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NON SCORDIAMO KAROL WOJTYLA!

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2009 01:02
07/11/2006 12:23
 
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Re: La testimonianza di un miracolato...

Scritto da: Ratzigirl 06/11/2006 23.38
«Wojtyla mi ha guarito e io ancora non ci credo»
Il miracolato: è apparso a mia moglie e il tumore è sparito

Nicola Grippo ha fede in Dio e nei medici. E’ lui il beneficiato del miracolo che renderà santo Papa Giovanni Paolo II, come ha annunciato nella cattedrale di Salerno, il giorno dei Santi, il vescovo, monsignor Gerardo Pierro. Nicola parla con la voce ferma di chi non vuole, o forse non può, lasciarsi andare alla gioia. Quest’uomo di 76 anni che dalla vita fino ad oggi ha avuto molto dolore e speranze deluse, racconta: «Adesso io e mia moglie siamo soli, ho perso due figlie, una aveva vent’anni e se l’è portata via la leucemia, l’altra un incidente d’auto. Per loro avrei voluto il miracolo». Non c’è rabbia nella sua voce, ma solo rassegnazione per quello che il destino porta in dote a ciascuno. A lui ha portato il miracolo della guarigione da un tumore che gli ha aggredito prima un rene e poi i polmoni e la spina dorsale. Non c’era speranza, secondo i medici. Fino al giorno dell’ultima radiografia, nemmeno un mese fa, quando i medici hanno constatato che il tumore se ne era andato. «E non siamo stati noi», hanno ammesso. «Ringrazi la sua fede e Papa Wojtyla».

Lei ha pregato Papa Giovanni Paolo II? «Mia moglie lo ha pregato quando ero a Milano a curarmi all’Istituto nazionale dei tumori. E poi, una notte, il Papa gli è apparso in sogno, portava per mano un bambinetto vestito di bianco come lui e camminavano su una strada di ciottoli bianchi». Qui interviene Elisabetta, 72 anni, la moglie di Nicola, che spiega: «Io ero con le mie figlie, morte anni fa, e lo inseguivo, ma lui camminava veloce e non siamo riuscite a raggiungerlo. Così ho detto alle mie ragazze: "L’importante è che lo abbiamo visto". Poi mi sono svegliata».

Nicola, quando le hanno detto che era stato miracolato? «Anche per me è una sorpresa questa storia del miracolo, oggi sono stato chiamato dal vescovo Pierro in cattedrale che mi ha fatto firmare le carte con cui autorizzo il Vaticano a prendere in visione tutte le mie cartelle mediche. Sono molto frastornato da questa attenzione. Avrei preferito che questo fatto rimanesse segreto. I medici mi avevano chiesto se ero credente, se pregavo. Se avevo chiesto la grazia a qualche Santo. E così mia moglie raccontò loro del sogno. E loro mi hanno spiegato che adesso i miei polmoni erano puliti, senza traccia del male, e che non era stato merito loro. Poi un giorno sono tornato in ospedale, al San Leonardo, dove mi aspettavano dieci professori che volevano sapere cosa era successo. So che il mio caso è finito anche su una rivista scientifica».

Lei sembra scettico. «No, non sono scettico, solo che ancora non mi sento tranquillo, nonostante le rassicurazioni dei medici. Continuo ad essere sotto controllo. Ne ho avute troppe di delusioni nella mia vita... E poi vorrei dire che ringrazio anche loro che sono stati bravissimi, hanno fatto un vero miracolo, appunto».

Crede che sia stata una collaborazione tra scienza e fede, tra il Papa e i dottori? «Credo di sì, i dottori che ho incontrato a Milano, a Roma e a Salerno sono stati eccezionali. E credo che mi abbiano aiutato anche le mie figlie. Mia moglie le pregava di aiutarci perché eravamo rimasti soli».

E’ pensionato? «Non lavoro da tanti anni, da quando le mie figlie sono morte. Avevo un bazar sotto casa, e mia moglie mi aiutava ma faceva anche lavori da sarta».

Quando si è accorto di essere malato? «Tre anni fa, quando mi hanno tolto un rene. Poi hanno scoperto delle macchioline sul polmone e su due vertebre. Ed è iniziato il calvario delle cure. Non le sopportavo proprio, la chemioterapia mi dava un tremore insopportabile, tanta debolezza. Rigettavo i medicinali. Avevo poche speranze».

Poi il sogno... «Chissà... Certo quando si è disperati la fede diventa più forte. Chi è che non vuole guarire? Io questo miracolo lo avrei voluto per le mie bambine che non ci sono più. Per quella che ha avuto la leucemia non c’è stato neanche il tempo di chiedere la grazia, volevo andare a Fatima, dalla Madonna, ma il male è stato più veloce. Questa volta invece mi sono appellato a tutti. Chissà che in quella occasione qualcuno lassù non abbia veramente ascoltato le nostre preghiere».



Ho sentito anch'io questo caso ieri al TG5 delle 20...Se dovesse essere un miracolo, non potrei che essere contenta. [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x40799] [SM=x40799] [SM=x40799] Se non sbaglio, il signore dovrebbe essere di Napoli o di Salerno... [SM=g27833] [SM=g27833] [SM=g27833]
07/11/2006 14:57
 
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Re: Re: La testimonianza di un miracolato...

Scritto da: josie '86 07/11/2006 12.23


Ho sentito anch'io questo caso ieri al TG5 delle 20...Se dovesse essere un miracolo, non potrei che essere contenta. [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x40799] [SM=x40799] [SM=x40799] Se non sbaglio, il signore dovrebbe essere di Napoli o di Salerno... [SM=g27833] [SM=g27833] [SM=g27833]



Di Salerno! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
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07/11/2006 15:02
 
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Re: Re: Re: La testimonianza di un miracolato...

Scritto da: LadyRatzinger 07/11/2006 14.57


Di Salerno! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]



Grazie per avermelo detto, Lady! Ero incerta se venisse da Napoli o dalla mia città. [SM=x40800] [SM=x40800] [SM=x40800] [SM=x40800]
07/11/2006 15:32
 
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Cmq se dobbiamo essere precisi esistono centinaia di casi di guarigioni spontanee, senza che i soggetti guariti abbiano avuto niente a che fare con santi o preghiere. è un fenomeno noto, chi è medico lo sa. naturalmente è molto rassicurante attribuire tutto all'intercessione di questo o quel santo, ma è un fenomeno naturale, che può capitare anche a persone atee o di altre religioni [SM=g27818]
07/11/2006 17:12
 
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Scritto da: Nikki72 07/11/2006 15.32
Cmq se dobbiamo essere precisi esistono centinaia di casi di guarigioni spontanee, senza che i soggetti guariti abbiano avuto niente a che fare con santi o preghiere. è un fenomeno noto, chi è medico lo sa. naturalmente è molto rassicurante attribuire tutto all'intercessione di questo o quel santo, ma è un fenomeno naturale, che può capitare anche a persone atee o di altre religioni [SM=g27818]



Si,ma ultimamente guarda caso sono guarite inspiegabilmente un sacco di persone dopo aver rivolto preghiere particolari a Papa Wojtyla! [SM=g27818] [SM=g27818] Insomma,si sta dando proprio da fare Karol!! [SM=g27829] [SM=g27829] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x40799]
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08/11/2006 11:36
 
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Scritto da: Nikki72 07/11/2006 15.32
Cmq se dobbiamo essere precisi esistono centinaia di casi di guarigioni spontanee, senza che i soggetti guariti abbiano avuto niente a che fare con santi o preghiere. è un fenomeno noto, chi è medico lo sa. naturalmente è molto rassicurante attribuire tutto all'intercessione di questo o quel santo, ma è un fenomeno naturale, che può capitare anche a persone atee o di altre religioni [SM=g27818]



Hai ragione, sarà meglio verificare se si sia trattato realmente di un miracolo...Non a caso, è stato chiamata in causa la diocesi salernitana che deve ispezionare sul caso...altrimenti, non si sarebbe scomodata se avesse saputo che si era trattato semplicemente di una guarigione spontanea... [SM=g27829] [SM=g27829] [SM=g27829]
08/11/2006 14:29
 
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Re:

Scritto da: Nikki72 07/11/2006 15.32
Cmq se dobbiamo essere precisi esistono centinaia di casi di guarigioni spontanee, senza che i soggetti guariti abbiano avuto niente a che fare con santi o preghiere. è un fenomeno noto, chi è medico lo sa. naturalmente è molto rassicurante attribuire tutto all'intercessione di questo o quel santo, ma è un fenomeno naturale, che può capitare anche a persone atee o di altre religioni [SM=g27818]




Sette sono i criteri che permettono di giudicare se una guarigione sia miracolosa:
1. La malattia o l'infermità deve esser grave e, secondo il parere di medici competenti, inguaribile, o almeno estremamente difficile da guarire.
2. L'ammalato non deve esser prossimo alla guarigione o in una crisi che precede, classicamente, la guarigione.
3. I soccorsi della medicina devono o non esser stati ancora utilizzati, o essersi rivelati inefficaci.
4. La guarigione deve esser stata istantanea.
5. Deve essere perfetta, riguardare cioè la totalità della malattia, senza postumi gravi.
6. La guarigione non deve esser preceduta da un periodo di remissione o di ristabilimento.
7. La guarigione deve essere stabile e duratura, non esser seguita da ricadute o da recidive.
Quando tutti questi criteri sono soddisfatti e non rimane nessuna possibilità di spiegare naturalmente la guarigione, il miracolo può essere riconosciuto.


