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cerchi nel grano - proseguimento

Ultimo Aggiornamento: 02/04/2006 21:01
21/03/2006 19:18
 
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ho letto che i cerchi nel grano possono produrre certi tipi di vibrazioni, alcuni nel mezzo ad essi hanno sentito una musica, raccontano, altri hanno misurato campi energetici modificati, con un fondo di radiazione alterato. persone sottoposte a Risonanza Magnetica Nucleare, riportano qualche volta alluninazioni sonore date dal campo magnetico in cui si trovano, alcuni riportano di sentire della musica o che addirittura il movimento del magnete gli appaia come suono di campane. evidentenmente l'energia che si crea all'interno delle figure ha una componente elettronagnetica che genera vibrazioni percepibili, talvolta come sonore. l'acqua sottoposta a vibrazioni , (se questi studi hanno una loro validita' perche' e' abitudine in campo scientifico gonfiare i dati e mentire sul lavoro, solo per avere piu' visibilita') si organizza in superstrutture registrabili tramite risonanze,allora mi viene da dire che la forma enegetica del cerchio si "rispecchia" nell'acqua che abbiamo nel nostro corpo, e dove abbiamo una buona quantita' di acqua e tutta insieme? a livello del liquido cefalorachidiano, dove galleggia il cervello, e' questo un "trasferimento" di "informazione" un "massaggio" per cervelli (del genere umano) che devono essere un po' riattivati?
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A questo post di Duccio faccio seguire la relazione presentata da me e da De Carolis al convegno di ufologia di San Marino nel 2001. E' inutile che me la tenga qui, al calduccio, tanto vedo che per ora l'espasione del sito mi costa troppa fatica.
Tenete presente che va letta in questo modo: una prima parte è mia, una parte centrale era il lavoro di David, e la terza parte, conclusiva, ancora mia.
Qui non si possono vedere le figure da cui abbiamo preso partenza. Il Vesica Piscis è formato da due cerchi intersecati a formare una mandorla centrale. E' comparso più di una volta e in varie forme, negli anni. E' uno dei simboli più importanti.
In seguito alla nostra relazione, molto seguita ed apprezzata anche da scienziati di tutto rilievo (e invece fortemente disapprovata dall'ufologia di regime), io e David abbiamo trascorso ore a raccogliere il flusso di pensieri che la gente venne a portarci.
Tutte le domande, a fine lettura, sono concesse.
Giulia

Crop Circles: Tuoni, fulmini e neuromodulazione.
Giulia Maria d’Ambrosio, neuropsichiatra – David De Carolis, arteterapeuta

Quando ho visto queste riproduzioni per la prima volta, la mia immaginazione è corsa agli scritti di René Guénon e a quelli di Jung, i Maestri che nel secolo appena trascorso ci hanno aiutato a riproporre alla coscienza gli aspetti sintetici dell’attività psichica umana, cioè i simboli.
Queste immagini sono simboli e parlano con il linguaggio dei simboli.
Perciò uno degli scopi del gruppo, creato per dare vita alle immagini, è quello di esperire quale sia l’effetto conseguente all’esposizione a questi simboli. Effetto che non è misurabile strumentalmente, ma certamente misurabile per l’effetto sugli eventi della psiche – e quindi sulla vita – dello strumento più sensibile con cui abbiamo contatto, cioè noi stessi, peraltro apparenti destinatari dei Crop Circles.
Pertanto una delle ipotesi di lavoro – quella che sarà discussa oggi – è che i pittogrammi siano un messaggio, il cui contenuto potrebbe spaziare potenzialmente verso ogni tipo di direzione, ma il cui unico portale d’accesso potrebbe essere rappresentato dai meccanismi che scattano nell’essere umano quando percepisce tutte le forme di energia che questi pittogrammi emanano: si tratti dell’energia sonora, che taluni riferiscono di registrare; di quella elettromagnetica, che è stata sicuramente documentata; piuttosto che dell’energia scaturita dalla forma, energia questa che può raggiungere in immagine anche chi si trovi lontanissimo dai luoghi in cui i pittogrammi si formano.
