Scritte misteriose nella storia...
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LE MISTERIOSE SCRITTE DELL'UOMO SELVATICO
le scritte dell'uomo selvatico (Lizzano in Belvedere)
Riportiamo di seguito un articolo sulle misteriose scritte del cosidetto "uomo selvatico" nel Comune di Lizzano in Belvedere pubblicate da "La Musola" nel lontano 1972 (n. 12, pp. 67 ss). Personalmente siamo molto dubbiosi della veridicità di quella scoperta, è comunque una interessante lettura per tutti.
"GLI ETRUSCHI
Domenica 22 ottobre 1972
Domenica 22 ottobre 1972, in una splendida mattinata di sole, Giorgio Filippi mi
ha guidato fino a un gruppo di 'iscrizioni davvero singolare, che il suo occhio
esercitato aveva colto qualche giorno prima sul plano di una lastra di roccia, in
un punto del crinale montuoso che sovrasta Lizzano in Belvedere, verso Vidiciatico.
Nella piccola comitiva, di cui faceva par,te anche la gentile signora Filippi,
godevamo della simpatica compagnia dei signori :Lanfranco Bonora e Annamaria
Scardovi. Staccatici dalla strada asfaltata, dopo un'ora di cammino su di un sentiero
e, alla fine, traversando una fitta faggeta, si giunse al luogo del rinvenimento.
Le iscrizioni erano incise su di una lastra adiacente ad un'altra sulla quale si trovavano
scolpiti una piccola «forchetta» e un piccolo «cucchiaio», già noti da molto
tempo nella zona e che erano anzi entrati nella leggenda locale: se ne favoleggiava
in relaz;ione a un «uomo selvatico» che avrebbe abitato in tempi lontani una buca
(non si può proprio chiamarla grotta) sottostante alle rocce vicine.
Mi parve subito di poter distinguere tre diverse iscrizioni, l'una sotto l'altra:
quella superiore la qualificai senz'altro come etrusca, quella inferiore aveva un'apparenza
assai più tarda', quella di mezzo evocò in me strani ricordi di «chiodi» e
di ideogrammi.
Ripuliti con cura i vari segni e misuratili (erano fra i 5 e i 7 cm.) effettuammo
diverse fotografie: anche, su una roccia sovrastante la buca dell'«uomo selvatico»,
quella di una mano scolpita a grandezza naturale che il massaro del «Rugletto»
aveva notato il giorno precedente nel corso di una sua solitaria esplorazione.
Era quasi mezzogiorno: si stava per ridiscendere quando, mentre Giorgio Filippi
ci raccontava come aveva liberato le iscrizioni dal muschio che le semiricopriva,
il sig. Bonora domandò se sotto il muschio che ancora era su parte della lastra
non poteva trovarsi qualcosa d'altro. Ci mettemmo allora febbrilmente al lavoro.
Ed ecco appar:ire, fra gridarelli di entusiasmo, una piccola croce di forma non
consueta, sottile e nettamente incisa.
Ma, terminata la bella gita e tornato io al mio abituale lavoro di scartabellatore
di libri vecchi e men vecchi, sono qui a dover riferire su quanto ho potuto tra vagliatamente
appurare, in pochi giorni di indagine per non fare attendere la tipografia
della Musola, su quelle singolari testimonianze epigrafiche.
Cominciamo dall'iscrizione etrusca. Che sia proprio etrusca è denunciato intanto
dalla prima lettera (si sa che gli Etruschi scrivevano da destra a sinistra) che ha
la fol'ma di una F e che veniva pronunciata v. Essa si trova in numerose iscrizioni,
allo stesso modo che nella nostra, come lettera a sé, ossia come -iniziale del prenome
Vel, così scritto abbreviatamente. Abbiamo poi la theta crociata, ossia il cerchietto
con la croce inscritta, che è tipica delle iscrizioni etrusche arcaiche. Altre lettere,
e cioè la A, la E 'e specialmente la Z (ultima lettera dell'iscrizione) si trovano,
identiche o quasi, nelle iscrizioni etrusche. Inoltre la parola tha, identificabile nella
nostra iscrizione, è in etrusco un ben conosciuto dimostrativo «
~,«quello»);
ez si trova attestato chiaramente, come parola a sé, in una nota iscriziO'ne etrusca
detta del piombo di Magliano (ma con significato indeterminabile). Restano le due
O con in mezzo quello strano segno: ma non sarebbe escluso trattarsi di un'indicazione
numerica, dato che qualche analogia sarebbe proponibile cO'n i segni numerali
etruschi già noti e con le dfre chioggiotte, riportate dal Buonamici nel suo volume
Epigrafia Etrusca. D'altra parte non si vede bene cosa ci starebbe a fare un'indicaz,
ione numerica su quel crinale, e si svuoterebbe di significato la v a sé stante,
giacché un prenome non seguito da un gentilizio sarebbe un non senso.