25/11/2006 18:56
 
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Alcune foto di Giovanni Paolo...






In mezzo ai ciovani...

[Modificato da LadyRatzinger 25/11/2006 19.11]

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23/12/2006 12:25
 
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GPII e la stazione Termine che oggi prende il suo nome...

Dedicata a Papa Giovanni Paolo II la Stazione Termini di Roma



La stazioni Termini di Roma viene dedicata a Papa Giovanni Paolo II. La cerimonia alla presenza del segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, del cardinale Vicario Camillo Ruini, del sindaco di Roma, Walter Veltroni, e dell’amministratore delegato delle ferrovie dello Stato, Mauro Moretti. Contestualmente, dedicata anche una stele a Papa Wojtyla e benedetto il presepe della Stazione.
23/12/2006 23:01
 
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E' una bella inziativa...
Ecco un articolo che ho trovato..

La stazione Termini di Roma dedicata a Giovanni Paolo II

Dopo 140 anni, la Stazione Termini di Roma, uno degli scali ferroviari più grandi d’Europa, cambia nome. Durante una cerimonia, questa mattina, la Stazione è stata dedicata a Giovanni Paolo II: una stele dell’architetto Roberto Malfatto è stata scoperta alla presenza del sindaco di Roma, Walter Veltroni, dei responsabili delle Ferrovie dello Stato italiano, del cardinale vicario, Camillo Ruini, e del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che ha portato gli auguri e la benedizione di Benedetto XVI. Nella galleria centrale della stazione Termini dove ogni giorno transitano 480 mila persone, 150 milioni l’anno, il sindaco di Roma, Walter
Veltroni ha ricordato Giovanni Paolo II, “uomo che ha legato a sé l’idea del dialogo, della comprensione dei valori, in continuo ascolto di una società in trasformazione”. “Tutto ciò – ha proseguito Veltroni - ci ha portato, in stretta collaborazione con le Ferrovie dello Stato, a scegliere la Stazione Termini per la dedicazione, che è luogo di incontro, di scambio, dove molte persone iniziano un viaggio”. “Guarderanno la stele – ha continuato il sindaco - tanti cittadini cattolici, ma anche musulmani che non potranno non ricordare quando Giovanni Paolo II, nel settembre del 2001, chiamò i
“musulmani fratelli”; passeranno cittadini ebrei, che ricorderanno il giorno in cui Giovanni Paolo II, nella Sinagoga di Roma, abbracciò il rabbino Toaff”; e, tutti noi romani ricorderemo “un uomo che ha molto amato questa città”. Il cardinale vicario Camillo Ruini si è unito al sindaco Veltroni, sottolineando il grande amore del Papa per Roma. “Ogni giorno pregava per Roma, per la gente di Roma, per la Chiesa in Roma e per le famiglie romane”. “Giovanni Paolo II - ha sottolineato il cardinale vicario - è stato l’uomo dei viaggi e la stazione Termini, luogo dove si parte e si arriva, è molto indicata per ricordare la sua memoria che resta viva nel cuore di ciascuno di noi”.
Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che ha portato il saluto e la benedizione di Papa Benedetto, ha ricordato il rapporto tra la Stazione Termini e la storia della Chiesa: “Ricordo soprattutto un episodio: la prima volta che vennero a Roma, nel 1962, per il Concilio Vaticano II, il cardinale Stefan Wyszynsky mons. Karol Wojtyla: il cardinale Wyszynsky era appena stato liberato dalla prigionia ed accompagnato a Roma da quel giovane vescovo per partecipare al Concilio. Arrivarono qui alla Stazione Termini, dove c’era una folla immensa. Tutti i ferrovieri erano fermi, tutti i treni erano fermi e quando si fermò il treno che allora arrivava da Varsavia, il cardinale Wyszynsky si affacciò al finestrino in una commozione generale. Ricordo che una signora porse al cardinale un mazzo di rose rosse. Ecco, di che cosa è stata testimone nella storia questa grande stazione, l’allora Stazione Termini. Porto al sindaco e alla Ferrovie dello Stato, il saluto, l’augurio, il compiacimento e il ringraziamento di Papa Benedetto. Ci siamo parlati questa mattina e mi ha detto di portarvi la sua benedizione. Porgo a tutti, anche a nome del Santo Padre, gli auguri più cordiali di Buon Natale e Buon Anno Nuovo”. Le due steli inaugurate stamani e sulle quali spicca il nuovo nome della stazione, “Stazione Termini-Giovanni Paolo II”, sono alte 12 metri e posizionate nei punti più frequentati. Ne parliamo con l’architetto, ideatore e progettista, Roberto Malfatto: “L’ispirazione è nata dalla semplicità e dal rigore che Giovanni Paolo II esprimeva, ma anche dall’innalzamento verso il cielo. Abbiamo, quindi, pensato ad un oggetto che si innalzasse verso il cielo, che avesse un coronamento particolarmente significativo e particolarmente ricco. Una forma semicircolare, che in qualche modo evoca – secondo noi – delle immagini legate anche all’iconografia ecclesiastica. Un’immagine, in quello che è l’atrio della Stazione Termini, riconoscibile pur nella sua semplicità. Ci sono naturalmente molti messaggi in questa stazione e volevamo diversificarci completamente, facendo un’operazione che avesse una sua forza, se possibile morale, attraverso l’immagine che abbiamo voluto darle.

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23/12/2006 23:09
 
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Re: GPII e la stazione Termine che oggi prende il suo nome...

Scritto da: Ratzigirl 23/12/2006 12.25

Dedicata a Papa Giovanni Paolo II la Stazione Termini di Roma



La stazioni Termini di Roma viene dedicata a Papa Giovanni Paolo II. La cerimonia alla presenza del segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, del cardinale Vicario Camillo Ruini, del sindaco di Roma, Walter Veltroni, e dell’amministratore delegato delle ferrovie dello Stato, Mauro Moretti. Contestualmente, dedicata anche una stele a Papa Wojtyla e benedetto il presepe della Stazione.



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22/01/2007 05:58
 
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libro di memorie...
MEMORIE VATICANE

Quando Wojtyla scherzò "M´hanno fatto Papa, li possino"
Don Stanislaw: "I miei 40 anni con Giovanni Paolo II"
di MARCO POLITI

