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Quale persona (uomo e donna)?
AteoConvinto, 16/05/2007 22.48:
voglio riassumere il mio pensiero, non argomentandolo, in poche parole! poi se ne nascerà una discussione interessante, ben felice di esprimere tutto quello che penso!
se vogliamo voglio radicare quanto sto per dire con un qualcosa di vecchio in quanto già ampiamente detto: voglio sostenere il libero arbitrio (lutero) e potenzialità dell'uomo come figura centrale di riferimento riguardo a quanto accade nel mondo (Rinascimento in senso lato).
beh io penso che ognuno abbia il diritto e il dovere di decidere di qualunque cosa riguardi la sua vita, senza che nessuno abbia il diritto di arrogarsene le prerogative. una persona vuole togliersi la vita per alleviare una sofferenza? ( se è accertato che è in pieno possesso delle proprie facoltà mentali) perchè impedirglielo? che diritti abbiamo noi di interferire con la vita di tale persona? e mi sbilancio ancora,
che diritto ha Dio per obbligarci a soffrire?
non credo che voi siate supporter di movimenti di autoflagellanti!
Sovente è davvero difficile esercitare l’arte dell’imparzialità!
Specie quando, si discute dei “propri” diritti e dei doveri “altrui” senza valutarli con lo stesso metro se s’inverte il binomio, doveri/diritti. Vale a dire: osservare bene i propri “doveri” senza eludere i “diritti” altrui. Di solito uguale squilibrio si avvera, quando si sminuisce la giustizia divina creduta non consona agli schemi umani (Epicuro - ”dio può e vuole, ma non s’interessa dell’uomo”), tanto da identificare Dio come l’archetipo dell’ingiustizia e l’uomo quale sua impotente vittima (Mt 20, 11-12). Ragionando così, gli arbitri imparziali lamentano solo il sopruso dei diritti umani da parte dell’inadempienza divina ai suoi doveri; e non anche viceversa: riconoscere a Dio i suoi giusti diritti – ammesso che l’Onnipotente rifiuti i diritti dell’uomo e abbia verso di lui dei doveri, se non eventualmente in virtù della sua Grazia! Tale deficienza di parzialità, se non fosse solo bella e vacua retorica, sembrerebbe la stereotipata smania di dover protestare sempre su qualsiasi questione. Invece, è l’irresistibile inclinazione a generare nuova acredine: essa dapprima attira con l’appetibile curiosità, riempita subito dopo col tedio di congetture capziose, seguite da polemiche petulanti – e quante, e quali disastri hanno combinato nel corso dei millenni! Alla fine, il risultato è di fare dei “diritti” e dei “doveri” umani uno zibaldone tenebroso, buono soltanto per potenziare l’egocentrismo che, già di suo schiavizza indistintamente l’animo d’ogni persona.
Come accennato, però, è noto che simile involuzione insita nel comportamento umano, è legata all’insipienza del pregiudizio da cui tutti sono condizionati.
Ne è succube anche il non-credente, e lui, in maniera del tutto particolare.
Egli, infatti, a differenza del metodico dubbioso o del credente che si crea l’idea di un deus ex machina, ha in più di lasciarsi manipolare dalla sua sviscerata avversione a Dio (intervista al Cardinale J.Ratzinger – "Una voce grida" marzo 1999, n°9). Questa sua immotivata inimicizia verso di Lui (Gv 1. 5; Ef 2, 14) la nasconde con le bautte del disinteresse a cercare Dio e della diffidenza ad ascoltarlo sul serio. Le sue sono facciate molto solide perché impastate con la cultura del sospetto: anzitutto un sotteso panico di dover rinunciare alle proprie scelte di vita anziché il soppesare con lungimiranza, le vere ragioni e le esigenze impegnative che il Signore chiede a quanti vogliano seguirlo (Lc 14, 26-27). Con la prima e più robusta maschera, dunque, quella tenuta sotto le altre e ben appiccicata sulla faccia incredula della sua dea ragione, il non-credente filtra la qualità dei rapporti interpersonali che anch’egli trattiene con il credente. È proprio quest’ultimo, infatti, che manifestando la sua testimonianza già solo con la propria presenza, gli crea “il problema” che, sempre al dire del non-credente, non esiste all’origine per lui: Dio, giustappunto!
Un segno chiaro dell’anomalia di cui ansima il non-credente si nota dall’agitazione d’alcuni di loro, quando entrano di saltuario in questo forum, pronti più che al confronto sincero, alle “polemiche petulanti” - di cui parlavo - se non di passare alle rivendicazioni, alle pretese esternate con insolenza o al peggio, perché arrabbiati con se stessi, alle varie forme d’offesa e di bestemmia.
Quanta “libertà” in più e quanto maggior “diritto” alla licenziosità dei costumi ci sarebbero per i pochissimi di costoro se i credenti non esistessero! E invece, per grazia e per fede, ci siamo sempre stati in ogni e in questa generazione, seppure con tutto il carico della nostra debolezza e del bisogno costante di conversione per conformarci all’uomo perfetto: il Cristo Gesù! Ecco allora spiegata in parte la ragione per cui, il non-credente più riottoso riversa la sua ostilità, non soltanto contro di coloro, che vantandosi d’esser credenti o cristiani, vivono purtroppo nella pusillanime incoerenza, ma anche e soprattutto contro i cattolici fedeli a Gesù e alla sua Santa Chiesa Cattolica. Così a sua autodifesa, il non-credente sfrutta le occasioni propizie e tenta di scaricare al principale “despota” onni-potente, accuse pretestuose, tra le quali il suo modo oppressivo e arbitrario d’intromettersi nelle faccende umane. Il “dio” che non c’è, pensa il non-credente, è oppressivo perché incalza sadicamente con il dolore accanito, portato fino all’esasperazione. Per altro verso, è arbitrario perché proprio su questo ha reso la creatura incapace di eliminare la propria sofferenza con le sole sue forze. Vuoi ora affidandosi ai palliativi della scienza medica, sennò in extremis, ritornare alle antichissime pratiche, con lo sperare soluzioni dalla nuova magia delle scienze neoesoteriche, da quelle raffinate a quelle più popolari, scaltre solo però - com’è sempre stato - ad occultare i quattrini e i beni dei creduloni e dei superstiziosi... che restano in ogni caso, sofferenti e perciò ancora più disperati.
Non è un caso che il ”Gott ist tot!” (F.Nietzsche - La gaia scienza - libro 3°, 108 ) ha invece disperso (Lc 1, 51) ancora una volta il superuomo con la sua illusoria volontà di potenza, nei meandri tormentosi della sua follia.
