Mi permetto di suggerire un documento ben fatto ed affidabile che ho trovato su internet, incuriosita dall' argomento della discussione.
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MANUALE DI RETORICA E METRICA
Laura.
MANUALE DI RETORICA E METRICA - APPROCCIO AL TESTO POETICO - ANALISI DEL TESTO POETICO.
Si intende con questa scheda fornire un manuale agile e facilmente consultabile, un vero e proprio prontuario in cui avere, a portata di mano e ben ordinate, le nozioni basilari di retorica e metrica italiane.
In questa scheda, riguardante prevalentemente il testo poetico, troverai brevi e sintetiche spiegazioni corredate da numerosi esempi, una aggiornata bibliografia sugli argomenti, un comodo glossario. Ricorda che per eventuali problemi, dubbi, domande ecc. puoi rivolgerti ai nostri esperti con una e-mail.
Buona consultazione!
M.S.
COS'È LA RETORICA?
La RETORICA è l'arte del ben parlare che si avvale di tecniche persuasive ed espressive. Oggi l'aggettivo "retorico" ha assunto, come eredità del pensiero romantico, un significato negativo, quasi dispregiativo: un discorso "retorico" è ampolloso, artificiale, ridondante, eccessivamente decorato. Non è, però, sempre stato così: questo termine ha avuto una lunga e gloriosa storia:
• • Nasce, secondo la tradizione, a Siracusa, nel V secolo a C., nei processi seguiti alla caduta del tiranno Trasibulo con i maestri Corace e Tisia.
• • Si sviluppa in Attica, nella seconda metà del V secolo, con i sofisti tra cui il celebre Gorgia, a cui Platone dedica un omonimo dialogo. Nella cultura greca si occuparono dell' "arte della parola" anche Aristotele e Socrate.
• • La cultura latina riprende e sviluppa la scienza retorica. Questo avviene soprattutto ad opera di Cicerone che ne fa la più importante delle discipline e ne abbiamo testimonianza sia nelle celebri orazioni che, a livello teorico, nei dialoghi De oratore; Brutus sive de claris oratoribus; Orator.
• • Durante il Medioevo essa gode di grandissimo prestigio e diviene la base del sistema scolastico in quanto scienza del Trivio (grammatica, dialettica e retorica). Secondo la tradizione greco-latina la retorica si divide in 5 parti:
1. INVENTIO: è la ricerca delle cose da dire.
2. DISPOSITIO: è l'organizzazione delle argomentazioni secondo un progetto. Si articola in 4 parti: ESORDIUM: introduzione con captatio benevolentiae
NARRATIO: racconto dei fatti (ordo naturalis; ordo artificialis).
CONFIRMATIO: resoconto degli argomenti
PERORATIO: conclusione del discorso.
3. ELOCUTIO: esposizione del discorso (con attenzione alle parole, alle figure retoriche, agli ornamenti ecc.).
4. ACTIO: tutto quanto riguarda l'esecuzione del discorso, quindi la gestualità, la mimica ecc.
5. MEMORIA: memorizzazione del discorso.
• • Oggi, tralasciando la storia dell'oratoria dall'Umanesimo in poi, l'oratoria è l'arte del ben parlare con usi ed esiti molto diversi: dal discorso politico allo spot pubblicitario.
• • Per lo studente è anche l'insieme delle norme e delle tecniche necessarie per "decodificare" e apprezzare le opere del passato, per avere una maggiore coscienza del mondo della comunicazione in quanto fruitore e produttore.
NOZIONI DI RETORICA
• • L'opera d'arte, secondo Angelo Marchese [1], ha tre livelli di lettura:
INTRATESTUALE: che considera il testo al suo interno.
INTERTESTUALE: che considera il testo in relazione all'opera dello stesso autore (interna) e in relazione ai modelli letterari, per esempio i generi, (esterna).
EXTRATESTUALE: che considera il testo in relazione al contesto storico.
