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INFO: clan dei vampiri: Malkavian

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2003 16:34
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Bambozzo Lord
12/09/2003 17:09
 
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anche questa sezione è aperta per tutte le informazioni del nostro clan...
qualche volta delle immagini potrebbero anche non guastare, anzi potrebbero rallegrare questo mortorio

forza gente
non deludeteci
[SM=x120075]


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Bambozzo
12/09/2003 17:47
 
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Ho trovato queste informazioni e le aggiungo...[SM=g27835]

Fin dalla notte dei tempi questo Clan si è distinto tra tutti per il comportamento incomprensibile: i Malkavian, nonostante possano dimostrare ogni tipo di personalità, sono tutti, senza eccezioni, folli. I Malkavian sono vere creature del Caos, ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere. Non sono pochi gli Anziani degli altri Clan che continuano a soppesare attentamente ogni parola dei loro Fratelli Lunatici, nella speranza di carpirne qualche illuminazione, e non sono pochi i Malkavian che si divertono a spacciare a questi ingenui le peggiori falsità come importanti verità. Nessuna parola definitiva può, per ora, essere pronunciata su questo Clan, sempre pronto a contraddire ciò che aveva affermato come certo poco prima.

Soprannome: Strambi

Aspetto: gli appartenenti a questo Clan hanno look e stili di vita molto diversi, che possono variare largamente.

Rifugio: qualsiasi posto in cui si sentano a proprio agio. Molti di loro cercano dei manicomi o degli ospedali come residenza. Può capitare che il personale li scambi per veri internati.

Discipline di Clan: Auspex, Demenza, Oscurazione

Punti deboli: tutti gli appartenenti al Clan possiedono una qualche Alienazione mentale, la cui natura può variare in modo impressionante.

Organizzazione: molti Malkavian non riescono neanche a capire di far parte di un Clan, e il resto di loro sono impegnati a negare il fatto di essere Malkavian.

Conseguimento del Prestigio: sembra non seguire alcuna logica. La stessa azione può portare ad un Malkavian fama e rispetto, e ad un altro vergogna e disonore.

Dicono: "Pazzia, dite voi! Mi temete, avete paura di quello che potrei dire? Che reazione affascinante! Non trovate che sia una sensazione opprimente?".

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Bambozzo
12/09/2003 17:49
 
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Gli anticlan...

Se i Malkavi sono pazzi, la loro controparte del Sabbat è ancora più folle! I Riti di Creazione portano questi esseri ad un livello di follia che supera di parecchio gli standard dei Malkavi: sono realmente toccati dal caos. Nonostante ciò, attraverso la Vaulderie, il Sabbat riesce a controllarli meglio di quanto possa fare la Camarilla. La principale peculiarità di questi cainiti è che non si considerano dei Malkavi, ma credono d'essere Panders: non si tengono in contatto l'un con l'altro e, addirittura, l'essere considerati Malkavi è una grave offesa per la maggior parte di questi vampiri. Talvolta si riuniscono come Clan, ma questo è veramente un fatto raro. Cosa passi realmente nella mente di questi immortali è un autentico mistero, considerando il fatto che superficialmente non esprimono niente di ciò che pensano: alcuni sono talmente lontani dalla realtà da non essere neanche in grado di sapere dove si trovano o perché ci si trovano. I Malkavi del Sabbat sono, inoltre, molto fastidiosi per tutti gli altri membri della Setta, ma dato che le loro capacità li portano, pur senza volerlo, a sapere più cose sugli altri di quelle che dovrebbero sapere, i capi del Sabbat cercano sempre di trattare con la massima cura questi vampiri. Nessun Malkavo comanda il Sabbat nei tempi di pace, sebbene ci siano stati ottimi leader durante il tempo della Jyhad. La loro natura comunque non aiuta questi fratelli nel sistema gerarchizzato del Sabbat: un giorno sono fanatici e fieri, l'altro sono invece completamente disinteressati e apatici. Non ci si può fidare di un Malkavo, ma quando decidono di servire il Sabbat si dimostrano fortemente motivati ed efficaci. Per quanto possa sembrare strano i Malkavi Anticlan conservano ancora dei rapporti con i loro Fratelli della Camarilla: a volte questi cainiti si scontrano come nemici giurati per poi stare insieme come amici di sempre la notte dopo. I Malkavi Anticlan sono inoltre ben informati sulla Camarilla, in questo campo sono secondi solo ai Nosferatu della Setta. Qualcuno si domanda se questi vampiri sono pazzi davvero quanto sembrano mostrare; in realtà la loro natura così inaffidabile e imprevedibile permette ai Malkavi di muoversi abbastanza liberamente nei territori della Camarilla, di certo più facilmente di qualsiasi altro membro del Sabbat. Se solo fossero un po' più controllabili sarebbero le migliori spie possibili. Nessuno sa perché i Malkavi abbiano deciso di unirsi al Sabbat dopo la Rivolta degli Anarchici. Probabilmente quest'avvenimento deve essere riferito al fatto che il Sabbat apparì agli occhi di questi cainiti più capace di accettare le loro peculiarità e di garantire la libertà da loro desiderata. In ultima istanza, poi, chi può dirlo?....Son pur sempre dei Malkavi!

Soprannome: Bizzarri.

Aspetto: i Malkavi Anticlan vestono in maniera veramente unica: pochi di loro danno l'impressione di sapere cosa portano addosso in realtà. Alcuni vestono in maniera abbastanza normale, altri invece indossano abiti così strani che la loro natura appare chiaramente a chiunque li veda.

Rifugio: molti Malkavi sono costretti a restare insieme al loro branco; i capibranco, infatti, sono convinti di non poterli controllare senza tenerli continuamente sotto osservazione. Alcuni di questi vampiri, senza controllo, sarebbero addirittura capaci di dimenticare la loro fazione! Alcuni Malkavi infine riescono ad ottenere il permesso di vivere insieme ai loro Fratelli in "manicomi" dove possono sfogare, tutti insieme, le loro follie.


Background: i Malkavi Anticlan tendono a scegliere come reclute della Stirpe le persone più strane, ma in generale abbracciano chiunque. Non esistono criteri fissi per la scelta della Progenie, sebbene almeno il 70% di questi vampiri manifestasse Alienazioni mentali già prima dell'Abbraccio.

Creazione del Personaggio: Natura e Carattere dei Malkavi Anticlan sono sempre in forte contrasto tra di loro. Attualmente la maggior parte di questi cainiti mostra di avere almeno due o tre Caratteri: queste imprevedibili personalità vanno a sovrapporsi l'una all'altra, anche in pochi minuti. Gli Attributi Mentali sono sempre primari. Qualsiasi categoria di Abilità può essere primaria, ma le Capacità tendono spesso ad essere trascurate. I Background più comuni sono Mentore, Gregge e Contatti.

Discipline del Clan: Auspex, Demenza, Oscurazione.

Punti Deboli: i Malkavi del Sabbat sono folli come quelli della Camarilla, ma in modi ancora peggiori. Invece di avere un'alienazione mentale, questi vampiri ne hanno sempre almeno due. Questa maledizione non potrà mai essere sanata. In alcuni casi è possibile che nel tempo una alienazione cambi con un'altra: questo rende ancora più interessante il personaggio.

Sentieri Preferiti: la maggior parte di questi cainiti non sembrano neanche seguire un Sentiero; quei pochi che sembrano avere un certo orientamento, mostrano di averlo scelto casualmente. Alcuni Malkavi non sanno neanche a cosa possa servire un Sentiero, mentre altri sarebbero capaci di spiegare a chiunque tutti i Sentieri esistenti con notevole perizia.

Organizzazione: i membri dell'Anticlan dichiarano tutti di non essere Malkavi, ma continuano ad organizzare riunioni, sebbene siano aperte a tutti gli interessati. Non sembrano avere nessuno scopo comune e, la maggior parte delle volte, le loro adunanze servono solamente a prendere in giro altri Clan o, addirittura, dei singoli vampiri presi di mira. Se un Malkavo del Sabbat ha bisogno d'aiuto, interverrà più facilmente a favore di un membro del suo branco che di un Fratello di Anticlan.

Conseguimento del Prestigio: il Prestigio tra i Malkavi Anticlan sembra essere, nella sua essenza, molto diverso da quello degli altri gruppi vampirici. Esso cambia continuamente di volta in volta. In linea di massima raggiunge temporaneamente prestigio chi riesce a raggruppare un buon numero di Fratelli e a riunirli insieme: questo, però, è un compito davvero duro!

Dicono: "Ti conosco? Non sei Sid vero? Perché se lo fossi dovrei tagliarti la gola immediatamente! Ti va di essere Sid?".
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12/09/2003 20:53
 
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MALKAVIAN (Clan)

l Fin dalla notte dei tempi questo Clan si è distinto tra tutti per il comportamento incomprensibile: i Malkavian, nonostante possano dimostrare ogni tipo di personalità, sono tutti, senza eccezioni, folli. I Malkavian sono vere creature del Caos, ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere. Non sono pochi gli Anziani degli altri Clan che continuano a soppesare attentamente ogni parola dei loro Fratelli Lunatici, nella speranza di carpirne qualche illuminazione, e non sono pochi i Malkavian che si divertono a spacciare a questi ingenui le peggiori falsità come importanti verità. Nessuna parola definitiva può, per ora, essere pronunciata su questo Clan, sempre pronto a contraddire ciò che aveva affermato come certo poco prima.
In ogni vampiro brucia il fuoco della bestia, coerentemente con le differenze di stirpi; nei Malkavian la bestia ha donato saggezza, intuito e follia. Mentre i malati di mente erigono barriere per proteggere la loro sanità, loro la rivelano in tutto il caos della loro realtà! I malkavian manipolano gli altri per alleviare la loro noia, credendo che l’intuito che distillano dalla loro follia prova che tutti gli altri sono malati. Alcuni di loro sono inseriti nella politica, e sono gli elementi più temibili della setta, infatti è difficilissimo comprenderli, e le loro mosse potrebbero derivare semplicemente da un qualche loro insano capriccio; addirittura si dice che la Jyhad non sia altro che la creazione del più grande gioco mai creato dal loro capostipite. Inoltre i Malkavian sono soggetti al tempo Malkavian, una sorta di sesto senso che fa trovare il Vampiro nel momento giusto al posto giusto (o sbagliato!?!), riuscendo regolarmente ad infilarsi in mille questioni; anche per questo in ogni cosa c’è sempre la zampino di un Pazzo!
Storia: In passato la loro follia ha fatto di loro fra i Vampiri più temuti di tutti; infatti un tempo la follia era cosa del Demonio ed i loro portatori erano affetti dal male! Nel medioevo non era raro trovarli come giullari nelle corti o come oracoli rispettati per la loro “conoscenza superiore”. Recentemente i fratelli Malkavian del Sabbat hanno infettato tutti i Malkavian con la loro disciplina Demenza, aumentando ulteriormente la follia del clan. Oggi tutti i Malkavian hanno questa disciplina e molto raramente se ne trova qualcuno con Dominazione. Nessuna sa come sia accadutà l’infezione anche se si dice che esistono pochi eletti che conoscono la verità ed i motivi dell’evento. Si dice derivino da quello che era il più importante degli Antidiluviani, Malkav, divenuto pazzo a causa di una maledizione di Caino.
Soprannome: Strambi
Aspetto: gli appartenenti a questo Clan hanno look e stili di vita molto diversi, che possono variare largamente.
Rifugio: qualsiasi posto in cui si sentano a proprio agio. Molti di loro cercano dei manicomi o degli ospedali come residenza. Può capitare che il personale li scambi per veri internati.
Discipline di Clan: Auspex, Demenza (alcuni hanno ancora dominazione, se non sono stati infettati alla fine degli anni ’90), Oscurazione
Conseguimento del Prestigio: sembra non seguire alcuna logica. La stessa azione può portare ad un Malkavian fama e rispetto, e ad un altro vergogna e disonore.
Vantaggi: Molti figli di Malkav hanno passato la loro esistenza come buffoni, apprezzati da molti vampiri. Di conseguenza i Malkavian possono decidere una volta per notte di ignorare una delle seguenti cose: ogni uso di tratti status negli scontri sociali, la perdita di status, o un uso qualsiasi degli altri dello status. Questo beneficio può essere invocato una sola volta in una singola situazione, ed è personale. Ogni tratto status giocato non può essere perso perché non è stato mai giocato, semplicemente non esiste per il Malkavian! Inoltre, non si sa perché, un Malkavian è “sempre nel posto giusto al momento giusto”….peccato spesso non lo sappia sfruttare….
Svantaggi: Si inizia con un’alienazione mentale che rappresenta le follia di base; essa non potrà mai essere rimossa.
Anziani: I membri più anziani sono spesso i più “disturbati” Vampiri che si possano incontrare; quando decidono di mettere in atto i loro giochi, è praticamente impossibile fermarli, o solo tentare di comprendere qualcosa; si divertono moltissimo a muovere le loro pedine ed a giocare nell’intricato campo degli scontri Cainiti.
Organizzazione: Chiamare organizzazione quella dei malkavian è un’affermazione piuttosto grossa; i loro incontri ufficiali non sono periodici e sono aperti a tutti, così che loro si sentono in permesso di andare a creare pasticci negli incontri degli altri clan! Non c’è una direzione globale dei Malkavian, il clan semplicemente”è”!