Quella dell’uomo autosufficiente è alla fine, un’incapacità da superare aspettando con rassegnazione la morte o di affrettarla, a causa della tribolazione insopportabile che la precede, col “suo” diritto ai vari modelli di suicidio. Insomma, l’uomo nonostante i traguardi della tecnologia, patisce tuttora incessantemente di una disarmante impotenza, identica e scandalosa quanto quella dei tempi remotissimi e sopportata, ad esempio, dal pio Giobbe:
”Satana… colpì Giobbe con una piaga maligna…Allora sua moglie - di Giobbe – disse: "Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!". Ma egli le rispose: "…Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?". [Gb 2, 3-10]
In ultima analisi, con la sua congenita non-potenza ogni uomo è da sempre costretto a convivere, durante il lento trascorrere della sua quotidianità che appunto, è sentita spesso insopportabile seppure in tempi e gradi diversi, poiché molto dolorosa o troppo lungamente sofferta. Tra l’altro egli è coartato dalla pressante conflittualità con se stesso ed è pressoché obbligato, anche nelle relazioni di necessità o nei chiarimenti con gli altri, alle regole del giustificazionismo, soggettivista e univoco. Ma in questo contraddittorio si avvera un discernimento per tutti gli uomini: per il fedele credente prima, per l’inappagabile dubbioso poi, e infine, per il convinto non-credente. La verifica, non è tanto sul perché l’uomo vive nella sofferenza o perché egli debba capire il significato del dolore. Questo semmai, viene dopo. È invece perché ognuno, per la parte personalissima che gli spetta, tocchi con la propria debolezza, la potenza della fede o del credo a cui si è affidato. Un’immagine di quest’inevitabile contrasto, ad esempio, si vede bene nelle risposte non date o in quelle domande che, in certa misura racchiudono già implicite risposte. Di certo, scimmiottare secondo gli opportunismi l’abile tattica socratica (non mi riferisco a te, AteoConvinto, anche perchè hai precisato di volere pure tu argomentare), assomiglia più al prodotto dell’indolenza piuttosto che all’effettiva dimestichezza di spiegare se stesso con intelligente razionalità e almeno con l’uso di informazioni attendibili. Ripeto: nondimeno però, certe domande/risposte esternate da alcuni, lasciano intravedere qualcosa di vago sui loro pareri, sui bisogni e sul malcontento di ciò che soffrono, - così come hai fatto indirettamente tu con i tuoi perspicaci quesiti.
Vedi che anch’io raccolgo volentieri l’invito rivolto a puntino da te con il tuo convinto ”sbilancio” allo smacco di Dio. D'altronde il tuo confutare è utile, anche se forse sottovaluti i canoni rispettati dalla teodicea. Spero così che, la discussione diventi esplicativa per noi e ancora proficua per altri navigatori. A tal proposito e per dirtela con molta franchezza: da questa tua temeraria domanda finale si evince la logica partorita direttamente dalla mente di Satana. Una logica che, prima è stata ascoltata sennonché accettata dai suoi predestinati iniziati. Sento, infatti – e non credo solo io – che è quantomeno fatuo il tuo dire, che: ”Dio obbliga a soffrire”; acciocché non fosse invece vanesia la sua Parola di vita.
Il serpente, ossia il più astuto degli esseri maligni, il Diavolo, colui che è alieno dalla verità ed è il sistematico negatore di Dio e che sa perfettamente quali sono le effettive capacità e dimensioni dell’uomo, essendo omicida e bugiardo dall’origine (Gv 8, 44) ha voluto traviare sin dall’inizio il senso più autentico e largo della libertà donata per grazia dal Creatore alla sua particolare creatura: l’Uomo, per l’appunto! Così, il Tentatore mentendo ad Eva e Adamo sul fine e conseguenze del comando divino a loro indirizzato, di non mangiare i frutti dell’albero del bene e del male per non provarne poi il danno della morte certa, insinuò:
"Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male" [Gn. 3, 4-5]
Dopo aver mangiato, gli occhi si aprirono subito e l’uomo vide la sua nudità, n’ebbe profonda vergogna mescolata soprattutto con la paura. Cominciò così il suo percorso di sofferenza verso la morte preannunciata. Cosicché, la morte immortale, passaggio ne l'etterno dolore (Dante – “D.C. Inferno canto III, 3”) e di cui appunto la sofferenza è il suo nutrimento perpetuo, è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (Sap 2, 24). Non dunque il libero arbitrio ha introdotto il disordine, la sofferenza e la nausea sartriana della vita, bensì l’agire dell’uomo con la misura della sua Superbia - madre del peccato che è il leit motiv del dolore patito e causato (Gn 3, 16-17).
Ma Dio vuole bene all’uomo e non vuole abbandonarlo nel suo peccato e nella morte dolorosa, perchè: “Dio è amore” [1Gv 4, 8b]. Egli istruisce per educare e manda ancora oggi i suoi profeti. Difatti, l’esatto opposto della disubbidienza umana è il fidarsi, lo sperare, il cercare e finalmente il trovare quelle certezze e gusto della vita conseguito dalla sincera apertura e dall’ascolto attento della Parola di Dio. Essa soltanto è buona per camminare nella conversione assidua con le virtù della propria Fede matura e Speranza operate nella Carità, per riceverne insegnamento al vivere integerrimo, pulito e, nello stesso tempo, l’adempimento delle promesse (“Shemà Israel”: Dt 30, 15-20).