Il senso globale di un testo nasce dalle relazioni tra questi tre "piani di lettura".
Anche noi crediamo che ci sia uno strettissimo rapporto tra letteratura e storia, perché, come dice G. Barberi Squarotti: «è davvero impossibile leggere testi letterari e capirli senza tutto un bagaglio di dati e informazioni storiche, che valgono non a dire quel che fa di quel testo un fatto letterario, ma a definire motivazioni, ragioni, messaggi e anche soltanto a chiarirne termini e temi». (Barberi Squarotti G., in AA.VV., Inchiesta sulla storia letteraria, Torino 1978, p. 13). Siamo tuttavia convinti che il testo letterario goda anche di una certa autonomia, non debba cioè essere giudicato come un mero "documento", un riflesso della storia, dell'economia o dell'ideologia.
• • Definire brevemente che cosa sia la letteratura e che valore abbaia il testo letterario è un'impresa veramente ardua. Essa richiama tutta una serie di conoscenze specifiche che in questa sede è bene tralasciare. Cercheremo, quindi, di esporre in modo sintetico le nozioni essenziali.
Che cosa distingue un testo qualsiasi da un testo letterario? Questa è la domanda fondamentale, perché la sua risposta ci consente di mettere a fuoco la specificità del testo letterario. Gli esponenti del Circolo di Praga risponderebbero che è la funzione estetica (Mukarovský) e i formalisti russi insisterebberosul concetto di letterarietà (Jakobson), cioè riconoscere ad un testo il suo specifico valore linguistico-formale. A questo si aggiunga, con Lotman, che la letteratura è un'intima fusione tra la forma e il contenuto, non è possibile scindere "l'espressione" dalla "informazione". Egli parla, infatti, di semantizzazione di tutte le componenti di un testo, in cui ogni elemento diviene portatore di significato.
Non ci si può dimenticare che la letteratura, basandosi sulla parola, ha un intimo legame con la linguistica e con la semiologia. Essa, inoltre, è una forma di comunicazione, ma gode di condizioni specifiche che la rendono ben diversa da qualsiasi altra comunicazione. Il linguaggio della letteratura, e soprattutto quello poetico, rappresentano, infine, uno scartamento rispetto a quello convenzionale e quotidiano, ed hanno un valore altamente iconico.
L'interpretazione e il commento di un testo poetico, secondo noi, non sono quasi mai univoche ed assolute, ma, tenuto saldo il valore intrinseco del messaggio, sono molteplici, anche solo perché ogni epoca ha dei valori particolari e ogni lettore ha una sensibilità individuale.
• • NATURA DEL TESTO POETICO
Cercheremo qui, con tutti i limiti che le sintesi e le generalizzazioni impongono, di delineare la natura del testo poetico; per i riferimenti al metro e al ritmo si rimanda invece all'apposita sezione.
Il testo poetico si caratterizza per lo straniamento [2], cioè uno scarto dalla lingua della quotidianità, ma anche per la musicalità e la ricerca di un effetto estetico. È ambiguo, perché il contesto non è conosciuto al destinatario; è connotativo, perché usa molte immagini ha, infatti, una natura fortemente iconica, evocativa. In esso il rapporto tra significante e significato non è arbitrario, ma motivato, anzi spesso prevale il primo aspetto sul secondo, o meglio il senso del testo poetico è dato dalla fusione di entrambi.
In poesia non è possibile scindere l'informazione dalla forma, il contenuto dall'aspetto esteriore che lo manifesta. Ogni elemento è significativo, portatore cioè di significati, si parla quindi di semantizzazione di tutti gli elementi costitutivi del testo poetico.
Jean Cohen dice: «il poeta è tale non per ciò che ha pensato o sentito, ma perché ha parlato. Egli è un creatore non di idee, ma di parole; tutto il suo genio sta nell'invenzione verbale». [3] Questa affermazione, per quanto possa essere una forzatura per certi aspetti non condivisibile, considerando i grandi autori che hanno "pensato" oltre che "scritto", coglie uno degli aspetti fondamentali del testo poetico: la natura formale.
