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Togliersi la vita è prerogativa di Dio o una libertà dell'uomo?

Ultimo Aggiornamento: 30/11/2007 11:59
28/12/2006 11:23
 
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La Chiesa presa di mira per i funerali negati
Quasi sempre è madre Qualche volta maestra
di Paola Ricci Sindoni

Non conviene mai fidarsi, anche da credenti, delle proprie reazioni immediate quando si è in piena tempesta emotiva, enfatizzata - è il caso di Welby - da una massacrante campagna massmediatica e da un'indegna strumentalizzazione politica. Da notare che uno dei risultati indiretti ma ormai noti di queste campagne mediatiche è proprio il pesante condizionamento del senso critico e dell'autonomia nelle valutazioni personali. Bisogna allora ragionare con pacatezza, soprattutto per comprendere le motivazioni che hanno indotto la Chiesa di Roma a non concedere i funerali religiosi per Welby.
Una prima osservazione d'obbligo: è scorretto giuridicamente ed eticamente far leva su di un singolo caso - come hanno fatto i Radicali - per imporre all'opinione pubblica e alla classe politica la richiesta di risoluzione di un tema - l'eutanasia - di complessa valenza giuridica, dunque generale. È vero: questa prassi , spesso utilizzata da Pannella e compagni, non consente una equilibrata messa a punto delle molte implicazioni che tale questione bioetica comporta. Ma, attenzione, non è solo il grande problema dell'eutanasia a rischiare di essere inquinato, è anche il caso di partenza, quello concreto del povero Welby, che per quanto ammantato di pietas risente di tutta la strumentalizzazione che gli è stata riversata addosso.
Che cosa significa, allora, dopo tanto clamore e dopo le ripetute dichiarazioni fatte dal protagonista, acconsentire ai funerali religiosi? Forse approvare la lunga strumentalizzazione che era stata fatta? Anche in quel caso ci sarebbe stato un problema d'immagine per la Chiesa, fosse pure quella di chi accetta una cappellania rituale, a orpello di manovre ad essa esterne ed estranee.
È questa - si può supporre - una delle ragioni che potrebbe aver indotto la Chiesa a fare un passo indietro: accettare il "caso" singolo avrebbe significato esporsi alla strumentalizzazione politica di quanti ne avrebbero visto una forma di cedimento di fronte alla chiarezza del dettato cristiano: la vita è indisponibile, non si tocca.
Questo non ha significato certamente - come da più parti si è pur obiettato - negare un atto di misericordia a Welby, se è vero che in molte chiese, compresa la sua parrocchia, si è esplicitamente inserito il suo dramma nella preghiera dei fedeli, chiedendo a Dio la misericordia e consolazione per i familiari.
La Chiesa è mater et magistra, molte volte madre accogliente e premurosa, qualche volte maestra, che non significa giustiziera, ma educatrice che dice la verità, anche quando questa è dura e scomoda. Nello scegliere la strada rischiosa e impopolare che poi è stata opzionata, si è certo evocato il gesto del rifiuto, non tanto però verso chi è già nelle braccia misericordiose del Padre, ma per quanti, attorno a quel morto, avevano soffiato e soffiano sul fuoco della polemica, pretendendo un diritto - quello di gestire la vita a proprio piacimento - che i credenti non possono accettare, pena la perdita della verità della vita, che è indisponibile perché sempre donata.
Come a Natale ha detto Benedetto XVI, non si può cambiare ambiguamente la vita con la morte; non si può reclamare pretestuosamente un diritto alla vita quando c'è stata morte voluta, decisa, programmata. Non c'è dubbio quindi che la Chiesa continua ad essere madre e che ogni credente percorrerà, insieme ai pastori, la via della misericordia, portando ai piedi del Bambino le proprie pene, ma anche il calvario di Welby con il suo terribile epilogo.
Ora si apre per la politica la via della riflessione e dell'oggettiva valutazione del problema bioetico dell'eutanasia, una volta attenuato il pathos del caso particolare. Ogni legislazione, per essere equa, non può essere sottoposta all'urto violento delle emozioni, ma deve fare spazio alla ragionevolezza dei tanti malati gravi ospedalizzati, che senza telecamere attendono, per esempio, risposte certe sulle cure palliative e contro l'accanimento terapeutico. Anche questo eviterà il ripeter si di future, angosciose strumentalizzazioni.

(da "avvenire" del 27 dicembre 2006)

personalmente ho percepito tanta solidarieta', tanto affetto, tanta comprensione, nei confronti di welby da parte di laici ma soprattutto da parte dei sacerdoti.
purtroppo, pero', la strumentalizzazione del caso singolo ha messo la chiesa all'angolo. essa non poteva disporre diversamente, nonostante il travaglio interiore.
e' vero: la chiesa e' sempre madre, ma, a volte, deve saper essere maestra di vita. celebrare i funerali di welby poteva essere interpretato come una giustificazione del suo gesto o, peggio, della strumentalizzazione del caso.
non c'era altra scelta ma la colpa non e' della chiesa, bensi' di chi si e' servito di welby, della sua famiglia e della sofferenza in cui essi versavano...

[Modificato da ratzi.lella 28/12/2006 11.27]

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