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tradizioni

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2013 23:04
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28/05/2004 09:43
 
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La Grangia a Torre
In un documento storico del Mille si nomina un lascito da parte del vescovo di Asti alla certosa di Casotto, per un diritto di pascolo a Montaldo e Roburent .
Questo signfica che i monaci si erano gia’ affermati nel Bosconero, tanto che la loro presenza era nota anche a Torre, dove esisteva una specie di fattoria di proprieta’ del monastero, la Grangia.
Questa era una realta’ autonoma dal punto di vista economico e produceva il necessario per sostenersi, dai formaggi al pane.[SM=g27823]
Era un punto di riferimento dei monaci che si spostavano nel Bosconero per evangelizzare: qui trovavano ristoro e potevano riposare la notte per ripartire il giorno dopo.
La Grangia, di proprieta’ della certosa, faceva parte di tutti quei beni immobili che i monasteri avevano ricevuto come dono dai vescovi, in questo caso, o come dono dai feudatari, per grazia ricevuta o appoggio politico.[SM=g27823]
Nell’ambito del territorio questa fattoria era fondamentale anche come punto di civilta’ rurale : il mantenimento della pulizia dei pascoli, la raccolta della legna nei boschi, la lavorazione del latte , tutte attivita’ che i monaci ivi residenti svolgevano quotidianamente, dando al territorio quella fisionomia agricola e pastorale che ancor oggi, al di la’ della civilta’ moderna, rimane nel cuore e nella tradizione di quelle belle persone di Bosconero.[SM=g27822]

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18/05/2004 08:43
 
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San Bruno e i certosini
San Bruno, detto anche Brunone, nacque a Colonia intorno al 1030 ed ebbe importanti cariche religiose, ma al vedere la Chiesa di quel tempo dedita alla simonia e all’usura,[SM=g27826] al nepotismo e alla corruzione,[SM=g27826] decise di ritirarsi dalla mondanita’ in nome di una condotta religiosa piu’ consona al vangelo.[SM=g27811]
A Grenoble fondo’ la celebre certosa, dando origine all’ordine dei certosini, che si diffusero sia nel nord (Bosconero), sia nel sud Italia (Serra S.Bruno, in Calabria, sede di uno splendido monastero, che ha il nome del santo).
Quella di Casotto fu la prima certosa italiana ad essere stata edificata, seguita da quella in val Pesio.
Dall’incontro tra S.Bruno e il Beato Guglielmo in val Casotto la fede certosina si propago’.
I certosini si dedicavano alla preghiera e alla meditazione[SM=g27829] della Parola, facevano digiuni[SM=g27813] e penitenze, sopportavano l’ardua vita dell’epoca con coraggiosa risolutezza, tanto che la loro pazienza è rimasta proverbiale.[SM=g27823]
All’epoca i monaci erano al massimo di 12 per certosa, conoscevano bene il latino e copiavano i testi sacri per poi diffonderli.
Vivevano in piccole celle ed avevano un orticello personale.
Facevano anche lavori manuali e artigianali.


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06/05/2004 09:26
 
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I giullari
A conclusione del brevissimo discorso sul Kje', un cenno va alla figura del giullare.
Parallelamente allo sviluppo e alla diffusione della lirica d’arte vi fu la letteratura popolare, dove non erano piu’ il trovatore o il troviere a diffondere i componimenti, bensi’ i giullari, cioe’ giocolieri, saltimbanchi, buffoni che andavano di paese in paese a divertire,a cantare o mimare, a diffondere notizie attraverso cantilene, filastrocche, ballate, poesia in musica.
La poesia si spostava dalle corte, centri di potere, alle strade, nuove realta’ sociali.
Il giullare amalgama temi politici e temi religiosi, canti d’amore e canti popolari, diffondendoli nei gradini piu’ umili della piramide sociale.
Ormai il feudalesimo cominciava a scricchiolare nel suo intero sistema e i giovani Comuni, ancora acerbi, diventavano il nucleo di base della vita socio-economica, essendo l’espressione della nuova intraprendente borghesia mercantile, rappresentata, tra l’altro, da una nuova letteratura, quella appunto delle piazze e del dialetto volgare.[SM=g27823]


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03/05/2004 15:38
 
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La poesia comico-realistica
Parallelamente alla crescita di una letteratura d’arte colta ed evoluta vi fu l’affermarsi di una letteratura popolare o, per meglio dire, comico-realistica, dove i generi letterari trattati erano cantàri, ballate, monologhi, contrasti.
Tema ricorrente era quello dell’incontro tra una pastorella o una “montanina” ed un cavaliere, il quale chiede amore, offrendo in cambio alla fanciulla protezione, affetto, appoggio, secondo gli ideali cavallereschi dell’epoca.
Questi componimenti venivano resi noti dai giullari, che vagavano per le piazze dei paesi, mimando, cantando, facendo i saltimbanchi.
Essi avevano quindi un compito importante in un periodo senza mezzi di comunicazione di massa.