CITTÀ DEL VATICANO - «Mi hanno eletto Papa... li possino!». La frase in romanesco non è di qualche pontefice dei secoli passati, su cui il Belli satireggiava. No. È di un cardinale venuto da molto lontano, appena eletto al soglio di Pietro, neanche italiano. Karol Wojtyla sbotta così, con verve popolaresca, vedendo il suo segretario ancora attonito di scorgerlo tutto vestito di bianco, ormai non più nel ruolo di arcivescovo di Cracovia bensì di "Giovanni Paolo II".
È un flash fulminante, che più di mille parole svela la personalità di carne e sangue di Giovanni Paolo II. E chi poteva essere il destinatario di questa confidenza così intima, sospesa tra l´ironia e lo stupore, se non l´uomo che più di tutti è stato vicino a Wojtyla per quaranta lunghi anni, dalla cattedra vescovile di Cracovia al trono vaticano? Stanislaw Dziwisz, «don Stanislao» come lo hanno sempre chiamato in Vaticano. Le sue memorie «Una vita con Karol» (Editore Rizzoli e l´Editrice vaticana) appariranno tra quarantott´ore nelle librerie italiane e sabato in Polonia e poi in Francia e Germania e in una dozzina di altri paesi del mondo. Alla redazione ha partecipato lo scrittore Gianfranco Svidercoschi, già vice-direttore dell´Osservatore Romano.
Dire che Dziwisz era amico fedele e collaboratore intimo di Giovanni Paolo II è poco. Stanislao, come ben tratteggiò lo scrittore irlandese-americano Thomas Cahill, è stato in un certo senso il figlio mancato di Wojtyla. Ci sono foto di entrambi da cui traspare la tenera lealtà di Stanislao-figlio per Karol-padre, che di suo esprime un affetto intenso e pacato affetto per questo ragazzo venuto da uno sperduto villaggio polacco, Raba Wyzna, e incontrato sui campi di sci dei monti Carpazi. Solo nel rapporto complice tra padre e figlio si capisce la scena del backstage del Conclave. Wojtyla ha già indossato la veste bianca da pontefice, si è affacciato alla Loggia delle Benedizioni pronunciando il suo celebre «se sbaglio mi corriggerete» e ora sta cenando con i cardinali elettori ancora nel chiuso del conclave.
Stanislao viene ammesso dal cardinale segretario di Stato Villot e Wojtyla gli sussurra: «Li possino...! ». Anzi, sbaglia per attenersi alla grammatica italiana. «Li possano!», dice. Esplode qui il rapporto viscerale di Wojtyla con Roma, la sua storia, la sua parlata. Ancora da vecchio, si rivolgerà al sindaco Veltroni scherzando in romanesco: «Damose da fa´».
Di rivelazioni le memorie di Dziwisz sono piene. A cominciare da quando nel 1966 il giovane prete diventa segretario dell´arcivescovo Wojtyla. Dziwisz descrive le tensioni con le autorità comuniste nel corso dell´ascesa di Wojtyla come numero 2 della gerarchia cattolica in Polonia. Nel 1978, quando già il cardinale di Cracovia si era esposto denunciando a più riprese il regime in pubbliche cerimonie religiose, un funzionario comunista lo sottopone ad una meschina angheria al momento della sua partenza per Roma, dove parteciperà al Conclave. Al cardinale viene tolto inspiegabilmente il passaporto diplomatico e gliene viene dato uno turistico. «Vada, vada, poi faremo i conti», mormora minaccioso il funzionario.
Le cose andranno diversamente. I conti Giovanni Paolo II li farà a modo suo, terremotando la Polonia con il suo primo viaggio in patria nel 1979.
L´attentato di Alì Agca costituisce uno dei punti centrali del libro. Dziwisz non apporta la rivelazione definitiva, non dice cosa pensasse veramente papa Wojtyla sui mandanti. Mette però nero su bianco un´accusa. Tutto ciò che è successo - riflette Dziwisz - non porta forse «verso il Kgb?». Il segretario di Giovanni Paolo II esclude invece categoricamente che il Vaticano sia stato preavvertito dell´attentato. Chiama a testimoni i cardinali Casaroli e Silvestrini, all´epoca Segretario di Stato il primo e ministro degli Esteri vaticano il secondo, che gli avrebbero confermato che non vi fu nessun tipo di segnale mandato da uno stato estero al Vaticano.
Nessuno disse niente, afferma Dziwisz. D´altronde, aggiunge, nessuno poteva veramente immaginare che si volesse attentare alla vita del Papa.
Qui, però, si apre un grosso interrogativo perché l´ex capo dei servizi segreti francesi De Marenches ha scritto nelle sue memorie di aver mandato nel 1980 un suo emissario in Vaticano per avvertire il pontefice di un complotto.
È segno della grande attenzione di Wojtyla per le vicende degli «anni di piombo» in Italia la rivelazione che, tornato in sé dopo l´operazione di emergenza, Giovanni Paolo II esclamò: «Vittorio Bachelet». Quasi a suggerire che aveva rischiato di morire come il giurista cattolico ucciso dalle Brigate Rosse. Dziwisz conferma che solo dopo l´attentato il Papa, colpito dalla coincidenza della data del 13 maggio, cominciò a interessarsi del «terzo segreto» di Fatima.
Singolare è il retroscena della celebre riunione di Assisi, quando papa Wojtyla pregò per la pace con tutti i leader religiosi del mondo. L´idea gli venne da un progetto del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai nazisti, che aveva immaginato un´«assemblea delle Chiese cristiane contro la guerra». Ne aveva parlato al pontefice lo scienziato tedesco Carl Friedrich von Weizsaecker, fratello di un presidente della Repubblica federale.
Von Weizsaecker era anche «Friedensforscher», cioè studioso di problemi relativi alla pace, e Wojtyla era rimasto impressionato dalle sue argomentazioni. La sera dopo la grande preghiera, testimonia Dziwisz, Giovanni Paolo II era raggiante. Una giornata «straordinaria» esclamò il pontefice, per la preghiera congiunta e perché c´era stato un giorno di tregua nel mondo. Altrettanto impegnato il pontefice si mostrò per contrastare l´invasione americana in Iraq. Suo obiettivo - riuscito - era di «tener fuori il rapporto tra Islam e Cristianesimo» dalle vicende belliche.
Verrano poi i giorni drammatici della fine. Dziwisz rievoca i momenti drammatici tra il 23 e il 24 febbraio del 2005, quando il Papa «rischia l´asfissia» e lo riportano d´urgenza al Gemelli per una tracheotomia. E arriva l´ora fatale del trapasso nelle stanze vaticane. Poeticamente il fedele segretario racconta che suor Tobiana (una delle assistenti polacche del pontefice) «sente» che Wojtyla la cerca con lo sguardo. Allora la suora si china vicino alla sua bocca e Giovanni Paolo II sussurra in un soffio: «Lasciatemi andare dal padre». Commossi, i fedelissimi polacchi intorno al corpo ormai senza vita intonano il Te Deum. Un canto trionfale invece del Requiem.

(da "la repubblica" del 22 gennaio 2007)
26/01/2007 01:32
 
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Le ultime ore di Giovanni Paolo II raccontate dal suo Segretario

Alcuni estratti del volume “Una vita con Karol”, la straordinaria testimonianza del Cardinale Stanislaw Dziwisz, l’uomo che per vari decenni è stato l’ombra di Wojtyla.

Pubblicato dalla Rizzoli e dalla Libreria Editrice Vaticana, il volume di memorie dell’attuale Arcivescovo di Cracovia, è una lunga conversazione col giornalista Gian Franco Svidercoschi.

I passaggi sono estratti dal capitolo 35, “Lasciatemi andare dal Signore”.


* * *

2005. Karol Wojtyla è giunto alla fine del suo viaggio terreno. Così don Stanislao racconta il congedo finale.

( ... ) Erano le 21,37. Ci eravamo accorti che il Santo Padre aveva smesso di respirare. Ma solo in quel preciso momento «vedemmo» sul monitor che il suo grande cuore, dopo aver continuato a battere per qualche istante, si era fermato. Il dottor Buzzonetti si chinò su di lui e alzando appena lo sguardo mormorò: «È passato alla casa del Signore». Qualcuno intanto aveva bloccato le lancette dell'orologio su quell' ora. E noi, come se lo avessimo deciso tutti insieme, ci mettemmo a cantare il Te Deum. Non il Requiem, perché non era un lutto, ma il Te Deum, come ringraziamento a Dio per il dono che ci aveva dato, il dono della persona del Santo Padre, di Karol Wojtyla.

Piangevamo. Come si faceva a non piangere! Erano, insieme, lacrime di dolore e di gioia. E fu allora che si accesero tutte le luci della casa ... Poi, non ricordo più. Era come se fosse calato improvvisamente il buio. Il buio sopra di me, dentro di me. Sapevo bene quello che era successo, ma era come se, dopo, non riuscissi ad accettarlo. O non riuscissi a capirlo. Mi mettevo nelle mani del Signore, ma quando pensavo di avere il cuore sereno ripiombava il buio ... Finché è arrivato il momento del congedo. C'era tutta quella gente. Tutte quelle persone importanti venute da lontano. Ma, soprattutto, c'era il suo popolo. C'erano i suoi giovani. C'erano quelle scritte, così significative e così impazienti. In piazza San Pietro c'era una grande luce. E adesso era tornata anche dentro di me.

Concludendo l'omelia, il cardinale Ratzinger ha fatto quell' accenno alla finestra, e ha detto che lui stava sicuramente là, a vederci, a benedirci. Anch'io mi sono voltato, non ho potuto fare a meno di voltarmi, ma non ce l 'ho fatta a guardare in su. Alla fine, quando sono arrivati sul sagrato, i sediari che portavano la bara l'hanno lentamente girata. Come per permettergli l'ultimo sguardo verso la sua piazza. Il congedo definitivo dagli uomini, dal mondo.

Ma anche da me? No, da me no. In quel momento, non ho pensato a me. L'ho vissuto insieme con tutti gli altri. E tutti erano scossi, turbati. Ma per me è stata una cosa che non potrò mai dimenticare. Intanto, il corteo stava entrando in basilica, dovevano portare la bara giù nella tomba.

