| | | OFFLINE | | Post: 17 Post: 17 | Registrato il: 22/02/2003
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04/03/2003 00:51 | |
Racconto che ha partecipato ad un concorso non so ancora con quali esiti, credo pessimi, non sarò mai un Borges.
In quel periodo della mia vita mi sentivo vuoto, senza uno scopo per cui stare al mondo. Menton in quel periodo, a metà settembre, si svuotava delle migliaia di turisti e nel paesino e restava ben poca gente, ero solo, avevo lasciato i miei amici ai loro divertimenti dopo di aver deciso di fare un giro sulla costa.
Lo vidi sulla spiaggia. Era vecchio, un signore alto sulla sessantina con barba e capelli bianchi, la gente di Menton lo conosceva bene, nessuno sapeva chi fosse, dove vivesse o che lavoro facesse, di lui si sapeva solo che ogni sera, poco prima del tramonto arrivava, si sedeva sempre sullo stesso scoglio lambito dalle onde e scriveva, nessuno sapeva cosa scrivesse ma alcune volte si fermava smetteva di scrivere un attimo e tendeva l’orecchio verso il mare, come per ascoltare qualche debole voce che solo lui poteva sentire e che gli dettava le parole che uscivano costanti dalla sua penna.
Quel giorno incuriosito mi avvicinai a lui e lo osservai, era concentrato sul suo taccuino che si riempiva costantemente di nuovi segni, non so quanto restai ad osservarlo, so che nel frattempo la luce era quasi sparita, eppure lui continuava a scrivere, come se un chiarore interiore illuminasse la pagina.
Ad un certo punto si girò verso di me:
“Ciao Michel” mi disse con un gran sorriso che sembrava totalmente sincero, io lo guardai stupito, non poteva sapere il mio nome; “non ti preoccupare” mi rassicurò lui prima che avessi il tempo di dire qualcosa “ti avevo sentito parlare con i tuoi amici e loro ti chiamavano con quel nome, mi sembri giovane, quanti anni hai?”.
“Ehm…ho 16 anni” ero alquanto intimidito, mi aveva visto mentre lo spiavo e non sapevo cosa fare.
“Immagino che tu ti stia chiedendo casa faccio qua tutte le sere” mi precedette lui.
“Non sono il solo che se lo chiede” gli dissi, come per giustificarmi “è tutta l’estate che sono qui ed è tutta l’estate che la vedo, ormai se lo sta chiedendo tutta Menton”.
“Dammi del tu, preferisco i discorsi informali” affermò lo scrittore sempre sorridendo “comunque vengo qua tutte le sere per ascoltare le sirene”.
“Ma le sirene non esistono!” affermai io divertito, ero ormai convinto di trovarmi davanti ad un vecchietto eccentrico con qualche problema d’allucinazioni.
“Non intendo le sirene di Omero ne tantomeno quelle delle favole” mi spiegò imperturbabile “le sirene sono la voce del mare, tutti gli uomini ne sono sempre stati attratti, spesso senza riconoscerne il canto, la terra è viva e ogni cosa sulla terra ha una sua voce, è così che io scrivo, queste creature mi donano l’ispirazione e mi aiutano nei momenti difficili”
Perplesso da questo discorso che nonostante tutto in qualche modo mi aveva incuriosito decisi di chiedergli ulteriori spiegazioni, “Ma allora perché le puoi sentire solo tu?”.
“Probabilmente perché gli altri non guardano nella direzione giusta” mi rispose lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo “io le sento solo in questo posto, avevo più o meno la tua età quando trovai questo luogo e allora era stupendo, non c’erano tutti questi alberghi, la grand corniche era poco più di una mulattiera e al posto delle case c’erano solo alberi, ben pochi conoscevano questi luoghi” sembrava rattristato “ora è tutto diverso, tutto tranne questa spiaggia che è ancora come quando ero bambino e qua dopo anni le sento ancora, questo è il mio Luogo Magico, ognuno di noi ne ha uno solo che molti non l’hanno ancora scoperto”.
Forse stupito per essersi rivelato così tanto con un ragazzino decise di andarsene, si congedò in tutta fretta e mi lasciò solo a guardare i flutti, mi accorsi che non sapevo nemmeno il suo nome.
Nei giorni che seguirono continuai a pensare a questa discussione, anche io dovevo trovare il mio Luogo Magico ma come?
Lo trovai l’anno dopo, era l’inizio dell’estate ed ero appena arrivato a Menton, io nonostante tutti i miei amici mi ritenevo un solitario, non sopportavo la gente che affollava le spiagge, decisi di prendere la moto e di andare a fare un giro, a 50 chilometri verso l’interno c’era una zona che mi è sempre piaciuta, una serie infinita di prati e di boschetti ignoti alla maggior parte della gente, mi procurai uno zaino e ci misi un quaderno e una penna.
Notai una stradina che non avevo mai visto prima, un sentiero coperto di erba verde e circondato da cespugli, decisi di percorrerlo.
Il sentiero si apriva su un largo pianoro nel mezzo del quale sorgeva un boschetto. Una visione stupenda, un mare di smeraldo con al centro un’isola verde, mi inoltrai fino all’interno, le piante erano ben distanziate e permettevano alla luce di penetrare e di lasciar crescere erba e fiori, un piccolo Eden. Quando arrivai all’interno della macchia di alberi vidi una piccola perla, un minuscolo laghetto di acqua limpida, non si vedevano animali attorno ma l’aria stessa sembrava fremere di una grande energia vitale, l’acqua era così trasparente che mi permetteva di vedere il fondo, fino alla riva il terreno era ricoperto di quell’erba umida color dello smeraldo e i rami sembravano protendersi verso il gioiello che era quella creazione della natura.
Restai qualche minuto inconsapevole del trascorrere del tempo e di me stesso a contemplare l’ambiente. Quando mi svegliai dalla trance mi spogliai e mi immersi nel laghetto tentando di non spostare l’acqua, come per non turbare la sacralità di quel luogo. Sentii la fresca carezza di quelle acque e mi ci abbandonai completamente, sentii fisicamente la magia di quel luogo, mi c’immersi e provai qualcosa che non avevo mai provato prima: beatitudine, come se la mia vita avesse finalmente un senso.
Si sollevò una brezza leggera, l’aria passando attraverso gli alberi creava un suono melodico, quasi un canto fatto di una sola nota, le foglie sugli alberi e l’erba si muovevano seguendo quel ritmo, come se stessero danzando.
Uscii lentamente dall’acqua ed estrassi dallo zaino il quaderno e la penna, mi sembrò di vedere per la prima volta il foglio bianco, sentii l’impellente necessità di riempirlo, cominciai a scrivere, scrissi dei miei turbamenti, delle mie emozioni, di tutto ciò che non capivo della mia vita, vidi la fantasia e la realtà danzare in un vorticoso abbraccio creando nuovi, indescrivibili e stupendi colori. Le parole scorrevano sul foglio in un’interminabile cascata, dipingevo i fatti, ormai non pensavo più alla forma del testo, dovevo solo disegnare con le parole. Tutti i turbamenti incatenati dentro di me trovarono sfogo e si fissarono sul foglio bianco, il canto era ormai divenuto parte del mio essere, non avevo più bisogno di sentirlo, scrissi per non so quanto tempo, poi sollevai gli occhi dal foglio e osservai ancora una volta il mio luogo sacro, infine scrissi l’ultima frase: “Questo è il mio Luogo Magico, il luogo dove le ninfe cantano e gli elfi danzano”. |