Operativamente abbiamo quindi cominciato a isolare alcune immagini e a semplificarne l’aspetto, rendendole fruibili, dandoci cioè la possibilità di “entrare” nei simboli, ricostruendone la struttura, facendo aderire i nostri processi psichici ad essi e osservando gli effetti e gli sviluppi di tale operazione.
Ecco un esempio:
• crop circle originale
• sintesi ottenuta, lavorando il Crop Circle al computer
• disegno ottenuto
• associazioni sul disegno: un ingranaggio che vibra. C’è una parte del simbolo che è visibile immediatamente, una parte esterna che entra in contatto e funge da attivatore. Esiste poi uno stadio più profondo di percezione di questo simbolo, nel quale la parte centrale - che contiene ciò che rende il senso della attivazione del sistema, ossia la parte attivabile - in realtà è una parte inespugnabile che rimane un mistero
• sperimentazione di uso clinico: ho sperimentato l’uso di questo Crop Circle per verificare se il suo significato di “attivatore” potesse essere verificabile e almeno minimamente applicabile in terapia. I lavori sono in corso.

Uno degli scopi è quello di sottoporre un vasto numero di Crop Circles a una lunga serie di persone, osservando quali associazioni mentali emergono durante l’utilizzo di ogni singolo pittogramma.
Questo dovrebbe consentire di isolare quali associazioni si presentano in modo ripetibile, e permetterci come conseguenza di considerare ogni simbolo come un indicatore di precise aree del pensiero associativo e degli elementi creativi di singoli esseri umani. Queste funzioni hanno influenza sulla vita pratica e su quella di relazione.
Non è fondamentale conoscere – come presupposto di un tale lavoro – la derivazione dei simboli, qualora essi fossero già presenti nella letteratura antropologica. Questo lavoro non ha come obiettivo quello di mentalizzarne l’uso, ma quello di renderli “vivi”, vivificando cioè stanze del contenitore umano che usualmente dimentichiamo di comprendere nel nostro cammino quotidiano.
Attraverso questo lavoro è possibile si materializzi un messaggio.
Davi d De Carolis ne ha ricevuto uno.
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Il mio percorso di ricerca ha avuto inizio dall’acquisizione di un vasto repertorio di immagini di Crop Circles, con il quale ho gradualmente raggiunto una certa familiarità, tramite l’osservazione e il recupero dei sistemi simbolici ad esso collegabili.
La scelta di un particolare agroglifo fra quelli di cui ero a conoscenza, come punto da cui partire per approfondire la ricerca, è stata determinata dal proposito di verificare la possibilità di esprimere, attraverso un diagramma simbolico, l’organizzazione di un evento che stavo percependo nella mia realtà quotidiana.
La modalità di lavoro adottata è stata perciò quella dell’interazione diretta con un simbolo, apparso in forma di Crop Circle, per sperimentarne di persona il potenziale, lasciando momentaneamente da parte i significati specifici ad esso tradizionalmente attribuiti.
Il “Vesica Piscis” (formatosi per la prima volta ad Ashbury a fine luglio del 1996 e in versione semplificata a Bishop Cunnings il 16 aprile 1999) si è rivelato particolarmente adatto allo scopo, forse a causa del coincidere fra la sua apparente semplicità e l’elevato livello di dinamicità che esso è in grado di stimolare nello sviluppo del pensiero.
Nella mia mente infatti questa esperienza introduttiva ha dato origine a un articolato processo associativo (tuttora in atto) che, componendosi tramite la meccanica della metafora, è andato ramificandosi verso diverse direzioni contemporaneamente, evocando sintesi simboliche rigurdanti le relazioni fra i termini fondamentali che partecipano alla creazione della nostra realtà e la possibilità di cogliere la loro espansione nella scala dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.