Dicono: "Pazzia, dite voi! Mi temete, avete paura di quello che potrei dire? Che reazione affascinante! Non trovate che sia una sensazione opprimente?".

Il Fondatore

Malkav (3); fondatore del Clan e secondo membro della 3° generazione. Si dice sia in torpore sotto Petra. [Cb:M,pp17-18] [Cb:To]

Cainiti Conosciuti

+ Cibele (4), Sire di Petaniqua. Aveva una passione per il sangue di uomini che castrava durante le sue cerimonie orgiastiche. Uccisa da un gruppo di 13 vampiri (forse dei Veri Brujah). [KmW,pp81-82]
Lerterimas (4), Sire di Louhi. [WoD,p56]

Petaniqua (5), Progenie di Cibele. Era una principessa d'Epiro, madre di Alessandro Magno. Fu Abbracciata lo stesso giorno in cui Alessandro ascese al trono di Macedonia. È stata chiamata Myrtale, Olimpia, ed infine Petaniqua: "L'occhio oscuro del Wyrm". È la 2° della Lista Rossa. [KmW,pp81-85]
Louhi (5), Progenie di Lerterimas. [WoD,pp56,48]
Antoine le Fanu (5), Sire di Padre Iago (1077) e Biltmore (1642). [DC,pp29,32] [NObN,p58] [LAbN,p102]

Padre Iago (6); spese la sua vita come precettore di una Contessa Italiana. Dopo l'Abbraccio divenne lentamente pazzo, e cambiò il nome in Lazzaro. Ora gira per gli Stati Uniti, dispensando sermoni eretici. [NObN,p58]
+ Achadramenos (6), Sire di Crowley, che lo ha diablerizzato. [WoD,p37]
Lasker (6), Sire di Maureen O'Leary (1842). [CbN] [CbNII,p93]

Unmada (7), Sire di Vasantasena. Questo Bramino indiano convinse i Malkavian ad entrare nella Camarilla. [CotI,p29] [Cb:M,p18]
Maureen O'Leary (7), Progenie di Lasker e Sire di Figliolo (1893), Paula Smith e Ben Smith. [CbN] [CbNII,pp92-93]

Cesare (9-8) (1700) Ha diblerizzato il Tremere traditore Zarfount e poi e divenuto Arconte del conciliatore dei Brujah [CRONACA DI FABRIANO]



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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:03
 
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...ED ORA POTREMO VEDERE IL NOSTRO CREATORE

Malkav


Maj/Majnoon/Lucian etc.
Non si conoscono le sue intenzioni per la Gehenna
Generazione attuale: 3rd
Generazione all'abbraccio: 3rd
Data di nascita: Sconosciuta
Data di Abbraccio: Sconosciuta
Stato attuale: Attivo, in Torpore
Progenie di: Enoch
Sesso: Maschio
Setta: Nessuna... è considerato insano di mente e non è che il capo della sua personale setta di pazzi (i Malkavian).
Titolo: Fondatore di Clan
Ubicazione: Anche se il suo spirito ed I suoi pensieri sono sparsi per tutto l'universo il suo involucro fisico riposa da qualche parte nel cuore di Gerusalemme o a Petra, in Israele.

Storia: Si conosce così poco di quel periodo così lontano in cui le macchinazioni dei Malkavian non erano dissimili da quelle dei Ventrue e dei Toreador, un tempo in cui I Malkavi non erano tutti pazzi e Malkav stesso non lo era ancora diventato. E meno ancora si sa di quando Malkav non era considerato come l'Antidiluviano pazzo che è oggi, ma al contrario come il più grande guerriero tra tutti i suoi Fratelli. Malkav era molto legato a sua sorella gemella Arikel, capoclan Toreador e per le sue idee sosteneva di essere fratello di Saulot, ovviamente questa "fratellanza" non va oltre al fatto di essere tutti figli di Caino. Si diceva che aveva una tale considerazione di se che osò addirittura sfigurare un'immagine di a Caino, il padre di tutti noi. Così facendo mise in discussione il suo potere e Caino decise di punirlo. Prima ancora della sua Santità fu la sua Sanità a sparire di conseguenza alla terribile punizione del Sire dei Siri, dopodiché venne intrappolato sotto il cuore della città di Gerusalemme. Sappiamo che le discipline degli antichi Malkavian erano Dominazione, Auspex e Offuscamento… molto simili a quelle che si sono iniziate a sviluppare già da dopo la caduta dell'impero Roano, l'avvento della religione cristiana, sempre legata al destino di Gerulasemme. Si pensa che il potere di Demenza sia un sintomo dell'influenza di Malkav sui suoi infanti, come lo è la pazzia che contraddistingui questo clan. Molti vedono I nuovi poteri dei Malkavi come un segno dell'avvicinarsi della Gehenna e come un tentativo di Malkav di risvegliarsi. Alcuni pensano che Malkav e Toreador abbiano la stessa linea di sangue. Ci sono anche altre teorie sull'esistenza dei malkavian, ma preferisco non riportarle qui, sarebbe troppo tremendo se fossero vere...

Riferimenti: Clanbook dei Malkavian, Sabbat Player's Guide, Book of Nod etc.
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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:07
 
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La grande Adunanza dei Malkavian
Durante il mio viaggio nel nuovo mondo, sono venuto a conoscenza di un fatto veramente interessante che vi chiarirà finalmente un dubbio che ha sempre colpito tutti gli appassionati della storia cainita. Forse i neonati non ne hanno neanche mai sentito parlare, ma i figli di Caino più anziani si sono sempre chiesti come mai la stirpe di Malkav abbandonò di colpo la disciplina di Demenza, generando una prole incline allo sviluppo di Dominazione. Ebbene, durante un dialogo con un Malkavian dell'Inconnu perennemente impegnato nel continente nordamericano, sono venuto a conoscenza di un fatto avvenuto poco dopo la convenzione di Thorn, quando io stesso ero poco più che un neonato. Oggi, miei discepoli, i folli cainiti stanno gradualmente riacquistando l'uso della loro originaria disciplina: vi spiegherò questo mistero.

Non c'è niente di più fragile di un giovane Neonato Malkavian: l'abbraccio spesso rende i neo vampiri talmente folli da perdere il controllo sulle proprie azioni portandoli alla morte definitiva nei modi più impensabili. Tuttavia, specie nel passato, i fratelli che riuscivano a superare una certa età, venivano rispettati e temuti. Molti di noi rabbrividiscono al pensiero di avere contro un figlio di Malkav di bassa generazione: l'esperienza di vita e l'utilizzo della follia che loro chiamano "La Visione" rende questi Fratelli temibili, e soprattutto imprevedibili, avversari. Col sorgere dell'inquisizione però il clan ebbe una brusca diminuzione nel numero: molti, troppi Malkavian perirono sotto le mani degli inquisitori, vulnerabili come erano e facilmente individuabili.

Risale a poco dopo il trattato di Thorn uno degli eventi più importanti nella storia di questo Clan. I Matusalemme Malkavian si riunirono in segreto per trovare una soluzione alla strage di neonati che stava avvenendo. Intere notti passarono senza trovare un risultato, finché non decisero che l'unica salvezza per il Clan era quella di entrare a far parte della Camarilla. Tuttavia quella soluzione non sarebbe bastata e decisero di unificare i loro poteri per compiere uno dei più incredibili cambiamenti nella storia dei figli di Caino. Le notizie a questo punto diventano oscure e incerte, ma sembra che i sei potentissimi discendenti di Malkav unirono le loro menti per trasmettere a tutti i membri del clan l'ordine di riunirsi tutti nello stesso luogo. Questa fu l'Adunanza. Le cronache del tempo testimoniano che nel mondo quasi nessuno ebbe più contatti coi Malkavian per circa due mesi.
Quello che successe nell'Adunanza sconvolse fortemente i Lunatici.
L'incontro fu presieduto da tutti e sei i potentissimi Matusalemme del Clan:il Dionysiano, Addemar, Tryphosa, Brude,La Strega Nera e ovviamente la potentissima Unmada.
I poteri riuniti dei sei cainiti erano immensi e furono pochissimi i Malkavian al mondo che riuscirono a resistere, non partecipando all'Adunanza.
I Matusalemme, ottenuta l'attenzione di tutti i loro discendenti, usarono uno straordinario potere mai visto prima: la mente dei Malkavian fu modificata e la disciplina Demenza fu sostituita da Dominazione.

I sei Matusalemme avevano infatti deciso di cancellare dalla mente della loro prole la temuta disciplina per permettere loro di essere ammessi nella Camarilla.
Questa decisione può apparire terribile, ma forse è proprio grazie a questo evento che la stirpe di Malkav è arrivata fino ai nostri giorni così numerosa. La Presenza della Camarilla ha permesso a coloro che avevano partecipato all'Adunanza di sopravvivere fino ad oggi.
Coloro i quali erano riusciti a resistere al richiamo dei Matusalemme decisero, avendo ancora la disciplina Demenza, di entrare a far parte del Sabbat.

Negli ultimi anni qualcosa è cambiato: il blocco mentale causato dai poteri dei sei potentissimi Malkavian è lentamente sparito e in molti fratelli è riaffiorata improvvisamente la capacità di utilizzare la dimenticata Demenza.
Questo ultimo fatto è di difficile spiegazione: alcuni sostengono che il potere sia svanito perché alcuni dei Matusalemme sono caduti in torpore....altri credono che sia un segno di un possibile ritorno di Malkav stesso dalla Dimensione Astrale.

