quale l’intera esistenza è posta sotto il segno della salvezza operata dal sacrificio di Cristo.

Logiké latreía e forma eucaristica dell’esistenza cristiana

La rilevanza antropologica dell’Eucaristia emerge con tutta la sua forza nel culto nuovo caratteristico del cristiano. Di grande profondità e bellezza sono i numeri dedicati dall’Esortazione alla logiké latreia, il culto spirituale (cfr. nn. 70-71), e alla forma eucaristica dell’esistenza cristiana (cfr. n. 76), un’espressione che ricompare molto spesso in questa Terza Parte (cfr. nn. 70, 71, 76, 77, 80, 82, 84). Il culto cristiano vi risplende in tutta la sua forza e novità. Sulla base dell’azione eucaristica ogni circostanza dell’esistenza diventa per così dire "sacramentale". Non c’è più separazione assoluta tra sacro e profano.

Il Mistero eucaristico rappresenta il fattore dinamico che trasfigura l’esistenza. Rigenerato dal battesimo e incorporato eucaristicamente alla Chiesa l’uomo può finalmente compiersi pienamente, imparando ad offrire il "proprio corpo" – cioè tutto se stesso - come sacrificio vivente santo e gradito a Dio (Rm 12, 1-2). «Non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri ed affetti, parole ed opere - che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr 1Cor 10, 31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio» (n. 71).

Appartenenza ecclesiale, evangelizzazione delle culture e vita come vocazione

«La forma eucaristica dell’esistenza cristiana è indubbiamente una forma ecclesiale e comunitaria» (n. 76).

Essa implica, inoltre, la possibilità di una cultura nuova, cioè di quel «rinnovamento di mentalità» (n. 77), capace di «confrontarsi con ogni realtà culturale, per fermentarla evangelicamente» (n. 78).

Questo rapporto con le culture degli uomini nasce dal fatto che «l’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana» (n. 79). Questa è anche la ragione per cui il Santo Padre parla di «vita come vocazione» (n. 79). Tutti i fedeli cristiani sono chiamati a vivere la propria vita come vocazione sul solido fondamento dell’Eucaristia: i fedeli laici (cfr. n. 79), i sacerdoti (cfr. n. 80) e coloro che sono stati chiamati alla vita consacrata (cfr. n. 81). L’esistenza di ogni cristiano è vista da Sacramentum Caritatis come la risposta umile e lieta all’esaltante chiamata del Padre.

Trasformazione morale e coerenza eucaristica

Ogni fedele è pertanto chiamato ad una profonda trasformazione della propria esistenza. Afferma il Santo Padre: «La trasformazione morale implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità» (n. 82).

Rilievo particolare acquista in quest’ottica la responsabilità dei cristiani che ricoprono cariche pubbliche e politiche: «per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (n. 83).

Testimonianza come forma della missione

Nell’offerta della propria vita si può identificare la sorgente permanente della testimonianza. Vivere il Mistero eucaristico significa anche essere introdotti ad una conoscenza nuova della realtà e ad una nuova coscienza della propria responsabilità. Ecco perché Benedetto XVI approfondisce la relazione tra Eucaristia e missione (cfr. n. 84) in termini di testimonianza: «La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore» (n. 85). La testimonianza-missione – che non ha altro intento se non «portare Cristo» (n. 86) - diviene in tal modo la modalità con cui il mistero dell’Eucaristia documenta la fecondità dell’esistenza credente.

Benedetto XVI ci ricorda che «diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo» (n. 85).

Emblema ed archetipo di questa dinamica è la testimonianza del martire, culmine del nuovo culto spirituale gradito a Dio. Nel martire che dona la vita per testimoniare la verità dell’amore come significato esauriente della propria vita, l’Eucaristia si mostra in tutto il fulgore della sua verità. Non manca a questo proposito un riferimento alla libertà di culto e alla libertà religiosa (cfr. n. 87).

Implicazioni sociali e cosmologiche della forma eucaristica dell’esistenza cristiana

La forma eucaristica dell’esistenza cristiana riguarda ogni fedele battezzato, indipendentemente dallo stato di vita a cui egli è chiamato. Ecco perché l’Esortazione raccomanda vivamente a tutti, ma in particolare ai fedeli laici, di «coltivare il desiderio che l’Eucaristia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli ad essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella società tutta» (n. 79).

