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Stranezze ed errori negli articoli di stampa.

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2003 13:23
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23/11/2003 13:23

Ho evidenziato col neretto le parti "dubbie"(eufemismo).
Altre?


Il Gazzettino del 22/11/2003 -Edizione Nazionale

Sabato, 22 Novembre 2003


Kennedy è vestito di scuro, sorride, ...


Kennedy è vestito di scuro, sorride, porta indietro il ciuffo con un gesto della mano. La moglie Jacqueline indossa un tailleur colore rosa e un cappellino in tinta. La folla applaude, agita bandierine a stelle e strisce. Il governatore John Connally, seduto davanti, si volta: «Ha visto Presidente? Il Texas lo ama».
Alle 12,30 in punto il rumore di colpi secchi taglia l'aria. La testa del presidente è come scossa, va avanti e indietro, sanguina. Jacqueline si china verso il marito, cerca di sorreggerne il capo, si ritrova le mani coperte di sangue. Un uomo della scorta si arrampica da dietro sull'auto, cerca di tenere fermo il presidente. Pochi minuti dopo Kennedy viene ricoverato, l'elettroencefalogramma è piatto.

Hanno sparato al Presidente, hanno ucciso il Presidente. Tutto alla luce del sole, davanti alle telecamere che trasmettono le immagini in tutto il mondo. Alle 12,58 il cuore di Kennedy cessa di battere. L'agonia è breve. La Borsa di New York precipita e poi sospende le contrattazioni. Jacqueline si sfila la fede dall'anulare e la mette al dito del marito. Si china a baciarlo, poi esce. Cammina come un automa. Il tailleur è rosso di sangue.

L'America incomincia a piangere e il mondo intero d'improvviso si accorge di non essere più quello di prima. Scrive un poeta "Pietà di novembre", canta un poeta: "Scivolando nel vento", come le foglie, come gli uomini che cercano di cambiare il mondo.

John Fitzgerald Kennedy , 46 anni, è stato ucciso. E quarant'anni dopo questa resta ancora l'unica cosa certa. Chi ha armato gli assassini, chi ha voluto il delitto non saranno mai scoperto. Ancora oggi l'assassinio di Kennedy è un mistero.

Aveva scritto un giornale: "Nessun presidente eletto in una data che finisca con lo zero è mai uscito vivo dalla Casa Bianca".

La cronaca consegna immediatamente un colpevole, Lee Harvey Oswald, un ex marine di 24 anni, un comunista deluso dall'Urss, sposato senza figli, con lavori saltuari, l'ultimo nell'edificio di Elm Street. Ha appena ucciso un agente della polizia di Dallas, il suo identi-kit corrisponde anche a quello dell'assassino del Presidente: bianco, magro, altezza 1 e 75, meno di trent'anni. Lo avevano già fermato sotto il deposito di libri, tra la folla, ma era apparso calmissimo, intento a mangiare un panino, e lo avevano lasciato andare. Ora lo catturano nel cinema Texas Theatre, non fa resistenza, non mostra stupore quando gli fanno vedere le armi che ha abbandonato sul tetto dell'edificio: un fucile italiano "Carcano" e un "Mauser" tedesco di precisione. Il Mauser sarà smarrito dalla polizia. Davanti all'incriminazione per duplice omicidio, Oswald rifiuta di parlare. Non possono tenerlo negli uffici dello sceriffo, devono trasferirlo nella prigione dello Stato. Le autorità hanno paura che la folla possa linciare il prigioniero, scelgono la via del garage sotterraneo, ma davanti alle televisioni di tutto al mondo, davanti ai giornalisti. Oswald indossa un golfo scuro, ha le manette ai polsi e due agenti in borghese che lo scortano. All'improvviso dalla ressa dei giornalisti si fa avanti un uomo corpulento, vestito di scuro, il borsalino chiaro sulla testa. L'uomo estrae una pistola "P38" e la scarica su Oswald, che muore con una smorfia di stupore, davanti alle telecamere accese. Soprattutto muore senza aver detto niente sull'assassinio di Kennedy .

A sparare è stato Jack Rubinstein, detto "Ruby", proprietario di un locale notturno dove gli agenti vanno spesso a bere la sera. Come amico dei poliziotti ha avuto accesso nel garage chiuso alla folla. Ruby racconta di aver agito per patriottismo, per vendicare il suo presidente. Non aggiunge altro e non dirà altro, nemmeno quando lo condanneranno a morte. La sentenza non sarà mai eseguita: il piccolo proprietario di night-club morirà in carcere di cancro il primo gennaio 1967. Così escono dalla scena i due che forse avrebbero potuto raccontare ognuno il suo pezzo di verità.