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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:20
 
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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:33
 
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Clan Malkavian
Non esiste Dannato che non tema i Malkavian.

Il sangue maledetto di questo Clan ha inquinato le loro menti, col risultato che ogni Malkavian è pazzo. La pazzia Malkavian può prendere qualsiasi forma di disordine mentale, dalle tendenze omicide alla catatonia. In molti casi, non c'è modo di riconoscere un Malkavian da un membro "sano" di un altro Clan.

I pochi le cui psicosi sono ovvie, sono tra i Vampiri più terrificanti al mondo.

Il passaggio dei Malkavian ha sempre scosso le fondamenta della società cainita, anche se essi non hanno mai attivamente scatenato una guerra, o fatto cadere un governo mortale ( o almeno così si vocifera tra i cainiti).

Si mormora che i Malkavian si divertano a giocare tiri mancini ai "Fratelli", e che la Jyhad stessa sia un gioco del Clan della Luna.

Liberi dai confini della razionalità, i Malkavian potrebbero anche aver guadagnato accesso ad una forma di saggezza difficile da cogliere...

Si dice che tutti i Malkavian siano collegati mentalmente attraverso una sorta di "network" tenuto attivo da Malkav stesso, che permetterebbe una comunicazione costante tra tutti i Lunatici della Terra. Una delle possibili origini dei loro discorsi dal sapore profetico, o uno degli scherzi del clan dei Folli?

Sono soprannominati i Lunatici.

Svantaggi
Il "dono" del sangue di Malkav si traduce in almeno un'inguaribile alienazione mentale guadagnata al momento dell'Abbraccio.

Frase
I Malkavian iniziano il gioco con un' alienazione, questa alienazione non può essere rimossa in alcun modo.

Discipline
Auspex, Demenza ( Dominazione ), Oscurazione.

(da cainiti.it)

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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:40
 
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Il nuovo inizio (parte 1) per mano di Tenebre
Non posso non pensare che l'inizio di tutto è stato in questi luoghi oscuri, dove le tenebre fanno da padrone e le risaie non crescono più di mezzo cm. L'ho conosciuta e già sapeva di me, era lì raggiante e non sapevo chi fosse, l'ho sfiorata e l'ho sentita tesa, le ho detto una frase e l'ho sentita mia. Mi h catturato, mi ha fatto suo senza che me ne accorgessi, ed oggi, a distanza di anni il mio cuore batte ancora per lei, per quello spirito Tremere che arde nel suo cuore. Ti amo mia dolce Delphine, ti amo da impazzire. Tuo Tenebre

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Io sono il migliore!!
Nessuno può battermi!!
IO SONO IL SIGNORE DEL MONDO!!
IO SONO IMMORTALE!!
IO SONO IL MIGLIORE!!

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- ciao, io sono un ragazzo d 14 anni, ho limonato una e praticamente dopo un po' abbiamo fatto sesso ma nn provavo nulla e allora ho finto un orgasmo,poi un altra volta ancora

(E' il mio idolo! Questa è vera parità dei diritti. La par condicio sessuale. Un ragazzo che finge l'orgasmo, cazzo!)

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BENZINO: SOTTOBAMBOZZO LORD

[SM=x120080]

[Modificato da Benzino 13/09/2003 16.48]

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Bambozzo Lord
13/09/2003 16:44
 
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L'orfano (parte 2) per mano di Prudentia Malcapitati
Roma, 12 novembre 2001. Circa mezzanotte. Ero appena tornata dall’Africa. Chimwala mi aveva portato di nuovo nei villaggi in cui stavano partorendo delle donne e nelle mie orecchie risuonavano ancora le grida di disperazione e il dolore dovuto all’infibulazione che non permetteva la nascita del bambino. Lei diceva che il mio appoggio avrebbe aiutato le poverette a superare quel momento, ma la sola cosa che riuscii a fare, fu vedere, una dopo l’altra, la morte del bambino e della madre. Morte dopo morte, dolore dopo dolore, il mio sangue maledetto assorbiva ogni sfumatura di quella sofferenza e la riversava nel mio ventre, risvegliando quel momento dell’ esistenza mortale che segna eternamente il mio corpo deforme. Durante i secoli, però, sono riuscita a sopportare questo supplizio e, in un certo senso, ho imparato a convivere con esso; ma quella notte, un male ben peggiore mi tormentava, un sentimento che non riesco a scacciare né a controllare, la malinconia. Aveva assalito il mio animo e mi aveva reso vulnerabile e debole. Cercai di camminare, spesso mi fa bene passeggiare per le strade di Roma, ma ogni posto in cui andavo accresceva quel tedio: il Tevere, compagno fidato e taciturno, riuscì solo a farmi ritornare alla mente cosa stavo per fare quattrocento anni prima, le rovine della Città Eterna, tristi e segnate dal tempo, acuirono il pesante fardello dell’immortalità, la Residenza Borghese, ancora viva e splendente, aveva promesso di turbarmi ogni volta che fossi passata di lì e, quella sera, sembrò mantenere la promessa più che mai. Avevo solo due scelte, la prima era quella di rifugiarmi nelle fogne, ma la scartai subito, quei luoghi non mi erano mai piaciuti molto e la presenza e le domande dei miei simili avrebbero solo peggiorato le cose. Così decisi che era giunta l’ora di cercare un nuovo posto, calmo e isolato, in cui la mia mente avrebbe potuto riposarsi e riprendersi. Iniziai a percorrere le strade e le vie che, in genere, non frequentavo spesso, mi accorsi di quanto Roma avesse ancora da offrirmi, di quanti luoghi avessi ignorato e che invece, ora, apparivano intrisi di tranquillità e solitudine. Rimasi a cullarmi tra il dolce squallore della periferia per circa due ore, finché gli edifici iniziarono a diradarsi e a farsi sempre più vecchi e cadenti. Scorsi in lontananza un palazzo circondato da un muretto alto qualche metro, cupo e seminascosto da alti pini secolari. La luce della luna che rifletteva sui frammenti di vetro che ancora resistevano sulle finestre, le persiane ammuffite e ridotte a pochi pezzi di legno, i rampicanti che avevano mangiato l’intonaco, quel luogo sembrava proprio abbandonato e dimenticato, eppure ebbi per un attimo l’impressione di averlo già visto. Non mi soffermai su quella sensazione e mi avvicinai all’edificio per studiarlo meglio. Il grande cancello in ferro battuto che permetteva di entrare nel cortiletto era ormai consumato dalla ruggine e la catena che lo teneva chiuso si sgretolò sotto la stretta della mia mano come una zolla di terra arida. Il piccolo giardino aldilà delle mura si presentò come una giungla di rami e il vialetto che portava all’ingresso dell’edificio era coperto da uno spesso manto di aghi di pino ed erbaccia. Mi incamminai lentamente, i miei passi inumanamente silenziosi non turbarono la tranquillità di quel luogo e scivolai come un’ombra fino al portone, allungai la mano verso una delle maniglie ossidate e diedi una leggera spinta. Come la porta si aprì, provai un’ improvvisa sensazione di ribrezzo, una ventata di repulsione e non riuscii subito a capire il motivo di tale malessere, ma non mi tirai indietro, la curiosità mi aiutò a superare l’uscio. Ciò che era rimasto dell’arredamento era ricoperto di una gran quantità di polvere e muffa, ma riuscii comunque ad intuire che non si trattava – per quanto, un tempo, lussuosa – di una semplice abitazione. Nell’ingresso, sulla sinistra, c’erano ancora gli scheletri lignei di due poltrone, la tappezzeria baroccheggiante sopravviveva nei brandelli dei tendaggi e un’ampia scala di marmo avorio troneggiava su tutto il lato destro. Feci qualche passo avanti e quella strana sensazione di disagio continuava ad infastidirmi e ad attirarmi verso quella che sembrava una grande sala aldilà dell’ingresso. Passai di fronte alle poltrone senza neanche alzare un granello di polvere e mi diressi verso il salone che era ribassato di un gradino rispetto al piano principale. L’ambiente che vidi fu di una desolazione tale che la repulsione iniziale si trasformò in una pura e, più familiare, sofferenza. Un’altra volta. Il mio sangue mi aveva di intrappolata in un vortice di sensazioni e fitte dolorose, quello spettacolo grottesco e decadente aveva risvegliato in me ciò che stavo cercando di scacciare dalla mia mente con tanta fatica e, anche se tentai, non riuscii a voltarmi e correre via da quel posto. Ormai era tutto inutile, il mio destino mi era stato ricordato di nuovo: il malessere che provo di fronte a certe situazioni mi accompagnerà per l’eternità ed io non posso farci niente, anzi, per un macabro scherzo, sono attratta proprio dalle condizioni che mi recano più disturbo. Avvilita, mi sedetti su una delle tre poltrone che si trovavano su un lato del salone e lo osservai. Sembrava un grande luogo ricreativo per bambini. Sul pavimento in marmo giacevano delle coperte a scacchi dai colori sbiaditi e dal filato invecchiato; dei cestini di vimini anneriti e consumati dai parassiti, contenevano mattoncini di legno di varie dimensioni; due o tre bambole di stoffa scucita e malandata erano ammucchiate su una sediolina di legno chiaro, coperta da un cuscinetto a pois. Corde per saltare, macchinine di latta arrugginita e pelouches senza occhi, si trovavano qua e là per la stanza. Davanti a me si apriva una grande porta finestra che dava su un cortile interno, non visibile dalla strada. Per quanto i vetri potessero essere sporchi e rovinati, distinsi perfettamente le sagome di tre altalene in ferro, uno scivolo e un triciclo di legno con delle sfumature gialle: il tutto aveva resistito a troppe intemperie e si stava disfacendo completamente. I miei occhi stanchi ruotarono verso il soffitto, piccole tracce di intonaco colorato rimandavano ad una cornice fatta di greche e rombi che percorreva anche le pareti. Seguii con lo sguardo quel decoro inumidito che mi guidò fino ad una grande targa di ottone appesa alla parete sulla mia sinistra. Si leggevano ancora le scritte in rilievo. “Istituto d’Educazione per l’Infanzia, Santa Lucia”. Levai lo scialle che mi copriva il volto, mi toccai le cicatrici con la mano guantata e mi buttai sullo schienale della poltrona. Le braccia mi scivolarono lungo il corpo e fui letteralmente sommersa da un’ondata di ricordi e rimorsi, mi sentii misera e maledetta, vuota e insignificante. Consumata come quella targa e cadente come quel soffitto. Rimasi lì, immobile come i giocattoli che mi circondavano. Due gocce rosse mi rigarono il volto deturpato. Avvolta in quello stato di calma apparente, i miei sensi bestiali erano ovattati dalla tristezza e, dando le spalle all’ingresso, non mi accorsi che qualcuno era entrato nel palazzetto. Se ne stava in piedi, dritto sul gradino che porta al salone e non so dire da quanto tempo fosse lì ad osservarmi. Un cappotto nero, chiuso e con il bavero alzato, lo avvolgeva fino al ginocchio. I pantaloni erano di velluto marrone, come il maglione a collo alto che si intravedeva. Aveva l’espressione triste ed accigliata degna di una angelo del Carraccio, le mani lisce e venate cadevano come stanche lungo i fianchi coperti dall’abito avvitato. La pelle aveva la sfumatura del marmo, tanto pareva bianca da suggerire solo allo sguardo la sua rigida freddezza. I capelli morbidi scendevano verso il basso come una pioggia di schegge uniformi coprendo gli occhi dal taglio particolare, socchiusi, gli conferivano la tenera espressione assopita di un infante; erano le invisibili rughe vicine ad essi e poco sotto le labbra seriche e serrate a tradire l’amarezza e il dolore celato da quella statua silenziosa. Restava immobile, nella penombra, tanto da ingannare la vista, nemmeno si concedeva di dar vita al più lieve dei rumori, il petto sottile, tipico degli uomini non ancora del tutto maturi non si sollevava minimamente. “Avete appena violato una proprietà privata, lo sapete?”. La voce sibilò attraverso le labbra sottili come un alito di vento tra le pareti di una fessura. Il viso immacolato era rimasto assorto e compito, la postura rigida. Quelle parole mi colpirono con inaspettata agitazione, mai da più di due secoli, anima viva era riuscita ad avvicinarsi a me senza essere vista; la profondità dei miei dolorosi pensieri, intrappolati in una ragnatela di fantasie e immaginazione era davvero stata tale da permettere ad uno sconosciuto di avvicinarsi così tanto e violare la mia solitudine? Di certo non ebbi la possibilità di reagire velocemente e dare una risposta a questa domanda, tutto quello che riuscì a fare, fu scusarmi in modo confuso. Apparentemente le mie parole di rammarico non sortirono alcun effetto, il ragazzo era sempre lì, fisso, aveva gli occhi puntati sul pavimento sconnesso e pericolante e solo i capelli si muovevano in maniera impercettibile. Per la prima volta lo guardai con attenzione, concedendomi di incedere sul suo volto e sul suo animo mentre le mani veloci arrangiavano lo scialle che avevo adagiato vicino a me. Mentre sentivo la carezza della lana grezza sulla pelle violentata, mi resi conto che il ragazzo che avevo di fronte era un morto. Coloro che camminano in bilico tra la vita e l’oblio hanno addosso tutti l’odore putrido che si può avvertire solo nella terra dei cimiteri, un marchio che non contamina le carni, rese anzi splendide dal sangue immortale, ma le loro anime dannate. “Perché siete venuta in questo luogo?”, continuò ad incalzarmi. “Scusatemi ancora, ma…”. Aspettai un momento prima di finire la frase. Pur avendo capito perfettamente che si trattava di un mio simile, l’errore commesso poco prima dai miei sensi, mi stava facendo dubitare anche sulla capacità di riconoscere i dannati. “…cercavo solo un posto per passare il giorno”, conclusi in fretta. Le mie parole non l’avevano neanche sfiorato. “Pensavo fosse abbandonato”, continuai a spiegarmi. “In genere non frequento questo quartiere, ma stavo passeggiando e…” , non terminai il discorso, non sapevo cosa dire. “Come vi chiamate?”, mi chiese senza far caso a ciò che stavo farfugliando. Ebbi un attimo di esitazione. “Prudentia.” “Lucio, Lucio Borgia”, ricambiò la presentazione. Ma il mio nome sembrò colpirlo, alzò un sopracciglio che gli fece perdere un po’ di quell’aria altezzosa e percepii una lieve ombra di disagio sul suo volto. Forse aveva già sentito parlare di me? O era solo un neonato imbarazzato dal sapore antico di quel nome? Scossi leggermente la testa come per spazzare via quei ragionamenti inutili e mi alzai per dirigermi verso l’uscita. “Mi chiedo quale creatura possa avere il coraggio di riposarsi in questo luogo ripugnante” e dicendo queste parole diede un leggero calcio ad un sonaglino che rotolò fino al centro della stanza con un lieve rumore di campanelli arrugginiti. Feci qualche passo verso il portone e mi fermai un attimo davanti a lui, fissandolo negli occhi. Sentii di nuovo quella sensazione di turbamento, ma fu talmente veloce che non riuscii a comprenderla fino in fondo. Volevo solo andarmene. “La creatura che ama cullarsi tra la tristezza.” Risposi freddamente. Ripresi a camminare verso il portone e sparii nella notte.

