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verità

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2006 21:00
05/02/2006 18:51
 
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Carissimi elettori di destra, questa lista (non diffamante ma basata su informazioni di pubblico dominio) vi serva a rendervi conto delle persone che vi rappresentano nel governo della cosa pubblica:



Berruti, Massimo Maria

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Da ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe la sorte di interrogare un giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose che della Edilnord era soltanto un "semplice consulente". Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione dell'accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come avvocato del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l'altro, l'acquisto del calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo). Nel gennaio 1994 Berlusconi gli ha affidato l'organizzazione della campagna elettorale di Forza Italia a Sciacca e nella provincia d'Agrigento. Con buoni risultati, tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss dell'Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore Monteleone, arrestato nel 1993 per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza Italia a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto in Parlamento già dal 1996.
Con il Berruti avvocato e poi politico, convive il Berruti uomo d'affari: in Sicilia possedeva una societa, la Xacplast, che un rapporto dei carabinieri indicava come partecipata da uomini d'onore delle famiglie mafiose di Sciacca.Il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti e il boss Nino Gioè.


Biondi, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, per Forza Italia. Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare il famoso "decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato la pena di 2 mesi di arresto e 6 milioni di multa per frode fiscale: aveva evaso le tasse su parcelle professionali per quasi 1 miliardo.


Brancher, Aldo

Deputato della Repubblica. Eletto in Veneto. È stato il regista del nuovo accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle libertà alla vittoria elettorale del 2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana. Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del mitico don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio pubblicità di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale dall'ambiente provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana, Famiglia cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest. "Don Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti (300 milioni al ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l'Aids assegnata dal ministero alle reti Fininvest). È subito ribattezzato "il Greganti della Fininvest" perché in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora accanto al neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.


Cantoni, Giampiero

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Lombardia. Banchiere, fu presidente della Bnl.
È stato inquisito per corruzione e altri reati. Se l'è cavata con alcuni patteggiamenti.


D'Alì, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia.
Sottosegretario all'Interno nel secondo governo Berlusconi.
Già vicepresidente della commissione Finanze, per un breve periodo è stato il responsabile economico di Forza Italia. La famiglia D'Alì Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano l'impero governato con autorità da Antonio D'Alì senior, classe 1919, che fu direttamente amministratore delegato della banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il suo nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare la mano al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula era uno dei più importanti istituti di credito siciliani per numero di sportelli e per mezzi amministrati. All'inizio degli anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche dall'Ambroveneto di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca Commerciale Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica debolezza in Sicilia. In seguito all'operazione, Giacomo D'Alì, professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del consiglio d'amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula, prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale, era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero Germanà, che poi, trasferito a Mazara, aveva subito un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona e oggi è dirigente della Dia (la superpolizia antimafia) a Roma. Il rapporto ipotizzava che l'istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto che come presidente del collegio dei sindaci della banca fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia e presidente della Regione Sicilia), già commercialista della famiglia Provenzano (l'altra, quella dell'attuale numero uno di Cosa nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell'incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione?
La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare; l'aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca, "contro pegno di un rilevante pacchetto azionario", senza ingresso di nuovi soci; il finanziamento è stato poi "integralmente estinto con il ricavato della successiva vendita delle azioni alla Comit, che provvide a versare direttamente all'Efibanca le somme di competenza".
La famiglia D'Alì ha avuto come campieri alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il vecchio capomafia di Trapani, fu per una vita fattore dei D'Alì, prima di passare la mano - come boss e come "fattore" - al figlio Matteo Messina Denaro, classe 1962, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell'attacco stragista allo Stato è oggi considerato il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della mafia siciliana, all'ombra del vecchio Bernardo Provenzano. A riprova dei rapporti tra la famiglia D'Alì e il boss, l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall'Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D'Alì, fratello di Antonio il senatore e di un Giacomo D'Alì che, negli anni Settanta, era stato attivista di un gruppo neofascista siciliano.
Anche il fratello di Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato per i D'Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia.
C'è un'altra vicenda in cui le strade dei D'Alì si incrociano con quelle dei boss di Cosa nostra. Francesco Geraci, notissimo gioielliere di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina, dopo essere stato arrestato con l'accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha raccontato: "Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai D'Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina". Si tratta della tenuta di Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari del contratto sono Francesco Geraci il gioielliere e Antonio D'Alì il futuro senatore. "Io sono intervenuto solo al momento della firma", racconta Geraci. "Dopo la stipula andai spesso alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni". Quel terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina.
I D'Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina Denaro, dicono, fu assunto dal nonno di Antonio junior, l'ingegner Giacomo D'Alì, classe 1888, quando "si era ben lontani dall'evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la instaurazione di un'economia criminale". Matteo Messina Denaro era "alle dipendenze come salariato agricolo", "fino a quando non si scoprì chi fosse". Il passaggio della tenuta di Zangara dai D'Alì a Riina è "una vicenda svoltasi all'insaputa del venditore".
Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall'attività a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e Massimo Grillo (Ccd) costituisce il triumvirato informale che decide la politica della città. Anzi, ne è l'uomo emergente, mentre gli altri due hanno dovuto negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo triumvirato che nel maggio 1998 raggiunge l'accordo per candidare a sindaco di Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l'elezione, Canino (uno dei politici più bersagliati dalle critiche di Mauro Rostagno) viene arrestato per concorso nell'associazione mafiosa che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di Trapani. Poi, nell'ottobre 2000, tocca all'assessore Vito Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in giunta solo otto mesi prima, spinto da D'Alì, che subito dopo l'arresto lo difende: "Conosco la capacità lavorativa dell'assessore Conticello e la sua correttezza; mi auguro, pertanto, che il risultato dell'azione investigativa al più presto riveli una diversa valutazione dei fatti". Salvatore Cusenza, della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme ai politici dell'opposizione denuncia il partito degli affari e chiede chiarezza. D'Alì ribatte: "Colgono ogni occasione per criminalizzare gli avversari, con tentativi di sciacallaggio politico di stampo bolscevico". Il 24 aprile di quest'anno è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: "È arrivata l'ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!". D'Alì dichiara: "Nessuno può arrogarsi il diritto di giudizi sommari, né di strumentalizzazioni".
Da oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla polizia darà ordini.


Degennaro, Giuseppe

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. È il patron di imprese come Baricentro e Barialto, oltre che il capofila della società che gestisce l¹interporto di Bari. È stato condannato a 16 mesi per voto di scambio: secondo i giudici avrebbe pagato per ottenere una contropartita di circa 2.000 voti di preferenza. Il partner dello scambio, però, sarebbe stato il pericoloso clan mafioso locale dei Capriati.


Dell'Utri, Marcello

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio più chic di Milano. È, tecnicamente, un "pregiudicato". È stato infatti condannato a Torino per false fatture e frode fiscale continuata. Sentenza definitiva, stabilita dalla Cassazione: 2 anni e 3 mesi di carcere. Ma non eseguita, perché i suoi avvocati sono riusciti a tirare in lungo e a congelarla davanti alla Corte costituzionale. Dell'Utri è poi sotto processo anche per altre faccende: a Milano per corruzione e a Madrid per le irregolarità nella gestione di Telecinco. A Palermo è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto questo non ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più centrale di Milano. Marcello lo ha confessato in tv: "Mi candido per legittima difesa".


Del Pennino, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto per la Casa delle libertà. È tra i repubblicani che con Giorgio La Malfa sono passati con Berlusconi. In passato è stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte parlamentare. Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da Angelo Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo". Il 13 maggio 1992, agli albori di Mani pulite, quando era deputato del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera, è stato raggiunto da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato: ricettazione, per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati di Milano l'avevano richiesta per contributi in denaro che Del Pennino avrebbe ricevuto da fondi neri costituiti presso l' Associazione industriale lombarda (Assolombarda). A luglio 1994 Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per le tangenti Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti milanese (in precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una sua richiesta di patteggiamento, perché la pena concordata con il pubblico ministero non era stata ritenuta congrua rispetto alla gravità dei fatti contestati). Alla fine del 2000 Antonio Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per partecipare al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi con Berlusconi.



De Rigo, Walter

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. Importante imprenditore bellunese del settore degli occhiali, è stato processato per avere nei primi anni Novanta utilizzato in maniera illecita finanziamenti dell¹Unione Europea. Se l¹è cavata con una condanna patteggiata.