Ora, una prima deduzione mi fa presente che, se si pretende sinceramente dagli altri il leale confronto e il merito reciproco delle convinzioni plausibili, è imprescindibile che ognuno non sia ambiguo con la propria onesta coscienza, ma la ascolti con l’ausilio della retta ragione. Ciò affinché, nel continuo evolversi del dialogo, ci siano possibili convergenze su ciò che non sarà più opinabile perchè ormai incontrovertibile, cosicché, si possano fare ulteriori reciproci passi per avere la visione più completa della persona e della realtà in cui essa è inserita. Questa è una correlazione vincolante anche se qualcuno, tra le sue diverse scusanti e pur non esulando dal timore del Signore (Sir 1, 16a), vive tuttavia il credo e/o la fede in maniera anonima, mai esplicitamente dichiarate o addirittura trascurate di proposito, magari a causa del pudore a non dover mostrare la propria incoerenza. Senz’altro però, anche queste ansie e disagi sono superabili, prima che col parlare della propria fede religiosa e/o del credo ideologico, con il disporre mente e cuore all’ascolto di quell’amor del vero che poi perfeziona fede e ragione della persona. La coscienza adamantina, quindi, sia del non-credente, che del credente, esige perciò da ambedue la corresponsabilità perlomeno disciplinata dai canoni delle ermeneutiche convenzionali e idonee alle varie branche sapienziali e conoscitive. In questo altresì, è indispensabile quanto proviene dal procedere della spiritualità; dall’effettivo assetto della propria razionalità e dalla lucidità dell’individuo. Con questi strumenti allora è possibile compararsi a vicenda e correggere o demolire i rozzi pressappochismi fatti con analisi sprovvedute e interpretazioni infondate che mirano solo a conclusioni opportunistiche. Sappiamo che ciò è realizzabile anche con il costante allenamento intellettuale associato allo studio critico dei testi classici riferiti all’articolato mondo dello scibile umano: religione, filosofia, mitologia, sociologia e quant’altro. Inoltre, specie per noi occidentali, è indiscutibile il contributo del cristianesimo sia per la sua rilevanza culturale, sia per l’influenza dei linguaggi tipici della sua fede. A cominciare dall’esegesi biblica, alle dottrine di dogmatica e morale; dalla confidenza con i diversi rami della teologia, alla riflessione della tradizione apostolica e della patristica, quindi, è dall’approfondimento della dottrina sociale della Chiesa cattolica, enunciati dal magistero dei pontefici, dei concili, dei sinodi, eccetera.
La persona, uomo e donna, è relazione e somma di spiritualità e corporeità.
Sono due aspetti per i quali l’uomo non può che compiersi nell’intrinseca unità di sarx pneuma e, nel suo rapportarsi con l“altro”. Il dialogo è anzitutto verticale con chi, superando l’uomo all’infinito, alita su di lui e imprime il segno che è inconfondibile fra le altre creature (Ap 7, 3); è con chi pronuncia la parola creatrice (davvero col “Nos” maiestatis di Padre Figlio Spirito!) e chiama ad entrare nella vita: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” [Gn 1, 26]. La relazione umana poi, è con chi, nella dimensione orizzontale, gli è identico in una sola carne (Gn 2, 24) pur nell’irrepetibilità che distingue ogni persona. Nell’ultima accezione, il carattere tangibile di “relazione” umana è la famiglia, proprio perché, essendo la coppia vincolata dall’amore dato e ricevuto – non nel senso traslato del do ut des -, si fonda per questo nel matrimonio indissolubile – quanto è improprio, infatti, l’uso dell’ossimoro: famiglia tradizionale! È sempre e solo la Famiglia ad essere istituzione sociale e garanzia della stessa, poiché costitutiva del rapporto tra persone, nell’originalità di due differenti interlocutori: il maschio e la femmina (Gn 2, 23-24a). È la famiglia, marito e moglie, che procrea e genera la Collettività, la Nazione. È ancora la famiglia che dà sovranità e continuità allo Stato; e non il contrario. Non è la sana laicità dello Stato sovrano – tantomeno il laicismo! - a creare la famiglia, poiché essa esiste già per sé in natura. Il laicismo dello Stato laico, semmai, emula la famiglia riconoscendo altre forme di aggregazione più o meno irregolari, o peggio, la falsifica istituzionalizzando convivenze innaturali; il laicismo toglie integrità alla famiglia, le ruba dignità, mina l’identità delle persone che la compongono e sgretola la solidità della comunità civile, anzi, demotiva il fondamento per cui lo Stato sovrano stesso esiste.
È perciò micidiale spaccare e non promuovere le due unità della persona, distinte ma inseparabili: la comunione nella relazione e, simultaneamente, la complementarietà del soffio vitale, con la sostanza fisica. La storia ha dimostrato, e continua a farlo, che i due dinamismi devono svilupparsi e camminare insieme. Per l’uomo allora, è imperativo approfondire e mantenere saldo l’equilibrio della sua identità, nella misura in cui è aperto a quanto lo trascende e non solo a ciò che è chiuso nel suo immanente o palpabile solo con i suoi sensi fisici (Paolo VI – ”Populorum Progressio”, 42). Egli è fatto di materialità, tuttavia, di quella tangibilità proiettata avanti, oltre l’immediato comprensibile. Ciò nonostante, l’uomo ha anzitutto bisogno di toccare l’infinito, di eternare l’effimero, di stare nell’immortalità, in quelle dimensioni percepite ma tuttora ignote e ancora inafferrabili. Tanti sono i “segni” eclatanti, oltre alla “famiglia”, dai quali l’uomo può percepire il Mistero di cui è parte e che, contemporaneamente lo sovrasta: la purissima innocenza del bambino e della bambina, l’innamorarsi, il sentire, pur nel carpe diem, l’essenza dell’essere quando ci si ferma negli occhi belli della donna; o nel fascino virile del viso e del portamento dell’uomo (questo, me lo disse me morosa! Eh). È la vastità dell’universo e i suoi segreti, l’armonia della matematica con le sue immutabili leggi; è la paura che incute la tenebra, e la gioia che infonde la luce. È la maestà della tigre, la mansuetudine dell’elefante, la possanza mastodontica della balena, la dolcezza di un’ape, la robustezza della quercia, la delicatezza di un semplice fiorellino, eccetera. Segni inconfondibili lo sono – anche quando sono soffocati o rimossi - l’innata religiosità umana, il rispetto al sacro, il genuino timore verso un Dio ancora sconosciuto ma cercato nelle vie non sempre facili della verità (Rm 1, 19-20). Da qui pertanto la necessità che le molteplici dottrine metafisiche e le scienze esatte incedano con scambievole consonanza e ferma autorevolezza mantenendo le loro peculiarità. È vitale che sia una diade coordinata affinché, nella ricerca e comprensione, possa gradualmente dischiudersi l’arcano dell’essere e dell’esistere. Così le une in prospettiva escatologica garantiscono le giuste etiche e morali necessarie ora per i bisogni spirituali della persona al fine ultimo e specifico della soteriologia. Le altre in direzione esistenziale elaborano i sistemi ideologici ottimali e le prassi politiche adatte e conciliabili adesso con i bisogni materiali della medesima persona, per la sua immediata emancipazione e l’autentico progresso sociale.