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Io sono il migliore!!
Nessuno può battermi!!
IO SONO IL SIGNORE DEL MONDO!!
IO SONO IMMORTALE!!
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- ciao, io sono un ragazzo d 14 anni, ho limonato una e praticamente dopo un po' abbiamo fatto sesso ma nn provavo nulla e allora ho finto un orgasmo,poi un altra volta ancora

(E' il mio idolo! Questa è vera parità dei diritti. La par condicio sessuale. Un ragazzo che finge l'orgasmo, cazzo!)

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Le torture (parte 3) per mano di Prudentia Malcapitati
Roma, giugno 1611 Mi strappò le vesti di dosso e mi lasciò seminuda. Si avvicinò con dei lacci tra le mani,mi immobilizzò e mi fece tendere le braccia in avanti. Mi circondò ogni dito,alla falange, con una cordicella. Prese in mano i lacci ed iniziò a tirare con tutta la forza. Il dolore fu così forte che ebbi l’istinto di saltare,ma fui trattenuta con forza. Sentii la pressione del sangue salire fino ai polpastrelli che sembrarono esplodere…allentò un attimo la presa, attendendo la confessione, ma il mio viso,seppur dolorante,era impassibile. Tirò di nuovo,con più forza…le ossa scricchiolarono e la pelle iniziò a lacerarsi…le mie dita si stavano per staccare…lasciò di colpo le cordicelle e sentii il sangue scorrermi nelle mani. Non dissi nulla neanche in quel momento. Mi prese, allora, per le braccia,le legò fissandole ad una trave a qualche metro da terra e mi attaccò un peso ai piedi trattenendolo a fatica.. Quando lo lasciò di colpo, ebbi l’impressione che le ossa delle mie spalle si fossero girate e fossero uscite fuori dalle scapole;un dolore fortissimo mi penetrò dalla spina dorsale fino al cervello,appannandomi la vista per un breve periodo. Mi lasciò appesa per qualche minuto, ma rimasi con la bocca chiusa, stringendo i denti fino quasi a romperli. Non dovevo cedere all’ingiustizia. Capì le mie intenzioni e mi tirò giù. Preparò un tavolo di legno e alcuni strumenti.Mi prese, mi ci buttò sopra e mi legò mani e piedi ad esso. Si chinò sul mio corpo dolorante, prese una lama appena affilata e si avvicinò di più…una mano mi tirò la pelle del viso; l’altra,con un deciso taglio verso il basso, mi aprì i lati della bocca fino quasi al collo. Sentii il sapore metallico del sangue caldo sgorgarmi in bocca. Dovetti berlo tutto per non impedirmi di respirare…sembrava non fermarsi mai, misto ad un dolore atroce ed incomprensibile…una sorta di pulsazione incandescente che mi esplodeva in gola. La voce ormai non mi usciva più, non emisi nessun suono neanche quando, con una specie di gancio seghettato iniziò a scarnificarmi le guance e il naso…brandelli di pelle mi cadevano dalla faccia, diventata una maschera di sangue e sofferenza. Non mi diede tregua. Mi slegò, mi trascinò verso un pannello di legno e mi fissò ad esso i polsi e le caviglie. Poi prese un guanto di ferro,se lo sistemò sulla mano…e mi colpì sulla pancia. Così, ancora per quattro volte di seguito, poi fece una pausa. Vomitai sangue, ma non parlai. Si preparò per la quinta volta. Caricò il colpo e mi centrò in pieno bassoventre…i miei occhi si spalancarono, il dolore mi divampò per tutto il corpo. Ebbi la sensazione che la mia pancia si fosse frantumata e non riuscii più a respirare. Alzai di colpo la testa e, in quell’attimo di atroci spasmi, vidi qualcosa che mi fece quasi più male dei supplizi: mio padre, in mezzo alla folla, esultava ed imprecava contro di me. Riabbassai la testa ed iniziai a piangere. Sentii, allora, un liquido caldo che mi colava tra le gambe…lanciai un grido e svenni.

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13/09/2003 16:49
 
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Lo stupro. (parte 4) per mano di Prudentia Malcapitati
Roma, giorno di Carnevale, 1611. Durante il Carnevale la città di Roma era più viva e splendente che mai. I musicisti, i giocolieri, i teatrini allestiti per l’occasione…la gente povera e la gente ricca, i criminali e le guardie, i nobili e gli artisti, i preti e le prostitute, tutti nascosti dietro le profane maschere che per un giorno tenevano lontani dagli impegni e dal lavoro i romani festaioli. Ed io non vedevo l’ora di buttarmi tra i capannelli danzanti e di inebriarmi , per una volta, col vino che scorreva già a fiumi nelle osterie della parte più povera del quartiere degli artisti. Ma ero ancora al fiume, ad aspettare che si asciugassero le sacre vesti del Cardinale, che sarebbero servite per le cerimonie del giorno dopo. Appena pronte, le piegai con cura e mi diressi, svelta, in città. La residenza Borghese sembrava deserta, gli artisti che lavoravano ai decori delle grandi stanze, gli scalpellini, gli operai, le cameriere, tutti erano già scesi in strada a far festa. Presa da un’irrefrenabile voglia di unirmi a loro, mi affrettai e corsi verso la camera del Cardinale per riporre le ultime vesti. La porta era socchiusa. Solo la debole luce del tramonto che filtrava dagli ampi tendaggi ricamati illuminava l’ambiente, accendendo sul lussuoso arredamento un velo di pulviscolo che guizzava nell’aria. Entrai e andai verso il grande armadio sulla destra, lo aprii e mi chinai per sistemare il bucato sul piano inferiore, quando, sentendo un fruscio di lenzuola dietro di me, mi girai di scatto col cuore che batteva per lo spavento. Il Cardinale Scipione Borghese era seduto sul letto, con l’espressione altera che mi fissava e la seta delle vesti ecclesiastiche che, colpita dai raggi, sembrava evidenziare ancor di più la sua vera natura di corrotto. Si alzò e, prima che potessi avere il coraggio di fargli una riverenza, chiudere l’armadio e andarmene, mi venne vicino e mi prese con forza il polso. Per quanto mi divincolai,mi trascinò fino al centro della stanza e mi gettò sul letto con una spinta. Cercai di scalciare, di graffiare, di mordere, mi dimenai fino a farmi male da sola, ma niente riuscì a battere la violenza e la fermezza con cui mi salì sul corpo, bloccandomi come un pesce che sopra ad una pietra,sta per ricevere il colpo finale del pescatore. Mi strappò di dosso il vestito, iniziando a tormentarmi i seni giovani e duri con quelle viscide mani piene di anelli d’oro, che mi strizzavano i capezzoli in un modo che solo un crudele impeto di passione come quello poteva generare. Poi, con uno sguardo indemoniato, puntò le sue ginocchia sulle mie e con un gesto rapido mi allargò le gambe a tal punto che quasi sentii due strappi all’inguine. Afferrò la mia gonna e la ridusse a brandelli, lasciando nudo ciò che mai era stato visto né toccato da un uomo. A questo punto si tirò lentamente la veste fino alla vita e si denudò anch’egli. Si mise esattamente in mezzo alle mie cosce, continuando a fissarmi con la fiera espressione di chi sa che la vittoria è ormai sua. Con un braccio mi bloccò collo e spalle, facendomi mancare quasi l’aria. L’altra mano me la infilò in corpo, vincendo la resistenza dei miei muscoli che si abbandonarono, contro la mia volontà, a quella sofferenza. Rimase per un po’ ad eccitarsi guardandomi soffrire, poi levò la mano e iniziò a usare tutta la sua forza per tenermi ferma. In un attimo che mi parve infinito un dolore lancinante mi attraversò la pancia e un senso di rottura mi pervase fino alle caviglie. Stetti quasi per svenire, ma il Cardinale continuò con forza e a nulla valsero le mie urla che furono prontamente attutite dalla sua mano. Non so dire per quanto tempo sentii il suo peso fuori e dentro il mio corpo. Si muoveva, si agitava…ed io impotente, potevo solo piangere e pregare Dio, mentre la croce che portava appesa al collo rimbalzava a colpi regolari sul mio viso ormai senza dignità.

