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Impianto di climatizzazione troppo rumoroso: quando può configurarsi il reato?

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2006 08:19
10/10/2006 08:19
 
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La Cassazione, nella sentenza n. 23130/2006, si occupa del problema attinente all’esatta interpretazione dell’art. 659 c.p. (“Disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone”).

Tale reato (di natura contravvenzionale) punisce, come noto, colui che disturba le “occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici”; si tratta di un reato di pericolo presunto (per cui, ai fini della sua configurabilità, non è necessaria la prova dell’effettivo disturbo di più persone) che mira a tutelare la tranquillità pubblica o privata.

La condotta antigiuridica, anche di tipo omissivo, deve essere idonea a disturbare un gruppo sociale, in cui il fenomeno rumoroso si verifica, in relazione alla sensibilità media, non assumendo rilievo assorbente le lamentele di una o più persone.

Cosa succede quando il rumore deriva da impianti di climatizzazione e dal gruppo elettrogeno?

Può configurarsi, in questo caso, il reato ex art. 659 c.p.?

E’ configurabile il suddetto reato anche nei confronti di colui che abbia ottenuto le relative autorizzazioni ovvero il rumore non superi determinati standards?

La prima sezione penale della Suprema Corte, con la decisione del 22.06.2006 n° 23130, opta per una ricostruzione sostanziale del fenomeno.

In particolare, in coerenza con quanto già detto in passato, la giurisprudenza di legittimità ha posto in evidenza, non tanto l’aspetto formale del rispetto di standards o autorizzazioni, quanto piuttosto il rilievo dell’intollerabilità del rumore (sulla falsariga dei problemi relativi all’immissioni non tollerabili, di matrice civile ex art. 844 c.c.); se il rumore è intollerabile, allora, sic et simpliciter, sarebbe integrato il reato di cui all’art. 659 c.p.

Al più potrebbe non emergere il secondo comma dell’art. 659 c.p. (in quanto non c’è violazione di disposizione di legge o prescrizione dell’autorità), ma il primo comma verrebbe pur sempre integrato.

In altri termini, il reato di “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” potrebbe anche prescindere, del tutto, dalla violazione di determinati standards di rumore o dal rispetto di eventuali autorizzazioni amministrative.

Tale impostazione sostanziale non è esente da rilievi critici.

In particolare, optando per una ricostruzione più formale del fenomeno, sembrano emergere profili critici significativi; la ricostruzione sostanziale, infatti, sembra porsi in contrasto con principi generali di non contraddittorietà del sistema giuridico nel suo complesso, con l’esigenza di certezza del diritto, nonché, più specificatamente, con l’art. 51 c.p.

Applicare rigorosamente l’art. 659 c.p. senza tenere presente eventuali legittimazioni giuridiche all’agere (seppure cum effectu) , come nel caso di specie in cui i rumori in questione erano non solo inferiori a quelli previsti dall'art. 4 d.P.C.M. 14 novembre 1997, ma altresì si trattava di rumori provenienti da un ambulatorio di dialisi e di malattie renali in cui si esercitava un diritto oltre che un’attività di pubblico interesse (e necessità), rischia di relegare la legge penale ad un ambito applicativo disorganico e non collegato con l’intero assetto giuridico, dimenticando che le norme vanno interpretate le une per mezzo delle altre (cercando una reductio ad unitatem di tutto l’ordinamento giuridico) .

10/10/2006 08:19
 
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I PENALE



Sentenza 22 giugno 2006-5 luglio 2006, n. 23130






FATTO


Con sentenza 2 dicembre 2004 il Tribunale di Palermo condannava F.A. alla pena di euro 300 di ammenda, oltre il risarcimento dei danni a favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede, siccome dichiarato responsabile della contravvenzione prevista dall'art. 659, comma 1 e 2, c.p. "per avere disturbato le occupazioni ed il riposo di C.A. e del suo nucleo familiare mediante emissioni sonore provenienti dagli impianti di climatizzazione e dal gruppo elettrogeno installati presso l'ambulatorio di dialisi e di malattie renali s.r.l. con sede in Palermo in piazza Europa 18".

Nella motivazione il Tribunale riteneva provata la responsabilità dell'imputato sulla base di numerose e concordi dichiarazioni testimoniali rese da soggetti residenti in diversi palazzi circostanti, dalle quali era emerso che i rumori provenienti dagli impianti di climatizzazione e dal gruppo elettrogeno installati sul tetto dell'ambulatorio erano di intensità tale da arrecare disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone. Pertanto - pur non ravvisandosi gli estremi della contravvenzione punita dal comma 2 dell'art. 659 c.p., in quanto le emissioni sonore erano di poco inferiori al limite fissato dall'art. 4 d.P.C.M. 14 novembre 1997 - il Tribunale riteneva sussistente la contravvenzione prevista dal comma 1 dell'articolo citato, in quanto tali emissioni - sia per la loro intensità, sia per la loro durata fino a notte inoltrata, sia per l'ubicazione degli impianti, che provocava una amplificazione dei rumori - travalicavano i limiti di normale tollerabilità riferibile alla media sensibile delle persone che vivono nell'ambiente ove suoni e rumori vengono percepiti.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso i difensori, i quali ne hanno chiesto l'annullamento per vizio della motivazione e per violazione dell'art. 659 c.p. sul rilievo che, in mancanza di un abuso nella utilizzazione dei mezzi di esercizio del mestiere per sua natura rumoroso, si doveva escludere la sussistenza della contravvenzione in esame, tanto più che dall'accertamento tecnico era emerso che le emissioni sonore non superavano i limiti previsti dall'art. 4 d.P.C.M. 14 novembre 1997.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso non merita accoglimento.