A COSA SERVE LA METRICA?
La METRICA è tutto quanto riguarda la versificazione quindi: il verso, il ritmo, la rima, gli accenti, le forme dei componimenti poetici ecc. Ci sono varie forme di metrica: classica, moderna, barbara, novecentesca.
Perché è importante studiare la metrica? Perché l'aspetto formale è una parte essenziale della poesia che è data dalla fusione fra "ciò che si dice" e "come lo si dice", cioè fra contenuto e forma. Per cogliere a pieno il valore e il "messaggio" profondo di un testo poetico è necessario conoscere le norme che governano i suoi elementi.
La metrica italiana è sillabico-accentuativa cioè, a differenza di quella latina che è quantitativa, si basa su sillabe e accenti. La sillaba è la minima unità fonetica, costituita generalmente da una vocale (o gruppo vocalico) unita ad una o più consonanti. Ad una sillaba corrisponde un'unica emissione di fiato. L'accento dipende dalla minor o maggior intensità con cui si pronuncia una sillaba, per cui si possono avere sillabe toniche e atone. L'alternarsi di sillabe toniche e atone dà luogo al ritmo. Il metro è il modello, «la norma entro la quale il ritmo si realizza», che deve essere conosciuto dal poeta per comporre e da l lettore per decodificare la struttura della poesia.
Il verso è «l'unità di base della scansione del discorso in versi, e più precisamente […] l'unità minima che può teoricamente costituire da sola un discorso in versi compiuto». (Bertrami P., Gli strumenti della poesia, Il Mulino, Universale Paperbacks, Bologna 1996, p. 19). Nella poesia tradizionale il verso è «un segmento di discorso organizzato secondo determinate regole», quindi il poeta si è uniformato ad un modello; nella poesia novecentesca, per lo scardinamento delle regole, si ha una versificazione libera, cioè non dipendente da un modello.
La strofa è un gruppo di versi variamente ordinati e di lunghezza variabile.
È necessaria un'ultima premessa sulle forme metriche. Esistono FORME REGOLATE, con una struttura fissa, regolata da norme, ma con un certo margine di libertà all'autore (es.: canzone petrarchesca, madrigale, strambotto, endecasillabo sciolto); FORME FISSE, con una struttura rigida, molto vincolante (ad es.: sonetto, terzina dantesca) e FORME LIBERE, dove prevale l'aspetto di libertà del poeta (discorso di endecasillabo e settenari, canzone libera usata da Leopardi, polimetria). Più in generale risulta chiara almeno una distinzione: FORME LIRICHE e FORME DISCORSIVE. Le prime sono quelle usate per la poesia lirica (componimenti brevi) le seconde sono quelle usate dalla poesia epica, narrativa (componimenti lunghi).
NOZIONI DI METRICA
VERSO
È fondamentale, parlando di sillabe e versi, chiarire subito il funzionamento del sillabismo italiano:
due versi sono composti dallo stesso numeri di sillabe se l'ultima tonica è nella stessa posizione.
Cioè per stabilire il numero delle sillabe di un verso si contano le sillabe fino all'ultima tonica. La tradizione italiana è isosillabica, cioè un verso dello stesso tipo ha sempre lo stesso numero di sillabe. Se un verso supera la "misura standard" si dice ipermetro (in genere varia di una sillaba), se non raggiunge la "misura standard" si dice ipòmetro.
Esistono versi piani (il caso più frequente), tronchi o sdruccioli. [4] L'endecasillabo è il verso più nobile della poesia italiana. Si definisce endecasillabo l'endecasillabo piano: 11 sillabe con l'accento tonico sulla decima posizione seguito da una sillaba atona.