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13/09/2003 16:54
 
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Il principio... (parte 5) per mano di Maxine Ramirez
Quando mi svegliai, dopo chissà quanti giorni di incoscienza, non vidi altro che oscurità intorno a me, ma potei udire chiaramente il suono attutito di passi provenire da una camera attigua a quella che occupavo. Dopo un attimo di smarrimento, dovuto al buio che mi avvolgeva, cercai di mettermi seduta al centro del letto, ma quando i miei muscoli si contrassero sentii una fitta lancinante al braccio sinistro, un dolore che mi fece urlare a gemere. Così ricordai quella bestia e i suoi artigli affilati che penetravano la mia carne, il suo fiato caldo e putrescente penetrare le mie narici, gli occhi iniettati di sangue che mi fissavano. Poi un violento strattone che mi fece rotolare in terra, tra i fili d’erba umidi e odorosi. E poi ancora una figura alta, imponente, che si stagliava contro la bestia affamata e ringhiante, il vociare di decine di persone intorno a me, dei colpi di pistola ed un lungo, straziante ululato…poi più nulla. Rimasi priva di sensi per qualche ora, credo, e quando rinvenni vidi il viso di quella figura misteriosa e imponente sorridermi rassicurante mentre qualcuno, presumibilmente un medico, suturava la mia ferita. Caddi nuovamente in uno stato di incoscienza tale da indurmi un sonno senza sogni. Così dormii, tranquilla, in un morbido giaciglio con fresche lenzuola di lino leggero. L’urlo dovuto alla ferita, non del tutto guarita, allarmò qualcuno che si precipitò nella mia camera. Il rumore di passi non era più calmo e cadenzato, ma piuttosto frettoloso. La porta si aprì inondando la stanza di un chiarore caldo e piacevole, come la luce di mille candele. Potei notare, quando la luce divenne più forte, la pregiata fattura della mobilia presente nella camera, le pesanti cortine di velluto rosso damascato che coprivano completamente la finestra e il letto a baldacchino sul quale giacevo ancora confusa. Un uomo alto e robusto mi si avvicinò, disse di chiamarsi Juan e che sarebbe stato al mio servizio. Lessi nei suoi occhi una malcelata preoccupazione nei miei confronti, e nello stesso istante si informò sul mio stato di salute, guardando il braccio fasciato e ponendomi una mano sulla fronte. Risposi che stavo bene, ma che il dolore al braccio mi impediva di muovermi. Sorridendomi disse che avrebbe portato una medicina per lenire il dolore, e aggiunse che avrei dovuto mangiare prima qualcosa, poiché come medicamento era molto forte e che sicuramente mi avrebbe ulteriormente debilitata se non mi fossi nutrita. Acconsentii immediatamente. In effetti non mangiavo da chissà quanto ed ero molto affamata Juan continuò dicendo che il suo padrone sarebbe stato contento di vedermi quasi guarita e sveglia, e che mi avrebbe fatto visita entro breve tempo. Detto ciò si avvicinò alla finestra, scostò le tende ed aprì le imposte, lasciando che la frescura del tardo pomeriggio mi ristorasse. Mi lasciò dicendo che sarebbe tornato con la cena, quindi chiuse la porta ed io restai sola con i miei pensieri, immaginando il viso del mio salvatore. Con grande sforzo riuscii a sedermi sul letto, questa volta soffocando il dolore e le urla da esso provocate. Ero ancora debole, ma la vista del sole che moriva lentamente, colorando di un bel rosso arancio le poche nubi che si muovevano in una leggera danza nel cielo azzurro, mi fece sorridere e mi tranquillizzò. Ormai la sera stava calando. Juan, come promesso, tornò dopo circa mezz’ora con un vassoio. Vedendomi seduta si rallegrò complimentandosi per la mia prontezza di spirito, poggiò il vassoio sulle mie gambe e tolse le campane che proteggevano i piatti con le pietanze. Una bella bistecca appena scottata faceva bella mostra di sé su un piatto di porcellana fine, sul quale era dipinto in foglia d’oro una corona, ed accompagnati ad essa vi erano dei fagiolini verdi al vapore, vari tipi di formaggio, pane bianco dal profumo fragrante e due caraffe di cristallo con vino ed acqua. Nello stesso istante in cui, meravigliata, osservavo la quantità di cibo offertami e la regalità di posate e bicchieri, entrò lui… Non so per quanto tempo lo fissai, ipnotizzata dal suo sguardo profondo e oscuro. Al suo ingresso Juan chinò il capo rispettosamente e si affrettò a prendere una sedia per lui, sistemandola accanto al mio letto. Quindi, ad un suo gesto, il domestico si allontanò lasciandoci soli. Mi osservò senza parlare mentre con fare elegante mi porse il tovagliolo. Lo presi temendo di rovinarlo e lui, quasi intuendo il mio pensiero, sorrise e parlò. -“ Non temere non lo rovinerai…ed anche se dovesse accadere cosa importa? Ciò che conta adesso è che tu stia bene, ho grandi progetti in serbo per te.” Così dicendo prese le posate dal vassoio e tagliò la bistecca in pezzi regolari, imboccandomi come fa un padre con una figlia ammalata. Rimasi a guardarlo, lasciando che si prendesse cura di me. La sua figura era regale, il viso fiero dai lineamenti marcati ma al tempo stesso affascinanti era di un pallore ipnotizzante, la sua pelle candida e perfetta, senza la minima traccia di barba, emanava una strana luce opalescente. Gli occhi, di un castano caldo e rassicurante, erano striati da venature ambrate, perfettamente simmetriche, quasi come se un pittore le avesse dipinte magistralmente….e i capelli…neri, lucenti come la più pregiata delle sete, ricadevano morbidamente ben oltre la linea delle spalle squadrate ed ampie. Le mani, grandi e forti, rivelavano unghie ben curate e lunghe, quasi femminili…era nell’insieme un uomo estremamente affascinante, dal portamento sicuro come quello di un principe, eppure la sua bellezza aveva qualcosa di inquietante…incuteva timore…. Per tutta la durata della cena non parlammo, e lui seguitò ad imboccarmi premurosamente. Mi nutrii a sazietà, lasciando ben poco della cena che Juan aveva preparato per me. Notando la mia soddisfazione la sua bocca si allargo in un sorriso compiaciuto, che rivelò una fila di denti senza difetto, di un bianco brillante. Sorrisi anch’io per un istante, poi sollevai il braccio destro al fine di prendere la boccetta contenente la medicina. Fermò dolcemente la mia mano, con un solo gesto della sua, e di nuovo mi parlò. -“ Non affaticarti…preparerò io la medicina, tu pensa solo a riposare e guarire in fretta.” Annuii lievemente, mentre lui già prendeva la piccola ampolla versando qualche goccia di liquido trasparente in un calice di cristallo. Subito dopo verso dalla caraffa un po’ d’acqua e fece roteare la soluzione all’interno del calice in modo da mescolarla bene, quindi mi porse gentilmente il bicchiere. Indugiai qualche secondo, poi bevvi facendo una smorfia di disgusto. -“ E’ amaro come il veleno” dissi disgustata dal sapore acre della medicina. -“ Lo so” rispose con una lieve rassegnazione negli occhi “ma ti farà stare bene entro quindici minuti….Presto assaggerai qualcosa di sublime, di cui non potrai più fare a meno….ma sei ancora troppo debole per farlo.” Pensai che stesse parlando di una bevanda forse troppo alcolica, quindi non feci domande e mi limitai a sorridergli. Mi guardò ancora sorridendomi, poi si alzò prendendo il vassoio dalle mie gambe e poggiandolo su uno scrittoio. -“Adesso riposa…io andrò a curare i miei interessi e non sarò a palazzo quasi per tutta la notte. Juan sarà sempre qui, pronto a soddisfare tutte le tue richieste, non esitare a chiamarlo, anche nel cuore della notte.” -“Certamente signore…lo farò….” Dissi leggermente imbarazzata. Si voltò per andare via, rivolgendomi uno sguardo amorevole. -“Signore…voi siete un nobile vero? I vostri modi sono…” Mi interruppe prima che potessi finire la frase. -“Per te ora io sono Domingo….il resto lo saprai quando verrà il tempo di sapere… ora riposa.” Annuii e mi sistemai nel letto, mentre lui usciva dalla mia camera senza fare rumore. Mi addormentai quasi subito, il medicamento che Juan aveva preso per me mi fece stare davvero meglio, donandomi un piacevole senso di tranquillità, accompagnato da una sonnolenza piacevole e dolce. Quella notte sognai una grande massa scura, un’ombra, che si avvicinava a me inglobandomi in essa. Ricordo che il panico e il senso di impotenza erano così forti, e le sensazioni che il sogno mi dava erano così vive che mi svegliai madida di sudore, alle prime luci dell’alba. Non riuscendo a prendere sonno decisi di provare ad alzarmi, e con mia sorpresa riuscii a camminare praticamente da subito, nonostante la mia debolezza. Facendo attenzione a non fare rumore, uscii dalla camera e perlustrai il palazzo, sebbene la poca luce del mattino non mi permettesse di vedere bene. Notai fin da subito che il resto della villa era riccamente arredato, come del resto era la mia camera. Entrai senza esitazioni in un grande salone, guardandomi intorno e cercando di captare quanti più particolari potevo. La camera era molto vasta, arredata con gusto anche se l’arredamento faceva pensare ad una casa di nobili d’altri tempi. Pensai che doveva essere appartenuta agli avi del mio salvatore, quindi non mi posi alcuna domanda. Candelabri d’argento e soprammobili pregiatissimi facevano bella mostra su mobili riccamente intarsiati, un lungo tavolo posto al centro mi fece credere che fosse una sala da pranzo, come in effetti era. E poi c’era un camino che portava, sulla cornice, lo stesso stemma che avevo notato sui piatti in porcellana la sera precedente. Mi convinsi che doveva essere senz’altro un principe o comunque qualcuno che contava, ma ricordando le sue parole non mi proposi di chiedergli altro sulla sua casata. Visitai altre stanze del palazzo, e in tutte vidi la magnificenza e la ricchezza che avevano contraddistinto le camere viste in precedenza, ma un particolare non indifferente sollevò la mia curiosità: in nessuna delle stanze che vidi erano presenti specchi. Domingo non doveva essere particolarmente vanitoso, anzi non lo era affatto vista la totale assenza di superfici riflettenti, eppure il suo aspetto curato e perfetto mal si accostava a quella mancanza. Riflettei a lungo sulla cosa, ma non dandomi nessuna risposta plausibile lasciai perdere e continuai la mia perlustrazione, sempre muovendomi in silenzio. Arrivata ad una porta posta in fondo ad un corridoio mi fermai, come se una forza sovrannaturale mi imponesse di non procedere oltre. La ignorai, come avevo ignorato molte cose in passato, e la aprii, notando una scala che scendeva nei sotterranei. Il barlume di una lampada illuminava la fine della scala, quindi pensai che laggiù doveva esserci qualcuno convincendomi del fatto che poteva essere Juan o qualcuno della servitù. Incoraggiata da questo presi a scendere i primi gradini, ma una mano mi fermò tenendomi saldamente per una spalla. Voltandomi vidi Juan che mi guardava quasi terrorizzato, il suo volto era una maschera di stupore e disapprovazione, e non riuscivo a capirne il perché. Stavo per chiedergli spiegazioni, quando prese a parlare, controllando malamente le sue emozioni. -“ Mia signora, a nessuno è permesso scendere nei sotterranei, a nessuno, fatta eccezione per me…non è consigliabile farlo……” Si interruppe e mi fece cenno di seguirlo. -“ Perché?” chiesi tranquillamente “perché non posso andare a vedere cosa c’è la sotto?” Juan mi guardò sgranando gli occhi. -“ Non è permesso, e non posso darvi nessuna spiegazione in merito. Vi prego di non pormi domande mia signora.” -“ Non chiamarmi mia signora, io sono solo Max.” Detto questo lo seguii, promettendomi di tornare nei sotterranei non appena Juan fosse stato lontano dalla mia portata. Feci un’abbondante colazione nelle cucine del palazzo, e conobbi gli altri domestici: la cuoca Erminia e il suo aiuto, un ragazzetto di sedici anni dagli occhi vispi di nome Fernando, Miguel l’autista e le due cameriere, Linda e Consuelo. Tutti mi guardavano con sospetto, benché fossero educati nei miei confronti, e quando Juan disse a Consuelo di prepararmi il necessario per il bagno questa lo guardò spaventata. Juan la guardò duramente, quindi lei si limitò ad annuire ed a farmi cenno di seguirla al piano superiore. Arrivate nella camera da bagno mi guardai intorno come avevo fatto nelle altre camere, ed anche qui notai l’assenza di specchi. Facendomi coraggio chiesi a Consuelo il perché. -“ Consuelo, dimmi…in tutto il palazzo non ho visto specchi…perché?” La ragazza mi guardò tremante, poi si fece il segno della croce sbiancando in volto. -“ Gli specchi…non ce ne sono mai stati in questa casa, mia signora. Presto servizio da quasi otto anni e non ne ho mai visto uno.” La guardai corrugando la fronte. -“ E come farò a sistemarmi i capelli? Me ne serve uno…tu ne hai?” La ragazza annuì dicendo che lo avrebbe preso subito, dalla sua camera, quindi sparì lasciandomi sola. Dopo qualche minuto tornò con lo specchio e me lo porse, e si apprestò a prepararmi l’acqua per il bagno. Guardai la mia immagine riflessa, ero piuttosto pallida in viso, gli occhi cerchiati di nero per la debolezza rendevano il mio sguardo inquietante. Forse per questo Consuelo mi guardava in quel modo strano mentre mi specchiavo. Che fosse preoccupata per me? Quando ebbe finito di preparare il bagno la lasciai libera di andare, dicendole che le avrei restituito lo specchio al più presto. La giovane chinò il capo e si avviò alla porta, sempre con la stessa espressione tesa in volto. Nonostante fossero tutti piuttosto diffidenti, i loro modi di fare con me non furono mai scortesi, anzi mi trattavano con riguardo, evidentemente istruiti da Juan sotto consiglio di Domingo. Il mio soggiorno nella tenuta Gutierrez (questo il cognome di Domingo) era tutto sommato piacevole, avevo a mia disposizione tutto ciò che volevo, tranne quella stanza che dava nei sotterranei, e la cosa non mi piaceva affatto. L’avere limitazioni era uno dei motivi per cui mi ero allontanata dalla mia famiglia, e rivivere la cosa mi dava un senso di disagio che comunque non feci mai notare. Ovviamente mi guardai dal riferire al mio futuro Sire l’accaduto, cercando di non fargli capire che la mia intenzione era quella di voler scendere a tutti i costi là sotto… Le mie condizioni migliorarono di giorno in giorno, la ferita si era cicatrizzata in fretta lasciando dei segni che non sarebbero comunque andati via con il tempo. I punti di sutura che mi diedero erano molti, ma il sapere che avrei avuto per sempre in quei segni il ricordo di quella notte non mi preoccupava. In cuor mio comunque avevo già in mente di vendicarmi, il desiderio di vedere quella creatura morire sotto i miei colpi era diventato bruciante più del fuoco dell ‘inferno, ma quando manifestai a Domingo la mia intenzione di uccidere quel mostro, mi disse che non avrei avuto un’altra volta la fortuna dalla mia parte, e che quindi avrei fatto meglio ad accantonare propositi suicidi. La cosa mi turbò, non lo nego, ma i miei propositi non cambiarono affatto, li tenni nascosti dentro me attendendo che i tempi fossero maturi. Intanto il tempo trascorreva lento, ed anche se non chiedevo alla servitù il motivo dell’assenza diurna di Domingo, una sorta di sospetto scavava dentro me. La voglia di conoscere è sempre stata forte dentro me, ed in quel caso era addirittura insostenibile. Ricordo che seppi il suo segreto dopo circa un mese e messo il mio arrivo nella sua villa. I domestici erano indaffarati nelle loro mansioni, Juan era andato in città non so per quale motivo, la cuoca stava preparando la cena ed io ero completamente sola e libera di aggirarmi per le sale del palazzo quasi indisturbata. Lavorando d’astuzia finsi di uscire facendomi notare dalla cameriera mentre varcavo la soglia della grande porta principale, lei se ne accorse e mi sorrise garbatamente, chiusi la porta e mi diressi verso il retro della villa. Ovviamente prima di uscire avevo provveduto a lasciare una delle finestre socchiusa, quindi rientrare furtivamente non fu per me un problema. Per non fare rumore lasciai la finestra accostata e tolsi le scarpe lasciandole nascoste. Mi diressi immediatamente verso la porta che dava sui sotterranei, la aprii quanto bastava per farmi passare evitando di farla scricchiolare e la richiusi alle mie spalle, compiacendomi per essere riuscita a non farmi scoprire. Adesso dovevo solo scendere le ripide scale e sapevo che stavolta nessuno mi avrebbe fermata. Gli scalini in marmo consumati dal tempo erano gelati sotto i miei piedi, ma li per li non ci feci caso, volevo raggiungere al più presto il motivo di tanta segretezza. Scesi con facilità la rampa di scale che mi si parò davanti aiutata dal chiarore di alcune lampade ad olio che bruciavano li da chissà quanto tempo. In alcune nicchie vidi qualche ratto guardarmi con occhi vermigli e luccicanti, ed in altre un paio di teschi che mi fecero pensare a delle catacombe. Mi chiesi il perché della presenza di esse ed ebbi, forse per la prima volta nella mia vita mortale, un moto di paura. Spinta comunque dalla curiosità non mi fermai, continuando la discesa con maggiore determinazione. Giunsi ad una porta in legno di noce riccamente intarsiata sulla cui sommità spiccava una corona, la stessa che vidi più volte in quella casa. Facendomi coraggio presi il pomello e aprii, stringendo gli occhi per un istante. Grande fu la sorpresa nello scoprire il contenuto di quella sala. Era ovviamente arredata con gusto indiscutibile, lungo le pareti ardevano delle torce che illuminavano la grande sala ma che comunque la lasciavano in una piacevole penombra. Ma ciò che più mi sorprese fu la bara al centro della stanza. La guardai corrugando appena la fronte, come si fa con qualcosa di incomprensibile, e nonostante la cosa fosse strana e per certi versi potesse mettere paura a qualunque essere umano, mi accorsi che stavo camminando lentamente verso essa, quasi ipnotizzata. La ara era sollevata da terra da un basamento in marmo bianco, era più grande di una normale cassa mortuaria e molto più ricca nei dettagli. Nessun simbolo sul coperchio che potesse fare capire a chi appartenesse, nessun nome tranne le iniziali D.G. Non feci in tempo a realizzare che quelle erano le SUE iniziali…il coperchio della bara si mosse sollevandosi di scatto, ed a stento trattenni un urlo di stupore quando vidi Domingo alzarsi in posizione seduta sulla bara.