Parte integrante della forma eucaristica dell’esistenza cristiana è la capacità del sacramento memoriale della nostra salvezza di farci guardare alla storia e al mondo intero con occhi nuovi. In effetti, come ricorda Benedetto XVI, «nell’Eucaristia si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr. Ef 1, 10; 3, 8-11)» (n. 8). Le numerose e precise implicazioni sociali del Mistero eucaristico creduto, celebrato e vissuto, che il Papa elenca possono essere comprese proprio alla luce della missione testimoniale della fede (cfr. nn. 88-91).

L’Esortazione non esita ad affermare che «l’Eucaristia spinge ogni credente… a farsi "pane spezzato" per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno» (n. 88). Addirittura «è attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione» (n. 89). Ancora più forti si fanno le espressioni di Benedetto XVI in relazione alle situazioni di ingiustizia sociale, di violenze e guerre, di terrorismo, di corruzione e sfruttamento (cfr. n. 89) ed alla indigenza dell’uomo (cfr. n. 90). La Chiesa che vive dell’Eucaristia, soprattutto attraverso la responsabilità dei suoi fedeli laici, non può che essere presente nella storia e nella società in favore di ogni uomo, in particolare di chi a causa dell’ingiustizia e dell’egoismo di tanti, soffre l’indigenza, la fame e situazioni endemiche di malattia perché non ha accesso alle più elementari risorse alimentari e sanitarie. Gesù, cibo di verità – afferma l’Esortazione Apostolica - «ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell’uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell’ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all’edificazione della civiltà dell’amore» (n. 90). La Dottrina Sociale della Chiesa è uno strumento prezioso per l’educazione alla giustizia e alla carità (cfr. n. 91).

Agli occhi della fede eucaristica il nesso tra Eucaristia e cosmo non è certo facoltativo. Del resto la stessa Celebrazione eucaristica implica l’offerta del pane e del vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo: «Nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo, infatti, scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la "nuova creazione", inaugurata nella risurrezione di Cristo, nuovo Adamo» (n. 92). Il tema della salvaguardia del creato è sviluppato ed approfondito in relazione al disegno buono di Dio su tutta la creazione. La realtà non è mera materia neutrale alla mercè della manipolazione tecnico-scientifica, ma è voluta da Dio in vista della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Da qui la responsabilità per la salvaguardia del creato propria del cristiano nutrito dell’Eucaristia.

IV. Il metodo eucaristico

Per concludere questo invito alla lettura dell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, vorrei riprendere una preziosa indicazione di metodo contenuta nell’insegnamento di Benedetto XVI.

Mi riferisco alla convinzione che nell'autenticità della fede e del culto eucaristico si trova il segreto di una ripresa della vita cristiana capace di rigenerare il Popolo di Dio. Nel mistero della divina Eucaristia si spalanca l’accesso alla realtà di Dio che è amore. Si dischiude la vera intelligenza della realtà.

In questa prospettiva «l’Eucaristia stessa getta una luce potente sulla storia umana e su tutto il cosmo» (n. 92). Ci troviamo di fronte ad una profonda prospettiva sacramentale – che riprende esplicitamente l’insegnamento del Servo di Dio Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio 13 (cfr. n. 45) - in cui «impariamo, giorno per giorno, che ogni evento possiede il carattere di segno, attraverso il quale Dio comunica se stesso e ci interpella. In tal maniera, la forma eucaristica dell’esistenza può davvero favorire un autentico cambiamento di mentalità nel modo con cui leggiamo la storia ed il mondo» (n. 92).

Dove è possibile contemplare la verità di queste affermazioni? Benedetto XVI lo dice con chiarezza nella Prima Parte e nella Conclusione dell’Esortazione Apostolica: «In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua iniziativa salvifica la creatura umana» (n. 33). «Da Lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi persone eucaristiche ed ecclesiali» (n. 96).

Il Mistero eucaristico fa così scoprire che ogni circostanza della vita è inscritta nell’orizzonte sacramentale. Cristo non cessa mai di bussare alla porta della nostra libertà perché abbiamo ad accoglierlo e a lasciarci trasformare dal Suo amore redentore.

«Vero amore è Gesù, e salute ne dà a chi segue virtù». Gesù, infatti, ama veramente perché ama per primo senza nulla attendere in cambio, ed ama in ogni istante come se fosse l’ultimo.

[Modificato da TERESA BENEDETTA 13/03/2007 14.59]

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