(11P) Nel- mez-zo -del -cam-min- di- no-stra -vì¹°-ta
Si possono avere anche endecasillabi tronchi: quando il verso, di dieci sillabe, termina con una tonica
(11T) e -con- Ra-che-le,- per -cui -tan-to- fe'¹°
e si possono avere endecasillabi sdruccioli: quando alla sillaba con accento tonico seguono due sillabe atone
(11S) Già -non -com-pie' -di - tal -con-si-glio -rén¹°-de-re.
In pratica si definisce endecasillabo il verso che ha l'accento tonico sulla decima sillaba.
Allo stesso modo si considerano tutti gli altri versi: il decasillabo ha accento tonico sulla nona sillaba e può essere piano, tronco o sdrucciolo (3-6-9); novenario (2-5-8 o 3-5-8); ottonario (3-7, ma anche 1-3-7); senario (2-5); quinario (1-4 o 2-4 più raramente 3-4); quadrisillabo (-3); trisillabo (-2).
L'endecasillabo canonico ha il seguente schema: 4-10 o 6-10. Ciò significa che, oltre alla 10°, ha la 4° sillaba tonica o, in alternativa la 6°. Si possono avere entrambe le sillabe toniche (4 e 6), ma non entrambe atone: in questo caso il verso si dice sbagliato. Quindi, con varie possibilità di ritmi fra atone e toniche, si può riassumere lo schema accentuativo dell'endecasillabo:
corretto: 4-(6)-10 a minore (la prima parte del verso è un quinario)
corretto: (4)-6-10 a maiore (la prima parte del verso é a un settenario)
corretto: 4-6-10
non corretto: 4-6-10 (raro e usato soprattutto nel '900).
CESURA: (=taglio) è una pausa all'interno del verso. Le due parti del verso, separate dalla cesura si chiamano emistichi. Il caso più frequente è quello in cui la cesura cade alla fine di parola, dopo la 4° sillaba; esistono vari tipi di cesura: maschile; lirica; italiana; epica. (è lirica se la 3° è tonica e la 4° è atona: che nel lago | del cor m'era durata; maschile se la 4° è tonica: che nel pensier | rinova la paura; la cesura epica è molto rara; quella italiana si verifica quando cade dopo una parola piana in cui l'accento sia in 4° posizione: fu stabilita | per lo loco santo; la parola piana risulta à metà tra un emistichio e l'altro: fu stabili | ta).
CONTARE LE SILLABE
La sillaba, lo ripetiamo, è l'unità metrica del verso ed è composta da una vocale (o gruppo vocalico) unita ad una o più consonanti. Ad una sillaba corrisponde un'unica emissione di fiato. Ad ogni vocale, generalmente, corrisponde una sillaba, ma quando ci sono più vocali consecutive, le cose si complicano e intervengono delle regole.
• • All'interno di parola: DIERESI (due vocali valgono per due sillabe. Si segnala graficamente con ¨, ex.: Trivïa). SINERESI (due vocali valgono per una sillaba, ex.: loda di Dio vero).
• • Fra due parole diverse, all'interno del verso, è normale la SINALEFE (due vocali valgono per una sillaba: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono), ma si può verificare, più raramente, la DIALEFE (due vocali valgono per due sillabe: «Miserere di me» gridai a lui). (dieresi e dialefe sono sinonimi di iato). Quando la SINALEFE si verifica tra due versi si ha una SINAFIA.
• • Quando una vocale tonica è seguita da una atona: all'interno di parola si conta una sillaba, ma alla fine del verso si contano due sillabe.
• • Il dittongo AU è generalmente monosillabico. Es.: causa, lauda.
• • La i consonantica non ha valore di sillaba, quindi esclude la dieresi. Es.: tempio
• • I nessi della I atona seguita da una vocale atona, in fine di parola, sono monosillabici. Es.: minaccia.
• • I nessi con le vocali A, E, O con una vocale tonica sono generalmente considerati due sillabe. Es.: paura = pa-u-ra.