Infatti è consolidato orientamento di questa Corte che per la sussistenza della contravvenzione prevista dal comma 1 dell'art. 659 c.p. è sufficiente la dimostrazione che la condotta posta in essere dall'agente sia tale da poter disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone, anche se una sola di esse si sia in concreto lamentata. La valutazione circa la sussistenza del concreto pericolo di disturbo deve essere effettuata con criteri oggettivi riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente, ove i rumori vengono percepiti, di guisa che non vi è alcuna necessità di disporre una perizia fonometrica per accertare l'intensità dei rumori, allorché il giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento che per le modalità di uso e di propagazione la fonte sonora emetta rumori fastidiosi di intensità tale da superare i limiti di normale tollerabilità, arrecando in tal modo disturbo alle occupazioni ed al riposo di un numero indeterminato di persone.

Né l'ipotesi contravvenzionale prevista dal comma 1 dell'art. 659 c.p. può essere esclusa per il solo fatto che nell'esercizio di una attività rumorosa l'agente non abbia superato i limiti di rumorosità previsti dall'art. 4 d.P.C.M. 14 novembre 1997. Infatti l'agente, il quale svolge attività di per sé rumorosa, è comunque sempre obbligato non solo a rispettare le disposizioni di legge e le prescrizioni impartite dall'Autorità, ma anche a porre in essere tutte le cautele necessarie ad evitare il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.

Non vi è dubbio che le due ipotesi previste dall'art. 659 c.p. possono concorrere, di guisa che, anche se non ricorre la violazione di disposizioni di legge o di prescrizioni imposte dall'Autorità, dovrà ritenersi sussistente l'ipotesi prevista dal comma 1 dell'art. 659 c.p., qualora i rumori prodotti siano di intensità tale da superare i limiti di normale tollerabilità, generando disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone. Infatti non può ritenersi che nel caso di esercizio di mestiere o di attività rumorosa la contravvenzione prevista dall'art. 659, comma 1, c.p. debba essere esclusa a seguito della entrata in vigore della l. 447/1995, ostando a tale interpretazione considerazioni di natura letterale e logica. In primo luogo, atteso il tenore dei termini adoperati dal legislatore, la suddetta norma va tenuta distinta da quella di cui all'art. 10, comma 2, l. 447/1995, riguardando la prima gli effetti negativi della rumorosità, mentre la seconda prende in considerazione solo il superamento di una certa soglia di rumorosità. In secondo luogo diverso è lo scopo delle due norme, mirando la prima a tutelare la tranquillità pubblica e, quindi, i diritti costituzionalmente garantiti come le occupazioni o il riposo delle persone, mentre la seconda prescinde dall'accertamento che sia stato arrecato un effettivo disturbo alle persone, essendo diretta unicamente a stabilire i limiti della rumorosità delle sorgenti sonore, oltre i quali deve ritenersi sussistente l'inquinamento acustico. Pertanto, essendo diversi gli scopi perseguiti dalle due norme, non vi è spazio per l'applicazione del principio di specialità, dovendosi escludere che la disposizione amministrativa di cui all'art. 10, comma 2, l. 447/1995 (legge quadro sull'inquadramento acustico) abbia assorbito la norma prevista dall'art. 659, comma 1, c.p.

Orbene nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto sussistente la contravvenzione di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p., in quanto è stato accertato in punto di fatto che i rumori provenienti dal laboratorio - sia per la loro intensità, sia per la loro durata fino a notte inoltrata, sia per la maggiore propagazione dei rumorosi dovuta alla ubicazione degli impianti, che ne provocava una amplificazione - superavano i limiti di normale tollerabilità ed erano, comunque, tali da disturbare per la loro intensità e per la loro diffusione all'esterno il riposo e le occupazioni di numerose persone, che abitavano nei palazzi circostanti. Ne consegue che correttamente il Tribunale, pur escludendo l'ipotesi contravvenzionale prevista dal comma 2 dell'art. 659 c.p., ha ritenuto sussistenti sotto il profilo soggettivo ed oggettivo gli elementi costitutivi del reato previsto dal comma 1 dell'art. 659 c.p., anch'esso ritualmente contestato.

È appena il caso di rilevare che il reato non può essere dichiarato estinto per prescrizione, attesa la sospensione dei termini del corso della prescrizione disposta nella precedente udienza a seguito del rinvio ad altra udienza ai sensi della l. 46/2006.

Pertanto, non ravvisandosi vizi logico-giuridici della motivazione, il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2006.

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