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Scuola

Ultimo Aggiornamento: 08/03/2005 20:40
08/03/2005 20:40
 
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La scuola italiana ha bisogno di ben altro che di quelle tre «I» (informatica, impresa e inglese) indicate da Berlusconi come stella polare del sistema formativo. Non solo non rappresentano un riferimento utile, ma esprimono una semplificazione fuorviante e pericolosa, vista la complessità dei problemi con la quale la scuola deve misurarsi se vuole assolvere al suo ruolo di formazione democratica delle coscienze e garantire un futuro al paese. Quello della scuola è una vera «emergenza nazionale» che non merita queste banalizzazioni. È quanto è emerso dal 34° convegno nazionale del Cidi, Centro di iniziativa democratica degli insegnanti, che ha concluso ieri i suoi lavori.
Per tre giorni nell’Aula magna della facoltà di lettere e filosofia dell’Università Roma Tre, oltre 800 docenti provenienti da tutta Italia si sono interrogati su temi complessi. Su cosa sia oggi la democrazia, la cultura, il lavoro, la razionalità o la contemporaneità. Concetti in continua elaborazione con cui misurarsi per far fronte alla crisi di identità e di ruolo che attraversano la scuola e coinvolgono gli stessi docenti. Si sono lanciati messaggi e individuati compiti per il mondo della scuola, per la cultura e per la politica. Quello del Cidi è stato un convegno «propositivo», che ha posto l’esigenza di una vera modernizzazione della scuola. Anche per questo le critiche alle scelte del ministro Moratti sono state ferme e motivate.
Si è fatto appello ad un «protagonismo» degli insegnanti, affinché facendo perno sull’autonomia e sulla libertà di insegnamento, di fronte al modello di scuola che seleziona ed esclude, riaffermino i tradizionali obiettivi fissati dall’articolo 3 della Costituzione: la scuola come agente di uguaglianza sostanziale tra i cittadini. Lo spiega il presidente del Cidi, Domenico Chiesa. Ritiene essenziale un rapporto della scuola non subalterno al lavoro, che sia attenta alla democrazia, che si ponga l’obiettivo di formare un’identità che favorisca la convivenza. Compiti alti, ma la scuola pubblica è in pericolo. Il quadro emerso è quello di una «scuola preoccupata, confusa e indifesa». Un sistema in crisi. Lo dicono i numeri: a oggi in Italia, si contano circa 2 milioni di analfabeti, 15 milioni di semianalfabeti e altri 15 milioni di persone a rischio di diventarlo. Più grave ancora il dato rilevato nel 2003 dal Pisa-Ocse, relativo alle abilità di lettura, scienze, matematica, dei nostri studenti, che risulta in regresso rispetto al 2000. Siamo in Europa il paese con la più bassa percentuale di scolarizzazione tra i 15 e i 19 anni. Sono i numeri di una emergenza nazionale a cui non offre risposte la riforma Moratti. «Non solo per la forma e nelle sue disposizioni ma per la filosofia che c'è dietro» rileva Chiesa. Un disegno liberista che di fronte al mondo del lavoro sempre più precario e povero culturalmente, considera la spesa per l'Istruzione quasi un peso. È un quadro che preoccupa anche Tullio De Mauro che invita a reagire a questa involuzione della scuola pubblica, ad opporsi allo smantellamento dell’apparato pubblico dell’istruzione e della ricerca e, soprattutto, alla riduzione dell’istruzione da obbligo garantito dalle leggi ad un fatto privato regolato da scelte delle famiglie.
Critica la filosofia della scuola-azienda connessa alla formazione professionale l’economista Marcello Messori. «Quella proposta dalla Moratti non è una formazione professionale utile» rileva. «È uno degli effetti di una concezione mercantilistica della società» dichiara Ermanno Testa, direttore di Insegnare. Dal Cidi, ricorda Testa, arrivano proposte precise. Vi è l’appello al mondo della cultura contro «le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati» decisi senza consultazione dalla Moratti che presto verrà consegnata al presidente della Repubblica (tra le firme quelle del pedagogista statunitense Jerome Bruner e dello scrittore Andrea Camilleri).
Gli insegnanti chiedono prospettive certe per la scuola a partire dalle risorse e poi di elevare la scuola dell'obbligo almeno fino a 16 anni, per arrivare poi ai 18. Infine si chiede di costituire «un tavolo di discussione» che coinvolga «il mondo del sistema dell'istruzione e le forze politiche». Le risposte sono arrivate. E non solo dall’opposizione. Beniamino Brocca (Udc), ammette: «Occorre che la scuola acquisti una priorità nelle politiche economiche del Governo. Cosa che oggi non avviene. Molto si dice ma poco si fa». La deputata Alba Sasso (Ds): «Garantire il diritto alla cultura e a una formazione qualificata per tutti; l'investimento in istruzione, formazione, ricerca e innovazione crea lavoro. La scommessa della qualità è proprio nel raccordo tra sapere, lavoro, innovazione e ricerca».


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