E allora, proprio allora, mi è venuto di pensare ... L'ho accompagnato per quasi quarant'anni, prima dodici a Cracovia, poi ventisette a Roma. Sono stato sempre con lui, accanto a lui. Ora, nel momento della morte, lui è andato da solo. L'ho sempre accompagnato, ma da qui è andato da solo. E questo fatto, di non averlo potuto accompagnare, mi ha colpito tanto. Sì, certo, lui non ci ha lasciati. Sentiamo la sua presenza, e anche le tante grazie ottenute tramite lui. E poi, io l 'ho accompagnato fino a questo punto della Chiesa. Ma, da qui, è andato da solo. E ora? Dall'altra parte, chi lo accompagna?
28/01/2007 17:01
 
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Un intervista con Gianfranco Svidercoschi ("coautore di Una Vita con Karol")
“Una vita con Karol”: parla Gianfranco Svidercoschi, coautore del libro

ROMA, domenica, 28 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Il 27 gennaio è stata presentata a Cracovia l’edizione polacca del libro “Una vita con Karol”, opera del Cardinale Stanislaw Dziwisz, già segretario di Giovanni Paolo II, e del giornalista italiano Gianfranco Svidercoschi.

In quell’occasione, Wlodzimierz Redzioch ha intervistato Svidercoschi per conto del settimanale cattolico polacco “Niedziela” (l’intervista sarà pubblicata sul numero 6 della rivista). Riportiamo il testo della conversazione in italiano con Wlodzimierz Redzioch.

Come mai il Card. Stanislaw Dziwisz ha deciso di scrivere con lei un libro su Karol Wojtyla?

Gianfranco Svidercoschi: Tutto è successo esattamente nel mese di giugno 2005, quando sono andato a Cracovia per la prima proiezione del film “Karol”, tratto dal mio libro “Karol, un uomo diventato Papa”. Sapendo che don Stanislao (lo chiamano ancora “don Stanislao” come ai tempi vaticani) doveva partire per Roma e non sarebbe stato presente alla proiezione, sono andato all’Arcivescovado per salutarlo. Avevo il grande onore d’incontrare il Card. Macharski e Dziwisz, due Arcivescovi di Cracovia insieme. Parlando con mia moglie Angela, il Card. Dziwisz ha detto: “Lei magari non lo sa, il Santo Padre voleva molto bene a suo marito”. E poi improvvisamente, guardandomi, ha aggiunto: “Se un giorno farò qualcosa, farò qualcosa con lui”. Era una frase che poteva significare “fare un libro”, ma poteva significare tutt’altra cosa: magari fare una gita sui monti Tatra. Sono tornato a Roma e ho pensato ad uno schema molto semplice che poteva servire da capitoli di un libro. Gli ho mandato la mia proposta che è stata approvata da lui. Allora ho cominciato a raccogliere delle notizie riguardanti ogni capitolo per avere uno “scenario” storico ed ecclesiale in rapporto a tutto quello che Lui poteva dirmi. Da subito ho individuato quali potevano essere i nostri ruoli, perché non si trattava della solita intervista. Volevo ripetere lo schema che ho sperimentato con Giovanni Paolo II scrivendo il libro “Dono e Mistero”. Allora il Papa mi ha suggerito che io dovevo fare il narratore e Lui il testimone. Con don Stanislao volevo fare la stessa cosa. Purtroppo, quando ho preparato una “traccia” più lunga di ogni capitolo, don Stanislao per un certo periodo non poteva fare più niente perché era troppo preso dai suoi impegni di arcivescovo di Cracovia. Finché in agosto, lo scorso anno, quando stava al mare, come gli ho suggerito, ha preso il registratore in mano ed a cominciato a registrare i suoi pensieri riguardanti soprattutto i primi 10 capitoli che riguardano il periodo di Cracovia. Dopo è cominciata la vera collaborazione: io andavo in Polonia per incontrarlo a Cracovia e a Varsavia, e quando lui veniva a Roma, andavo a trovarlo alla Casa dei Pellegrini Polacchi in via Cassia. Tante cose abbiamo fatto anche per telefono: io chiedevo qualcosa, lui consultava le sue agende e il giorno dopo mi dava la risposta. Certo materiale mi mandava anche per iscritto (il suo materiale veniva tradotto in italiano). In un certo momento ha cominciato ad aiutarci mons. Pawel Ptasznik, che serviva da coordinatore.

Ma Lei non ha ancora risposto alla mia domanda: come mai l’ex segretario di Giovanni Paolo II ha deciso di scrivere questo libro?

Gianfranco Svidercoschi: Come ho già detto, l’idea del libro è nata un po’ casualmente. Ma riflettendo bene, penso che il Card. Dziwisz volesse far conoscere meglio il Papa e condividere tutto quello che lui aveva vissuto in 40 anni. Ma nello stesso tempo per lui questo lavoro è stato un’occasione per continuare un colloquio spirituale con il Papa. In ogni caso non è un bilancio del pontificato.

Si sapeva che don Stanislao durante tutto il pontificato scriveva degli appunti. Perché allora non ha pubblicato una specie di diario?

Gianfranco Svidercoschi: Non si trattava di un vero diario. Lui faceva degli appunti sulle agende. Ogni giorno scriveva qualche cosa, ma spesso si trattava soltanto di brevi battute: una frase del discorso del Papa, qualche fatto particolare ecc.

Penso che don Stanislao non abbia deciso di pubblicare un diario perché ha ritenuto che farlo adesso, con il processo di beatificazione in corso, fosse prematuro e non fosse giusto.

Lei ha conosciuto bene sia Giovanni Paolo II, sia don Stanislao. Che cosa ha imparato di nuovo scrivendo questo libro?

Gianfranco Svidercoschi: Le persone che hanno già letto il libro mi dicono che da questo libro esce un’immagine diversa del Papa. In verità il Papa è uguale, perché non può essere diversamente trattandosi di una persona che si esponeva così tanto ai media, ma anche diverso perché la sua personalità è stata completata in molti suoi aspetti, decisioni e fatti finora sconosciuti. Do un esempio: si sapeva che il suo viaggio in Cile è stato strumentalizzato e che Pinochet l’aveva convinto a presentarsi insieme al balcone del palazzo. Ma don Stanislao ha aggiunto che Giovanni Paolo II è stato “costretto” ad affacciarsi al balcone e ha raccontato che il Papa in un successivo colloquio privato con Pinochet gli ha chiesto espressamente di mettersi da parte e di restituire il potere ai civili. Sono dettagli che illuminano bene la figura di Wojtyla.

Lei va in Polonia per presentare il suo libro in momento particolare per la Chiesa polacca. I mass media hanno scatenato intorno al “caso Wielgus” una campagna denigratoria contro la Chiesa martire polacca, la Chiesa “di Wojtyla” che viene presentata come la Chiesa “delle spie”, “dei traditori”. Lei, che conosce bene la storia della Polonia, cosa ne pensa di questa faccenda?

Gianfranco Svidercoschi: Il libro è stato pensato e scritto prima ed in un altro contesto ma il fatto che viene pubblicato adesso è qualche cosa di provvidenziale. Il libro racconta la vera realtà della Chiesa “di Wojtyla”, le sue sofferenze e le sue vittorie. Ma racconta anche i problemi della Chiesa polacca nel periodo dopo l’elezione del Card. Wojtyla: del colpo di stato di Jaruzelski e del difficile viaggio in Polonia nel 1983, quando il Papa di fronte alle pressioni dei dirigenti comunisti ha detto: se voi non mi fate parlare come voglio io, ritorno immediatamente in Italia. Quindi questo libro può essere un grande aiuto nel ristabilire la verità sulla Chiesa in Polonia che naturalmente ha avuto le sue mancanze e le sue debolezze.

Le racconto un fatto personale: il giorno prima dell’inizio ufficiale del pontificato, all’Ambasciata della Polonia a Roma c’era una conferenza stampa. Alla fine della conferenza io feci una domanda provocatoria al Ministro comunista Kakol dicendo: “Adesso che c’è un Papa polacco i Vescovi polacchi chiedono più democrazia”. Kakol si mise ad urlare: “Non c’è e non ci sarà mai la democrazia in Polonia”. Il giorno dopo pubblicai questa notizia sul mio giornale, “Il Tempo” di Roma. Il giorno seguente al ricevimento nell’ambasciata polacca il Card. Wyszynski incontrò Kakol e scherzando disse al ministro: “Signor ministro, io penso quasi quasi di non tornare più in Polonia, perché ho letto che non ci sarà mai la democrazia da noi”. Kakol rispose irritato: “Non è vero! Tutto falso. Ah, questo giornalista!” Il Card. Wyszynski gli rispose che mi conosceva da molti anni e che non potevo scrivere una cosa falsa. Allora il Ministro si avvicinò a Wyszynski e gli disse all’orecchio: “Mi hanno obbligato a dirlo”. In quei tempi si dicevano le menzogne tranquillamente, la menzogna copriva tutto. Chi sa che cosa c’è contro di me negli archivi dei servizi segreti polacchi!