Floresta, Ilario

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre. È nato a Desio, in Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia, nel settore della telefonia, ben introdotto nei subappalti della telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994 "scese in campo" sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel collegio di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi. Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia) lo misero sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera, uno dei mafiosi responsabili della strage di Giovanni Falcone, nei giorni precedenti e seguenti la strage aveva comunicato anche con cellulari intestati a un'azienda di Floresta. Questioni di lavoro, spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia palermitana, Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore di giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta negli uffici dell'autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d'onore calabrese del clan Ercolano, poi arrestato in seguito all'operazione Orsa Maggiore. Le affermazioni di Scavo sono rimaste però senza conferme e riscontri, così la procura ha chiesto l'archiviazione del caso


Frigerio, Gianstefano

Deputato della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia. Già, ma qual è il nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi l'ha candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto sui manifesti. A Milano, dove da decenni fa politica, è Gianstefano. Eppure è sempre lui: come segretario regionale della Dc in Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato decine di tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993, è stato coinvolto in molti processi. È accusato di aver accettato mazzette per le discariche lombarde, per il depuratore di Monza, per gli appalti alle Ferrovie Nord. Alcune tangenti le ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha confessato, per esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio dei permessi alla Fininvest per gestire la discarica di Cerro Maggiore.
Ha accumulato tre condanne definitive: 1,4 anni per finanziamento illecito ai partiti, 1,7 per finanziamenti illeciti e ricettazione, 3,9 per corruzione e concussione. Ciò nonostante, dopo aver lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come consigliere personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia, di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell'esecuzione stavano esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per decidere il cumulo della pena da scontare, Gianstefano scompare e ricompare, in Puglia, Carlo: lì si è conquistato un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di riunione della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato. Dovrà scontare una pena di 6 anni e cinque mesi.


Gianni, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta. Giuseppe, detto Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è medico di Solarino ed ex sindaco di Priolo. Deputato regionale dal 1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato nell'Udeur di Clemente Mastella ed è stato anche componente della commissione Sanità. Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale di Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l'appalto di lavori nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione lo aveva definito "un prezioso capitale per la sua città, per la regione e per l'intero partito". Dopo la condanna lo ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.


Giudice, Gaspare

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel 1998, quando era vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi rapporti con l'onorevole Gianfranco Micciché, non si può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti non avrebbe potuto avere quell'incarico". Secondo l'accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di Caccamo, i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli elementi raccolti dall'accusa erano tali da far escludere alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso, in giunta, non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò (303 voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d'arresto. Non solo, i deputati sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287 voti a 239, con 3 astenuti) l'utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.


La Malfa, Giorgio

Deputato della Repubblica. Ex segretario del Pri ai tempi della "prima repubblica", ha portato il suo partito ad aderire alla Casa delle libertà. Come tanti altri segretari di partito degli anni di Tangentopoli, è stato condannato a 6 mesi per aver percepito finanziamenti illeciti, provenienti dalla maxitangente Enimont.


Lo Porto, Guido

Deputato della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale). Oggi è un esponente di An e parlamentare della Casa delle libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969, quando aveva 32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a quattro camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare dell'organizzazione neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata una quantità considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale. Concutelli fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato poi indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti mafiosi.


Maroni, Roberto

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista, ex ministro dell'Interno nel primo governo Berlusconi. È coinvolto in tre inchieste giudiziarie. Per gli scontri con la polizia, inviata a perquisire la sede della Lega a Milano, è stato condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è indagato dalla procura di Verona per reati come attentato contro l'integrità dello Stato. Infine, la procura di Roma lo vuole processare per favoreggiamento di una presunta compravendita di voti.
Candidato al ministero della Giustizia nel governo Berlusconi, ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque diventato ministro al Welfare.


Mauro, Giovanni

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente di Forza Italia. Quando era presidente della Provincia di Ragusa, nell'agosto 1998, fu arrestato con alcuni suoi collaboratori con l'accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da sei professionisti che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo di progetti ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano territoriale provinciale) finanziati dall'Unione europea. Al momento dell'arresto, il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Micciché denunciò l'inizio di "una campagna d'agosto" contro il suo partito e lo definì "uno dei più stimati amministratori siciliani". Il capo d'imputazione era pesante: "associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione". In attesa che si concluda il processo a suo carico, è entrato in Parlamento. Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 2 mesi.



Pisanu, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Ex democristiano, è stato per anni deputato dc e sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi del pentapartito. Nel secondo governo Berlusconi è finalmente ministro: di un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma di governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela".
Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che fa incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816). Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano: "Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate" (Testimonianza Pisanu al pm Dell'Osso)
Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.
Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà Angelo Rizzoli: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano" (Corriere della sera, 22 gennaio 1983).
Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.


Previti, Cesare

Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di Silvio Berlusconi, ha ereditato l'incarico professionale dal padre, che aiutò il giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un turbine di strane società svizzere e di anonime fiduciarie. È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti delle origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria 67 anni anni fa, crebbe professionalmente nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo mai rinnegato le sue origini politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Oggi è imputato nel processo "toghe sporche", per aver corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Cesare Previti ha rischiato (come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non trovare posto nelle liste di Forza Italia. Per lui però il Cavaliere alla fine ha fatto un'eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista di Forza Italia nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio uninominale di Roma Tomba di Nerone.


Salini, Rocco

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Abruzzo, nel collegio di Teramo. Presidente democristiano della giunta regionale abruzzese nei primi anni Novanta, fu arrestato (con l'intera giunta) nell'ambito di un'indagine giudiziaria sui finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver falsificato la graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale, nelle liste di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior numero di voti nella regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente della giunta e assessore alla Sanità. Ma Salini, in quanto condannato, era ineleggibile al Consiglio regionale e su questo sta infatti decidendo il tribunale amministrativo regionale dell'Aquila, che potrebbe anche decretare lo scioglimento dell'assemblea, rendendo quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla Regione, Salini si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.


Selva, Gustavo

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano, oggi è esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 623, numero di tessera 1814, data di iniziazione 26 gennaio 1978. All'epoca, Selva era direttore del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla loggia. Sospeso dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.


Scajola, Claudio

Deputato della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu segretario della Dc locale e sindaco d'Imperia fin dal 1952. Due anni dopo dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto il posto di primario chirurgico nell'ospedale locale e si malignava che fosse stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che divenne anch'egli sindaco d'Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc. Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi dell'università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente dell'ospedale Novaro, poi dell'Unità sanitaria locale; è anche segretario provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d'Imperia, come il padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. È una festa, in famiglia. Peccato che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. È il primo grande intreccio tra politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983 polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i casinò di Sanremo, Campione d'Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati sono una quarantina. Il "blitz di San Martino", come verrà chiamato, convolge imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d'Aosta. Che cosa era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi, che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento, sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare d'Imperia. Dall'altra il conte Giorgio Borletti, ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower's paradise e per battere Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi. Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi ("parte a Roma": ma di questo non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si muovevano, nell'ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio, era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di Nitto Santapaola e a Gaetano Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva presentato alcuni "amici" come Angiolino Epaminonda detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e Giuseppe Bono. Il primo era il principe della "mala" a Milano, gli ultimi due erano i boss delle "famiglie" palermitane al Nord. Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall'altra la Flower's paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento, interrogato dai magistrati dopo l'arresto, spiega: nel partito, il metodo delle tangenti è stato accettato non soltanto "per motivi economici, ma anche politici", perché "chi non accettava il piano di corruzione di fatto si isolava", "il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione". In questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la Flower's paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all'ultimo momento aveva fatto il furbo ed era passato dall'altra parte: la commissione aveva stabilito che l'offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda. Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in Svizzera. È Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a Borletti di poterlo incontrare, "in modo riservato", insieme a un altro politico, "in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la segretezza", scrive il magistrato. Borletti accetta. L'incontro avviene in un ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che "i due politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe ottenuto la casa da gioco", ma "ad alcune condizioni": la prima, che "la gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze politiche e quindi senza etichette socialiste"; la seconda, che "venisse compiuto un "gesto"che potesse controbilanciare l'offerta fatta dal Merlo a favore degli sfrattati" (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di milioni per dare un'abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo, che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due persone (Lorenzo Acquarone e Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a indagare sui casinò, Borletti racconta dell'incontro e i tre confermano. Ecco allora che anche Scajola viene arrestato. Nella loro requisitoria, i pubblici ministeri Corrado Carnevali e Marco Maiga scrivono: "Sono stati raccolti elementi sufficienti per giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè Vento e Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise e dettagliate della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella loro portata accusatoria; le stesse dichiarazioni hanno trovato conferma in numerose testimonianze (Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli, Pier Giusto Jaeger)". E ancora: "Benché l'imputato Scajola abbia recisamente respinto l'addebito, sostenendo che la richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso della conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del Vento (...) devono debbono ritenersi determinanti in ordine all'effettiva sussistenza del reato, di cui sono presenti gli elementi costitutivi tutti. La presenza dello Scajola nel particolare contesto, (...) l'avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai testi di cui sopra si è detto, riferito l'indebita richiesta a lui avanzata ad entrambi i pubblici amministratori presenti nell'occorso, devono essere ritenute circostanze sufficienti perché lo stesso Scajola sia chiamato a rispondere del reato a titolo di concorso morale nel medesimo".
Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del pubblico ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico di Scajola siano sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio 1989 lo proscioglie. Scajola aveva spiegato di essere andato all'incontro con Borletti, ma soltanto per capire la situazione, che era alquanto confusa. Aveva confermato di aver posto il problema della "gestione imparziale"(cioè non filo-socialista) del casinò, ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere, alcuna tangente.
Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce con un accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti, in cambio di 1 miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi in seguito, a grosse rate mensili. Il processo per lo scandalo dei casinò termina invece con molte condanne definitive, che confermano nella sostanza l'impianto accusatorio.
E Claudio Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere sulla poltrona di sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma intanto la Dc si è dissolta in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te, "Amministrare Imperia", che si scontra con una lista dell'Ulivo e una del Polo. Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza Italia e An dice: "Sono soltanto dei fascisti". Vince il centrosinistra. Ma l'anno dopo, nell'aprile 1996, mostra di essersi ricreduto: si candida alla Camera per Forza Italia e viene eletto. Amministratore tenace, organizzatore efficiente, democristiano a 24 carati, si fa subito notare da Silvio Berlusconi, che gli affida un compito impegnativo: costruire il partito. Nominato coordinatore nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il "partito di plastica" in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli affida il più delicato dei ministeri, quello dell'Interno: con Scajola, al Viminale torna un democristiano doc, uno della tempra dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola, per i suoi trascorsi è, effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto. Poi lascia senza protezione il consulente ministeriale Marco Biagi. Quando questi viene ucciso dalle Br, Scajola prima scarica le responsabilità sui prefetti, a cui aveva dato ordini di ridurre le scorte; poi dichiara che Biagi, colpevole di chiedere insistentemente di essere protetto, era un "rompicoglioni". Troppo perfino per il panorama politico italiano, anche perché le dichiarazioni di Scajola vengono riportate da due grandi quotidiani, Corriere della sera e Sole 24 ore. Scajola è così costretto alle dimissioni da ministro. Sostituito da uno che a sua volta dieci anni prima era stato costretto a dare le dimissioni da sottosegretario (Pisanu, vedi...). Ma tornerà, vedrete...