(continua)
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13/09/2003 16:58
 
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il continuo
Sentivo le tempie che battevano convulsamente, guardavo nei suoi occhi senza rendermi ancora conto di cosa fosse. Lui mi fissò guardandomi con la stessa espressione tranquilla di sempre, e lentamente uscì dalla bara, venendomi incontro. Non so cosa mi tratteneva ancora in quel posto…so solo che dopo qualche secondo lo vidi di fronte a me, distante solo di qualche passo. Strinse gli occhi e ad un suo gesto la fiamma delle torce diminuì di intensità rendendo il luogo sensibilmente più tetro. Restò in silenzio per un tempo che a me parve interminabile, poi prese a parlare, avvicinandosi a me mentre lo faceva. -“Ora che hai scoperto chi sono dovrei ucciderti, credo che tu questo lo sappia.” Annuii impercettibilmente. -“Tuttavia potrei darti una possibilità allettante…” Mentre parlava una sua mano si mosse in direzione del mio viso, e con fare quasi paterno mi carezzò una guancia lentamente. Le sue dita erano gelide come quelle di…si, come quelle di un morto. -“Come sei riuscita ad entrare? Dimmelo. So che hai tentato in passato, Juan ti ha fermata prima che tu potessi raggiungermi….Come hai fatto?” Deglutii e per un secondo abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo fissandolo su di lui. -“Juan non ha colpe, è in città. La cameriera pensa che io sia fuori a passeggiare in giardino. Sono uscita dalla porta principale ma avevo lasciato una finestra aperta, mi è stato facile rientrare senza il minimo rumore e senza farmi notare…” Domingo mi guardò stupito, poi rise di gusto mostrando la filiera di denti bianchissimi, tra i quali stavolta spiccarono due lunghi canini che le fiamme delle torce fecero scintillare nella semioscurità. -“Ingegnoso, mi stupisci piacevolmente, piccola Maxine…ma dimmi, tu non hai paura di me?” Lo guardai sgranando prima gli occhi alla vista dei canini lunghi e puntuti ed indientreggiai di un passo, ma sentendomi chiamare piccola Maxine mi innervosii lievemente, trovando la mia sicurezza. -“So che se aveste voluto uccidermi lo avreste fatto subito. Questo un po’ mi rasserena ma non totalmente. Ora sarebbe il tempo di parlare della possibilità da voi offertami.” Parlavo con assoluta tranquillità, nonostante avessi qualche timore. -“Una proposta, mia giovane e temeraria ragazza. Ti offro la conoscenza di qualcosa che un essere umano non potrà mai comprendere, lo studio di un’arte che solo a noi Lasombra è concesso conoscere. Ti offro l’immortalità e il potere sugli uomini, il completo dominio delle loro menti. Ti offro un’altra vita…in cambio di un bacio.” Mentre parlava i suoi occhi brillavano di una luce ancestrale, la sua voce era tonante e profonda più che mai. -“Tutto questo per un bacio? E’ alquanto assurdo concedetemelo. Quale profonda conoscenza di arti incomprensibili alla mente umana mi può essere svelato per mezzo di un semplice bacio?” -“Non un semplice bacio, mia cara. Il bacio di cui ti ho parlato è qualcosa che va aldilà dell’atto fraterno o amoroso che tale parola può celare in se. Ma dimmi, accetti?” Lo guardai perplessa ma affascinata dalle sue parole e completamente soggiogata dalla sua proposta. Accettai ovviamente, e senza pensarci troppo. -“Benissimo, era ciò che mi aspettavo da te, Max. preparati, stanotte per te si apre un nuovo mondo, dovrai essere conscia di ciò che stai per accettare. Adesso andiamo, attenderemo gli altri vampiri che non tarderanno ad arrivare. Da questa notte io sarò per te un padre, e tu mia figlia.” Detto questo mi prese sottobraccio e ci avviammo verso la ripida scala. Quando uscimmo dal sotterraneo sentii la voce di Juan, era evidentemente preoccupato. -“Ma dove sarà mai? Il padrone sarà furibondo quando si sveglierà!! Non oso pensare a ciò che mi…” Non fece in tempo a finire la frase, entrammo nel salone insieme e vedendomi con Domingo Juan fece una smorfia di stupore mista a preoccupazione. -“Ma siete qui! Dove vi eravate nascosta? Vi ho cercata per tutta la villa, non eravate in nessuna delle stanze….padrone non è colpa mia, io ero in città per conto vostro…” -“Taci Juan. Mia figlia è venuta a trovarmi nella mia stanza. Era almeno un secolo che qualcuno non mi stupiva in questo modo…” Juan trasalì, i suoi occhi divennero vitrei ed inespressivi, farfugliò qualcosa di incomprensibile per poi forzarsi al fine di ottenere un minimo di contegno. -“Mio signore, io l’avevo avvisata! Non punitemi vi prego…” Iniziò a tremare e singhiozzare come un bambino, la vista di quello spettacolo mi disgustava. -“Ora basta, Juan. Ti punirò se continuerai con questa tragedia greca che è il tuo pianto. Da stanotte dovrai trattare con riguardo Maxine, non sarà più una semplice ospite lei diverrà mia figlia, questa sarà la sua casa.” Quelle parole riecheggiarono nella mia mente come tamburi lontani, e nel sentirle Juan sgranò gli occhi smettendo di piangere. -“Mio signore, volete fare di lei una Lasombra?” -“Esattamente Juan. Ha dimostrato di avere doti essenziali, un ingegno fuori dal comune e una forza fisica non indifferente. Maxine sarà per me fonte di orgoglio, ai miei occhi e a quelli degli altri.” Juan annuì, congedandosi da noi. Quando restammo soli gli chiesi il significato della parola Lasombra e lui mi rispose con una tale fierezza nella voce da lasciarmi sbalordita. -“Vedi Maxine, Lasombra è il nostro nobile clan e tu questa notte entrerai a farne parte. Solo i migliori sopravvivono, o meglio sconfiggono la morte corporale per mezzo del sangue e della propria naturale predisposizione. Molti soccombono, restando nelle viscere della terra, presto capirai come…ma tu no, tu riuscirai, ne sono certo. -“Sottoterra? Verrò seppellita viva?” rise per un attimo e poi mi guardò con espressione seria. -“Credi in ciò che sarai, anche se ancora non ti è chiaro. Credi e avrai una nuova vita nell’oscurità.” Ora lo confesso, quella notte avrei voluto ritrattare e magari fuggire via lontano da lui, però non riuscivo, avevo una possibilità, scoprire cosa si celava aldilà della notte, e non volevo sprecarla. -“Io credevo che i vampiri fossero solo una stupida leggenda inventata per spaventare i bambini…ed io sono stata addirittura salvata da uno di essi. Perché? E soprattutto, cosa era quella bestia che ha tentato di uccidermi quella notte?” Domingo mi guardò incupendosi, i suoi grandi occhi castani fiammeggiarono fissandosi in quelli miei. -“Max, quel mostro altro non era che un Garou, presto saprai molto riguardo queste creature, imparerai a temerli forse, anche se il tuo temperamento mi fa pensare il contrario. Sono capitato lì per caso, quella notte, insieme agli altri che hai solo sentito. Ad ogni modo da tempo desideravo un infante, ma ogni giovane che avevo occasione di osservare non soddisfaceva le mie aspettative, troppo deboli, poco determinati, poveri in canna. Tu hai due qualità che ho potuto notare in queste notti, sei determinata e forte. E hai coraggio da vendere. Non resterai sotto la terra, ne sono certo. Lo guardavo ascoltandolo attentamente, le braccia incrociate al petto e le labbra lievemente dischiuse. Mille domande mi passavano per la testa in quel momento, lui comprese e tacque lasciandomi il tempo di raccogliere le idee. La sua figura era regale, lo sguardo profondo sembrava riuscire a leggere in profondità. Quella sera ovviamente non cenai, ero troppo presa dai racconti di Domingo, così restammo entrambi in salotto a parlare. -“C’è qualcosa che vorresti, prima della tua rinascita nelle ombre?” le sue parole scorrevano come un ruscello in una pigra mattinata di inizio estate. -“Credo di no. Ho visto abbastanza e ho avuto tutto ciò che volevo dalla mia famiglia, ora devo solo conoscere ciò di cui tu mi hai appena accennato.” Sorrise appena, portandosi una mano sulla folta chioma nera. -“Pensaci bene, non vedrai più la luce del sole. Non vuoi attendere la prossima alba per goderne almeno un’ultima volta?” -“No. Ho visto innumerevoli albe, ne ho già abbastanza. Non amo vivere di ricordi, per me sono una inutile perdita di tempo.” Sorpreso dalla rapidità e dal contenuto della mia risposta mi guardò con orgoglio, ed in quel momento ebbi la netta sensazione, poi confermata, di aver superato una sorta di prova. -“Era ciò che volevo sentire da te.” Finito di dire ciò il nostro dialogo si interruppe dall’ingresso di Juan, che annunciò l’arrivo di visite per Domingo. Si alzò facendomi cenno di imitarlo, quindi disse a Juan di far accomodare gli ospiti nella sala attigua, poi si voltò nuovamente verso di me. Disse che quella notte sarebbero stati messi alla prova altri due giovani oltre me, portati dagli altri che di li a poco avrei conosciuto. Quindi mi fece cenno di seguirlo, avviandosi con passo lento verso la sala attigua. Erano presenti due giovani mortali, maschi, un uomo che dimostrava circa quarantacinque anni e una donna sulla trentina. Guardai i presenti studiandone i minimi particolari, soffermandomi sui due ragazzi. Sembravano molto sicuri, lo sguardo di entrambi era strafottente, mi guardavano sfidandomi palesemente e per un attimo ebbi il timore di deludere le aspettative di mio padre. Restammo tutti in silenzio per qualche tempo, sentivo gli sguardi degli altri vampiri scivolarmi addosso, la donna in particolare sembrava contrariata. Fu proprio lei a rompere il silenzio. -“Domingo, una ragazza? Pensavo scherzassi quando mi accennasti il tuo desiderio di avere una figlia. Ne sei par caso innamorato?” Rise in modo disumano, portando il capo all’indietro, mentre Domingo la osservava corrugando la fronte. -“Amore? Una volta provai quel sentimento, ma è successo troppo tempo fa. Non ricordo più neanche il significato della parola amore. Estrella, mi meraviglio di te.” Il tono di mio padre era serio, nonostante ciò una punta di ironia si intuiva dalle sue parole. La donna alzò una mano stizzita poi, come se parlasse da sola, aggiunse che non sarei mai riuscita a sopravvivere e che i due giovani invece erano perfetti ed indubbiamente più forti e motivati di me. Colpita dalle sue parole non seppi trattenermi dal risponderle a tono. -“La forza non conta un bel niente se non si ha l’astuzia per gestirla. E in quanto a motivazione, beh, credo di averne quanto ne basta per farne omaggio ai vostri prescelti…” Estrella mi guardò con palese odio, dicendomi che indubbiamente l’arroganza era una delle cose che mi contraddistinguevano. Questa volta non feci in tempo a controbattere poiché mio padre ci fermò dicendoci che avremmo fatto meglio a risparmiare le energie per il rito che si sarebbe svolto di li a poco… Detto questo fece cenno di uscire dalla villa, gli ospiti ci precedettero ed insieme a loro ci recammo sul retro dell’edificio. Un ampio spiazzo erboso, illuminato da alcune torce piantate nel terreno a formare un quadrato abbastanza vasto, si stagliava di fronte a