È dall’efficacia di questa metodologia che sorge perciò spontanea la lode e il grazie verso gli affermati maestri del sapere - conosciuti e no, non-credenti e si. Sono costoro i luminari che già per indole all’onestà spirituale e intellettuale, mettono scienza e mistica al servizio del loro incondizionato “si” alla verità. Essa bussa e presto li raggiunge; a loro si rivela immantinente con dolcezza e amore incontenibile. È Verità scoperta e liberante, che non s’allinea mai con il dubbio insidioso (Gn 3,1), con la cultura della trasvalutazione dei valori, ma che è critica oggettiva e condivisa da tutti per il ricupero e il rinnovamento dei candidi, cristallini, limpidi, lucenti principi. L’ossequio poi diviene meraviglia strabiliante, quando questo percorso si concretizza - quasi come un paradosso (Mt 11, 25) - nei poveri, nelle persone fragili consapevoli della loro piccolezza, proprio in quelle meno predisposte caratterialmente o non dotate spiritualmente e intellettualmente.
“L'uomo supera infinitamente l'uomo” (B.Pascal - Pensieri, 434). L’uomo è dunque il “sì” indiscusso all’uomo. Diventa il suo “no” tassativo, quando guarda a sé come un transeunte assoluto che taglia il relazionarsi col suo fine primo e ultimo: Dio con l’Uomo. L’Uomo con Dio. Per tutto ciò è necessario prestare attenzione ad alcuni nessi essenziali sul valore del libero arbitrio che, personalmente penso disposto in questa sequenza: Grazia > Libertà > Volontà di Dio. Ciò significa: soltanto cercando, trovando e seguendo la volontà di Dio, da Lui rivelata in merito ai suoi attributi quali l’amore, la compassione, la pietà, la misericordia, la tenerezza, quindi alla sua gratuità di perdono, di riconciliazione, di pace, di santissima agape (Benedetto XVI – “Deus Caritas est” - Parte prima, Eros e agape differenza e unità, nn. 3-8) l’essere umano è già da ora, davvero libero nel cammino della sua piena felicità (già così nella fede adulta di sant’Agostino in ”De gratia et libero arbitrio”, e dei suoi discepoli; prima che nel pensiero dotto di Lutero in ”De servo arbitrio”, e dei suoi seguaci!). Alla riflessione si ripresenta inoltre anche la perenne e controversa questione: armonizzare libertà e diritto con le scelte divine e umane; al contempo, bilanciare il rapporto tra pubblico e privato. Mi è allora occasione opportuna puntualizzare da altro punto di vista, per trattare la sostanza dello stesso argomento aperto da AteoConvinto a cui ho dato in apertura del presente post il mio “quote”.
In questo forum c’è un thread così intitolato: “Perché non ci lasciate “peccare” in pace?”.
Buahhh… che da ridere, se il titolo fosse solo una battuta sardonica o banale; ma è tutt’altro! È, infatti, un orpello piuttosto serioso poiché, tocca questioni molto importanti che coinvolgono l’interesse di tutti i cittadini. Mi sono chiesto allora: ma che domandina è mai questa!? Sbirciando perciò nel contenuto del post, ho letto un breve accenno sui “diritti civili” dei non-credenti (i doveri?) che, al dire di quella voce, sono esautorati del loro valore per via di una presunta ”ingerenza” dei cattolici impegnati nelle istituzioni pubbliche dello Stato democratico. È superfluo ricordare che il nostro sovrano Stato laico è costruito, abitato e sostanziato di principi costituzionali derivanti da etiche e da morali universali, elaborate e promosse anche dai credenti di cultura e fede cristiana, tra cui appunto quelle dei laici-cattolici: giudici, magistrati, ministri, onorevoli, parlamentari di maggioranza e opposizione, professionisti, lavoratori, eccetera fino all’ultimo dei cittadini. Più precisamente, la collettività sociale e democratica del nostro paese è comprensiva anche di laici-credenti, di laici-cristiani, di cui i laici-cattolici: gli eminentissimi vescovi-laici, i pregiatissimi sacerdoti-laici, gli illustrissimi religiosi-laici, e soprattutto, la maggioranza dei rispettabilissimi signori fedeli, laici-cattolici. Sono costoro che, nel rispetto della dottrina morale e sociale della Chiesa Cattolica, s’impegnano direttamente alla gestione sociale e politica del paese nei ruoli e con gli strumenti a loro consoni. Tornando allora al quesito del 3d, è utile dare con altrettanta pronta ironia una risposta esauriente; non solo dovuta dai cittadini laici-cattolici, ma, pure dai laici di buona volontà che non si riconoscono in nessuna denominazione religiosa, indi, dai laici-credenti e dai laici-cristiani di confessioni varie. Nella nostra bell’Italia, finora, non è concesso neppure al non-credente un suo diritto di imporre arbitrariamente agli altri concittadini del nostro Stato le sue private regole da “mormone” laico. Nessun cittadino peraltro, gli impedisce di “peccare” in pace: per l’appunto, privatamente! Caso mai, pure il non-credente, in forza della libertà d’espressione e dei diritti costituzionali, può proporre la sua “morale”, anche se permissiva e edonista, all’attenzione di tutta la comunità laica in cui anch’egli è inserito, purché, la stessa non contravvenga alle norme contrarie al buon costume (Costituzione Italiana, art. 19ss). Ad ogni modo, andiamo per gradi.
Di sicuro la suddetta vocina ha parodiato con stringata querela quanto desumono invece con altrettanta fröhliche Wissenschaft gli empi e gli stolti, dopo aver lungamente sragionato fra loro con la seguente lugubre cantilena:
“Siamo nati per caso… la nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore… saremo come se non fossimo stati… Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito - e di droga! – e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta, questa è la nostra parte. Spadroneggiamo sul giusto… tendiamo(gli) insidie… mettiamolo alla prova con insulti… condanniamolo” - e anche - “Lo stolto pensa: "Non c'è Dio". Sono corrotti, fanno cose abominevoli: nessuno più agisce bene.”. [Sap 2, 6ss; Sal 14, 1]
La prima impressione è che almeno questi non-credenti sono stati “onesti” con se stessi e con gli altri connazionali, a motivare esplicitamente le ragioni della loro arroganza a vivere nella propria immoralità, nella prepotenza e nella peggiore iniquità.
C’è però da capire se, tra i diritti privati del laico non-credente, debba essere introdotto nel societario vivere civile anche questo suo diritto: di “peccare” pubblicamente in santa pace. Diritto, tra l’altro, che se fosse un bene, sarebbe superfluo chiederlo solo per una minoranza, poiché in automatico si dovrebbe estenderlo al vantaggio di tutta la popolazione dello Stato laico, e non per causa della protesta d’alcuni cittadini non-credenti. Vediamo, però, anche cosa vuole veramente reclamare quel gridolino da non-credente, poiché a quanto sembra, dà per scontato quello che non è per tutti i cittadini laici, credenti o non-credenti. Questa intimazione, imbastita a rivendicare una fantasiosa discriminazione subita alle limitazioni civili per certuni non-credenti, non è nemmeno avvertita da chi, pur essendo inappagabile dubbioso o convinto non-credente, è tuttavia ben disposto con la sua vereconda coscienza sociale e personale, con la propria buona volontà individuale e comunitaria.