Sodano, Calogero

Senatore della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd, è stato sindaco di Agrigento. Nell'aprile 2001 ha subito una condanna in primo grado a 1 anno e mezzo di reclusione per avere permesso l'abusivismo edilizio in cambio di vantaggi elettorali. Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche alcuni suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l'accusa, non avrebbero posto in essere né provvedimenti né iniziative per bloccare l'abusivismo edilizio tra il 1991 e il 1998, non solo nella Valle dei Templi, ma in tutta la città.


Sudano, Domenico

Senatore della Repubblica, Ccd. Catanese, ex andreottiano, nel 1995, in qualità di presidente di una Usl, è stato condannato per un concorso truccato. Ha patteggiato una pena di un anno e mezzo e ha evitato il carcere, approdando poi in Parlamento.


Urbani, Giuliano

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Vimercate. È un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza politica all'università Bocconi. Nel 1985 è tra i fondatori del circolo Società civile di Milano. Nel 1994 la sua critica della vecchia politica si acquieta nel nuovo partito di Silvio Berlusconi: partecipa addirittura alla formazione di Forza Italia, in cui confluisce la sua Associazione per il Buon Governo. Berlusconi lo premia con una candidatura in Parlamento, in cui entra nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero della Funzione pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro dei Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo sottosegretario Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani ha mantenuto una attività professionale: è stato a lungo, per esempio, presidente di Domina, una delle società del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider di Garbagnate", Preatoni era stato per anni oggetto di indagini da parte della magistratura italiana e della Consob, l'autorità di controllo della Borsa. Gli innumerevoli procedimenti giudiziari aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai riusciti ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato di cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi in Estonia, diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del comunismo, un paradiso per le scorribande finanziarie. La sua holding finanziaria e immobiliare era diventata la Pro Kapital, con sede a Tallin, in Estonia. La società italiana Domina aveva però continuato a controllare le attività turistiche del gruppo, tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di Preatoni resta la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile (ai giudici) Vaduz. Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi, è rimasto presidente della Domina almeno fino a poco tempo fa. "Conosco Urbani da tempo", ha dichiarato Preatoni al Corriere della sera il 9 agosto 2001, "ma di recente ha dato le dimissioni dal suo incarico in Domina". Quanto di recente, onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era circolata la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti anche per l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto Urbani.

Verdini, Denis

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze, nelle liste di Forza Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi della Toscana. Presidente della banca Credito cooperativo fiorentino, dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. È editore del Giornale della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.


Verro, Antonio

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Cremona. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Maurizio Lupi, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vizzini, Carlo

Senatore della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del Psdi, cinque volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte ministro, è stato responsabile tra l'altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina. Nel 1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei ministri anche dall'accusa di aver ricevuto mazzette mentre era al ministero delle Poste. Giovanni Brusca ha incluso il suo nome nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri, è entrato nel Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.



Il Nano & la suaBand
[Non Registrato]
05/02/2006 20:36
 
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Hanno dimenticato (stranamente) quelli di sinistra...guarda caso
Hanno dimenticato (stranamente) quelli di sinistra...guarda caso

Tanto per segnalare la parzialità delle affermazioni degli inquisiti di destra,l'amico si è (volutamente) dimenticato di coloro di sinistra...della serie che riescono a vedere la pagliuzza nell'occhio dell'altro,ma non vedono la trave nel loro....tirate un pò voi le somme...

Carra, Enzo

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nella lista della Margherita in Campania. Oggi è capo della segreteria politica dell'Udeur, dopo essere stato portavoce della Dc durante la segreteria di Arnaldo Forlani. Pregiudicato: condannato a 1 anno e 4 mesi per falsa testimonianza. Arrestato durante Mani pulite, la sua fotografia in manette divenne un'immagine-simbolo di Tangentopoli.

Craxi, Vittorio (detto Bobo) che si è presentato con lo schieramento di sinistra.

Del Turco, Ottaviano

Senatore della Repubblica. Eletto in Abruzzo, con il recupero proporzionale, nella lista del Girasole. Del Turco fa parte del partito socialista di Enrico Boselli, alleato con il centrosinistra. È stato dirigente sindacale, vicesegretario generale della Cgil. Poi, dopo il crollo di Bettino Craxi accusato di tangenti, nel 1993 è stato eletto segretario del Psi. È stato ministro nel secondo governo Amato. Il costruttore Vincenzo Lodigiani, arrestato per tangenti nel 1993, ha dichiarato di aver dato soldi anche a Del Turco, quando era dirigente sindacale.

Se vuoi ti cerco gli altri...lascia comunque ai cittadini decidere se dargli il voto! Al cittadino l'ardua sent

Scritto da: Il Nano & la suaBand 05/02/2006 18.51
Carissimi elettori di destra, questa lista (non diffamante ma basata su informazioni di pubblico dominio) vi serva a rendervi conto delle persone che vi rappresentano nel governo della cosa pubblica:



Berruti, Massimo Maria

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Da ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe la sorte di interrogare un giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose che della Edilnord era soltanto un "semplice consulente". Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione dell'accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come avvocato del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l'altro, l'acquisto del calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo). Nel gennaio 1994 Berlusconi gli ha affidato l'organizzazione della campagna elettorale di Forza Italia a Sciacca e nella provincia d'Agrigento. Con buoni risultati, tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss dell'Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore Monteleone, arrestato nel 1993 per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza Italia a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto in Parlamento già dal 1996.
Con il Berruti avvocato e poi politico, convive il Berruti uomo d'affari: in Sicilia possedeva una societa, la Xacplast, che un rapporto dei carabinieri indicava come partecipata da uomini d'onore delle famiglie mafiose di Sciacca.Il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti e il boss Nino Gioè.


Biondi, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, per Forza Italia. Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare il famoso "decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato la pena di 2 mesi di arresto e 6 milioni di multa per frode fiscale: aveva evaso le tasse su parcelle professionali per quasi 1 miliardo.


Brancher, Aldo

Deputato della Repubblica. Eletto in Veneto. È stato il regista del nuovo accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle libertà alla vittoria elettorale del 2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana. Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del mitico don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio pubblicità di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale dall'ambiente provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana, Famiglia cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest. "Don Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti (300 milioni al ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l'Aids assegnata dal ministero alle reti Fininvest). È subito ribattezzato "il Greganti della Fininvest" perché in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora accanto al neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.