Quali sono gli episodi del libro più commoventi per lei?

Gianfranco Svidercoschi: Sicuramente l’inizio del libro dove don Stanislao parla delle esitazioni che ha avuto prima di mettere il velo sul volto del Papa morto prima di chiudere la cassa.

Dopo, la ricostruzione che lui fa dell’attentato. Tutti conoscono la famosa immagine dell’attentato dove si vede il Papa ferito tra le braccia di don Stanislao che guarda a destra verso la piazza. Allora io gli ho chiesto cosa guardava in quel momento. E lui mi ha risposto: “Guardavo lì perché non volevo abbassare gli occhi e guardare il Papa ferito”. Come vede, questa scena, conosciuta da tutti, nei racconti di don Stanislao diventa diversa.

Un'altra parte toccante è il capitolo finale. Don Stanislao si ricordava tutto fino alla morte del Papa ma non si ricordava del funerale. Mi ripeteva: “Non ricordo niente, perché in quel momento è sceso il buio su di me”. Allora io gli consigliavo di chiudere gli occhi e di sforzarsi di tornare con la memoria a quei momenti. Ma non c’era niente da fare. Un certo lunedì, circa due mesi fa, prima della sua partenza per il pellegrinaggio a Gerusalemme, ci siamo sentiti per telefono e lui improvvisamente mi ha detto: “Ho chiuso gli occhi e mi sono ricordato che…” e mi ha dettato le ultime 30 righe, le più commoventi del libro.

[Modificato da @Andrea M.@ 28/01/2007 17.04]

15/02/2007 08:48
 
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CRACOVIA
Arrivano anche in Polonia le memorie del cardinale Stanislao Dziwisz. E, in un momento difficile per la Chiesa locale, rammentano l'opera di Giovanni Paolo II nei confronti dei regimi socialisti: dall'Urss alla Cina.«Negli anni in cui fu arcivescovo in patria, le autorità comuniste cercarono a lungo di ostacolarlo, ma i reiterati tentativi per gettare discordia in seno alla gerarchia e soprattutto tra lui e il metropolita Wyszynki fallirono»


Papa Wojtyla, il gigante che salvò l’Est

«Non è vero che Roma finanziò Solidarnosc, mentre tecnici polacchi esperti nel manipolare microfoni e tv collaborarono nel boicottaggio del Pontefice durante la sua visita in Nicaragua»
Di Franciszek Ziejka

«Un libro del tutto particolare, del quale siamo davvero riconoscenti all’autore». Con queste parole Franciszek Ziejka, già rettore dell’università Jagellonica di Cracovia dal 1999 al 2005, ha presentato il 27 gennaio scorso nella città polacca la traduzione del volume «Una vita con Karol», scritto dal cardinal Stanislaw Dziwisz in conversazione con il vaticanista Gianfranco Svidercoschi; in questa pagina proponiamo integralmente il suo intervento, che fa risaltare alcune della importanti novità contenute nel testo soprattutto dal punto di vista della storia della Polonia contemporanea. Intanto anche in Italia, dove il libro è pubblicato congiuntamente da Rizzoli e Libreria editrice vaticana (pagine 238, euro 17), l’opera dell’ex segretario di Giovanni Paolo II continua il suo successo editoriale: a meno di tre settimane dall’uscita in libreria, il volume è già alla terza ristampa per un totale di circa 50 mila copie.

Il libro del cardinal Stanislao Dziwisz Una vita con Karol è un libro insolito. Era atteso con impazienza. Ed è un bene che alla fine sia nato e pubblicato. È un libro che avrà certamente un vasto pubblico grazie al suo protagonista principale: Giovanni Paolo II. E questo è senza dubbio l'aspetto più rilevante. Ma penso che questo libro sarà molto interessante anche rispetto al suo autore, l'uomo che ha trascorso quarant'anni (oltre 12 anni a Cracovia e 27 in Vaticano) a fianco di Giovanni Paolo II, come suo segretario, collaboratore, confidente, e soprattutto come amico devoto in tutto. Su Giovanni Paolo II sono stati scritti molti libri e migliaia di saggi. Ma questo libro è del tutto particolare. È pieno dell'attrattiva propria di un autore di alto livello, ma da ogni sua frase trapela spesso un'atmosfera insolita, colma di misericordia, di grandezza e di autentica santità. Originario di Raba Wyzna, Stanislao Dziwisz è entrato nella storia quasi per caso. Dopo aver terminato gli studi di teologia e ricevuto l'ordinazion e sacerdotale dalle mani del vescovo Karol Wojtyla (nel 1963) divenne vicario a Makowie Podhalanski. Due anni dopo fu chiamato a Cracovia per proseguire gli studi teologici. Dodici mesi dopo, l'8 ottobre 1966, si sentì dire dal metropolita di Cracovia: «Vieni da me. Mi aiuterai». E così fu. Da allora la vita di Dziwisz divenne costantemente legata alla vita e all'attività del vescovo Wojtyla, poi del cardinale e infine del papa Giovanni Paolo II. Non sarebbe semplice elencare i motivi grazie ai quali il legame tra queste due persone sia durato così a lungo. Probabilmente ci avvicineremo alla verità constatando che abbiamo a che fare qui con un caso particolare, quasi di carattere familiare: per il giovane sacerdote Dziwisz, che aveva perso il padre a 9 anni, monsignor Wojtyla divenne come un secondo padre. Wojtyla trovò poi in don Stanislao un figlio spirituale straordinario per la sua bontà, ma anche per la maturità; una persona su cui fare affidamento, che quando sorgeva qualche necessità particolare non era solo un segretario ma anche un amico, un confidente e alla fine un protettore. Tutto questo iniziò nel 1966 e durò per quasi quarant'anni! Ecco perché il libro scritto dal cardinal Dziwisz è tanto insolito. Una vita con Karol è impostato come una struttura ad anello. Si apre infatti con una prefazione intitolata «Quel velo sul suo volto…» e si chiude con il capitolo che riporta le ultime parole pronunciate da Giovanni Paolo II prima di morire: «Lasciatemi andare alla casa del Padre». Nella prefazione l'autore descrive l'istante dell'estremo commiato dal Pontefice defunto, e l'uso di coprirgli il volto con un velo bianco (un rituale che risale ai primi tempi del cristianesimo e fu recuperato e riportato in uso proprio da Giovanni Paolo II), e alla fine ricorda la storia della malattia di Giovanni Paolo II, in particolare gli ultimi giorni e le ultime ore di vita del Papa, in quel sussurro affidato a suor Tobiana: «Lasciatemi andare alla casa del Pad re».

Il racconto è opera di due autori. Uno è il narratore (Gian Franco Svidercoschi), che ha il compito di richiamare i fatti della vita di Karol Wojtyla e Stanislao Dziwisz, ma anche della storia della Polonia, dell'Europa e del mondo. L'altro autore è lo stesso Dziwisz, che chiarisce molte questioni che hanno destato a suo tempo controversie, corregge giudizi che circolavano su Giovanni Paolo II, raccontando quali fossero le intenzioni del Papa rispetto a determinate questioni. Accanto a questi problemi gravi e importanti si occupa pure di questioni di minore portata, ma non meno affascinanti: conduce il lettore nel cuore della vita «domestica» del Papa, parla delle sue occupazioni quotidiane, dei suoi piatti preferiti, delle escursioni in incognito sugli sci, ma anche - cosa più significativa - della sua idea di sacerdote cattolico (vale la pena ricordare qui la commovente risposta di monsignor Dziwisz sul modo in cui Karol Wojtyla si preparava a celebrare la Santa Messa, o anche sul suo modo di pregare). Nella prima parte ci vengono date diverse importanti informazioni sugli ostacoli posti al metropolita di Cracovia da parte delle autorità comuniste nell'arco di ben 12 anni. Dziwisz ricorda tra l'altro le parole pronunciate in occasione della festa del Corpus Domini nel 1966 a Cracovia, quando l'arcivescovo Wojtyla si sentì in dovere di intervenire a proposito della famosa lettera dell'episcopato polacco ai vescovi tedeschi, con trasparente allusione ai dirigenti comunisti: «Non saranno loro a farci fare i conti con la nostra coscienza, non saranno loro a insegnarci il patriottismo». Nel volume troviamo anche una serie di episodi inediti riguardanti il rapporto tra Wojtyla e Stefan Wyszynki; leggiamo tra l'altro del fallimento dei reiterati tentativi perpetrati dai comunisti per gettare discordia in seno alla gerarchia della Chiesa! Per i cittadini di Cracovia avranno certamente un valore particolare i fatti in genere poco noti legati alla lotta deg li abitanti di Nowa Huta per difendere la loro chiesa. L'attenzione principale dell'autore del libro si concentra tuttavia - come è naturale - sugli eventi del pontificato di Giovanni Paolo II. Dal libro emerge un ritratto pluridimensionale di Giovanni Paolo II. Non è una statua di marmo, ma il ritratto di un uomo che sa bene come deve comportarsi, quali misure prendere per introdurre nella vita della Chiesa le decisioni conciliari. E soprattutto per conservare la pace nel mondo. L'autore concentra l'attenzione sulle diverse iniziative di Giovanni Paolo II al fine di accompagnare il rinnovamento della Chiesa universale nello spirito delle decisioni conciliari. Scrive altresì dei suoi sforzi tesi a costruire l'unità dei cristiani.