Ma ci sono molti altri casi e molte eccezioni che qui non riportiamo, per approfondimenti si rimanda a un buon libro di grammatica italiana (Battaglia S. e Pernicone V., La grammatica italiana, Loescher, Torino 1991; Sensini M., La grammatica della lingua italiana, Mondadori, Milano 1994) o ai manuali di metrica indicati nella nostra bibliografia.
Una parola, infine, può essere allungata nella parte iniziale, centrale e finale (protesi: istrada, epentesi: umilemente, epitesi: fue); può essere accorciata nella parte iniziale, centrale e finale (aferesi: [in]verno, sincope: medes
mo, apocope: vo[glio]) esiste, inoltre, in poesia come in prosa l'elisione (es.: : Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono).
RIMA
La rima è l'identità di suono, fra due parole o fra due versi, della parte finale comprendendo l'ultima sillaba tonica. La rima è posta nella parte terminale del verso, ma può essere interna a due versi (rimalmezzo o rima al mezzo: es. da Jacopo da Lentini: No, ma lo core meo / more più spesso e forte / che non faria di morte - naturale); quando un verso non rima si dice irrelato.
Schemi di rime (per convenzione con la lettera maiuscola si indicano gli endecasillabi, con quella minuscola le misure minori):
BACIATA: AA BB CC (frequente nelle quartine dei sonetti e nei distici)
ALTERNATA: ABAB CDCD (frequente nelle quartine dei sonetti, nelle sestine o nelle ottave)
INCROCIATA: ABBA CDDC (frequente nelle quartine dei sonetti)
INCATENATA: ABA BCB CDC (reso famoso dalla Divina commedia, per cui detta anche DANTESCA)
REPLICATA: ABC ABC (frequente nelle terzine dei sonetti)
INVERTITE: ABC CBA (frequente nelle terzine dei sonetti)
Ci sono rime FACILI, quelle per cui si hanno a disposizione molte parole e che comportano l'uguaglianza delle desinenze o dei suffissi (es: cantare-amare; dire-entire; chiaramente-facilmente) e rime difficili, dette RARE, quelle per cui è difficile trovare parole.
Ci sono rime PERFETTE, quelle in cui l'identità di suono comporta anche l'ultima tonica,
rime IMPERFETTE, quelle in cui questa identità non è completa ASSONANZA = identità delle vocali;
CONSONANZA = identità delle consonanti.
Le rime RICCHE sono quelle in cui l'identità delle sillabe finali di due parole risale oltre l'ultima tonica.
La rima si dice EQUIVOCA quando le parole hanno identità di suono, ma un significato diverso (frequente il caso in cui una parola rima con un verbo: … il viso di Madonna luce (verbo) / e m'è rimasa nel pensier la luce (sostantivo). Un caso particolare è dato dalla RIMA EQUIVOCA CONTRAFFATTA quando si ha identità fonica e diversità oltre che semantica anche grafica: ad esempio l'uso petrarchesco di Laura-l'aura. (casi più rari sono: riama COMPOSTA; PER L'OCCHIO; IN TMESI; IPERMETRA).
SCHEMI METRICI
Proponiamo una scelta dei più comuni schemi metrici della tradizione lirica italiana, con esclusine delle forme più rare come ballata, strofa zagalesca, aria, rondò, stornello e altre.
SONETTO: è la forma più usata nella tradizione poetica italiana. Convenzionalmente si ritiene Jacopo da Lentini il primo utilizzatore di questa forma, che viene in seguito consacrata dall'uso petrarchesco. Esso è composto da 14 endecasillabi divisi in due quartine e due terzine. ABAB ABAB; ABBA ABBA per le quartine e CDE CDE; CDC CDC; CDE DCE; CDE EDC per le terzine. Esistono altre forme più rare di sonetto: SONETTO RINTERZATO: è un sonetto tradizionale in cui i 14 endecasillabi sono inframmezzati da settenari; SONETTO DOPPIO; CAUDATO (ai 14 versi segue la "coda" di una o più terzine).