Cantoni, Giampiero

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Lombardia. Banchiere, fu presidente della Bnl.
È stato inquisito per corruzione e altri reati. Se l'è cavata con alcuni patteggiamenti.


D'Alì, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia.
Sottosegretario all'Interno nel secondo governo Berlusconi.
Già vicepresidente della commissione Finanze, per un breve periodo è stato il responsabile economico di Forza Italia. La famiglia D'Alì Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano l'impero governato con autorità da Antonio D'Alì senior, classe 1919, che fu direttamente amministratore delegato della banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il suo nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare la mano al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula era uno dei più importanti istituti di credito siciliani per numero di sportelli e per mezzi amministrati. All'inizio degli anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche dall'Ambroveneto di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca Commerciale Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica debolezza in Sicilia. In seguito all'operazione, Giacomo D'Alì, professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del consiglio d'amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula, prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale, era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero Germanà, che poi, trasferito a Mazara, aveva subito un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona e oggi è dirigente della Dia (la superpolizia antimafia) a Roma. Il rapporto ipotizzava che l'istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto che come presidente del collegio dei sindaci della banca fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia e presidente della Regione Sicilia), già commercialista della famiglia Provenzano (l'altra, quella dell'attuale numero uno di Cosa nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell'incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione?
La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare; l'aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca, "contro pegno di un rilevante pacchetto azionario", senza ingresso di nuovi soci; il finanziamento è stato poi "integralmente estinto con il ricavato della successiva vendita delle azioni alla Comit, che provvide a versare direttamente all'Efibanca le somme di competenza".
La famiglia D'Alì ha avuto come campieri alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il vecchio capomafia di Trapani, fu per una vita fattore dei D'Alì, prima di passare la mano - come boss e come "fattore" - al figlio Matteo Messina Denaro, classe 1962, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell'attacco stragista allo Stato è oggi considerato il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della mafia siciliana, all'ombra del vecchio Bernardo Provenzano. A riprova dei rapporti tra la famiglia D'Alì e il boss, l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall'Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D'Alì, fratello di Antonio il senatore e di un Giacomo D'Alì che, negli anni Settanta, era stato attivista di un gruppo neofascista siciliano.
Anche il fratello di Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato per i D'Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia.
C'è un'altra vicenda in cui le strade dei D'Alì si incrociano con quelle dei boss di Cosa nostra. Francesco Geraci, notissimo gioielliere di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina, dopo essere stato arrestato con l'accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha raccontato: "Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai D'Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina". Si tratta della tenuta di Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari del contratto sono Francesco Geraci il gioielliere e Antonio D'Alì il futuro senatore. "Io sono intervenuto solo al momento della firma", racconta Geraci. "Dopo la stipula andai spesso alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni". Quel terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina.
I D'Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina Denaro, dicono, fu assunto dal nonno di Antonio junior, l'ingegner Giacomo D'Alì, classe 1888, quando "si era ben lontani dall'evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la instaurazione di un'economia criminale". Matteo Messina Denaro era "alle dipendenze come salariato agricolo", "fino a quando non si scoprì chi fosse". Il passaggio della tenuta di Zangara dai D'Alì a Riina è "una vicenda svoltasi all'insaputa del venditore".
Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall'attività a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e Massimo Grillo (Ccd) costituisce il triumvirato informale che decide la politica della città. Anzi, ne è l'uomo emergente, mentre gli altri due hanno dovuto negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo triumvirato che nel maggio 1998 raggiunge l'accordo per candidare a sindaco di Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l'elezione, Canino (uno dei politici più bersagliati dalle critiche di Mauro Rostagno) viene arrestato per concorso nell'associazione mafiosa che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di Trapani. Poi, nell'ottobre 2000, tocca all'assessore Vito Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in giunta solo otto mesi prima, spinto da D'Alì, che subito dopo l'arresto lo difende: "Conosco la capacità lavorativa dell'assessore Conticello e la sua correttezza; mi auguro, pertanto, che il risultato dell'azione investigativa al più presto riveli una diversa valutazione dei fatti". Salvatore Cusenza, della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme ai politici dell'opposizione denuncia il partito degli affari e chiede chiarezza. D'Alì ribatte: "Colgono ogni occasione per criminalizzare gli avversari, con tentativi di sciacallaggio politico di stampo bolscevico". Il 24 aprile di quest'anno è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: "È arrivata l'ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!". D'Alì dichiara: "Nessuno può arrogarsi il diritto di giudizi sommari, né di strumentalizzazioni".
Da oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla polizia darà ordini.


Degennaro, Giuseppe

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. È il patron di imprese come Baricentro e Barialto, oltre che il capofila della società che gestisce l¹interporto di Bari. È stato condannato a 16 mesi per voto di scambio: secondo i giudici avrebbe pagato per ottenere una contropartita di circa 2.000 voti di preferenza. Il partner dello scambio, però, sarebbe stato il pericoloso clan mafioso locale dei Capriati.


Dell'Utri, Marcello

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio più chic di Milano. È, tecnicamente, un "pregiudicato". È stato infatti condannato a Torino per false fatture e frode fiscale continuata. Sentenza definitiva, stabilita dalla Cassazione: 2 anni e 3 mesi di carcere. Ma non eseguita, perché i suoi avvocati sono riusciti a tirare in lungo e a congelarla davanti alla Corte costituzionale. Dell'Utri è poi sotto processo anche per altre faccende: a Milano per corruzione e a Madrid per le irregolarità nella gestione di Telecinco. A Palermo è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto questo non ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più centrale di Milano. Marcello lo ha confessato in tv: "Mi candido per legittima difesa".


Del Pennino, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto per la Casa delle libertà. È tra i repubblicani che con Giorgio La Malfa sono passati con Berlusconi. In passato è stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte parlamentare. Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da Angelo Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo". Il 13 maggio 1992, agli albori di Mani pulite, quando era deputato del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera, è stato raggiunto da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato: ricettazione, per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati di Milano l'avevano richiesta per contributi in denaro che Del Pennino avrebbe ricevuto da fondi neri costituiti presso l' Associazione industriale lombarda (Assolombarda). A luglio 1994 Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per le tangenti Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti milanese (in precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una sua richiesta di patteggiamento, perché la pena concordata con il pubblico ministero non era stata ritenuta congrua rispetto alla gravità dei fatti contestati). Alla fine del 2000 Antonio Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per partecipare al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi con Berlusconi.



De Rigo, Walter

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. Importante imprenditore bellunese del settore degli occhiali, è stato processato per avere nei primi anni Novanta utilizzato in maniera illecita finanziamenti dell¹Unione Europea. Se l¹è cavata con una condanna patteggiata.


Floresta, Ilario

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre. È nato a Desio, in Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia, nel settore della telefonia, ben introdotto nei subappalti della telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994 "scese in campo" sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel collegio di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi. Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia) lo misero sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera, uno dei mafiosi responsabili della strage di Giovanni Falcone, nei giorni precedenti e seguenti la strage aveva comunicato anche con cellulari intestati a un'azienda di Floresta. Questioni di lavoro, spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia palermitana, Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore di giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta negli uffici dell'autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d'onore calabrese del clan Ercolano, poi arrestato in seguito all'operazione Orsa Maggiore. Le affermazioni di Scavo sono rimaste però senza conferme e riscontri, così la procura ha chiesto l'archiviazione del caso


Frigerio, Gianstefano

Deputato della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia. Già, ma qual è il nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi l'ha candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto sui manifesti. A Milano, dove da decenni fa politica, è Gianstefano. Eppure è sempre lui: come segretario regionale della Dc in Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato decine di tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993, è stato coinvolto in molti processi. È accusato di aver accettato mazzette per le discariche lombarde, per il depuratore di Monza, per gli appalti alle Ferrovie Nord. Alcune tangenti le ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha confessato, per esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio dei permessi alla Fininvest per gestire la discarica di Cerro Maggiore.
Ha accumulato tre condanne definitive: 1,4 anni per finanziamento illecito ai partiti, 1,7 per finanziamenti illeciti e ricettazione, 3,9 per corruzione e concussione. Ciò nonostante, dopo aver lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come consigliere personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia, di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell'esecuzione stavano esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per decidere il cumulo della pena da scontare, Gianstefano scompare e ricompare, in Puglia, Carlo: lì si è conquistato un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di riunione della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato. Dovrà scontare una pena di 6 anni e cinque mesi.


Gianni, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta. Giuseppe, detto Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è medico di Solarino ed ex sindaco di Priolo. Deputato regionale dal 1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato nell'Udeur di Clemente Mastella ed è stato anche componente della commissione Sanità. Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale di Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l'appalto di lavori nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione lo aveva definito "un prezioso capitale per la sua città, per la regione e per l'intero partito". Dopo la condanna lo ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.


