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Capitalismo e globalizzazione

Ultimo Aggiornamento: 13/02/2004 15:32
13/02/2004 15:31
 
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Franz13/Francesco
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Condivido le tue osservazioni sulla necessità di iniziare una critica pure del liberalismo, politico ed economico, oltre a non fidare troppo sulla "perfezione democratica" del nostro sistema.

In particolare, se mi è permesso, vorrei sviluppare alcune considerazioni che partano dal piano economico: perchè l'economia, sia come miglioramento quanti-qualitativo dei beni per i vincitori che come accaparramento delle risorse strategiche, è - da sempre - il vero motore della politica, delle intese (temporanee) e dei conflitti.

Storicamente: possiamo, schematizzando ed utilizzando categorie generali (per semplicità) far iniziare lo sviluppo proto-capitalistico con la fine del medioevo e la colonizzazione delle Americhe e delle Indie. Infatti:
- gli imperi Classici (sino a quello romano) usavano conquistare ad usum sicurezza e remunerazione dei vincitori (concetto di bottino, terre distribuite ai veterani, ...), ma senza sterminare i vinti. Forse anche per il basso rapporto tra popolazione e terre, visto il periodico "intervento" dei c.d. freni maltusiani. Es. paradigmatico: la cittadinanza romana, pian piano estesa a tutti i sudditi nati nei territori dell'impero;
- le varie realtà medievali, addirittura, sono state sostanzialmente caratterizzate da economie chiuse, con periodi (brevi) di segno opposto. Sia per la frammentazione del potere politico in Europa, che per l'insicurezza dei commerci, che - soprattutto - per l'emergere della potenza islamica (a partire dal VII secolo). Anche se, come ben dimostra Pirenne in "Maometto e Carlo Magno" (già 70 anni fa), l'incontro tra cristianesimo ed islam sarebbe stato foriero di ben altri sviluppi (necessità di cercare nuove vie commerciali, interscambio culturale: matematica, astronomia, navigazione, ...). La "peste nera" del XIV secolo, probabilmente, porta l'Europa e l'occidente al proprio punto di minimo assoluto: un terzo della popolazione scomparsa, urbanesimo in regresso, crisi alimentare, impaludimento delle campagne, ...

Ma questi due pilastri, sino ad allora costanti nei millenni, si incrinano e spostano pericolosamente il proprio asse di equilibrio pochi anni dopo la scoperta delle Americhe.
Tra le conseguenze più immediate, anche se "formalizzate" decenni dopo, quelle dei nuovi equilibri di forza tra gli Stati (Spagna e Portogallo, opposti a Francia, Inghilterra, Olanda, ...) e le nuove strutture produttive fondate e radicate nelle nuove terre (dipendenza daziaria dalla madre-patria, forte incremento dell'importazione di schiavi africani, più "resistenti" al lavoro degli indigeni).
L'affermarsi di Inghilterra ed Olanda come maggiori potenze coloniali e commerciali (sec. XVII-XVIII) è coeva ad una novità copernicana: non gli Stati che occupano e gestiscono, ma società private (le Compagnie delle Indie, sino alla metà del XIX sec.), anche se sostenute da leggi e/o finanziamenti statali.
La crisi di Venezia è rintracciabile nell'assenza dalle nuove rotte e dal non aver sostenuto alcuna "Compagnia". Mentre gli Stati via via egemoni vigileranno perchè l'inflazione (dopo l'eccesso di metalli preziosi del XVI secolo) rimanga "sotto controllo".

Il finire del secolo XVIII dà due grosse accelerazioni sulla via dello sviluppo commerciale e dell'accumulazione di capitali: indipendenza degli USA (ultimo conflitto con l'Inghilterra ai primi del 1800) e rivoluzione francese, soprattutto per la rapida involuzione autocratico-militare (Napoleone) e per l'affermarsi politico della borghesia (codice di commercio, ...). Ed il Congresso di Vienna (1814-15) dovrà prenderne atto.