Detto questo, viene spontanea un’altra considerazione: il fatto che c’è la licenziosa libertà di “peccare” privatamente, è un pretesto valido per prescrivere il diritto di legalizzare giuridicamente il “peccato” e il “peccare” nella res publica?
È come dire: visto che oggi i rapporti contro-natura di lesbiche e omosessuali tendono ad essere considerati normalità da certa risicata opinione pubblica se avvengono tra coppie adulte consenzienti, o visto che la prostituzione femminile e maschile per le strade è già tollerata dai benpensanti o sottaciuta dagli apatici con la logica del laissez faire per quell’esigenza imperativa di domanda-offerta del piacere sessuale, o visto che per salvaguardare il perbenismo e il quieto vivere è ormai necessario assassinare con l’aborto l’innocente creatura non desiderata dopo la distrazione del sabato sera della figlia sedicenne, o visto che il drogarsi è un bisogno per riempire il vuoto della vita, o visto che… eccetera; allora è doveroso e indispensabile, anzi, proprio perché rientra nel vero bene del progresso sociale, è conveniente istituzionalizzare, questo e quant’altro di peggio con leggi di maggioranze governative e parlamentari. Adeguate però, alle regole del relativismo materialista, a visioni ideologiche assolutiste o agli interessi partitici e di comodo (regimi nazifasciti, dittature neomarxiste, governi alla zapatero, eccetera) o ad altri fini utilitaristici. Per cui, i bambini non-nati, i malati specie menomati o terminali, gli anziani invalidi, i non-autosufficienti, i poveri, gli ultimi, gli indifesi sono solo considerati come una realtà d’impaccio da sacrificare alla forza, al potere, a mammona, all’economia lucrosa, al consumismo, all’interesse egoistico, al prestigio settario, al… eccetera.
A tali quesiti sono necessarie alcune premesse: è assodato che i termini, peccato e “peccare”, usati solo nel linguaggio prettamente religioso e con tutte le varianti fissate dalla fede e cultura ebraica e cristiana, e molto più tardi musulmana, non sono concetti assimilati da chi, non ne vuole sapere o ha dimenticato il significato di “peccato”, quindi di ”peccare”. Chi poi è non-credente, non può neppure pretendere d’avere la misura religiosa-sociale della propria moralità o immoralità o amoralità, se non per via di una sua privata convinzione, tanto più discutibile quanto più esclude le nozioni di “dio” “fede” “religiosità naturale” “sacro” “ecclesia” eccetera, o di tutto questo ne fa un pastrocchio con “mito” “sociologia” “psicologia del profondo” eccetera. Inoltre, non è lontanamente presupposto dagli eruditi docenti di pedagogia religiosa e civica che il peccare tranquillamente è sinonimo di ”Bene”. Non è, infatti, norma comportamentale stabilita nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani né tantomeno inscritta nella Legge morale naturale. Come detto, tale astrazione al peccaminoso comportamento, è solo l’ideale di chi fa del peccare gli atti voluti e contrari al minimo d’educazione religiosa che semmai, è ancora poco educativa al corretto vivere sociale su quanto e su che cosa è realmente bene o male, buono o cattivo per l’uomo. Il punto focale però è un altro: nessuno, neanche il pensiero più oggettivo del non-credente in buona fede o veramente onesto, può arrivare a cogliere la pienezza di peccato e peccare se, Dio stesso, e solo Lui per sua libera volontà, non rivela a chi vuole, il senso vero di ”peccato” e di ”peccare”. Logica allora chiede e risponde: come può il non-credente sapere ciò che è pro o contro l’interesse o il danno sociale, a vantaggio del bene o del male morale dell’uomo se già a priori, lui non-credente, non vuole Dio nella sua vita, ne ha la massima (e immotivata!) avversione, non gli interessa cercarlo e ascoltarlo, lo rifiuta e non può pertanto conoscere assolutamente la Sua volontà. Difatti, il non-credente non possiede né l’idea religiosa di “peccato” e di “peccare”, né di riconoscere la Legge divina e le successive norme etiche e morali per il bene immediato e ultimo della persona e contro la pretesa di peccare volutamente. Il concetto di peccato e peccare, non lo sa nemmeno lo Stato sovrano se, non grazie alla fede dei laici-credenti di cui, ne fanno parte i laici-cattolici. Anzi, più precisamente ne viene perfettamente a conoscenza proprio da costoro, che, essendo loro stessi “Stato” per la parte di “diritto” e di “dovere” che gli spetta, organizzano il medesimo Stato laico affinché possa sussistere ed operare al bene civile di tutti i suoi membri (Sant’Agostino – “De Civitate Dei”, Libri XIV-XX). Il cristiano, infatti, sa bene che cosa vuole Iddio dall’uomo e il cattolico sa molto meglio ancora che, il “peccare” coscientemente, sia in privato sia in pubblico, è immoralità aborrita dall’Altissimo - di cui il “non uccidere” con i suicidi, con gli aborti, con gli omicidi, con le eutanasie, con le fecondazioni artificiali, con… eccetera; o il peccare contro la virtù della Castità: omosessualità, pedofilia, pederastia, pornografia, prostituzione, adulterio eccetera.
In altre parole: la domandina del non-credente, che fa del suo “peccare” in pace lo standard di vita privato per sé e per altri suoi consimili, è insensata perché chiesta ai laici-cattolici proprio da chi non vuole saperne nulla di Dio né tantomeno aver a che fare con le sue etiche e morali. L’altra risposta è che, se invece il ”peccare” con tranquillità è scelta consapevole, allora anche questa del non-credente, non è altro che “immoralità”. È “Male”! È quel male compiuto apposta per sostituire la moralità creduta dagli altri, con la propria normale lascivia e farla passare come il pregio dell’anticonformista libero da inibizioni, da indottrinamenti anacronistici. Difatti, la sua da non-credente è ingerenza mirata all’intento malizioso di misconoscere i precetti divini. Non solo: è soprattutto a corrompere le etiche e le morali usuali seguite dalla maggioranza degli altri concittadini guidati, intanto, da quel buon senso comune insito in madre natura e che, se coltivato con onestà e fede, porta alla comunione con Dio e ad un ben maggior senso d’equità sociale. Chissà allora, per questo tipo di non-credente, in conformità a quale diritto gli è legittima la sua ingerenza e l’ostracismo contro i diritti degli altri laici, di cui quelli dei laici-cristiani e dei laici-cattolici!