La famosa Commissione d'inchiesta subito insediata dal nuovo presidente Jonhson e presieduta da Earl Warren della Corte Suprema, non arriverà mai alla verità, nemmeno a una verità. E per quarant'anni i sospetti si sono sovrapposti ad altri sospetti, sino a confondere ogni possibile soluzione. Nel frattempo di è detto di tutto: che Kennedy era stato fatto uccidere dalla mafia, dai comunisti, dalla Cia, dai castristi, dal suo stesso vicepresidente, dai bianchi razzisti, da avversari politici, da... Resta, in fondo al tunnel, lo spettro del piccolo Oswald che ha sparato, che forse sapeva, che è stato ammazzato davanti a tutti.

Forse quella morte violenta e misteriosa ha alimentato più di ogni altra cosa la leggenda del giovane presidente ammazzato a Dallas. Kennedy era l'America giovane che conosceva la piena società del benessere, che si era lasciata alle spalle il maccartismo, che incominciava ad avere grande fiducia in se stessa. Kennedy , primo presidente nato nel Novecento, primo cattolico, ricco, affascinante, la rappresentava meglio di ogni altro. Anche nelle ambizioni e nelle speranze. Aveva promesso di "rimettere l'America in movimento", aveva accarezzato i sogni degli americani il giorno stesso del giuramento: «Combattiamo uniti i comuni nemici: tirannia, povertà, malattie e la guerra...».

La sua era una storia scritta per diventare presidente. Deputato democratico a 29 anni, senatore a 35, eroe di guerra. Un futuro disegnato con cura dal padre Joseph, famiglia irlandese arrivata negli Usa a fine Ottocento dopo una carestia di patate. Il nonno Patrick aveva iniziato come scaricatore di porto ed era finito come senatore. Il padre Joe si è arricchito col crollo di Wall Street comprando al ribasso società rovinate e ha arrotondato col proibizionismo. Il vecchio Joe non si è mai fatto mancare niente: nove figli, ogni battesimo deponeva nella culla un milione di dollari; amanti famose, come l'attrice Gloria Swanson. John ha una strada da percorrere e si rivela un politico accorto, il primo politico totale dell'età dei media. Un avversario confessa: «Mi sembra di combattere come un bottegaio contro un supermarket». Tanta è la differenza nel colpire il sentimento della gente.

Gli altri viaggiavano in treno, lui acquista un aereo e lo battezza "Caroline" come la figlia. Percorre in volo centomila chilometri, si affida ai sondaggi di opinione, utilizza al meglio la televisione, soprattutto per capire cosa vogliono gli americani. Trasforma la tv nella sua arma vincente, attacca il suo avversario Nixon: ha "la faccia di un uomo dal quale non comprereste mai un'auto usata".

Costruisce il suo mito presidenziale con messaggi precisi: «L'America è nuovamente giovane, montiamo a cavallo, verso la Nuova Frontiera». Regala agli americani il mito della nuova frontiera da conquistare. Si sente una specie di re Artù moderno, ha una moglie bella, è ricco e intelligente.

Non tutta la sua presidenza è esemplare, alterna gesti di grande distensione internazionale a errori in politica estera. È sua la responsabilità del disastro alla "Baia dei Porci" (aprile 1961) quando autorizza lo sbarco a Cuba degli esuli anticastristi con appoggio della marina e dell'aviazione americana, solo che disorganizzazione è tale che le bombe fanno strage degli uomini che sbarcano. È lui che nel 1962 manda i primi 16 mila americani in Vietnam. Ma è lo stesso che a Vienna (giugno '61) fronteggia con autorità Krusciov che gli chiede di lasciare Berlino e due anni dopo, ai piedi del muro innalzato dai sovietici, sull'impalcatura del "Check point Charlie", il posto dello scambio di spie, grida in tedesco davanti a un milione di berlinesi: «Ich bin ein Berliner!», Io sono un berlinese. Sa smorzare le tensioni, pensa al disarmo nucleare, inaugura il "telefono rosso" col Cremlino per dialogare con l'altra metà del mondo.

L'America lo approva in tutto, gli perdona gli errori e gli eccessi, chiude gli occhi davanti alle sue avventure amorose, anche a quelle più scandalose. L'uomo sorridente, elegante, circondato da una bella famiglia, il figlioletto John che gioca a nascondino nello Studio Ovale della Casa Bianca, era già nella leggenda degli Usa. La morte lo porterà alla dimensione del mito. E tutti aggiungeranno una pietra alla costruzione del suo monumento: la piccola Caroline che ai funerali trattiene le lacrime, la vedova Jacqueline tra i cognati emblema di una famiglia regnante, la morte del fratello Bob ucciso da un fanatico mentre sta per salire alla Casa Bianca. La stessa verità mai raggiunta. Tutto cominciò in un giorno di novembre, luminoso di sole, in una città del Texas. A Dallas, dove Kennedy è stato ucciso, oggi c'è un mausoleo, grigio e quasi anonimo. Sulla targa è critto: "La gioia e l'entusiasmo della vita di J. F. Kennedy appartengono a ogni uomo, e così il dolore e la pena della sua morte".


[Modificato da Stefano F. 23/11/2003 13.29]

Stefano
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