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Il primo verso dell’album descrive una scena domestica in camera da letto: una battaglia dei cuscini. Le piume in sospensione nell’aria come pollini primaverili portatori di starnuti, riempiono la stanza.
“La lotta dei cuscini
senza sonno che spiumano,
che fanno zampilli di pollini che pullulano
aggressivi, irsuti, istigatori di starnuti.”
Con la stessa mollezza del cuscino, lei si scambia effusioni amorose con il suo avversario, sembrando lei stessa, nell’ozio domestico, un cuscino schiantato contro un altro. Il materasso è il loro campo di battaglia. In piedi su un letto per non sprofondare lei è costretta a tenersi sui talloni muovendosi come se pigiasse l’uva con i piedi. Il materasso forse fatto di schiuma sintetica, è la spuma delle acque da cui sorge venere.
"Così tu te la spassi amoreggiando,
e te la prendi comoda,
con morbida ovvietà,
sembrando tu un guanciale
contro un altro che t'assale,
il tutto in una schiuma,
che coi talloni monti come l'uva."
Il letto si disfa e lei vorrebbe sdraiarsi. La trapunta con ornamenti bucolici e floreali di colore verde vegetale come il muschio che cresce in masse compatte e soffici; è inutilmente rimboccata perché viene calpestata ed il letto disfatto. La sincera banalità domestica e la passione si sbriciolano sul letto come una grossa cialda arrotolata che ricorda il cumulo di una pesante coperta imbottita di piume. E anche lei, che stando in piedi si è stancata, vorrebbe crollare giù come un edificio regale sul letto disfatto, per riposare:
“E come un muschio domestico stampato e
quanto inutilmente rimboccato.
Questo composto di onesta futilità
mista a passione come un cialdone si sfa;
sulle rovine, vorresti forse anche tu
in bricioline come una reggia andar giù.”
Il titolo di questo brano appare piuttosto enigmatico e difficile da mettere in relazione con il testo.
Nel secondo verso dell'album compare già l’amore, una parola vistosamente evitata da tutti i testi del disco precedente, mentre in questa nuova raccolta di testi, risuona la banale superficialità della quotidiana vita amorosa.
Le possibili interpretazioni del titolo vanno dall’innocente e lieve ferirsi con una punta acuminata, cogliendo magari una rosa; al significato inquietante del gergo della tossicodipendenza, di iniettarsi in vena una sostanza stupefacente; oppure, al senso figurato di addolorarsi per delle parole che feriscono l’amor proprio, offendono i propri sentimenti: il peso della parola d’amore e le ferite dell’animo.
“Tu non ti pungi più,
e la vaghezza non osa
vai molto oltre, tanto poi ti raggiungi.
Impenni una montagna solidale
e nel suo fianco falle, falle rudimentali,
aperte come portali
per i tuoi puntuali
appuntamenti molto occasionali.”
Nel linguaggio poetico, la vaghezza esprime il desiderio ed il diletto, piuttosto che l’essere indeterminato ed incerto del linguaggio comune. È il desiderio di lei a non osare, rimanendo inespresso? Lei che lotta con i cuscini, va tuttavia oltre questo imbarazzo impennando una montagna solidale: non si punge più, non ferisce più se stessa ma penetra in essa, nella montagna, come nella carne con una cosa acuminata, aprendosi in essa un varco e raggiungendo se stessa, attuando il proprio desiderio rimasto inespresso:
come nelle navi una fenditura che si apre nella parte immersa della carena ne provoca l’allagamento così lei apre una porta monumentale in una metaforica montagna; riveste di penne, ricopre di piume, una persona di corporatura massiccia che è solidale nel senso di essere concorde con lei nel modo di pensare, di sentire o di agire; pronto a condividerne gli impegni e le responsabilità: il suo compagno, dunque. E' in lui, come una spina nel fianco che costituisce motivo di cruccio e di ansia, che lei provoca uno squarcio rudimentale, una fenditura non evoluta ma aperta come una porta monumentale di chiesa o di palazzo: una falla nel ventre di una nave.
Una ferita derivante forse dalla confessione di un tradimento, di incontri fissati in luoghi e orari stabiliti, in modo tanto preciso e scrupoloso quanto non voluto ne cercato di proposito ma fortuito e casuale.
Ma poi qualcosa accade nel letto. C’è qualcosa che si ingrossa sulla pianura di lenzuola e di coperte. La sagoma delle gambe piegate e dei corpi sotto le coperte simulano un paesaggio montagnoso con i rispettivi avvallamenti.
“E la pianura s'ingrossa
fra la cresta e la fossa,
tu non ti pungi più,
l'erba enorme cavalca
bianca e verde cobalto,
prendendo al volo forme di caduta e di salto,”
Tra il rilievo montuoso e l’avvallamento lei non si punge più, mentre ai piedi della montagna solidale qualcosa si agita e si ingrossa tra i colori del bianco e del verde cobalto .