Scomponendo il “Vesica Piscis” si rende visibile la sua caratteristica principale, quella di rappresentare l’azione di una forza che, mediante la congiunzione di due estremi distinti, conduce alla formazione di un elemento di sintesi; questo modello ha letteralmente plasmato il flusso del mio pensiero, disegnando un itinerario fatto di immagini e simboli coerentemente concatenati fra loro.
Per avere un riscontro tangibile di quanto ho appena affermato, è sufficiente prendere in considerazione la mappa cronologica dei simboli da me individuati e confrontarla con un qualsiasi buon dizionario sull’argomento.
In questa sede non è proponibile – visti i necessari limiti di tempo – esporre interamente il contenuto di tale mappa, piuttosto mi limiterò a trattare il “nodo”, a mio giudizio più significativo, emerso durante la sua evoluzione.
Quasi fosse una calamita, il simbolo ha attratto a sé alcune particolari informazioni contenute nella mia memoria e nel mio inconscio, riordinandole secondo lo schema delle due polarità congiunte, di cui il simbolo stesso è portatore, per trasformarle in nuove intuizioni.
La chiave di volta all’interno dell’arco che esse descrivono è costituita dall’indagine riguardo l’attività svolta dal cervello umano e dal suo funzionamento.
L’encefalo, all’interno della scatola cranica, appare diviso in due emisferi ben distinti e per produrre pensiero e azione le zone dalle quali essi sono composti devono interagire fra loro, attraverso uno scambio di messaggi realizzato da stimolazioni di tipo elettrochimico. Tale fenomeno è definito scientificamente “neuromodulazione”.
Pensando al mezzo e alle modalità con le quali la comunicazione fra i due emisferi viene ad attuarsi, nella mia mente si è affacciato il ricordo dell’estrema importanza che l’antico popolo etrusco attribuiva ai fulmini, in quanto veicoli di contatto fra la terra e le regioni del cielo abitate dagli déi.
I sacerdoti etruschi, chiamati “aruspici fulgoratori”, dopo aver considerato la parte del cielo da dove la scarica era discesa, e gli effetti che essa aveva prodotto al suolo, confrontavano le loro osservazioni con le dettagliatissime classificazioni in materia di fulmini contenute nei “Libri Fulgurales” e interpretavano il monito che la divinità folgoratrice aveva voluto trasmettere agli uomini.
Come il collegamento di due differenti ordini di esistenza, quello umano e quello divino, manifestava nell’uomo la necessità imprescindibile di elaborare un messaggio che gli permettesse di dare un senso alla realtà contingente, e di riconoscersi parte di essa, così l’interazione tra l’emisfero cerebrale destro e quello sinistro risulta essere una prerogativa indispensabile per creare interiormente la dimensione del piano di realtà.
Quello che ognuno di noi dentro di sé percepisce e vive come la “propria personale realtà” è formato da una struttura e un insieme di regole che vengono incessantemente ricreate e modificate dalle attività del cervello nel loro complesso.
La traccia di un fulmine, scagliato da un dio sconosciuto, sembra avermi condotto a percorrere una sequenza di livelli nell’universo, attraverso una realtà esterna, espressa dalla relazione terra(uomo)-cielo(divinità), e una realtà interna, rappresentata dal funzionamento congiunto degli emisferi cerebrali dell’essere umano: il segno della volontà di un dio apparentemente lontano ma forse, in verità, infinitamente più vicino di quanto si sarebbe portati comunemente a ritenere.
Mentre mi davo da fare per accrescere le mie conoscenze nel campo della fisiologia del cervello umano, soprattutto in merito alla lateralizzazione delle sue funzioni, ho avuto modo di affrontare lo studio di due testi ricchi di spunti interessanti: “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (“The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind”), scritto dallo psicologo Julian Jaynes, e il più popolare “Disegnare con la parte destra del cervello” (“Drawing on the Right Side of the Brain”) di Betty Edwards.
