De "Il mestiere delle armi" si era già parlato in questa sezione cinema.
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Allora non ero intervenuto perchè mi era parso che le opinioni espresse da Chiara e da Moran, fossero una sintesi emblematica dei giudizi che "Il mestiere delle armi" ha via via raccolto: di adesione etica, estetica e sentimentale; di rifiuto intellettuale e magari anche un po' intellettualistico.
Ringrazio wsim che ci dà l'occasione di riparlare di questo film che senza dubbio lo merita.
L'ultimo film di Olmi, un regista nei confronti del quale nutro una stima incondizionata nonostante qualche risultato infelice, mi ha appassionato, mi ha commosso, mi ha intensamente appagato sul piano figurativo e mi ha fatto riflettere sul mestiere della guerra da un'angolazione del tutto originale: quella appunto di un magistrale artigianato messo al servizio della morte (penso, in particolare, a tutta la straordinaria sequenza intermittente dedicata alla fabbricazione del falconetto che sarà fatale a Giovanni de' Medici).
"Il mestiere delle armi" inoltre mi è apparso come una densa metafora sulla condizione umana, sul destino dell'individuo misteriosamente avvolto in un disegno imperscrutabile e esistenzialmente crudele. La vicenda di Giovanni si snoda con il ritmo e l'andamento di un calvario perchè alla fine, chi ne è stato testimone, possa prendere coscienza del sempre incombente e terribile e cristianamente fatale: consummatum est. Un epilogo che, se ci si pensa un attimo, è la conclusione della vita di tutti gli uomini. Di quella terrena, sottindende Olmi: il quale è, oltre che un grande artista, un autentico credente.
Da un punto di vista figurativo il film è straordinariamente ricco: nel modo di rendere i volti e gli sguardi, nella composizione di ogni singola scena, nella descrizione paesaggistica, nella raffigurazione delle battaglie che richiamano Paolo Uccello.
Aggiungo un' ultima considerazione. "Il mestiere delle armi" è un dilatato "poema" sulla morte. La morte concepita francescanamente come "nostra sora morte corporale", la morte come momento eroico di accettazione del destino dell'uomo, la morte come remissione di tutti gli orgogli e di tutte le vanità, la morte come liberazione, la morte come ritorno nel cerchio infinito della provvidenza divina, la morte come unica possibilità di scontare il male e la vita stessa. In definitiva, io direi, che "Il mestiere delle armi" riprende nel cinema quello che nelle arti figurative si rappresenta con le composizioni denominate "Pietà" e quello che nella musica prende il nome di "Requiem".
Quando Giovanni muore, in una sequenza che non ho nessun ritegno a definire sublime, a me è tornato in mente il verso con cui Torquato Tasso descrive la morte di Clorinda : "morte bella parea sul suo bel viso".
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Saluti
Marlowe
[Modificato da marlowe 07/02/2002 11:35]