La sommità spumeggiante di un’onda di un mare verde cobalto, deve il suo nome all’analogia con la linea di congiunzione di due opposti versanti montuosi. Ma bisognerebbe forse piuttosto intendere la cresta come l’escrescenza carnosa, dentellata e rossa, dritta o pendente, del capo degli uccelli maschi? Dunque tra la cresta e la fossa, tra la sommità e la cavità naturale del terreno, oppure tra l’escrescenza carnosa e l’incavo qualsiasi di una struttura anatomica; il manto erboso di una trapunta dal colore del muschio, inutilmente rimboccata perché disfatta dallo scuotimento di una cavalcata, prende la forma di caduta e di salto.
Come in un amplesso, sul letto si scatena il tumulto di una possessione sessuale finché lei al termine chiude gli occhi e si addormenta? È questo il desiderio inespresso che si attua, lei che raggiunge se stessa?
“infine dorme
come un binocolo nella custodia
la tua vista.”
Stremata dalla lotta lei chiude gli occhi e inizia a dormire. Se in sogno, il ricordo di una persona amata dovesse comparirle, questa apparizione farebbe di lei il contenente indorato di questa immagine, così come una cornice dorata contiene la figura maschile di un santo. Come il fumetto del pensiero che incorona il contenuto di questo, così lei, sognando diventerebbe cornice per una immagine come quelle dei santi o delle persone care defunte riprodotte su cartoncino, poiché ad essere indorata è solitamente una cornice.
“Se un santino
ti visita e t'indora,
ma rimandando a poi,
perché dilegua,
tu, perché ti accora,
canonica lo fai
languire prima
e mormori un oramai
come una preghierina.”
Se fosse il ricordo di un amante a visitarla in un sogno mentre lei giace nel letto con il suo attuale compagno? Lei, infedele e cor|ni|fi|ca|tri|ce , di fronte a quella immagine destinata a sparire dileguandosi, perché sognata, forse si accora e si affligge dal rimorso ma conformemente ad una schema, ad una regola esemplare che è una norma comportamentale consolidata, lo fa indebolirsi e perdere di vigore prima che sia troppo tardi, ed esclama silenziosamente fra sé e sé un supplichevole «oramai». Lo prega di sparire respingendo quella immagine in se stessa e reprimendola.
“Oramai, ora cosa, ora che:
perso per perso ohimè.
Candida o perversa
che non ti pungi più,
raccolta o dissipata,
esausta o fresca fresca,
quasi niente per niente
pungente pungente,
ma rizzi e doni quel barbaglio alla Luna.”
A questo punto, adesso che la storia con quell’uomo è ormai persa e passata, non le resta che il ricordo del quale vorrebbe disfarsi per poter dormire serena con il suo attuale compagno. Così a letto con il suo uomo lei è al contempo pura e corrotta, contenuta e dissoluta, stanca e in forze, fresca come una rosa che non punge più se stessa. Divisa tra il presente ed il passato. Nel sonno alza gli occhi al cielo e dona alla luna come una invocazione agli dei, un guizzo luminoso. Alla luna che brilla di luce riflessa, luogo comune e onirico di regione fantastica in cui la mente si rifugia perdendo il contatto con la realtà, ella rimanda un bagliore luminoso (avere la testa sulla luna...).
Esternamente, però lei rimane statica, si trattiene restando immobile in un atteggiamento del corpo artificiale perché il suo sonno è tormentato ma non vuole darlo a vedere al suo compagno ignaro e dormiente, ridotto ad animale feroce per via delle corna, l’attributo di chi è tradito dal proprio partner.
“Questo è quanto.
Con una belva accanto,
è questo il modo in cui
fai la morosa:
assumi pose inesplose,
e non ti pungi più,
non fai più la raccolta
d'incanti ardenti ed arsi.”
È questo il modo in cui lei recita la parte della donna amata. Nel talamo nuziale, il sogno turba il suo sonno e lei non si punge più. Non si punge per svegliarsi dal sogno, per accertare con un pizzicotto se è desta o sognatrice; o, al contrario, non si punge più come con il fuso della strega che, nella favola La bella addormentata, addormentò Rosaspina, costringendola a sognare per cento anni?
La cessazione del pungersi ha come risvolto quello di smettere di collezionare incontri sentimentali, fascinosi e seducenti, con persone incantevoli del presente e del passato.
“Una vela è un sottile perché,
un avvilito ohimè,
e non si dorme bene
ché lune piene
tutte beate, mutevoli e brune,
tutte toccanti.”
Come un santino, o un Jack di cuori, l’immagine dell’amante, il ricordo della sua figura, che le fa visita in sogno, è portatore di dubbio e di sconforto. La vela è la carta da gioco che nella Teresina (una variante del Poker) viene messa al centro del tavolo e scoperta all’ultima mano. Il luogo di incontro tra la carta da gioco ed il santino è il tarocco, e nei tarocchi la luna indica delle difficoltà legate a conflitti interiori.
Comunque, questa visione onirica suscita un turbamento assimilabile al disturbo del sonno indotto dalla luna. Le lune piene non lasciano dormire o, quanto meno, il sonno è meno riposante con la luna piena, che è infatti associata nella credenza popolare ad un risveglio in cui ci si sente più stanchi e affaticati. Lune mutevoli, pienamente felici e al contempo a lutto, come una personalità volubile e facile agli sbalzi d'umore. |