Giudice, Gaspare

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel 1998, quando era vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi rapporti con l'onorevole Gianfranco Micciché, non si può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti non avrebbe potuto avere quell'incarico". Secondo l'accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di Caccamo, i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli elementi raccolti dall'accusa erano tali da far escludere alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso, in giunta, non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò (303 voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d'arresto. Non solo, i deputati sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287 voti a 239, con 3 astenuti) l'utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.


La Malfa, Giorgio

Deputato della Repubblica. Ex segretario del Pri ai tempi della "prima repubblica", ha portato il suo partito ad aderire alla Casa delle libertà. Come tanti altri segretari di partito degli anni di Tangentopoli, è stato condannato a 6 mesi per aver percepito finanziamenti illeciti, provenienti dalla maxitangente Enimont.


Lo Porto, Guido

Deputato della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale). Oggi è un esponente di An e parlamentare della Casa delle libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969, quando aveva 32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a quattro camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare dell'organizzazione neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata una quantità considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale. Concutelli fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato poi indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti mafiosi.


Maroni, Roberto

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista, ex ministro dell'Interno nel primo governo Berlusconi. È coinvolto in tre inchieste giudiziarie. Per gli scontri con la polizia, inviata a perquisire la sede della Lega a Milano, è stato condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è indagato dalla procura di Verona per reati come attentato contro l'integrità dello Stato. Infine, la procura di Roma lo vuole processare per favoreggiamento di una presunta compravendita di voti.
Candidato al ministero della Giustizia nel governo Berlusconi, ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque diventato ministro al Welfare.


Mauro, Giovanni

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente di Forza Italia. Quando era presidente della Provincia di Ragusa, nell'agosto 1998, fu arrestato con alcuni suoi collaboratori con l'accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da sei professionisti che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo di progetti ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano territoriale provinciale) finanziati dall'Unione europea. Al momento dell'arresto, il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Micciché denunciò l'inizio di "una campagna d'agosto" contro il suo partito e lo definì "uno dei più stimati amministratori siciliani". Il capo d'imputazione era pesante: "associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione". In attesa che si concluda il processo a suo carico, è entrato in Parlamento. Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 2 mesi.



Pisanu, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Ex democristiano, è stato per anni deputato dc e sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi del pentapartito. Nel secondo governo Berlusconi è finalmente ministro: di un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma di governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela".
Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che fa incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816). Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano: "Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate" (Testimonianza Pisanu al pm Dell'Osso)
Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.
Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà Angelo Rizzoli: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano" (Corriere della sera, 22 gennaio 1983).
Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.


Previti, Cesare

Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di Silvio Berlusconi, ha ereditato l'incarico professionale dal padre, che aiutò il giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un turbine di strane società svizzere e di anonime fiduciarie. È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti delle origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria 67 anni anni fa, crebbe professionalmente nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo mai rinnegato le sue origini politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Oggi è imputato nel processo "toghe sporche", per aver corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Cesare Previti ha rischiato (come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non trovare posto nelle liste di Forza Italia. Per lui però il Cavaliere alla fine ha fatto un'eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista di Forza Italia nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio uninominale di Roma Tomba di Nerone.


Salini, Rocco

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Abruzzo, nel collegio di Teramo. Presidente democristiano della giunta regionale abruzzese nei primi anni Novanta, fu arrestato (con l'intera giunta) nell'ambito di un'indagine giudiziaria sui finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver falsificato la graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale, nelle liste di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior numero di voti nella regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente della giunta e assessore alla Sanità. Ma Salini, in quanto condannato, era ineleggibile al Consiglio regionale e su questo sta infatti decidendo il tribunale amministrativo regionale dell'Aquila, che potrebbe anche decretare lo scioglimento dell'assemblea, rendendo quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla Regione, Salini si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.


Selva, Gustavo

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano, oggi è esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 623, numero di tessera 1814, data di iniziazione 26 gennaio 1978. All'epoca, Selva era direttore del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla loggia. Sospeso dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.


Scajola, Claudio

Deputato della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu segretario della Dc locale e sindaco d'Imperia fin dal 1952. Due anni dopo dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto il posto di primario chirurgico nell'ospedale locale e si malignava che fosse stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che divenne anch'egli sindaco d'Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc. Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi dell'università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente dell'ospedale Novaro, poi dell'Unità sanitaria locale; è anche segretario provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d'Imperia, come il padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. È una festa, in famiglia. Peccato che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. È il primo grande intreccio tra politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983 polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i casinò di Sanremo, Campione d'Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati sono una quarantina. Il "blitz di San Martino", come verrà chiamato, convolge imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d'Aosta. Che cosa era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi, che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento, sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare d'Imperia. Dall'altra il conte Giorgio Borletti, ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower's paradise e per battere Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi. Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi ("parte a Roma": ma di questo non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si muovevano, nell'ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio, era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di Nitto Santapaola e a Gaetano Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva presentato alcuni "amici" come Angiolino Epaminonda detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e Giuseppe Bono. Il primo era il principe della "mala" a Milano, gli ultimi due erano i boss delle "famiglie" palermitane al Nord. Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall'altra la Flower's paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento, interrogato dai magistrati dopo l'arresto, spiega: nel partito, il metodo delle tangenti è stato accettato non soltanto "per motivi economici, ma anche politici", perché "chi non accettava il piano di corruzione di fatto si isolava", "il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione". In questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la Flower's paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all'ultimo momento aveva fatto il furbo ed era passato dall'altra parte: la commissione aveva stabilito che l'offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda. Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in Svizzera. È Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a Borletti di poterlo incontrare, "in modo riservato", insieme a un altro politico, "in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la segretezza", scrive il magistrato. Borletti accetta. L'incontro avviene in un ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che "i due politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe ottenuto la casa da gioco", ma "ad alcune condizioni": la prima, che "la gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze politiche e quindi senza etichette socialiste"; la seconda, che "venisse compiuto un "gesto"che potesse controbilanciare l'offerta fatta dal Merlo a favore degli sfrattati" (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di milioni per dare un'abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo, che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due persone (Lorenzo Acquarone e Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a indagare sui casinò, Borletti racconta dell'incontro e i tre confermano. Ecco allora che anche Scajola viene arrestato. Nella loro requisitoria, i pubblici ministeri Corrado Carnevali e Marco Maiga scrivono: "Sono stati raccolti elementi sufficienti per giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè Vento e Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise e dettagliate della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella loro portata accusatoria; le stesse dichiarazioni hanno trovato conferma in numerose testimonianze (Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli, Pier Giusto Jaeger)". E ancora: "Benché l'imputato Scajola abbia recisamente respinto l'addebito, sostenendo che la richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso della conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del Vento (...) devono debbono ritenersi determinanti in ordine all'effettiva sussistenza del reato, di cui sono presenti gli elementi costitutivi tutti. La presenza dello Scajola nel particolare contesto, (...) l'avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai testi di cui sopra si è detto, riferito l'indebita richiesta a lui avanzata ad entrambi i pubblici amministratori presenti nell'occorso, devono essere ritenute circostanze sufficienti perché lo stesso Scajola sia chiamato a rispondere del reato a titolo di concorso morale nel medesimo".
Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del pubblico ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico di Scajola siano sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio 1989 lo proscioglie. Scajola aveva spiegato di essere andato all'incontro con Borletti, ma soltanto per capire la situazione, che era alquanto confusa. Aveva confermato di aver posto il problema della "gestione imparziale"(cioè non filo-socialista) del casinò, ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere, alcuna tangente.
Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce con un accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti, in cambio di 1 miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi in seguito, a grosse rate mensili. Il processo per lo scandalo dei casinò termina invece con molte condanne definitive, che confermano nella sostanza l'impianto accusatorio.
E Claudio Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere sulla poltrona di sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma intanto la Dc si è dissolta in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te, "Amministrare Imperia", che si scontra con una lista dell'Ulivo e una del Polo. Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza Italia e An dice: "Sono soltanto dei fascisti". Vince il centrosinistra. Ma l'anno dopo, nell'aprile 1996, mostra di essersi ricreduto: si candida alla Camera per Forza Italia e viene eletto. Amministratore tenace, organizzatore efficiente, democristiano a 24 carati, si fa subito notare da Silvio Berlusconi, che gli affida un compito impegnativo: costruire il partito. Nominato coordinatore nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il "partito di plastica" in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli affida il più delicato dei ministeri, quello dell'Interno: con Scajola, al Viminale torna un democristiano doc, uno della tempra dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola, per i suoi trascorsi è, effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto. Poi lascia senza protezione il consulente ministeriale Marco Biagi. Quando questi viene ucciso dalle Br, Scajola prima scarica le responsabilità sui prefetti, a cui aveva dato ordini di ridurre le scorte; poi dichiara che Biagi, colpevole di chiedere insistentemente di essere protetto, era un "rompicoglioni". Troppo perfino per il panorama politico italiano, anche perché le dichiarazioni di Scajola vengono riportate da due grandi quotidiani, Corriere della sera e Sole 24 ore. Scajola è così costretto alle dimissioni da ministro. Sostituito da uno che a sua volta dieci anni prima era stato costretto a dare le dimissioni da sottosegretario (Pisanu, vedi...). Ma tornerà, vedrete...