noi; dopo aver percorso una decina di metri ci trovammo all’interno del quadrato delimitato dai pali delle torce, dove trovammo tre profonde fosse. Il chiarore della luna illuminava tutto intorno e nonostante le buche facessero presagire lo svolgersi degli eventi ero del tutto tranquilla, quasi estraniata da ogni cosa tranne che da mio padre, il quale aveva la mia completa attenzione. Ricordo che mi si avvicinò lentamente, i suoi occhi brillavano di una luce innaturale mentre con un ghigno mostrava nuovamente i canini affilati che mi ricordarono in quel momento qualcosa che credevo avessi sognato: nelle notti precedenti si era nutrito di me. Il pensiero durò pochi istanti, lui fu subito su di me, avvicinando il viso sul mio collo nudo. Sentii la punta aguzza dei canini penetrare la carne, le sue braccia stringevano saldamente le mie spalle. In quell’istante percepii chiaramente il fluire del sangue dalle mie vene alla sua bocca, mentre mi facevo via via più debole…le mie membra intorpidite non avevano più la forza di reagire ai comandi che il mio cervello inviava loro invano, un velo oscuro scese sui miei occhi nell’istante in cui Domingo, che intanto aveva smesso di bere da me, si morse il poso fino a farlo sanguinare. Portò il suo polso alle mie labbra, il sapore del suo sangue bruciava come fuoco nella mia gola, avevo sete…come se per tutta la mia esistenza mortale non avessi mai bevuto. Riaprii gli occhi. Guardai mio padre e poi l’area circostante con i miei nuovi occhi di vampiro, gli altri stavano facendo con i due giovani la medesima cosa che Domingo aveva fatto a me. Comunque non ebbi il tempo di vedere abbastanza. Mio padre cominciò a picchiarmi selvaggiamente, una serie di calci e pugni che mi parve infinita, soffrivo terribilmente per i suoi colpi e per la sete. Ben presto caddi per terra in stato di semincoscienza, mi sentii trascinare per qualche metro quindi venni gettata in una delle fosse e ricoperta con la terra umida. Il sangue di mio padre provocò in me strane e spaventose visioni, ombre scure danzavano davanti ai miei occhi e cercavano di agguantarmi per farmi a pezzi, i movimenti che facevo per scacciarle aprivano man mano un varco nella terra che adesso sembrava secca e dura come cemento. D’un tratto le ombre sparirono lasciando posto ad una visione ancor più terrificante: la creatura che mi ferì mortalmente la notte in cui mio padre mi salvò ora stava di fronte a me, gli occhi gialli bordati di rosso scuro mi guardavano con aria di sfida mentre zanne ed artigli erano protesi verso di me. Con più decisione avanzai scavando la terra, anche se in quel momento ciò che volevo era raggiungere la bestia per farla a pezzi, ma ovviamente non mi rendevo conto che fosse solo una visione. Per me era viva, ed io volevo distruggerla. Quella allucinazione mi diede la forza e la rabbia necessarie per uscire dalla mia prigione di terra, e lei, la visione, c’era ancora…. Vidi mio padre con il corpo del Garou, e con quello che restava delle mie energie mi fiondai contro di lui sferrandogli pugni che però lui non sentì affatto. La visione sparì e per un attimo mi resi conto di aver cercato di uccidere mio padre, il quale intanto aveva ripreso a picchiarmi. Sfinita dalla sete e provata dai pugni di mio padre, caddi svenuta tra l’erba del giardino di Domingo. Sopravvivemmo in due quella notte: l’infante di Estrella de la Vega ed io. L’altro, il prescelto di Victor Mendoza (l’altro Lasombra) restò nelle viscere della terra. Era la notte del 9 di agosto del 1967… Ciò che ricordo è che a risveglio mi trovai al rifugio, come imparai poi a chiamarlo, la casa di Domingo. Li trascorsi tutto il tempo con lui, tra lezioni e chiacchierate. Lui mi parlava sempre di cosa mi avrebbe atteso, che se mi fossi impegnata come lui si aspettava avrei raggiunto ottimi risultati entro breve tempo. Ricordo che una delle prime domande che mi porse fu il perché della mia presenza nel bosco, la notte dell’aggressione da parte del Garou. Non me lo aveva mai chiesto, ed ora che avrei dovuto rispondergli una sorta di esitazione trasparì dal mio sguardo. Raccolsi i pensieri ed ovviamente gli dissi la verità, cioè che stavo tornando a Terragona diretta a villa Ramirez, dove avrei trovato i miei fratelli. Era per loro che stavo tornando a casa. Mio padre strinse gli occhi per un istante, poi mi guardò intensamente chiedendomi se fossi la figlia di Diego e Lucinda Ramirez. Risposi annuendo con convinzione, ma aggiungendo che quello accadeva in vita mortale. Mi guardo approvando le mie parole, quindi mi chiese in che rapporti ero con la mia famiglia. -“Max, quanto contano adesso per te i componenti della famiglia Ramirez?” Le sue parole nascondevano un’ennesima prova, ed essendoci una prova io dovevo superarla il più brillantemente possibile. -“Padre, la tua domanda mi lascia senza parole dalla meraviglia. Vuoi sapere quanto contano per me? Se nutro verso di loro un sentimento di amore, affetto filiale e fraterno? La mia risposta è no…per quanto mi riguarda potrei vederli morire, non alzerei un dito in loro aiuto.” Dopo appena 15 notti il mio carattere, già forte e determinato in vita, divenne più duro e a tratti perfido. Era come se una lama di ghiaccio fosse penetrata nel profondo della mia anima, infondendomi distacco e gelo per tutto ciò che mi circondava, tutto tranne che per mio padre, verso il quale nutrivo, e nutro tuttora, una stima ed un amore profondo che va oltre l’amore inteso dai mortali. -“Hai detto che non li aiuteresti se li vedessi morire….ma se ad ucciderli dovessi essere tu?” Mi osservava come se attendesse da me una risposta ben precisa che in qualche modo era già predefinita nella sua mente. Fu allora che ricordai le parole che mi disse la notte del mio abbraccio, riguardo ai possibili infanti che aveva visionato; tra i vari aggettivi aveva anche detto “poveri in canna”, ed io di certo non lo ero. Ecco cosa voleva, voleva il denaro e le proprietà della mia famiglia. Amava il potere, e mi accorsi di condividere le sue idee. Un progetto balenò nella mia mente in quel momento e prima di rispondere alla sua domanda manifestai il desiderio di raccontargli qualcosa di più sulla mia famiglia. Mio padre acconsentì di buon grado, incrociando le braccia al petto. -“Nacqui a Terragona, il 18 maggio del 1942, seconda di quattro figli, tre maschi ed io. Il mio carattere ribelle mi procurava guai, sempre. Avevo sete di conoscenza, amavo la vita avventurosa. Lo sfarzo della villa in cui abitavo con i miei genitori ed i miei fratelli mi tarpava le ali, io volevo solo viaggiare, conoscere ogni parte del mondo. Studiai molto, prendevo lezioni private, mia madre non voleva che mi si mischiasse con gli altri bambini e ragazzi del paese, nonostante fosse una benefattrice e facesse opere di volontariato. Tra le varie lezioni di geografia, matematica e storia, c’era anche l’odiato insegnante di pianoforte, un uomo viscido che altro non sapeva fare che bacchettarmi le mani. Lo avrei ucciso volentieri…” Mio padre ascoltava attentamente, sorridendo a volte. Non interrompeva né mostrava segni di disinteresse, era concentrato su di me, e questo mi faceva continuare il mio racconto speditamente, arricchendolo di particolari che comunque corrispondevano sempre alla realtà. -“Ad ogni modo, crebbi, il mio corpo mutava di giorno in giorno ed io non volevo, per questo cominciai a indossare delle fasce contenitive, non volevo che si vedessero le forme. Non potendo tagliare i capelli li tenevo sempre legati, come adesso. Volevo assomigliare in tutto e per tutto al maggiore dei miei fratelli, Carlos, al quale tra l’altro somiglio in maniera impressionante. I miei notando questo comportamento si preoccuparono notevolmente, mi fecero visitare più volte, credevano che fossi malata. Ero stanca di quelle continue invasioni nella mia vita privata, così una notte partii, lasciando una lettera a Carlos dove dicevo di essermi stancata di fare la ragazza per bene, e che non sarei tornata tanto presto. Avevo 18 anni, abbastanza denaro per non morire di fame ed una inesauribile energia. So che mi cercarono ovunque, ma io sparii dalla provincia. Viaggiai per l’Europa lavorando per mantenermi l’affitto e per pagarmi i viaggi, mi piaceva quella vita, più volte rischiai la pelle ma avevo sempre un’idea per tirarmi fuori dai guai in modo più o meno pulito… Per 7 anni circa girovagai senza meta precisa, un giorno però mi imbattei in un giovane che mi ricordò mio fratello Carlos, la nostalgia dei miei fratelli cominciò a scavare dentro, ed ecco che la poca sensibilità che avevo mi suggerì di tornare almeno per vederli. Come ben sai non riuscii a vederli. E adesso ho una proposta da farti.” Domingo mi guardò corrugando la fronte, non si aspettava di certo una proposta da me, mi esortò a parlare, così gli comunicai il piano per impossessarmi delle ricchezze di famiglia. -“Gli unici eredi della famiglia Ramirez siamo noi figli, non ci sono nipoti, né altri parenti pronti a fare da avvoltoi, credo che l’unico modo per avere la totalità dei beni è uccidere tutti, Diego, Lucinda e i loro figli. Per farlo tornerò a Villa Ramirez, nelle prossime notti, mi fingerò malata di una strana febbre che mi impedisce di stare alla luce del sole, farò sbarrare tutto, non correrò alcun rischio, e di notte, quando tutti saranno addormentati, li ucciderò. Ma non tutti insieme, per non destare sospetti, ma uno alla volta. Comincerò con i più deboli, i figli pi piccoli. Loro si fidavano di me, mi vedevano come un modello da imitare, se andrò nelle loro stanze non correrò alcun rischio.” Domingo era stupito, in modo positivo ovviamente. Il piano gli piaceva, era d’accordo con me su tutto, tranne che per il fatto di dover fare ritorno alla Villa. Pensava che avrei corso il rischio di morire bruciata dalla luce del sole, se qualche medico di campagna avesse richiesto l’esposizione ai “benefici” raggi dell’astro diurno. Ed in effetti non aveva tutti i torti. Però io ero sicura di non correre rischi, avrebbero fatto tutto ciò che chiedevo, in fin dei conti erano 7 anni che non mi vedevano, e per il mio bene avrebbero fatto qualunque cosa… Il piano ovviamente riuscì alla perfezione, nel giro di un mese 5 bare vennero portate via da Villa Ramirez. “Febbre Indigena” dicevano gli abitanti di Terragona, e mentre io ero guarita restando con lo strascico dell’intolleranza al sole, tutti i componenti della mia famiglia perirono malamente. Tutti tranne Carlos, che fu dato per disperso in mare due anni prima. Non essendoci altri eredi, l’immensa fortuna di Diego e Lucinda Ramirez passò nelle mie mani, e quindi in quelle di Domingo, che amministrò ogni cosa con l’aiuto di un notaio di fiducia…. Questa è solo parte della mia storia, si ferma infatti nell’anno 1967. E questo, in effetti, è solo l’inizio….
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Bambozzo Lord
13/09/2003 17:00
 