CANZONE: per i Siciliani, ma anche per Dante, la forma più nobile, per forma e temi, della poesia era la CANZONE, a cui seguivano nell'ordine la CANZONETTA e il e il e il SONETTO. (consacrata dall'uso dantesco e petrarchesco, ma gode fino a Tasso, Leopardi, Carducci e D'Annunzio di grande fama e prestigio).
CANZONE ANTICA O PETRARCHESCA: componimento di varia lunghezza (di solito 5 stanze) è composto da unità-base dette stanze (stanza=strofa), concluse da un congedo. Dante nel De vulgari eloquentia definisce la corrispondenza fra forma e contenuto: cioè alla forma metrica più alta corrispondono gli argomenti più elevati. I versi utilizzati sono, quindi, i più nobili della tradizione, cioè endecasillabi e settenari.
La stanza è divisa in due parti: fronte e sirma. La fronte, a sua volta, si divide in due piedi, cioè due parti con versi dello stesso tipo e posti nello stesso ordine. La sirma è invece indivisibile. La divisione tra fronte e sirma, con due versi che rimano, è detta chiave o, da Dante, diesis. Lo schema di una stanza di canzone petrarchesca (ad es. Chiare, fresche e dolci acque) può essere così schematizzato:
Canzone petrarchesca
a
b
C
I piede
a
b
C
II piede
CHIAVE
c
d
e
e
D
f
F
sirma
… Altre stanze
D
f
F
Congedo (riprende gli ultimi 3 versi)
Canzone duecentesca
a
b
a
C
I piede
fronte
d
b
d
C
II piede
sirma
E
e
f
G
I volta
h
h
i
G
II volta
… Altre stanze
Nelle altre stanze si ripete lo stesso schema, anche se con rime diverse. La lunghezza dei piedi è variabile (2-6 versi).
La prima parte della stanza si chiama anche fronte, anche se per Dante questo termine indica un insieme indivisibile di versi. Lo schema della sirma è libero.
Si incontra anche un altro schema di canzone (secondo schema), lievemente variato rispetto al primo, in quanto suddivide anche la sirma in due parti (ad es. madonna dir vo voglio). Ma per Dante lo schema della canzone può anche essere quella di una I parte indivisibile FRONTE, seguita da due VOLTE. In pratica si possono avere diverse combinazioni:
I PIEDE
II PIEDE I PIEDE
II PIEDE FRONTE
SIRMA I VOLTA
II VOLTA I VOLTA
II VOLTA
Ma non è possibile avere contemporaneamente le due parti indivisibili, cioè:
FRONTE
SIRMA
Nel seicento e settecento la canzona diviene più libera dando vita alla canzone leopardiana, la CANZONE LIBERA appunto.
COBLAS: sono collegamenti fra una stanza e l'altra, in cui si riprende la rima dell'ultimo verso della prima stanza nel primo verso di quella successiva: coblas capcaudadas (se la ripresa riguarda una parola si dice coblas capfinidas; nel caso di evidenti analogie all'inizio di ogni stanza si dice coblas capdenals).
SESTINA è una forma di canzone le cui stanze (6) sono indivisibili, usata da Dante e Petrarca, fino a tutto il '400. Ci sono alcune regole di composizione: nessun verso rima all'interno della stanza, ma ci sono corrispondenze delle stanze fra di loro attraverso parole-rima, variando in ogni strofa la posizione. Nel congedo si ripetono tutte le parole-rima, tre sono poste alla fine del verso, tre sono interne. Tra una stanza e l'altra c'è coblas capcaudadas e il primo verso della prima stanza rima con l'ultimo verso dell'ultima stanza. Sono sestine i componimenti A qualunque animale alberga in terra (Rvf., 22); Non à tanti animali il mar fra l'onde (Rvf., 237) di Petrarca ai quali si rimanda.
CANZONE-ODE O ODE è una canzone semplificata, di lunghezza variabile. Le strofe sono composte da 4 endecasillabi con schema ABBA o ABAB (più raramente 5 versi). Fu usata soprattutto nel '500 (Bembo, Chiabrera, Marino fino a Parini). A volte si possono trovare, alternati agli endecasillabi, alcuni settenari.