Sodano, Calogero

Senatore della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd, è stato sindaco di Agrigento. Nell'aprile 2001 ha subito una condanna in primo grado a 1 anno e mezzo di reclusione per avere permesso l'abusivismo edilizio in cambio di vantaggi elettorali. Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche alcuni suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l'accusa, non avrebbero posto in essere né provvedimenti né iniziative per bloccare l'abusivismo edilizio tra il 1991 e il 1998, non solo nella Valle dei Templi, ma in tutta la città.


Sudano, Domenico

Senatore della Repubblica, Ccd. Catanese, ex andreottiano, nel 1995, in qualità di presidente di una Usl, è stato condannato per un concorso truccato. Ha patteggiato una pena di un anno e mezzo e ha evitato il carcere, approdando poi in Parlamento.


Urbani, Giuliano

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Vimercate. È un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza politica all'università Bocconi. Nel 1985 è tra i fondatori del circolo Società civile di Milano. Nel 1994 la sua critica della vecchia politica si acquieta nel nuovo partito di Silvio Berlusconi: partecipa addirittura alla formazione di Forza Italia, in cui confluisce la sua Associazione per il Buon Governo. Berlusconi lo premia con una candidatura in Parlamento, in cui entra nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero della Funzione pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro dei Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo sottosegretario Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani ha mantenuto una attività professionale: è stato a lungo, per esempio, presidente di Domina, una delle società del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider di Garbagnate", Preatoni era stato per anni oggetto di indagini da parte della magistratura italiana e della Consob, l'autorità di controllo della Borsa. Gli innumerevoli procedimenti giudiziari aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai riusciti ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato di cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi in Estonia, diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del comunismo, un paradiso per le scorribande finanziarie. La sua holding finanziaria e immobiliare era diventata la Pro Kapital, con sede a Tallin, in Estonia. La società italiana Domina aveva però continuato a controllare le attività turistiche del gruppo, tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di Preatoni resta la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile (ai giudici) Vaduz. Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi, è rimasto presidente della Domina almeno fino a poco tempo fa. "Conosco Urbani da tempo", ha dichiarato Preatoni al Corriere della sera il 9 agosto 2001, "ma di recente ha dato le dimissioni dal suo incarico in Domina". Quanto di recente, onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era circolata la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti anche per l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto Urbani.

Verdini, Denis

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze, nelle liste di Forza Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi della Toscana. Presidente della banca Credito cooperativo fiorentino, dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. È editore del Giornale della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.


Verro, Antonio

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Cremona. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Maurizio Lupi, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vizzini, Carlo

Senatore della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del Psdi, cinque volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte ministro, è stato responsabile tra l'altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina. Nel 1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei ministri anche dall'accusa di aver ricevuto mazzette mentre era al ministero delle Poste. Giovanni Brusca ha incluso il suo nome nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri, è entrato nel Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.




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05/02/2006 21:00
 
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per solosilvio

Carissimi elettori di destra, questa lista (non diffamante ma basata su informazioni di pubblico dominio) vi serva a rendervi conto delle persone che vi rappresentano nel governo della cosa pubblica:



Berruti, Massimo Maria

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Da ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe la sorte di interrogare un giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose che della Edilnord era soltanto un "semplice consulente". Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione dell'accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come avvocato del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l'altro, l'acquisto del calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo). Nel gennaio 1994 Berlusconi gli ha affidato l'organizzazione della campagna elettorale di Forza Italia a Sciacca e nella provincia d'Agrigento. Con buoni risultati, tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss dell'Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore Monteleone, arrestato nel 1993 per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza Italia a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto in Parlamento già dal 1996.
Con il Berruti avvocato e poi politico, convive il Berruti uomo d'affari: in Sicilia possedeva una societa, la Xacplast, che un rapporto dei carabinieri indicava come partecipata da uomini d'onore delle famiglie mafiose di Sciacca.Il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti e il boss Nino Gioè.


Biondi, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, per Forza Italia. Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare il famoso "decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato la pena di 2 mesi di arresto e 6 milioni di multa per frode fiscale: aveva evaso le tasse su parcelle professionali per quasi 1 miliardo.


Brancher, Aldo

Deputato della Repubblica. Eletto in Veneto. È stato il regista del nuovo accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle libertà alla vittoria elettorale del 2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana. Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del mitico don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio pubblicità di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale dall'ambiente provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana, Famiglia cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest. "Don Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti (300 milioni al ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l'Aids assegnata dal ministero alle reti Fininvest). È subito ribattezzato "il Greganti della Fininvest" perché in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora accanto al neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.


Cantoni, Giampiero

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Lombardia. Banchiere, fu presidente della Bnl.
È stato inquisito per corruzione e altri reati. Se l'è cavata con alcuni patteggiamenti.


D'Alì, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia.
Sottosegretario all'Interno nel secondo governo Berlusconi.
Già vicepresidente della commissione Finanze, per un breve periodo è stato il responsabile economico di Forza Italia. La famiglia D'Alì Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano l'impero governato con autorità da Antonio D'Alì senior, classe 1919, che fu direttamente amministratore delegato della banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il suo nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare la mano al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula era uno dei più importanti istituti di credito siciliani per numero di sportelli e per mezzi amministrati. All'inizio degli anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche dall'Ambroveneto di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca Commerciale Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica debolezza in Sicilia. In seguito all'operazione, Giacomo D'Alì, professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del consiglio d'amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula, prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale, era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero Germanà, che poi, trasferito a Mazara, aveva subito un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona e oggi è dirigente della Dia (la superpolizia antimafia) a Roma. Il rapporto ipotizzava che l'istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto che come presidente del collegio dei sindaci della banca fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia e presidente della Regione Sicilia), già commercialista della famiglia Provenzano (l'altra, quella dell'attuale numero uno di Cosa nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell'incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione?
La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare; l'aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca, "contro pegno di un rilevante pacchetto azionario", senza ingresso di nuovi soci; il finanziamento è stato poi "integralmente estinto con il ricavato della successiva vendita delle azioni alla Comit, che provvide a versare direttamente all'Efibanca le somme di competenza".
La famiglia D'Alì ha avuto come campieri alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il vecchio capomafia di Trapani, fu per una vita fattore dei D'Alì, prima di passare la mano - come boss e come "fattore" - al figlio Matteo Messina Denaro, classe 1962, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell'attacco stragista allo Stato è oggi considerato il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della mafia siciliana, all'ombra del vecchio Bernardo Provenzano. A riprova dei rapporti tra la famiglia D'Alì e il boss, l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall'Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D'Alì, fratello di Antonio il senatore e di un Giacomo D'Alì che, negli anni Settanta, era stato attivista di un gruppo neofascista siciliano.
Anche il fratello di Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato per i D'Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia.
C'è un'altra vicenda in cui le strade dei D'Alì si incrociano con quelle dei boss di Cosa nostra. Francesco Geraci, notissimo gioielliere di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina, dopo essere stato arrestato con l'accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha raccontato: "Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai D'Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina". Si tratta della tenuta di Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari del contratto sono Francesco Geraci il gioielliere e Antonio D'Alì il futuro senatore. "Io sono intervenuto solo al momento della firma", racconta Geraci. "Dopo la stipula andai spesso alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni". Quel terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina.
I D'Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina Denaro, dicono, fu assunto dal nonno di Antonio junior, l'ingegner Giacomo D'Alì, classe 1888, quando "si era ben lontani dall'evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la instaurazione di un'economia criminale". Matteo Messina Denaro era "alle dipendenze come salariato agricolo", "fino a quando non si scoprì chi fosse". Il passaggio della tenuta di Zangara dai D'Alì a Riina è "una vicenda svoltasi all'insaputa del venditore".
Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall'attività a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e Massimo Grillo (Ccd) costituisce il triumvirato informale che decide la politica della città. Anzi, ne è l'uomo emergente, mentre gli altri due hanno dovuto negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo triumvirato che nel maggio 1998 raggiunge l'accordo per candidare a sindaco di Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l'elezione, Canino (uno dei politici più bersagliati dalle critiche di Mauro Rostagno) viene arrestato per concorso nell'associazione mafiosa che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di Trapani. Poi, nell'ottobre 2000, tocca all'assessore Vito Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in giunta solo otto mesi prima, spinto da D'Alì, che subito dopo l'arresto lo difende: "Conosco la capacità lavorativa dell'assessore Conticello e la sua correttezza; mi auguro, pertanto, che il risultato dell'azione investigativa al più presto riveli una diversa valutazione dei fatti". Salvatore Cusenza, della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme ai politici dell'opposizione denuncia il partito degli affari e chiede chiarezza. D'Alì ribatte: "Colgono ogni occasione per criminalizzare gli avversari, con tentativi di sciacallaggio politico di stampo bolscevico". Il 24 aprile di quest'anno è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: "È arrivata l'ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!". D'Alì dichiara: "Nessuno può arrogarsi il diritto di giudizi sommari, né di strumentalizzazioni".
Da oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla polizia darà ordini.