Il “diritto” dei laici-cattolici invece è ben motivato, poiché sostenuto da un elementare principio logico, che dice: i cristiani, soprattutto i cattolici, non sono credenti perché si fidano della parola del non-credente – figurarsi; a posto saremo! I fedeli non si fidano neanche della parola del cittadino sul generis, né di quella parola di credenti o cristiani dichiaratisi cattolici ma men che meno praticanti e non in comunione tra loro né con la gerarchia ecclesiastica. Salvo che, in osservanza della dottrina cattolica, ci siano piuttosto quanti parlano con la coerenza della propria vita, alla maggior gloria del “nome” che è sopra di tutti gli altri nomi, Gesù (Fil 2, 10). Egli solo, con differente corresponsabilità dei tre uffici, “sacerdotale” “profetico” e “regale” (“Catechismo della Chiesa Cattolica” - I fedeli laici, nn° 897-913), li ha preposti quali annunciatori del suo Vangelo perchè depositari della fede cattolica e garanti della sua medesima dottrina. Il loro “fidarsi” è necessariamente dentro la comunione (nella sua massima profondità!) con il Collegio Apostolico di cui il romano Pontefice, i Vescovi, i Sacerdoti… e con l’ultimo dei battezzati. I cattolici, dunque, sono bensì credenti ma solo perchè si fidano esclusivamente della Parola di Gesù Cristo, unico Pastore e Mediatore tra Dio e i discepoli della sua Una e Santa indi, per tutti i cattolici, Madre Sposa e Maestra, Chiesa Cattolica. Credono che egli, Dio, mostra a tutti, credenti, dubbiosi e non-credenti in che cosa consiste e quanto è male il peccato. Quanto è mortifero “convertirsi” al peccare intenzionalmente contro lo Spirito Santo, sia in privato sia pubblicamente.
Lo Stato sovrano poi, deve garantire al cittadino credente, laico-cattolico e non, questo “diritto” di libertà, non solo di parola ma anche di legittima azione. Pena è che, se lo Stato sovrano non salvaguarda i diritti inalienabili dei suoi cittadini, di cui quelli dei credenti, dei cristiani e dei laici-cattolici, è automatica la delegittimazione del governo e delle strutture statali che lo sostengono; oppure, se altre vie al bene o ai compromessi equilibrati al minor male non si vogliono trovare o sono oggettivamente impossibili, allora il migliore e inevitabile rimedio è che lo stesso Stato laico sia esautorato del suo potere sovrano.
Sì dunque, solo della Parola della Trinità attinta costantemente dalla materna istruzione e cura del magistero di Santa Madre Chiesa Cattolica romana e paolina – Papa e Vescovi, coadiutori, eccetera -, i credenti laici-cattolici si fidano e si lasciano condurre affinché si adempia anche oggi proprio per mezzo di loro la Sacra Scrittura: "è necessario obbedire a Dio, prima che agli uomini " [Atti 5, 29]. Inoltre, la base di tale inalienabile “diritto” civile del laico-cattolico e costituito sulla libertà d’essere lui medesimo “Cittadino” e insieme “Stato” sovrano, è fondata sul suo dovere-laico di restituire senz’altro allo Stato quello che è suo. Non solo… ma è primariamente di assumersi anche il suo “dovere” religioso e sociale di fare quanto il non-credente non può in assoluto compiere perché non vuole né sentire né operare di propria volontà: ” Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate?... Rendete… a Dio quello che è di Dio” [Mt 22, 18. 21b].
Rendere a Dio quello che da sempre gli appartiene, significa per tutti e specie per il credente e per il laico-cattolico, inventare, promuovere e rispettare Leggi sociali per e dello Stato laico sovrano al bene e al progresso dei singoli e della collettività di tutto il suo popolo. Ma al cattolico-laico gli è anche irrinunciabile il suo inalienabile diritto e dovere di cittadino a contrastare legittimamente e “democraticamente”, fino se occorre a perdere se stesso, anche quelle Leggi inique o proposte devianti che contraddicono non soltanto la Legge naturale ma ben anche e soprattutto la Legge divina.
Ciò premesso, adesso basta tirare un altro po’ il filo per dipanare meglio quel grumo di forma mentis di chi da non-credente animato dal peggior laicismo neoilluminista e in forza della sua ingerenza nel sociale, chiede il consenso al licenzioso “diritto” personale di peccare spassionatamente. In pratica, pretendere dai credenti che non lo condividono, d’usare il “suo” diritto privato all’immoralità, non solo con le sue istituzioni private – il che, non farebbe problema a chicchessia – ma con le pubbliche strutture sociali create e mantenute con la spesa anche dei laici-cattolici oltre che del restante di concittadini.
Per gli abitanti di Sodoma&Gomorra, stretti dal comune interesse alla concupiscenza della carne (Gc 1, 14-15), era un diritto legittimo fare del traviamento omosessuale contro-natura, dell’abuso dell’ospitalità, della corruzione e della violenza in genere, la qualità per vivere da peccatori felici e beati. Il loro “diritto” non era chiesto né preteso da uno o due di loro o da una minoranza né da una maggioranza, ma era acquisito da una collettività coesa (Gn 19, 4). Imperocché a rigor di logica, va detto che è inconfutabile anche la prerogativa di Jahvè di esercitare il suo sovrano “diritto”. In quello specifico caso lo fu di tutelare da una parte la giustizia della sua Legge e dall’altra, ”castigando il peccato dell’uomo… correggere” (Sal 39, 12a) e far cessare immoralità e corruzione vissute da quei cittadini. È così che maturano i tempi in cui, nel segno del calice drogato e ricolmo dell’ira divina, si compie ciò che da sempre è stabilito e profetizzato nelle Scritture: ”fino alla feccia ne dovranno sorbire, ne berranno tutti gli empi della terra” [Sal 75, 9]. Il Terribile, che è soltanto grazia e compassione, educò anche in quella circostanza: avvisò e richiamò più volte quei peccatori dal cuore ostinato e indurito, attraverso il suo servo e mediatore Abramo; ma costoro, irremovibili, rifiutarono di convertirsi. L’Onnigiudice, nel quale non c’è ingiustizia (Sal 92, 16b), decise allora di distruggere quel luogo di perdizione e sterminò tutti i suoi abitanti. In opposizione alla cattiveria umana, il Signore che tutto vede e tutto sa (Benedetto XVI – Udienza Generale, 14 dic 2005, “Sal 138,1-12”), insegnò ancora pazientemente in altre occasioni: col diluvio e la torre di Babele; insistette a più riprese di correggere con le sorti dei vignaioli infingardi, del ricco epulone, del traditore Giuda, del guai a voi guide cieche, eccetera. Ammaestrò in modo superlativo e definitivo attraverso l’incarnazione del Verbo, con la pasqua del suo Servo (Fil 2, 5-8 ) il Cristo Gesù. Colui, che nella stessa Persona, è il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo. Alla fine Egli chiuderà con l’estirpare la mala gramigna (Mt 13, 30) finalmente da bruciare. Vale a dire, donando in sovrabbondanza la giusta retribuzione di pena perpetua – frutto anche questa della Grazia - ai peccatori malvagi, a coloro che, hanno fatto del “peccare” in “santa” pace il destino terrificante a cui loro stessi si sono auto predestinati col fine di consumare e gustare ancora e ancora incessantemente le proprie scelleratezze (è sempre il mio prediletto artista, Agostino d’Ippona in ”De praedestinatione Sanctorum” e l’amato doctor angelicus, l’Aquinate san Tommaso nella sua ”Summa theologiae - Christus, III, q. 26” e ”De malo q.d.”. È in Lutero, nel calvinismo e nella dottrina della “Doppia predestinazione", nella condanna del arminianianesimo col sinodo di Dordrecht 1618. È in G.W.Leibniz nei suoi trattati di teodicea; è in K.Barth, H.Kung e in altri eccelsi pensatori e teologi protestanti e cattolici).