In particolare, il saggio di Jaynes è diventato nella mia mente la chiave per aprire la porta di una nuova visione, che ha influito sul procedere delle ricerche successive, imprimendo loro una potente spinta propulsiva.
Sono costretto a riassumere in modo quasi irrispettoso l’ampia e circostanziata teoria che l’Autore proponeva già nel 1976, sottacendo il contenuto di interi capitoli densi di osservazioni determinanti e condensandolo in questo assunto: “Ci fu un tempo in cui la natura umana era scissa in due parti: una direttiva, chiamata dio, e una soggettiva, chiamata uomo. Nessuna delle due parti era cosciente”.
Gli déi erano quindi organizzatori del sistema nervoso centrale, in grado di esprimersi sotto forma di voci allucinatorie, udite dall’individuo ogni volta che l’insorgere di una situazione nuova provocava in lui un incremento del livello di stress sufficiente ad attivarle.
Poiché la parte divina si manifestava come una voce, Jaynes si propose di individuare la sua sede d’origine fra le aree del cervello preposte al linguaggio, e dopo uno scrupoloso esame, la localizzò presso le corrispondenti aree dell’emisfero cerebrale destro, oggi considerate mute.
La teoria della mente bicamerale riusciva a integrarsi armoniosamente con la multiforme gamma di dati da me raccolti nel campo degli antichi culti religiosi dell’umanità e in quello delle filosofie esoteriche, facendosi portatrice di idee che aggiungevano a quel materiale inedite opportunità di interpretazione.
Dopo questo incontro rivelatore, ciò che fino a quel momento avevo soltanto colto intuitivamente ha potuto ricevere un nome, grazie al quale riconoscersi e proiettarsi sul piano della mia consapevolezza, ottenendo una maggiore definizione che ha orientato in maniera precisa le mie scelte successive.
Infatti l’obiettivo verso cui mi sono mosso nella fase seguente della ricerca è stato quello di praticare e mettere a punto delle metodologie di stimolazione che mi consentissero di far funzionare intensamente l’emisfero destro del cervello, sperando di poter risvegliare naturalmente le voci degli déi che in esso si erano ritirate dopo il collasso della mente bicamerale.
Cercavo di rintracciare, all’interno dei sistemi magici e religiosi delle culture che furono caratterizzate da questa forma mentale, le tecniche appropriate in virtù delle quali conseguire tale risultato, e anche riguardo questo scopo il testo di Jaynes si dimostrò essere un prezioso ricettacolo di tracce da seguire, poiché egli ovviamente non aveva trascurato un fattore tanto importante per la dimostrazione della sua tesi, e lo aveva trattato esaurientemente nella seconda e nella terza parte dell’opera che diede alle stampe.
In linea generale, una stimolazione dell’emisfero destro del cervello può essere effettuata sfruttando qualsiasi tipo di canale sensoriale di cui l’uomo è dotato, senza dubbio però il senso più adatto ed efficace per raggiungere dei risultati significativi in quella direzione è l’udito.
Particolari generi di emissioni sonore, come il mormorio dell’acqua che scorre fra i ciottoli di un torrente, le vibrazioni sprigionate da alcuni strumenti musicali di uso rituale o l’utilizzo della scansione ritmica - che caratterizzava la metrica della poesia classica - sono capaci di facilitare il manifestarsi delle voci divine.
Le procedure di lavoro, che stavo utilizzando sin dall’inizio del percorso, erano principalmente di carattere visivo e comprendevano sia lo sviluppo grafico di simboli riconducibili alle fonti della geometria sacra che l’elaborazione di immagini artisticamente e concettualmente più complesse, assimilabili a veri e propri mandala.