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29/04/2004 10:46
 
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La poesia lirica in lingua d’oc
La lirica provenzale, come è stato detto, si diffuse in alcune zone del Piemonte, sia come lirica d’arte, sia come lingua poetica.
Il modo di scrivere provenzale recuperava temi soggettivi ed individualistici, che si distinguevano dai poemi epici, dalla poesia didattica, realistica e satirica.
La lingua usata era dunque il volgare allora parlato dalla gente comune, con inflessioni provenzali e francesi. Si stava infatti a poco a poco abbandonando l’uso del latino, ormai patrimonio di nobili e chierici,la lingua dotta ed aulica unicamente conosciuta dalle due classi sociali che detenevano il potere politico ed economico.

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27/04/2004 15:14
 
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La cultura occitanica: il Kjè
In alcune zone di Mondovi’ e dintorni esiste un dialetto, ormai parlato da pochissimi, purtroppo, che viene detto “kjè”, diverso dal piemontese, perche’ ha lontane origini occitane.
Dopo il Mille, infatti, in Provenza si parlava la lingua d’ “oc”, quella cioè dei trovatori, che non erano semplici giullari di corte, ma poeti lirici, che componevano operette a carattere amoroso, soggettivo, individualistico.
Dalla Provenza l’idioma si sparse in diverse zone, tra cui il Piemonte, dove la poesia di tema provenzale aveva lasciato numerosi vocaboli, destinati a formare un dialetto.
La nuova societa’ medievale, intorno al 1100, non aveva avuto ancora la possibilita’ di elaborare una propria cultura che la rispecchiasse totalmente; ricordiamo infatti che in Italia non c’era una forma di governo unitario, come invece avveniva per le monarchie nazionali di Inghilterra, Francia e Spagna.
Da noi vi era il frazionamento politico, quindi anche culturale, ed i Comuni, prima ancora di Signorie e Principati, ne sono l’esempio.
Mancando percio’ l’unita’ politica, mancava anche l’unita’ linguistica e culturale.
Tuttavia, grazie alla presenza del latino, della lingua d’oil
( quella a carattere epico dei trovieri della Francia del nord), ed in particolare di quella d’oc , la nostra lingua nacque gia’ adulta, come la nostra letteratura, avendo avuto origine da substrati culturali dotti e affermati.
Il kjè è un grande regalo che il Piemonte di oggi riceve dal passato, poichè attesta il profondo legame tra il mondo colto occitanico e le zone a noi care, espressione nel dialetto di una grande cultura e di notevoli [SM=g27811]
tradizioni letterarie.
Anche il kjè è un patrimonio da salvare.[SM=g27827]



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21/04/2004 09:15
 
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Filatura con fuso e conocchia
La tradizione della filatura è antichissima.
Nel medioevo in Piemonte si usava un lungo bastone, detto conocchia lunga, su cui infilare la matassa di lana.
Con una mano la massaia prendeva il filo, con l’altra girava il fuso.
Il fuso, esistente gia’ nel piu' lontano passato, era uno strumento di legno usato per filare, che allungava le fibre da lavoro e le avvolgeva.
Un’altra grande novita’ medievale era la ruota per filare, la quale “automatizzava” il lavoro del fuso, posto ora orizzontalmente su di essa, e azionato dalla ruota filatrice, mossa manualmente dalla lavorante.
Solo dopo, intorno al 1200, nacque il primo vero telaio a pedali.
Alcuni di questi strumenti di lavoro sono stati esposti l’anno scorso a Pamparato, in occasione della mostra di arti e mestieri.

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20/04/2004 16:16
 
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Piemontesi, maestri liutai

In occasione della fiera pasquale di Pamparato, ho scoperto che nel Piemonte c’è la tradizione di costruire e restaurare strumenti musicali, in particolare, si chiamavano “liutai” gli artigiani che un tempo fabbricavano liuti.
Questo strumento musicale a corde di origine orientale era stato importato in Europa in seguito alle prime crociate e dai Mori di Spagna, ma comincio’ a diffondersi anche in Piemonte solo dopo il 1400.
I fabbricanti di liuto preparavano una cassa convessa,fatta di listelli di legno come la mandola;c’era un manico a tastiera, sulla cui sommita’ rovesciata ad angolo retto, venivano tese le corde, quasi sempre 11, poi fino a 10 paia.
Il liuto accompagnava canzoni popolari, madrigali, danze.
Con il rifiorire della passione per la musica rinascimentale delle corti il liuto è ricomparso in eta’ moderna, e viene costruito e restaurato da ben pochi artigiani presenti nel Veneto e in Piemonte.
Ora molti intendono il termine “liutaio” come sinonimo di costruttore-artigiano e accordatore di strumenti a corda.

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