Si sa che oggi, nelle laiche società occidentali, è forza e fa comando il pluralismo degli indirizzi religiosi ed etici, ideologici e politici dei loro cittadini non più legittimati o delegittimati dalla forza di maggioranze o minoranze unilaterali. Giustamente si riconosce una parità di diritti e doveri di là della loro influenza religiosa, ideologica, politica, sociale eccetera, poiché, è vera conquista umanitaria riconoscere anzitutto la dignità e il valore inalienabile della persona prima di ciò che lei vuole o pretende di essere. Per questo oggi è ancora più valido il principio che, nessuno di quanti coabitano nella collettività-laica, possono “imporre” i propri principi e valori con le conseguenti etiche e morali, alla totalità del populus, se non quando il loro diritto privato é politicamente avvalorato da democratiche maggioranze di governo, atte alla consistenza e funzionalità dello Stato sovrano. Certamente ognuno, credente-laico o non credente-laico, ha pero il diritto di “proporre” quanto gli è proprio e presumibile pure al bene comune.
Per provvidenziale fortuna, nella nostra bell’Italia il permesso di peccare, anzi, per dirla in termini laici, il diritto di compiere pubblico libertinaggio non deve essere “imposto” da qualcuno ad alcuno; così come, i valori etici e morali assoluti per il cattolico, possono solo essere “proposti” a tutti i cittadini di là delle loro fedi e/o credi. Il nostro paese non è Sodoma&Gomorra dove la corruzione e l’edonismo, più che una normalità, erano un obbligo per esibire apertamente il malcostume e l’immoralità sfrenata. Lì, il “peccare” equivaleva a “struttura di peccato” (Giovanni Paolo II - ”Sollecitudo Rei Socialis”, Capitolo IV n° 36) fondante la loro comunità; come, in eguale mansione, il delinquere è norma di legge per le organizzazioni malavitose.
Si deve dunque essere tutti consenzienti od omertosi davanti alla pretesa di legalizzare “peccato” e “peccare” secondo coscienza? Non sia mai! Il cattolico è anzitutto profeta dell’Altissimo per la potenza dello Spirito Santo donatogli da Gesù risorto, specialmente efficace nel luogo, nella società civile in cui il cristiano convive. Al che, il fedele con la propria conversione richiama ed esorta – in occasioni opportune e non – alla validità delle etiche e delle morali, al ritrovamento dei valori spirituali abbandonati, a quella riconciliazione sempre e soltanto offerta dall’amore incommensurabile del Padreterno, anche al bene spicciolo e materiale dei propri fratelli connazionali. Ciò, il laico-cattolico lo annuncia e lo fa specialmente nell’ambito delle proprie competenze civili e con l’uso di prassi politiche adatte (Concilio Vaticano II – ”Gaudium et Spes – Cap. IV, La vita della Comunità politica, nn° 73-76”) in virtù della sua fede religiosa e del proprio credo ideologico politico. In ciò agisce a differenza di chi non vuole ascoltare, né riconoscere al Creatore i suoi diritti: rendere senz’altro a Dio – oltre che a “Cesare” - quello che è suo. Di modo che il “permesso”, che non è né benestare né compromesso ma tolleranza dei cattolici, dei cristiani, dei credenti e delle persone di buona volontà, corrisponde all’equivalente evangelico di lasciare al peccatore la possibilità di “sbagliare” in pace. Tanto è dato affinché, il peccatore che sceglie per se stesso e in autonoma libertà le vie larghe che egli ritiene migliori per la sua vita privata, può in seguito anche lui “correggersi” da quanto ha sperimentato di desolazione e morte (Lc 15,11-32). Contrariamente, quello del laico cattolico, diventa il suo doveroso diritto/dovere di contestare con la forza democratica se, il “peccare” coscientemente indica il bisogno del peccatore recidivo di imporre agli altri la sua “morale” viziata con politiche capziose o leggi permissive. Specie se, sono rafforzate con le strutture di peccato persuasive all’immoralità, abituate al vizio, ridotte alle crapule eccetera. In pratica, non solo per il laico-cattolico si tratta del rifiuto di normalizzare il “peccato” bensì di chiamarlo sempre con il suo vero nome e per quello che è: Male. Anzitutto poi, è di non concedere mai al “peccare” alcuna forma sociale di legalità costituzionale e giuridica... è impedire il sorgere di quelle strutture che non incoraggiano la priorità della “inversione” verso Dio, sempre possibile per tutti: credenti e non-credenti.