Descrive le circostanze in cui il Santo Padre ha instaurato un dialogo con il giudaismo (scopriremo per esempio in che modo si è arrivati alla visita del Papa nella sinagoga di Roma, la prima mai compiuta nella storia della Chiesa). Il cardinale ricorda le iniziative di Giovanni Paolo II nel tentativo di incoraggiare i rappresentanti delle diverse religioni a lottare per la pace nel mondo (racconta i retroscena dell'incontro di Assisi), ma descrive anche gli sforzi del Santo Padre affinché Oscar Romero, l'arcivescovo del Salvador assassinato mentre celebrava la Messa, fosse riconosciuto come un martire del XX secolo. Un'autentica gioia per ogni lettore sono anche le parole del cardinal Dziwisz sul fascino che il Papa polacco provava per la figura di Madre Teresa di Calcutta. Non manca qui anche il racconto delle drammatiche visite di Giovanni Paolo II nel Messico anticlericale, nella Turchia musulmana, nelle regioni del Brasile afflitte da una tremenda povertà e anche nel Nicaragua dominato dal regime marxista sandinista (l'autore riporta tra l'altro la sorprendente notizia che all'organizzazione di una contestazione contro il Papa in quel Paese presero parte dei tecnici arrivati dalla Polonia, «esperti nel manipolare microfoni e dirette televisive»). L'autore ha dedicato molte pagine al tema dei rapporti tra Giovanni Paolo II e l'Urss. Scrive infatti dell'intollerante accanimento contro la religione e il cattolicesimo di Leonid Brežnev, ma anche della storica visita in Vaticano di Michail Gorbacev. Veniamo a conoscenza dei retroscena dei pellegrinaggi del Santo Padre in molti Paesi, tra i quali quello in Cecoslovacchia, Paese che gli si dimostrò molto ostile. L'autore ovviamente ha dato molto spazio al rapporto di Giovanni Paolo II con la sua patria. Oltre a parlare dei pellegrinaggi in Polonia (tra cui quello che aprì la strada ai cambiamenti dal 1979 in poi, ma anche quello che seppe incoraggiare lo spirito dei suoi compaesani nel 1983). Ma lasciando da parte questi temi, che i lettori stessi possono approfondire nelle pagine di questo volume, vale la pena di ricordare qui che il cardinal Dziwisz - ciò che più importa - non teme di informarci sulle reazioni del Santo Padre anche di fronte agli insuccessi. E tale fu certo il mancato progredire del dialogo con il Patriarca ortodosso di Mosca, Alessio II, che fu decisivo non soltanto per la mancata visita del Santo Padre in Russia, ma che determinò anche il rinvio a un lontano futuro della possibile riunificazione tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica. Un insuccesso analogo fu anche l'incomprensione da parte delle autorità cinesi del rapporto del Santo Padre con il popolo cinese (il cardinal Dziwisz riferisce che Giovanni Paolo II a un certo punto aveva cominciato a studiare il cinese, per essere in grado di pronunciare anche in quella lingua il messaggio augurale in occasione del Natale e della Pasqua). Un doloroso insuccesso fu anche l'incontro del Santo Padre con Ali Agca in prigione, la persona che gli aveva sparato per ucciderlo, e dal quale Giovanni Paolo II non sentì mai le parole: «Mi perdoni!», ma solo la domanda: «Perché lei non è morto?». In molti casi l'autore corregge i miti diffusi dagli ambienti ostili al Sant o Padre o dai mass media. Respinge decisamente il giudizio semplicistico di molti giornalisti occidentali, e anche di teologi, che accusavano il Santo Padre di conservatorismo (il cardinale scrive: «Quelle critiche partivano dal presupposto che un Papa che veniva dalla Polonia dovesse essere per forza così. Che assurde semplificazioni! Che giudizi sommari, offensivi!»). Altrove l'autore smentisce categoricamente che il Vaticano abbia appoggiato economicamente Solidarnosc, che pure era uno dei temi principali della propaganda contro il papato durante lo stato di guerra in Polonia.

Sulla base del suo famoso "diario" (che forse un giorno vedrà la luce?) monsignor Dziwisz racconta della visita del Santo Padre in Polonia nel 1983 e della minaccia di doverla interrompere a seguito dei tentativi da parte delle autorità polacche di vietare l'incontro tra il Papa e Lech Walesa. Non è possibile elencare tutte le vicende che vengono chiarite dalle parole del più stretto collaboratore del Papa polacco. Lasciamo al lettore di approfondire tutto ciò. Ora è il momento di chiedersi: alla luce di questo libro come si delinea la figura dell'autore, il cardinale Stanislao Dziwisz? Su di lui molto è già stato scritto. Non sempre chi scriveva di lui gli era favorevole. Non furono pochi coloro che per diversi motivi (non ultima l'invidia!) scagliarono contro di lui accuse strane e incomprensibili. Anche oggi non mancano persone pronte ad abbassarsi a qualsiasi indegnità solo per sminuire, per indebolire l'indiscussa autorevolezza del più stretto collaboratore di Giovanni Paolo II. E dunque come si delinea il ritratto di don Stanislao tratteggiato nelle pagine di questo volume? Colpisce subito l'incredibile discrezione dell'autore nel descrivere tutte le questioni riguardanti Giovanni Paolo II. Leggendo queste pagine ci convinciamo che don Dziwisz fin dall'inizio del suo servizio a fianco del vescovo Wojtyla aveva la consapevolezza di lavorare per un uomo santo. Sorprende l'enorme gam ma di problematiche su cui gettano luce le parole del cardinal Dziwisz. Leggendo le pagine che espongono la concezione di Giovanni Paolo II della Chiesa universale, seguendo assieme all'autore le diverse iniziative del Santo Padre tese non solo a realizzare il grande cambiamento nella Chiesa, ma anche la serie di tentativi da lui intrapresi per dare vita all'idea dell'ecumenismo, e infine quando leggiamo la reazione del Santo Padre di fronte alle grandi tragedie, che si tratti degli attacchi terroristici di Al Qaeda contro il World Trade Center oppure della ripresa della guerra in Iraq da parte degli americani, cominciamo a renderci conto che a parlarci non è semplicemente il segretario del Santo Padre, ma anche un autentico statista, un uomo che sa cogliere perfettamente come vanno le cose in questo mondo. Il cardinal Dziwisz non fa un mistero del fatto che queste conoscenze e capacità gli vengono dalla compagnia quotidiana con Giovanni Paolo II. Ma il lettore ha il diritto di credere che non solo il Maestro sia stato del tutto eccezionale, bensì anche che al Maestro sia capitato un bravo discepolo! Per queste pagine, come pure per l'intero volume, siamo davvero riconoscenti all'autore. E anche per le parole con cui conclude questo straordinario libro: «L'ho accompagnato per quasi quarant'anni […]. Sono stato sempre con lui, accanto a lui. Ora, nel momento della morte, lui è andato da solo. L'ho sempre accompagnato, ma da qui è andato da solo. E questo fatto, di non averlo potuto accompagnare, mi ha colpito tanto. Sì, certo, lui non ci ha lasciati. Sentiamo la sua presenza, e anche le tante grazie ottenute per suo tramite. E poi, io l'ho accompagnato fino a questo punto della Chiesa. Ma, da qui, è andato da solo. E ora? Dall'altra parte, chi lo accompagna?».
(traduzione di Daria Rescaldani)

(da "avvenire" del 14 febbraio 2007)
06/03/2007 20:30
 
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L'ultima spinta di Zizola, sul «Sole»
Da Avvenire di oggi