Perciò, quando si pose il problema di integrare il suono negli ambiti della ricerca, cominciai a verificare le sue connessioni con i tracciati simbolici che avevo disegnato, cercando anzitutto di scoprire se sviluppandoli in senso tridimensionale fosse possibile costruire degli oggetti simili a quelli impiegati per dare un accompagnamento musicale agli antichi rituali.
Nella nostra mente accadono dei processi di analisi e selezione tanto articolati da costringere l’emisfero sinistro, dominante, a occupare moltissimo tempo nel tentativo di ricostruirne la logica, quando invece all’emisfero destro bastano pochi millesimi di secondo per giungere alla loro sintesi: un fenomeno di questo genere si è verificato nell’attimo in cui ho intuito come dare voce al diagramma simbolico che stavo studiando.
La soluzione al problema si concretizzò nella forma di uno strumento musicale utilizzato in Australia dalle tribù di aborigeni, il “bull-roarer”, che essi fanno risuonare durante i riti più importanti e segreti allo scopo di udire la voce ispiratrice delle loro divinità ancestrali.
In base al gruppo etnico e alla regione di provenienza, gli aborigeni attribuiscono la fabbricazione del primo “bull-roarer” a una differente entità divina. In tutti i casi, la funzione principale dell’oggetto è la medesima: rendere la voce del dio ascoltabile sempre, anche dopo la sua partenza, al termine del tempo mitico del sogno che essi chiamano “alchera”, durante il quale l’aspetto del mondo e le leggi tribali furono create.
Lo strumento viene solitamente realizzato intagliando una tavoletta di legno non molto spessa, il cui aspetto finale è quello di una losanga allungata con un foro praticato a una delle estremità, sul quale è fissata una cordicella intrecciata di media lunghezza.
Impugnando il capo della corda rimasto libero, e facendo roteare in aria l’elemento ligneo, si produce un suono basso simile a un profondo ronzare, che può essere modulato in “frasi” di varia durata e volume a seconda della velocità impressa alla rotazione.
I significati sviluppatisi intorno al simbolo scelto quale punto di inizio della presente ricerca, il “Vesica Piscis”, e le asserzioni proposte nella teoria della mente bicamerale, si sovrappongono in larga misura alla forma, alla funzione e alle modalità di utilizzo del “bull-roarer”, uno degli oggetti più sacri appartenenti alla cultura aborigena australiana.
Un solo accenno in conclusione riguardo al valore simbolico del “bull-roarer”: “dal punto di vista dinamico esso è l’espressione animata della spirale e, per il suo rimbombo, evoca il brontolìo del tuono. Perciò si collega al vasto complesso simbolico della tempesta e dei suoi attributi: tuono, lampo, fulmine, pioggia (…)”.
Da questa constatazione, e dalle sue implicazioni sul piano simbolico e immaginativo, sta attualmente proseguendo la ricerca che un fulmine scagliato da un dio, non più tanto lontano e forse nemmeno tanto sconosciuto, potrebbe aver benevolmente evocato …

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Dobbiamo fare ricorso alla neurofisiologia e alle ricerche nel campo della funzionalità del sistema nervoso per sintetizzare al meglio quale messaggio ci stiano portando i pittogrammi che abbiamo considerato.
Sono trascorsi più di trent’anni da quando il neuroscienziato statunitense Paul McLean ci ha fornito un’interpretazione dei livelli di funzionamento del cervello umano, portando a popolarità l’esistenza di tre strati di attività che si sono integrati fra loro nel corso del tempo.
Del terzo strato – la neocorteccia – noi utilizziamo prevalentemente una parte, il lato sinistro, che si è sviluppato per consentire l’uso superiore del linguaggio e della logica, ma l’eccessiva sperimentazione di questa abilità umana ci ha portati a escludere dalla vita quotidiana l’uso della componente di destra.