La chiave per la comprensione del documento è data invece, a mio avviso, proprio
da quello strano segno fra le due O: ho trovato che esso corrispO'nde esattamente
a una sigla riprodotta dal Fabretti al n. 27 del I Supplemento del Corpus
Inscriptionum Italicarwn, iscritta su un vaso di Villanova (Bologna). Il Fabretti
riporta una quindicina di sigle analoghe, piÙ o meno inconsuete, trovate su vasi
del genere. Il Buonamici, seguendo il Pareti, le riconnette ad un protO'tipo degli
alfabeti nord-etruschi, etrusco pur esso ma distinto da quello in uso in Toscana: un
alfabeto arcaico, anteriore alla conquista del VI secolo avanti Cristo. Ad esso
secondo il Pareti è da riconnettersi anche l'alfabetO' delle iscrizioni picene.
Ora proprio nel Piceno noi ritroviamo il nostro stesso segno: il Whatmough
credette di vederlo in un'iscrizione di Bellante (ma ruotato di 90 gradi) e segni
quasi uguali risultano in altre iscr;zioni (Acquaviva, Superaequom, ancora Bellante).
Mol!o dubitativamente il Whatmough pensa abbiano il valore di una sibilante.
Ma se dobbiamo dunque orientarci verso il Piceno, ove era usata anche la O, non
dobbiamo nasconderci che in quelle iscrizioni il segno che appare a Lizzano come A
possiede invece il valore r. E allora? Allora dovremmo pervenire, per la nostra
iscrizione, ad una lettura v throso ez che trova un riscontro persuasivo nel noto
gentilizio etrusco thresu. Infatti nell'Etruria la lettera O non era in uso: per esprimere
graficamente tale suono venivano imp:egate nelle iscrizioni, piuttosto promiscuamente,
le lettere E, D, A. In parole povere si tratterebbe di una persona che
incise lassù l'iniziale del suo «nome» e il «cognome», più una paro letta ez che non
si sa cosa voglia dire.
Comunque sia è chiaro che la presenza nella nostra iscrizione di quello strano
segno fra le due O ne garantisce al cento per cento l'autenticità: l'ipotesi di uno
scherzo erudito non regge perché l'erudito che si potrebbe immaginare autore della
beffa avrebbe dovuto essere molto ma molto erudito, né sarà stato certo il non
meglio identificato sig. Clersoni (o Chersoni) Elidio il quale, non si sa quando, non
trovò di meglio per immortalarsi che incidere il suo nome, con tanto di cartiglio,
su quella roccia, a poter congegnare uno scherzo del genere.
E veniamo alla seconda iscrizione: quella che mi apparve, di primo acchito,
come... cuneiforme. Ebbene, so che la notizia farà restare qualcuno senza fiato,
ma devo dire .che quella (sarebbe, se non erro, la prJma trovata 'in Italia) è proprio
un'iscrizione cuneiforme! Si tratta di un ideogramma i cui primi quattro elementi
corrispondono quasi in pieno alla prima parte di un ideogramma in scrittura neoassira,
che troverete (è il primo in basso a sinistra) a pagina 44, fig. 19a del .volumeHo
del Friedrich, Decifrazione delle scritture e delle lingue scomparse, edito a Firenze
nel 1961. Purtroppo in questi pochi giorni non ho avuto la possibilità di esaminare
ampi elenchi di 'ideogramm,i per trovarvi corrispondenze complete e pervenire a
una sicura traduzione di quei segni: saranno poi gli assiriologi, stimolati, non ne
dubito, da questa clamorosa primizia che offr.iamo ai ,lettori della Musola, a darne
una spiegazione che non lasci adito a dubbi e che conforterà o meno anche il senso
che ho dato, provvisoriamente beninteso, all'iscrizione etrusca.
Quando furono incise quelle due iscrizioni? Tutto concorda a situarle nel VI
secolo avanti Cristo, piuttosto verso l'inizio.
Resterebbe a parlare della misteriosa crocetta, della «forchetta», del «cucchiaio»
e della mano scolpita. Di questi ultimi tre reperti non dico nulla: lascio alla fantasia
dellettare di sbizzarrirvisi.Per la cracetta passa azzardare tre diverse ipatesi. È un
simbala cristiana? È una figurina umana stilizzata? È un segna di arientazione?
A favare di questa terza idea patremma citare Dolabella, in Cromo Vet., ed. Lachmann,
I, p. 303, 22ss.: quare per aedes publicas in ingressus antiqui fecerunt crucem,
antica et postica? Quia aruspices secundum aruspicium in duabus partibus orbem
diviserunt... C'era dunque, lassù, un tempietta o un sacella etrusco?
Angelo Savelli"
Marisa