L'ultima spinta di Zizola, sul «Sole»

La campagna anti-Wojtyla Una denigrazione indegna

Luigi Geninazzi

Se avete un ricordo commovente o un aneddoto curioso riguardante Giovanni Paolo II, e se per caso osate raccontarlo o addirittura scriverlo, beh, state molto attenti. Potreste incorrere nel reato di «apologia del pontificato wojtyliano» e subire una delle pene letterarie più sconcertanti, vale a dire la recensione critica di Giancarlo Zizola, il vaticanista del Sole 24 ore noto per avere l'orologio fermo agli anni Sessanta.
Domenica si è seduto in cattedra e dall'alto della sua tribuna padronale ha bacchettato il cardinale Dziwisz per il recente libro di memorie su Karol Wojtyla, accusandolo di «rivendicare unilateralmente la mens autentica del Pontefice». Insomma, don Stanislao vorrebbe imporre una sua verità «apodittica», che «non ha altre fonti che se stesso e quindi va presa con le molle». Una sua verità? L'ex segretario del Papa rivela particolari inediti restando nell'ombra e confermando la sua tipica discrezione nel parlare di colui che gli è stato padre e maestro. Ci vuole una massiccia dose di malizia per scorgervi un intento manipolatorio.
La colpa del cardinale Dziwisz sarebbe quella di non «aver fatto luce sugli aspetti incerti di un governo ecclesiale che in oltre un quarto di secolo ha solidificato paradigmi di governo papale eccelsi ma anche parziali di non facile riequilibrio». Ma qui l'unica cosa incerta e di non facile riequilibrio è la prosa di Zizola, a conferma che quando uno non riesce ad esprimersi in modo chiaro è forse perché ha le idee confuse. Non è una novità, sono anni che in modo sempre più tortuoso Giancarlo Zizola critica «l'assolutismo regale di Wojtyla». È una sua libera e discutibile opinione. Ma pretendere che Dziwisz la pensi allo stesso modo non è un po' troppo? Quel che più colpisce nelle parole del recensore della domenica è il tono sprezzante e offensivo. Per lui sono tutte «favole» quelle raccontate da don Stanislao. Un «mito» quello della perfetta intesa tra il cardinale Wojtyla ed il cardinale Wyszynski (erano così nem ici che quando al Conclave dell'ottobre 1978 si stava profilando l'elezione a Pontefice dell'arcivescovo di Cracovia fu il primate di Varsavia a spingerlo ad accettare, con quella frase profetica: «devi introdurre la Chiesa nel Terzo millennio»). «Non accettabili le affermazioni sull'adesione del wojtylismo al Vaticano II», sentenzia in burocratese (wojtylismo? Questa sì che è una zizolata). Ma se perfino nel suo testamento Giovanni Paolo II si è sentito in dovere d'invitare le nuove generazioni a portare a compimento il Concilio!
E che dire dell'ipotesi avanzata dal cardinale Dziwisz secondo cui l'attentato al Papa è stato organizzato dal Kgb? Ci hanno lavorato giudici e storici, vi hanno scritto su decine di libri, ci sono sospetti fondati anche se non provati. Vi alluse lo stesso Pontefice che nel suo ultimo libro "Memoria e identità" parla esplicitamente di un mandante che ha armato la mano di Alì Agca, definendo l'attentato «una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo». Ma per Zizola si tratta di «insinuazioni ideologiche abusate e perfino banali».
Ammettiamolo, questa volta la frase gli è venuta bene. Perché non è un'accusa, ma un involontario autoritratto.
10/03/2007 15:21
 
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INCONTRI
Colloquio con il cardinale Dziwisz, per quarant'anni segretario di Giovanni Paolo II

La fede e la piazza


di maria antonietta calabrò

Padre Stanislao: sotto la guida di Wojtyla i cristiani hanno riscoperto la loro identità

«Io — dice — sono un piccolo uomo sfiorato dal mistero». Il cardinale Stanislao Dziwisz è stato, per quarant'anni, accanto a Papa Wojtyla. Come segretario, come collaboratore, come discepolo, e lo è ancora oggi come testimone. Ha scritto un libro, Una vita con Karol (Rizzoli), che ha già venduto un milione di copie in Polonia. Qui in Italia è ai vertici della classifica e traduzioni, naturalmente, sono uscite o stanno per uscire in tutto il mondo. «Vede quelle palme — dice il cardinale in questa intervista esclusiva — sono sei magnifiche palme, grandi, fiorenti, vive, furono piantate nell'ottobre del 1978, il giorno stesso dell'elezione al soglio pontificio, nel giardino di questa casa dei polacchi a Roma. Vede come sono belle?». Continua: «Sono come i giovani che erano la sua speranza. Ho appena visto il Papa Benedetto XVI, l'ho ringraziato per averci dato un giovane arcivescovo di Varsavia. Adesso tutta la Polonia è felice».
E come li ha cambiati, i giovani, Wojtyla?
«Prima i giovani avevano il complesso di essere cristiani. Giovanni Paolo II ha liberato le piazze, in Italia e nel mondo. Mi ricordo all'inizio del pontificato qui in Italia il Papa doveva andare a Padova, doveva andare a Torino e c'era tanta paura. A Torino c'era tanta violenza, c'era il terrorismo, c'erano le gambizzazioni. Si diceva: "Non è possibile uscire sulla piazza con la celebrazione". Il Papa invece diceva: "Noi non possiamo lasciare le piazze solo agli altri, l'Italia è cristiana, appartengono a noi". Mi ricordo che cosa diceva sempre il cardinale Ballestrero: che dopo quel viaggio, non è più capitato un episodio di violenza. Wojtyla ha recuperato le piazze: all'inizio c'erano delle contestazioni, c'era paura. "Non abbiate paura", è stato il messaggio fondamentale del pontificato di Giovanni Paolo II dall'inizio alla fine. "Non abbiate paura". Lo stesso è accaduto in Polonia, a Praga, e anche in Cile e a Cuba. La gente che prima era timorosa ha smesso di esserlo. Tutti i dittatori governano con la paura, il Papa liberava la gente dalla paura. Perché era forte della sua fede e del suo Dio. E in tutti i Paesi la situazione, dopo i suoi viaggi, non era più la stessa. Anche a Cuba. Per la prima volta lui è uscito sulla piazza per la messa e io ho visto Fidel Castro abbracciarsi con le suore al momento dello scambio della pace».
C'è un grande dibattito in Italia, in Europa e negli Stati Uniti sul cosiddetto spazio pubblico della religione. Lei cosa pensa al riguardo?
«Che la religione debba avere uno spazio pubblico non è una rivendicazione del passato, valida solo per i vecchi regimi comunisti, prima della caduta del Muro, questo vale anche in Occidente e adesso. Altrimenti c'è la riduzione della fede a una religione delle sacrestie. La religione invece è un fatto culturale e può e deve essere insegnata. E se si impara bene, si vive anche meglio. La forza della Chiesa polacca è nella educazione che, grazie al nostro Concordato con lo Stato, viene effettuata nelle scuole di ogni ordine e grado. Si insegna non una religione qualsiasi, ma il catechismo della Chiesa cattolica. In Polonia ormai c'è una "generazione Giovanni Paolo II", un'intera generazione che ha preso su di sé l'impegno di quello che ha lasciato il Papa: crescono gruppi, associazioni che vogliono approfondire il suo messaggio.
Quella che era una speranza del Papa forse si realizza oggi in modo più maturo di prima. Per questo sono molto fiducioso».
Papa Ratzinger è stato molto chiaro e fermo sui temi eticamente sensibili per cui si propongono nuove leggi in Italia: sulle convivenze omosessuali, sulla fecondazione assistita, sull'aborto, sull'eutanasia. Giovanni Paolo II avrebbe fatto come lui?
«Wojtyla avrebbe certamente fatto come Ratzinger. Era per la vita, profondamente per la vita e per la famiglia. E per la dignità della donna, anzi, il genio della donna. Quando Wojtyla è diventato Papa, l'aborto era considerato una cosa da niente, era banalizzato. Adesso tutti sanno che questo è delitto perché contro una persona umana. Se ne parla più seriamente anche a livello internazionale. Wojtyla ha difeso sempre la vita: dal suo inizio fino alla fine. Bisogna dire chiaramente che questa non è questione di fede, ma di una legge di natura. Anche se oggi si afferma persino che la legge naturale non esiste. Lo stesso vale per la famiglia, formata dall'unione di un uomo e di una donna che si donano per avere figli».
Il cardinale Camillo Ruini ha appena lasciato la guida della Conferenza episcopale italiana: perché Wojtyla scelse proprio lui?
«Tra loro c'era grande fiducia e collaborazione perfetta come anche con il cardinale Poletti, che aveva rivestito l'incarico ancora prima. Giovanni Paolo II ha avuto dei grandi vicari nella capitale. Il Papa poteva stare tranquillo per la sua diocesi, perché sottolineava sempre che lui era Papa in quanto vescovo di Roma. Scelse Ruini, anche come presidente della Cei, perché aveva giudicato che era il migliore di tutti. Certo non poteva scegliere il più debole, no? E si è visto, con il tempo, che non ha sbagliato ».
Benedetto XVI parla di Giovanni Paolo II sempre come «il mio amato predecessore». Colpisce la connotazione affettiva contenuta in questa definizione. Non si era mai visto un rapporto così significativo tra due pontefici...
«Il loro è sempre stato un rapporto molto stretto, sin dall'inizio. Quando è venuto a Roma, il Papa ha voluto subito avere con sé Ratzinger. Grande teologo, e di enorme prestigio, lo poteva aiutare a risolvere i problemi che c'erano, a quell'epoca, con i teologi. Proprio attraverso questo grande teologo Wojtyla poteva dialogare con il mondo dei teologi, soprattutto tedeschi. Ratzinger non lo potevano contestare, perché li superava tutti. L'affetto di Ratzinger è ricambiato da quello dei polacchi per lui: ciò è testimoniato dal fatto che proprio nella città di Wojtyla, a Cracovia, quando è venuto in visita, Benedetto XVI è stato accolto anche meglio dello stesso Giovanni Paolo II».
Il prossimo 2 aprile, secondo anniversario della morte, si chiude la fase diocesana del processo di beatificazione. Cosa succederà dopo?
«Adesso la parola passa alla Curia, cioè a Roma. Io non ho fretta, non ho fretta assolutamente. Giuridicamente la beatificazione consente solo un culto e una devozione di tipo locale, soltanto, appunto, nella diocesi di Cracovia. In questo forse c'è una contraddizione, perché lui ha superato tutte le barriere, appartiene a tutto il mondo. Certo è possibile "saltare" la beatificazione e iniziare subito il processo per farlo santo. Ma questo dipende dal Santo Padre. Per molto tempo il processo di beatificazione non è esistito, c'era solo la canonizzazione. La beatificazione è una regola giuridica. Il Santo Padre può decidere diversamente. La canonizzazione è molto diversa dal punto di vista teologico: la dichiarazione della santità è prerogativa solo del Papa, in questo il Santo Padre non può essere sostituito da nessuno, perché quella dichiarazione è legata alla sua infallibilità».
Si parla molto dei miracoli di Wojtyla...
«Farò un esempio. Voglio ricordare quando benedisse il cielo a Toronto. Era durante la Giornata mondiale della gioventù del 2002. Un generale della sicurezza era molto preoccupato perché stava per scatenarsi una vera e propria tempesta e nella spianata, dove c'erano centinaia di migliaia di ragazzi, si trovavano molti piloni dell'alta tensione, con grave rischio per l'incolumità dei giovani nel caso si fossero scaricati dei fulmini.
Ebbene, proprio perché temeva una tragedia, quel generale chiese al Papa: "Santità, benedica il cielo affinché non succeda niente". Lui tracciò nell'aria una grande croce: a poco a poco la tempesta si allontanò e arrivò persino il sole. Lei non può immaginare lo stupore di quel generale, che non sapeva rendersi conto di come era potuto accadere».
Di recente è esploso il caso dei sacerdoti e dei vescovi polacchi spie delle autorità comuniste, lei pensa a un complotto?
«Il caso delle spie è stato costruito ad arte. È falso che persone che stavano vicino al Papa fossero spie: questo è solo un argomento che vogliono usare contro la sua santità. Poiché allora ci si chiede: "Perché non le ha cacciate?". È un'ombra sulla sua capacità di governo. Le cattiverie ci saranno sempre. È una battaglia per bloccare la santificazione: le prime notizie sono comparse due giorni dopo la sua morte. Nella mia diocesi ho chiesto di farsi avanti a chi voleva denunciare qualcosa. Non si è presentato nessuno. Perché avviene questo? Perché c'è Satana, c'è lo zampino di Satana. La battaglia tra il Bene e il Male continua sempre».