Dagli inizi del secolo XIX:
- accelerazione della rivoluzione industriale e della proletarizzazione della forza lavoro (Inghilterra ed Europa), sino alla consapevolezza marxiana e marxista;
- Inghilterra e, poco dopo, Francia alla conquista di tutto il mondo ancora "libero" (si diceva: non civilizzato, come oggi si dice "senza democrazia"). Spagna, Portogallo e Olanda, in difesa; Belgio, Italia e Germania (e Giappone) ... molto più tardi;
- Stati Uniti (USA) con la "dottrina Monroe": mano libera assoluta verso le coste del Pacifico ed egemonia esclusiva sull'America Latina (il c.d. "giardino di casa"). Punto di rottura: 1898, con Cuba e le Filippine strappate alla Spagna;
- Russia tutta protratta verso le coste del Pacifico e verso il Caucaso;
- Europei alla distruzione dell'economia dell'India (inglesi) e della Cina (Europei, anche Italia, USA e Giappone), a fine XIX ed inizio XX secolo.

Il periodo seguente, con i due immani conflitti mondiali, vede l'affermarsi di un'unica potenza economica (USA) e di due sole potenze statali e militari (USA ed URSS). Sino al 1989: gli Usa rimangono il solo potere imperiale (non più imperialistico).

Il periodo post 1945, comunque, è tutto incentrato sullo sviluppo economico fissato a Bretton Woods (1944), e fondato su quattro assiomi:
- mano d'opera specializzata ed a basso costo (Europa ed USA post '45),
- parità aurea tra dollaro ed oro e libera convertibilità del "biglietto verde",
- pace sociale nei Paesi industrializzati,
- materie prime, per i Paesi ricchi a ... prezzi di rapina per il terzo mondo.

L'indipendenza delle ex colonie (anni '50-'60) non muta il quadro: il controllo delle risorse e della finanza rimane sull'asse geografico-politico New York (borsa) - Londra (prezzi delle materie prime: i diamanti, uso industriale, ad Amsterdam). Come l'India di pochi secoli prima: il terzo mondo vende i prodotti di base all'occidente (al prezzo fissato dagli occidentali) e reimporta i prodotti finiti a "prezzo di mercato" (2 deficit in uno!!!). Il blocco comunista, già dai primi anni '60, perde di competitività: tranne in campo militare, sotto il profilo della tecnologia di consumo, della quantità e qualità dei beni di massa, ...

Ma Bretton Woods non è eterno:
. 1968: fine della pace sociale e della manodopera a basso costo,
. 1972: fine della fissità di cambio del dollaro,
. 1973: primo shock petrolifero (fine delle materie prime rapinate al terzo mondo). E il 1979 conferma la crisi energetica, e strutturale, del sistema.

A partire dal crollo dell'URSS, inoltre, sono seguiti oltre 10 anni di crisi degli investimenti (per carenza spese militari e tecnologiche di ricerca), di aumento del gap economico tra G7 (e G8) ed il resto del globo, di esplosione - a macchia di leopardo - di fenomeni inflazionistici (Paesi poveri) e deflazionistici. Le politiche liberiste hanno ridotto sul lastrico Cile, Argentina, Brasile, ...
E se il FMI chiedesse al Giappone di rispettare i parametri di bilancio convenuti, non meno di 9 gruppi bancari di colossali dimensioni potrebbero fallire.
Ma, soprattutto, gli USA sono ormai dipendenti da un consistente flusso di denaro - da est e dall'Europa - per mantenere alti i consumi e per gestire il deficit statale. Pur vivendo il 30% degli abitanti USA al di sotto - o nelle "vicinanze" - della soglia di povertà.

Secoli di civilizzazione ed esportazione della democrazia liberale, ormai, devono accettare che si tirino le somme; tra attivo e passivo, tra costi e benefici. Ed il risultato non sarà entusiasmante.

Mala tempora currunt!

Franz13/Francesco

[Modificato da gioyann 14/02/2004 13.14]

[Modificato da gioyann 14/02/2004 13.15]

13/02/2004 15:32
 
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Mala tempora currunt davvero !!
Caro Franz, il tuo intervento è più che prezioso e portatore di innumerevoli spunti di riflessione !! Impressionante soprattutto l'escursus storico post-medievale nel quale mi sembri davvero godere di grossa autorità !!!
Io credo che non esista una politica economica perfetta e perfettamente giusta, ma sono sicura che quella che ci propinano gli "esportatori di democrazia" sia fin troppo migliorabile (e scusate il pesante eufemismo !!) !!
Grazie davvero per il tuo contributo !!

Gioyann/Giorgio
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