Il problema secondo me è che siamo ormai talmente assuefatti al meccanismo bulimico del consumo che non riusciamo a godere del piacere che sta nel poco, nel piccolo, nell'esperienza profonda... E allora via!, a ravattare tra scale arpeggi sostituzioni alterazioni sweep legati tappingaottodita rack qualsiasicosapurdiaverlo... E questa è un'ingordigia che ci taglia via una fetta enorme delle possibilità di godere della musica che suoniamo. Non voglio fare del francescanesimo chitarristico (..?!?...), ma temo che lo sviluppo di quella
intuitività nel rapporto con l'improvvisazione di cui parlava Infusibile passi proprio attraverso un rapporto profondo e costante con le "piccole cose"... molto più a fondo di quello a cui siamo abituati dal nostro delirio onnivoro. Se prendo una triade maggiore, sono in grado di CANTARE un'improvvisazione soltanto con quelle tre-note-tre? E sono in grado di DIVERTIRMI facendolo? Riesco a GODERE dell'intimità che posso raggiungere con quell'entità minimale, fino a renderla "mia" esattamente come una parola (che so?, "casa")? Che mondo c'è, lì, dentro a quella triade, che io ancora nemmeno sospetto? Un mondo di possibilità, di rivolti(anche melodicamente, come arpeggi), di FRASEGGIO, di tecniche, di dinamica, di "intenzione", di collocazioni armoniche... Ci sono un mucchio di cose (anche fuori dalla musica) che per me adesso sono fondamentali e di cui 10 anni fa non sospettavo nemmeno l'esistenza, oppure mi lasciavano indifferente... quali saranno le cose che mi sto perdendo adesso?
Se mi drogo le papille a suon di Big Mac, riuscirò mai a godermi la sopraffina delizia di un'orata? Mah... forse sto divagando... forse... o forse no...
il coccia