corriere della sera 10 marzo 2007

21/03/2007 14:24
 
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Sulla causa di beatificazione di Papa Giovanni Paolo II
Rivelazioni del postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 20 marzo 2007 (ZENIT.org).- Monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II, ha annunciato che lunedì 2 aprile, secondo anniversario della morte del Pontefice, si concluderà la prima tappa del suo processo di beatificazione.

In un comunicato stampa di questo martedì si legge che monsignor Oder, incontrando alcuni giornalisti in merito alla chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio Giovanni Paolo II, ha dichiarato che la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana avrà luogo nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

Il materiale raccolto dal Tribunale sarà consegnato alla Congregazione per le Cause dei Santi. Si tratta, spiega il testo, delle dichiarazioni dei testimoni proposti dal Postulatore e dei testimoni citati d’ufficio per iniziativa del Tribunale stesso. Alla Congregazione saranno trasmessi, oltre a questo, documenti allegati alla relazione della Commissione Storica.

Le testimonianze “contengono prevalentemente opinioni sulla santità del candidato oppure riguardano le grazie che le persone ritengono d’aver ricevuto per intercessione del Servo di Dio – prosegue il comunicato –. Si tratta di varie grazie materiali e spirituali”.

Monsignor Oder ha specificato che “non è possibile determinare la data della beatificazione, né tanto meno della canonizzazione”. Non è infatti compito del Postulatore “fare ipotesi sulla possibilità di modificare il tradizionale iter del processo canonico sancito dalla prassi della Congregazione per le Cause dei Santi”.

“Il tempo del Processo costituisce un momento prezioso per la Chiesa. E’ importante viverlo come tempo opportuno per conoscere meglio la vita, l’insegnamento e il messaggio spirituale del Servo di Dio”.

Per poter chiudere l’iter previsto per la beatificazione è richiesto un miracolo. Venerdì prossimo, 23 marzo, si chiuderà il Processo “Super Miro” – presunto miracolo post mortem – nel caso della religiosa francese affetta dal morbo di Parkinson.

“La presenza della voce contraria nel processo – ricorda il comunicato – non è altro che un fatto evangelico. Gesù stesso disse ‘Beati voi quando diranno ogni sorta del male contro di voi...’”.

Per questo, “non deve stupire l’esistenza di voci che non si pongono in linea con la prevalente opinione circa la santità del Servo di Dio. La figura del Papa è ricca. Egli è stato presente nella vita della Chiesa e nella storia per tanto tempo. Sono comprensibili, dunque, le varie reazioni delle persone nei suoi confronti”.

“Il Cardinale Vicario nel suo editto ha chiamato tutti coloro che hanno interesse a portare a conoscenza della Postulazione il materiale che riguarda il processo – conclude il comunicato –. Per quanto consta al Postulatore, il Delegato Episcopale che ha svolto l’inchiesta ha preso in considerazione l’opportunità di convocare d’ufficio le persone che esprimono dubbi circa il processo”.
21/03/2007 18:12
 
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PER RICORDARE KAROL
JOSEPHINE

"OMNIA POSSUNT IN EO QUI ME CONFORTAT"
27/03/2007 21:14
 
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"Annunceremo il miracolo di Giovanni Paolo II nella Domenica delle Palme"

CITTA’ DEL VATICANO – Verranno resi noti ufficialmente e pubblicamente la prossima Domenica delle Palme, 1° aprile, tutti i dettagli relativi al “miracolo” della guarigione di una suora francese relativo alla causa di beatificazione di Giovanni Paolo II. È quanto ha detto questa mattina Monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione di Karol Wojtyla, intervenendo ad una conferenza stampa svoltasi al Vicariato di Roma. I verbali dell’udienza relativa al miracolo sono stati infatti secretati dal vescovo francese alla cui diocesi appartiene la religiosa guarita “miracolosamente” dal morbo di Parkinson per intercessione dell’indimenticabile Papa polacco. Il prossimo 2 aprile si chiuderà a Roma la fase diocesana della beatificazione con una cerimonia nella basilica di San Giovanni in Laterano. Subito dopo, la pratica della causa passerà alla Congregazione per le cause dei Santi. Fino ad ora, comunque, nel corso del procedimento sono stati ascoltati circa 130 testimoni, molte le segnalazioni di miracoli, fra queste spiccano diversi casi di “annunci” di guarigione dal cancro. Altre persone hanno dichiarato che è stata ottenuta la grazia della maternità e della paternità.



"Shemà Israel,Adonai elohenu,Adonai ehad"

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