ODE-CANZONETTA O CANZONETTA è, secondo le indicazioni di Dante, un componimento intermedio fra la canzone (stile elevato) e il sonetto (stile umile). Predominano versi brevi al posto degli endecasillabi. Alcuni testi sono testi leggeri, vere e proprie "canzoncine", altri sono più "seri", di argomento più elevato come le ODI di Parini che non rientrano nel metro della canzone-ode. Lo schema è lo stesso della canzone-ode, ma varia la lunghezza del verso: non più l'endecasillabo, ma versi brevi, prevalentemente il settenario, ma anche altre misure.
MADRIGALE è una forma breve di poesia accompagnata dalla musica. Gli schemi di rime sono molto vari; i versi sono l'endecasillabo e il settenario variamente associati. Si sviluppa nel '300, si vedano ad esempio quelli di Petrarca (Rvf., 52; 54) e viene ripreso nel '500 con Tasso e nell'800 con Carducci e Pascoli.
STRAMBOTTO O RISPETTO è una forma poetica accompagnata da musica. È costituita quasi sempre da 8 versi e si divide in due tipi: ottava siciliana ABABABAB (canzuna) e l'ottava toscana ABABABCC (rispetto o strambotto). Esistono altri schemi di rime, ma sono molto rari. È una forma trecentesca, ma gode di molta fortuna nel '400 (larenzo de' Medici e Poliziano) e nell'800 (Pascoli).
SCHEMI METRICI DELLA POESIA DISCORSIVA
LASSA è una serie di versi uniti da assonanza. È tipica della poesia religiosa del '300 (ad esempio Jacopone da Todi). È stata ripresa da Carducci nella Canzone di Legnano e da D'Annunzio nella Notte di Caprera.
DISTICO è una serie di versi appaiati a coppie di due, di solito in rima baciata. I versi possono essere vari: endecasillaba, settenari, ottonari, novenari. Usato nella poesia discorsiva nella poesia antica e in quella moderna (Carducci; Pascoli).
QUARTINA componimento in cui i versi sono in strofe di 4 versi di solito monorimi ed endecasilabi. Diffusa nella poesia didascalica nell'Itala settentrionale (Bonvesin da la Riva, Giacomino da Verona).
SERVENTESE i provenzali indicavano con questo termine varie forme che non appartenevano al genere illustre e lirico, ma popolare di solito scritto su melodia preesistente. Possono essere quartine di endecasillabi (ABAB), distici di endecasillabi (AA BB) , sirventese caudato; capitolo quadernario e terzina doppia.
TERZA RIMA (INCATENATA O DANTESCA) componimento in cui i versi sono raggruppati secondo la rima dantesca: ABA BCB CDC ecc (il verso interno rima con quelli esterni del gruppo seguente). Questo schema è stato reso famoso dalla Commedia dantesca.
OTTAVA RIMA O OTTAVA è una strofa di 8 endecasillabi rimati secondo lo schema: ABABABCC. È usata soprattutto nella poesia discorsiva: Ariosto nell'Orlando furioso; Tasso nella Gerusalemme liberata; Poliziano nelle Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici.
SESTA RIMA O SESTINA è una forma narrativa (diversa dalla sestina lirica) di sei endecasillabi con schema: ABABCC. È usata per esempio da Fantoni negli Idilli.
NONA RIMA è una forma narrativa di nove endecasillabi con schema: ABABABCCDD.
ENDECASILLABO SCIOLTO è una serie continua di endecasillabi senza rima. È di uso soprattutto sette-ottocentesco, anche si conoscono esempi cinquecenteschi, ma raramente nei secoli precedenti, consacrata dal Giorno di Parini, dai Sepolcri di Foscolo e dagli Idilli di Leopardi.
[Modificato da Raggio di Sole21. 29/10/2011 14:25]
Laura______Raggio di Sole21.