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quei 5 lunghissimi poemi che ho trascritto sono il diario di alcuni personaggi del clan malkavian
auguri...

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Bambozzo Lord
13/09/2003 17:03
 
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qualche volta tocca spezzare la lettura
[SM=g27834]

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Bambozzo Lord
13/09/2003 17:08
 
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Nel bosco... (parte 6) per mano di Charles de la Pluie
Ti vedo, silenziosa, in ginocchio ai piedi di un albero...Vorrei toccarti, parlarti...dare sollievo alle tue pene ed al tuo dolore, ma non posso...Con la mano carezzi lievemente la mia immagine fissa su quella fredda lapide...piangi sul mio grigio giaciglio...Coperta dal tuo nero velo che ti nasconde il viso, aspetti il passar dei giorni, il susseguirsi delle ore...nel bosco... Charles de la Pluie

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Bambozzo
14/09/2003 00:26
 
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Secondo me ci mancava questo bel simbolino dorato...[SM=x120076]
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Bambozzo
14/09/2003 00:29
 
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Nome:Vasantasena
Sire: Sconosciuto

Abbraccio:sconosciuto

Generazione:VIII (?)

Schieramento:Sabbat

Il nome di Vasantasena risuona nelle grigie aule della Camarilla sempre accompagnato da un sentimento di timore e frustrazione insieme: timore per il grande potere di questa Cainita, ora al servizio del Sabbat, e frustrazione perché senza il contributo fondamentale della Malkava la Camarilla non sarebbe mai nata. La leggenda che la circonda narra che in vita fosse una principessa Indiana, abbracciata da un valoroso Vampiro. I due divennero inseparabili per secoli, ed assieme giunsero in Europa, durante l'Inquisizione. Il loro impegno fu determinante nella nascita della Camarilla, e nell'ingresso del Clan Malkavo nella Setta, ma presto Vasantasena iniziò a dubitare della sua scelta, ed assieme ad un manipolo di anarchici andò a costituire uno dei nuclei fondamentali del Sabbat. Fu grazie alla sua conoscenza delle tattiche belliche della Camarilla che il Sabbat poté sopravvivere fino ad oggi. Ormai da moltissime decadi la Cainita non si fa più vedere dai suoi Fratelli del Sabbat, forse a causa del grande timore che nutre verso gli Antidiluviani, e da questa sua assenza sono nate molte leggende, come quella che abbia un livello di Auspex talmente elevato da poter vedere tutto ciò che accade nella Setta.


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18/11/2003 16:34
 
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vorrei fare questo post per tenere in piena luce il nostro topic, quello più bello e fantastico...
ahahaahahahahahah
[SM=g27828] [SM=g27828]

ARGHHHHHHHHH[SM=x120092]

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