Sicché le doti di creatività, l’arte, le capacità associative e immaginative, la capacità di riprodurre la musica in modo diretto, la dimensione sferica del sacro – appannaggio delle funzioni dell’emisfero destro – sono state sostituite dalla identificazione inconscia con motivi emozionali, passionali o di potere, che sono le forze che spingono in direzioni impazzite la massa degli umani. La totale identificazione con le emozioni è un meccanismo che crea malattia.
L’essere umano ha un “programma di base” secondo cui è destinato a integrare le funzioni dei tre cervelli, cioè l’istinto, l’emozionale e il mentale; mentre, al momento attuale, siamo in uno stato di “schizofisiologia”, perché le parti non comunicano fra di loro. Noi rappresentiamo un’unità e non dovremmo mai perdere questa unità di coscienza per non perdere la nostra autonoma.
Uno dei messaggi che ci arrivano allora dai Crop Circles sottolinea la necessità di ri-creare le giuste connessioni fra l'emisfero destro e quello sinistro, condizione di equilibrio che è possibile raggiungere attivando processi di autoconoscenza.
Conoscere di più il funzionamento cerebrale significa conoscere in modo più vasto i meccanismi della coscienza, che sono connessi al cervello. Jung affermava che la psiche è l’unico fenomeno umano conosciuto che non sia soggetta alla gravità, e per questo motivo è in grado di non soffrire di barriere spazio-tempo (ricordiamo che la connessione tra gravità e spazio-tempo è postulata anche dalla fisica che studia il fenomeno dei “buchi neri”).
La sincronizzazione dell’attività elettrica dei due emisferi è stata documentata durante almeno due diverse forme di meditazione, un altro di quegli aspetti dell’uso della mente che possono consentirci di influire in modo rilevante sui processi neurofisiologici. E’ possibile che l’effetto “folgorante” della sincronizzazione cerebrale possa consentire alla psiche umana di sperimentare al meglio il suo essere slegata dalla forza di gravità e quindi dalla dimensione spazio-tempo come la percepiamo correntemente? Questa è una risposta che ognuno dovrebbe cercare sperimentando con se stesso, a lungo e seriamente.
Esistono stati di altissima sincronizzazione, che rappresenta un parametro importante per quantificare lo stato di coscienza. Gli stessi Crop Circles potrebbero essere degli attivatori di questo processo di sincronizzazione, non soltanto tramite il messaggio visivo (che, come abbiamo visto, fornisce già degli spunti considerevoli), ma anche tramite l’interazione tra campi elettromagnetici, eventi peraltro registrabili all’interno delle immagini e che potrebbero trasmettersi al liquido cerebro-spinale – che pervade e sostiene tutto il sistema nervoso centrale. Questo liquido potrebbe rappresentare un campo di ricezione per frequenze molto particolari, in grado di trasmettere gli effetti della sua stimolazione alle strutture cellulari, creando effetti che potrebbero rappresentare realmente il campo di frontiera di una ricerca fattibile e concreta.
Infatti, come è possibile che la semplice acqua distillata, sottoposta alle vibrazioni presenti nei Crop Circles, modifichi la sua forma stechiometrica (?), fino a riprodurre figure riconoscibili, così dovremmo cominciare a immaginare la reazione del liquido cefalo-rachidiano, che ha una composizione particolarissima – unica, nel corpo umano – e le cui variazioni per cause energetiche, forse trasmissibili alle strutture neuronali, potrebbero dare conto dell’attivazione di alcune parti del nostro cervello semplicemente “entrando” nel pittogramma, operazione del tutto possibile anche alle persone prive di vista.
Se è vero, come crediamo, che in questo preciso istante stiamo aprendo un modo nuovo di ricercare, utile soprattutto a noi stessi, e non svincolato dagli scenari di quel mistero che giustifica la presenza di tutti noi, qui in sala, allora è anche chiaro che serve l’aiuto di tutti per condensare la ricerca su temi trattabili e su orizzonti possibili.
Questa scienza è nelle singole mani di ognuno di noi e di voi: cerchiamo di aiutarci a raccoglierla insieme costruttivamente.

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