Degennaro, Giuseppe

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. È il patron di imprese come Baricentro e Barialto, oltre che il capofila della società che gestisce l¹interporto di Bari. È stato condannato a 16 mesi per voto di scambio: secondo i giudici avrebbe pagato per ottenere una contropartita di circa 2.000 voti di preferenza. Il partner dello scambio, però, sarebbe stato il pericoloso clan mafioso locale dei Capriati.


Dell'Utri, Marcello

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio più chic di Milano. È, tecnicamente, un "pregiudicato". È stato infatti condannato a Torino per false fatture e frode fiscale continuata. Sentenza definitiva, stabilita dalla Cassazione: 2 anni e 3 mesi di carcere. Ma non eseguita, perché i suoi avvocati sono riusciti a tirare in lungo e a congelarla davanti alla Corte costituzionale. Dell'Utri è poi sotto processo anche per altre faccende: a Milano per corruzione e a Madrid per le irregolarità nella gestione di Telecinco. A Palermo è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto questo non ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più centrale di Milano. Marcello lo ha confessato in tv: "Mi candido per legittima difesa".


Del Pennino, Antonio

Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto per la Casa delle libertà. È tra i repubblicani che con Giorgio La Malfa sono passati con Berlusconi. In passato è stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte parlamentare. Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da Angelo Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo". Il 13 maggio 1992, agli albori di Mani pulite, quando era deputato del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera, è stato raggiunto da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato: ricettazione, per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati di Milano l'avevano richiesta per contributi in denaro che Del Pennino avrebbe ricevuto da fondi neri costituiti presso l' Associazione industriale lombarda (Assolombarda). A luglio 1994 Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per le tangenti Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti milanese (in precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una sua richiesta di patteggiamento, perché la pena concordata con il pubblico ministero non era stata ritenuta congrua rispetto alla gravità dei fatti contestati). Alla fine del 2000 Antonio Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per partecipare al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi con Berlusconi.



De Rigo, Walter

Senatore della Repubblica, Casa delle libertà. Importante imprenditore bellunese del settore degli occhiali, è stato processato per avere nei primi anni Novanta utilizzato in maniera illecita finanziamenti dell¹Unione Europea. Se l¹è cavata con una condanna patteggiata.


Floresta, Ilario

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre. È nato a Desio, in Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia, nel settore della telefonia, ben introdotto nei subappalti della telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994 "scese in campo" sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel collegio di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi. Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia) lo misero sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera, uno dei mafiosi responsabili della strage di Giovanni Falcone, nei giorni precedenti e seguenti la strage aveva comunicato anche con cellulari intestati a un'azienda di Floresta. Questioni di lavoro, spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia palermitana, Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore di giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta negli uffici dell'autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d'onore calabrese del clan Ercolano, poi arrestato in seguito all'operazione Orsa Maggiore. Le affermazioni di Scavo sono rimaste però senza conferme e riscontri, così la procura ha chiesto l'archiviazione del caso


Frigerio, Gianstefano

Deputato della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia. Già, ma qual è il nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi l'ha candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto sui manifesti. A Milano, dove da decenni fa politica, è Gianstefano. Eppure è sempre lui: come segretario regionale della Dc in Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato decine di tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993, è stato coinvolto in molti processi. È accusato di aver accettato mazzette per le discariche lombarde, per il depuratore di Monza, per gli appalti alle Ferrovie Nord. Alcune tangenti le ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha confessato, per esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio dei permessi alla Fininvest per gestire la discarica di Cerro Maggiore.
Ha accumulato tre condanne definitive: 1,4 anni per finanziamento illecito ai partiti, 1,7 per finanziamenti illeciti e ricettazione, 3,9 per corruzione e concussione. Ciò nonostante, dopo aver lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come consigliere personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia, di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell'esecuzione stavano esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per decidere il cumulo della pena da scontare, Gianstefano scompare e ricompare, in Puglia, Carlo: lì si è conquistato un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di riunione della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato. Dovrà scontare una pena di 6 anni e cinque mesi.


Gianni, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta. Giuseppe, detto Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è medico di Solarino ed ex sindaco di Priolo. Deputato regionale dal 1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato nell'Udeur di Clemente Mastella ed è stato anche componente della commissione Sanità. Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale di Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l'appalto di lavori nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione lo aveva definito "un prezioso capitale per la sua città, per la regione e per l'intero partito". Dopo la condanna lo ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.


Giudice, Gaspare

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel 1998, quando era vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi rapporti con l'onorevole Gianfranco Micciché, non si può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti non avrebbe potuto avere quell'incarico". Secondo l'accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di Caccamo, i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli elementi raccolti dall'accusa erano tali da far escludere alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso, in giunta, non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò (303 voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d'arresto. Non solo, i deputati sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287 voti a 239, con 3 astenuti) l'utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.


La Malfa, Giorgio

Deputato della Repubblica. Ex segretario del Pri ai tempi della "prima repubblica", ha portato il suo partito ad aderire alla Casa delle libertà. Come tanti altri segretari di partito degli anni di Tangentopoli, è stato condannato a 6 mesi per aver percepito finanziamenti illeciti, provenienti dalla maxitangente Enimont.


Lo Porto, Guido

Deputato della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale). Oggi è un esponente di An e parlamentare della Casa delle libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969, quando aveva 32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a quattro camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare dell'organizzazione neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata una quantità considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale. Concutelli fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato poi indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti mafiosi.


Maroni, Roberto

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista, ex ministro dell'Interno nel primo governo Berlusconi. È coinvolto in tre inchieste giudiziarie. Per gli scontri con la polizia, inviata a perquisire la sede della Lega a Milano, è stato condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è indagato dalla procura di Verona per reati come attentato contro l'integrità dello Stato. Infine, la procura di Roma lo vuole processare per favoreggiamento di una presunta compravendita di voti.
Candidato al ministero della Giustizia nel governo Berlusconi, ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque diventato ministro al Welfare.


Mauro, Giovanni

Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente di Forza Italia. Quando era presidente della Provincia di Ragusa, nell'agosto 1998, fu arrestato con alcuni suoi collaboratori con l'accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da sei professionisti che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo di progetti ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano territoriale provinciale) finanziati dall'Unione europea. Al momento dell'arresto, il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Micciché denunciò l'inizio di "una campagna d'agosto" contro il suo partito e lo definì "uno dei più stimati amministratori siciliani". Il capo d'imputazione era pesante: "associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione". In attesa che si concluda il processo a suo carico, è entrato in Parlamento. Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 2 mesi.



Pisanu, Giuseppe

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Ex democristiano, è stato per anni deputato dc e sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi del pentapartito. Nel secondo governo Berlusconi è finalmente ministro: di un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma di governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela".
Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che fa incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816). Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano: "Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate" (Testimonianza Pisanu al pm Dell'Osso)
Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.
Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà Angelo Rizzoli: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano" (Corriere della sera, 22 gennaio 1983).
Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.


Previti, Cesare

Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di Silvio Berlusconi, ha ereditato l'incarico professionale dal padre, che aiutò il giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un turbine di strane società svizzere e di anonime fiduciarie. È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti delle origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria 67 anni anni fa, crebbe professionalmente nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo mai rinnegato le sue origini politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Oggi è imputato nel processo "toghe sporche", per aver corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Cesare Previti ha rischiato (come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non trovare posto nelle liste di Forza Italia. Per lui però il Cavaliere alla fine ha fatto un'eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista di Forza Italia nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio uninominale di Roma Tomba di Nerone.