Sono queste allora le incongruenze sociali che i laici-cattolici individuano e non consentono al vivere civile del proprio paese e le concretizzano per il loro superamento, con le adeguate forme di protesta democratica fintanto che, in questo Stato sovrano, c’è anche il peso, in apparenza insignificante, di un solo qualificato laico-cattolico ad affermare e a difendere tutto ciò che è vero, buono e sano. A dirla meglio poi, per come la vedo io, la quantità di “peso” della contestazione, è relativa o irrilevante se lo scopo è di cercare un consenso che non sia finalizzato alla sua giusta funzione di salvaguardare anzitutto i valori cristiani e quelli che sono stimabili per indiretta sintonia con questi; anziché accattivarsi alte percentuali di plauso popolare. Non è così, infatti, quando c’è il merito d’iniziative attuate dalla cittadinanza tutta che, magari scende in piazza a milioni con pargoletti e giovani, con anziani e famiglie intere per stimolare e tutelare i valori portanti della vita comunitaria del nostro paese. Così come si è visto nella giornata del Family Day con il suo riuscito e imponente raduno di populus italiano festante per promuovere politiche a sostegno della famiglia. Il cristiano, specie cattolico ascolta, grazie ai suoi autorevoli e amati Pastori della Santa e Unica Chiesa Cattolica voluta e fondata da Gesù (Congregazione per la Dottrina della Fede – Documento, 29 giugno 2007, “la vera Chiesa di Cristo”), la Volontà del Padre senza imporla a nessuno dei suoi concittadini. Ci mancherebbe! Il discepolo di Cristo opera invece - come detto pocanzi - perché è necessario obbedire a Dio, affinché anche per mezzo del laico-cattolico siano incentivate Leggi parlamentari “buone” per tutti, prima che all’altro dovere di respingere leggi e proposte disoneste contro la persona e contro la famiglia; o contro la vita umana, dal concepimento al suo naturale declino. Tant’è stata anche la risposta eccellente di quasi la totalità degli italiani con il loro diritto costituzionale all’astensione di un voto che prevedeva l’abrogazione d’alcuni importanti articoli della già fragile L. 40/2003 sulla “Fecondazione artificiale e medicalmente assistita”. Quella è stata la caporetto degli oscurantisti radical-borghesi, vestiti da sub-cultori sennonché per nulla idonei alla vera emancipazione sociale e seria laicità dello Stato (laicità, tra l’altro, già in germe nel cristianesimo e sviluppata nel miglior pensiero illuminista), che hanno svalutato e abusato dello strumento referendario, usandolo contro il bene supremo della vita nascente.
Per mezzo del tenace e salutare inculcamento scaturito dalla fede cristiana, meglio fissata nel dogma elaborato nel corso della secolare Tradizione cattolica, si deve sicuramente credere che l’uomo è creato ad immagine e somiglianza del suo Creatore. E sa bene l’ispirato salmista qual è la misura della sua consistenza; dice, infatti: ”… che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” [Sal 8, 6-7].
”Eppure”, appunto, non per questo l’uomo è Dio e non è per lui il possesso del potere assoluto benché, lui stesso è deificato – anche dopo la caduta e sempre per benevolenza e per grazia – e già reso compartecipe della stessa santità divina, della sua vita immortale. È costitutivo e pertanto ontologico per l’Uomo essere e rimanere in qualunque caso Creatura. Ciò fonda la base essenziale dell’antropologia umana e non solo biblica. È il principio di tutto il divenire storico umano, anche promosso dal cristianesimo cattolico (e a ben guardare, tale origine è pure fondamento implicito nell’umana religiosità naturale) dal quale non si può prescindere se non a scapito della Verità o al vantaggio del lucroso interesse, di artefatte riduzioni e storpiature sul valore effettivo dell’identità umana, della sua relativa continuità esistenziale e oltre!
Completando perciò con altra riflessione e ritornando così al tema diretto del presente thread, va dunque semplicemente affermato che all’Uomo, proprio partendo dalle nozioni finora esposte, non appartiene nemmeno il “diritto” di suicidarsi o di togliere la vita ai suoi simili a motivo, oltre che del comando divino di “non uccidere”, della sua impotenza di riprendere “quella” vita individuale e unica per sé, né tantomeno di poterla restituire agli altri con le proprie forze e circoscritto potere.
Pertanto, nel regolare espletamento delle politiche sociali, nel rispetto della nostra Costituzione e delle norme legislative, alcuni politici e certi partiti radical sic non continuino con la loro prepotente ipocrisia ad imporre alla totalità civile il “diritto” al delitto e alla vergogna. Caso mai li tengano e li facciano come loro affare privato e non a spese della struttura pubblica: aborti, eutanasie, suicidi, convivenze omosessuali, pseudo famiglie, eccetera. Non scambino il bene con il male alimentando, o peggio, introducendo con la licenziosità di leggi inique un onere spirituale e materiale a tutta la collettività. La smettano con la loro smania di potenza impossibile; pensino piuttosto al ricupero e al rinnovamento dei valori base. diano piuttosto il giusto senso e significato del detto laicizzato e preso in prestito dalle Sacre Scritture e dal sentire cristiano: “Nessuno, tocchi Caino”. Incoraggino e allarghino il senso di quella moratoria universale chiesta dal nostro e da molti paesi. Questo motto e richiesta, infatti, vanno riferite pure al potenziale suicida; maggiormente intese al freno delle ipotesi aberranti – finora solo utopiche nella nostra società italiana – di legalizzare il “suicidio assistito”, la “dolce morte”, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, la clonazione o quant’altro in oggetto di grave e di male per l’umana specie.
Finendo questa prima parte d’argomentazioni, affermo: noi cattolici siamo ben lungi dall’essere gli sponsor degli “autoflagellanti” – e penso che non lo sia nemmeno una consorella o un confratello di quest’apprezzato forum!
La sofferenza temporanea non è un optional per qualche sfortunato! Essa c’è, senza doversela cercare o procurare di forza. Anzi, noi cristiani sappiamo per fede vissuta che proprio il Signore è venuto con la sua “scienza” per eliminare il male, rendere impotente la sofferenza, sgravare il suo carico pesantissimo, lenirla del tutto perché tutti abbiano la vita in abbondanza (Gv 10, 10b). Grazie ancora al dono della fede noi cattolici abbiamo serena coscienza che ogni persona, accondiscendente o nolente, credente o no, deve incontrarsi con la sua sofferenza, ossia, con la propria personalissima “Croce”. Con la quale e dalla quale tutti noi, credenti, dubbiosi e non-credenti siamo vagliati per poterci auto-verificare sulla vera libertà finalizzata alla nostra salvezza o alla perdizione nella dolorosa seconda morte (San Francesco – “Il Cantico delle Creature”); al rifiuto o all’incontro definitivo e in visione concreta, col divin Buon Pastore che, grazie al “si” della Donna, la Santissima Vergine Maria, è il Redentore, è diventato l’unico Salvatore di tutti.
Lui, che è il Signore, il nostro mai troppo amato e adorato Gesù Cristo, il Crocefisso Risorto che, è benedetto nei secoli dei secoli... e ben oltre l’eternità.
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