Salini, Rocco

Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Abruzzo, nel collegio di Teramo. Presidente democristiano della giunta regionale abruzzese nei primi anni Novanta, fu arrestato (con l'intera giunta) nell'ambito di un'indagine giudiziaria sui finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver falsificato la graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale, nelle liste di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior numero di voti nella regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente della giunta e assessore alla Sanità. Ma Salini, in quanto condannato, era ineleggibile al Consiglio regionale e su questo sta infatti decidendo il tribunale amministrativo regionale dell'Aquila, che potrebbe anche decretare lo scioglimento dell'assemblea, rendendo quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla Regione, Salini si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.


Selva, Gustavo

Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano, oggi è esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 623, numero di tessera 1814, data di iniziazione 26 gennaio 1978. All'epoca, Selva era direttore del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla loggia. Sospeso dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.


Scajola, Claudio

Deputato della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu segretario della Dc locale e sindaco d'Imperia fin dal 1952. Due anni dopo dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto il posto di primario chirurgico nell'ospedale locale e si malignava che fosse stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che divenne anch'egli sindaco d'Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc. Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi dell'università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente dell'ospedale Novaro, poi dell'Unità sanitaria locale; è anche segretario provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d'Imperia, come il padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. È una festa, in famiglia. Peccato che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. È il primo grande intreccio tra politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983 polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i casinò di Sanremo, Campione d'Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati sono una quarantina. Il "blitz di San Martino", come verrà chiamato, convolge imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d'Aosta. Che cosa era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi, che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento, sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare d'Imperia. Dall'altra il conte Giorgio Borletti, ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower's paradise e per battere Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi. Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi ("parte a Roma": ma di questo non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si muovevano, nell'ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio, era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di Nitto Santapaola e a Gaetano Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva presentato alcuni "amici" come Angiolino Epaminonda detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e Giuseppe Bono. Il primo era il principe della "mala" a Milano, gli ultimi due erano i boss delle "famiglie" palermitane al Nord. Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall'altra la Flower's paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento, interrogato dai magistrati dopo l'arresto, spiega: nel partito, il metodo delle tangenti è stato accettato non soltanto "per motivi economici, ma anche politici", perché "chi non accettava il piano di corruzione di fatto si isolava", "il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione". In questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la Flower's paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all'ultimo momento aveva fatto il furbo ed era passato dall'altra parte: la commissione aveva stabilito che l'offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda. Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in Svizzera. È Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a Borletti di poterlo incontrare, "in modo riservato", insieme a un altro politico, "in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la segretezza", scrive il magistrato. Borletti accetta. L'incontro avviene in un ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che "i due politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe ottenuto la casa da gioco", ma "ad alcune condizioni": la prima, che "la gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze politiche e quindi senza etichette socialiste"; la seconda, che "venisse compiuto un "gesto"che potesse controbilanciare l'offerta fatta dal Merlo a favore degli sfrattati" (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di milioni per dare un'abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo, che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due persone (Lorenzo Acquarone e Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a indagare sui casinò, Borletti racconta dell'incontro e i tre confermano. Ecco allora che anche Scajola viene arrestato. Nella loro requisitoria, i pubblici ministeri Corrado Carnevali e Marco Maiga scrivono: "Sono stati raccolti elementi sufficienti per giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè Vento e Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise e dettagliate della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella loro portata accusatoria; le stesse dichiarazioni hanno trovato conferma in numerose testimonianze (Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli, Pier Giusto Jaeger)". E ancora: "Benché l'imputato Scajola abbia recisamente respinto l'addebito, sostenendo che la richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso della conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del Vento (...) devono debbono ritenersi determinanti in ordine all'effettiva sussistenza del reato, di cui sono presenti gli elementi costitutivi tutti. La presenza dello Scajola nel particolare contesto, (...) l'avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai testi di cui sopra si è detto, riferito l'indebita richiesta a lui avanzata ad entrambi i pubblici amministratori presenti nell'occorso, devono essere ritenute circostanze sufficienti perché lo stesso Scajola sia chiamato a rispondere del reato a titolo di concorso morale nel medesimo".
Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del pubblico ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico di Scajola siano sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio 1989 lo proscioglie. Scajola aveva spiegato di essere andato all'incontro con Borletti, ma soltanto per capire la situazione, che era alquanto confusa. Aveva confermato di aver posto il problema della "gestione imparziale"(cioè non filo-socialista) del casinò, ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere, alcuna tangente.
Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce con un accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti, in cambio di 1 miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi in seguito, a grosse rate mensili. Il processo per lo scandalo dei casinò termina invece con molte condanne definitive, che confermano nella sostanza l'impianto accusatorio.
E Claudio Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere sulla poltrona di sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma intanto la Dc si è dissolta in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te, "Amministrare Imperia", che si scontra con una lista dell'Ulivo e una del Polo. Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza Italia e An dice: "Sono soltanto dei fascisti". Vince il centrosinistra. Ma l'anno dopo, nell'aprile 1996, mostra di essersi ricreduto: si candida alla Camera per Forza Italia e viene eletto. Amministratore tenace, organizzatore efficiente, democristiano a 24 carati, si fa subito notare da Silvio Berlusconi, che gli affida un compito impegnativo: costruire il partito. Nominato coordinatore nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il "partito di plastica" in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli affida il più delicato dei ministeri, quello dell'Interno: con Scajola, al Viminale torna un democristiano doc, uno della tempra dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola, per i suoi trascorsi è, effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto. Poi lascia senza protezione il consulente ministeriale Marco Biagi. Quando questi viene ucciso dalle Br, Scajola prima scarica le responsabilità sui prefetti, a cui aveva dato ordini di ridurre le scorte; poi dichiara che Biagi, colpevole di chiedere insistentemente di essere protetto, era un "rompicoglioni". Troppo perfino per il panorama politico italiano, anche perché le dichiarazioni di Scajola vengono riportate da due grandi quotidiani, Corriere della sera e Sole 24 ore. Scajola è così costretto alle dimissioni da ministro. Sostituito da uno che a sua volta dieci anni prima era stato costretto a dare le dimissioni da sottosegretario (Pisanu, vedi...). Ma tornerà, vedrete...


Sodano, Calogero

Senatore della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd, è stato sindaco di Agrigento. Nell'aprile 2001 ha subito una condanna in primo grado a 1 anno e mezzo di reclusione per avere permesso l'abusivismo edilizio in cambio di vantaggi elettorali. Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche alcuni suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l'accusa, non avrebbero posto in essere né provvedimenti né iniziative per bloccare l'abusivismo edilizio tra il 1991 e il 1998, non solo nella Valle dei Templi, ma in tutta la città.


Sudano, Domenico

Senatore della Repubblica, Ccd. Catanese, ex andreottiano, nel 1995, in qualità di presidente di una Usl, è stato condannato per un concorso truccato. Ha patteggiato una pena di un anno e mezzo e ha evitato il carcere, approdando poi in Parlamento.


Urbani, Giuliano

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Vimercate. È un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza politica all'università Bocconi. Nel 1985 è tra i fondatori del circolo Società civile di Milano. Nel 1994 la sua critica della vecchia politica si acquieta nel nuovo partito di Silvio Berlusconi: partecipa addirittura alla formazione di Forza Italia, in cui confluisce la sua Associazione per il Buon Governo. Berlusconi lo premia con una candidatura in Parlamento, in cui entra nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero della Funzione pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro dei Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo sottosegretario Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani ha mantenuto una attività professionale: è stato a lungo, per esempio, presidente di Domina, una delle società del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider di Garbagnate", Preatoni era stato per anni oggetto di indagini da parte della magistratura italiana e della Consob, l'autorità di controllo della Borsa. Gli innumerevoli procedimenti giudiziari aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai riusciti ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato di cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi in Estonia, diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del comunismo, un paradiso per le scorribande finanziarie. La sua holding finanziaria e immobiliare era diventata la Pro Kapital, con sede a Tallin, in Estonia. La società italiana Domina aveva però continuato a controllare le attività turistiche del gruppo, tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di Preatoni resta la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile (ai giudici) Vaduz. Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi, è rimasto presidente della Domina almeno fino a poco tempo fa. "Conosco Urbani da tempo", ha dichiarato Preatoni al Corriere della sera il 9 agosto 2001, "ma di recente ha dato le dimissioni dal suo incarico in Domina". Quanto di recente, onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era circolata la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti anche per l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto Urbani.

Verdini, Denis

Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze, nelle liste di Forza Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi della Toscana. Presidente della banca Credito cooperativo fiorentino, dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. È editore del Giornale della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.


Verro, Antonio

Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Cremona. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Maurizio Lupi, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vito, Alfredo

Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.


Vizzini, Carlo

Senatore della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del Psdi, cinque volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte ministro, è stato responsabile tra l'altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina. Nel 1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei ministri anche dall'accusa di aver ricevuto mazzette mentre era al ministero delle Poste. Giovanni Brusca ha incluso il suo nome nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri, è entrato nel Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.




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