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Congresso CGIL

Ultimo Aggiornamento: 22/01/2002 07:52
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22/01/2002 07:52
 
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Stefano Zuccherini - Liberazione 20/1/2002

Cgil, un congresso senza movimento
"Se non si cambia la pratica sociale, se non si trovano
nuove e inedite forme di unità e mobilitazione, la Cgil
rischia di divenire nei fatti un'associazione di pompe
funebri"

La richiesta di intervento al presidente della Repubblica
fatta da Cgil-Cisl-Uil dimostra la debolezza del loro
impianto e della loro risposta da una parte, e dall'altra
la ricerca di tutela della concertazione e del ruolo
politico, assolto in essa, dal sindacato confederale. La
concertazione, del resto, ha rappresentato il ruolo post-
moderno del sindacalismo confederale italiano che ha
assunto assunto come impossibile per il movimento operaio
il mutamento dei rapporti sociali nel conflitto di classe.
Di fronte alla globalizzazione economica, a nuovi modi di
produzione, il sindacalismo confederale ha dichiarato la
fine di ogni possibile cambiamento radicale ed ha adeguato
la sua pratica sociale a questo scegliendo così una precisa
delimitazione del suo ruolo e della sua influenza nella
società. A questa delimitazione, oggi evidente, cerca di
rispondere prendendo la scorciatoia della diretta
rappresentanza politica, magari attraverso la forma della
fondazione, invece che indagare e praticare le
ricomposizione di classe attraverso la propria piattaforma
sociale. Ci ha provato D'Antoni. Ora è la volta della Cgil
con i progetti della fondazione Di Vittorio e le risorse
dell'organizzazione. Eppure la concertazione è caduta da
destra, Confindustria vuole tutto: l'abolizione
dell'articolo 18, la fine del Cnnl, il ridimensionamento
drastico del sistema pensionistico pubblico e dei suo
rendimenti. Tanto da far dire al presidente dell'Inps che
se passassero gli sgravi contributivi proposti, sarebbe in
forse il pagamento delle pensioni correnti. E trova,
Confindustria, nel governo, nei contenuti del libro bianco,
nelle deleghe gli strumenti di un attacco definitivo al
lavoro e ai diritti in esso conquistati. Ad un attacco così
la risposta di Cgil, Cisl, Uil è flebile. Senza una
piattaforma discussa e condivisa dai lavoratori con
profonde divaricazione tra sindacati sul modello
contrattuale, sulla ridistribuzione, sul modello di Stato
sociale, sulla democrazia nei luoghi di lavoro; flebile
perché appunto rivendica la concertazione come elemento
costituente della transizione italiana. E' così debole la
risposta che si rischia così di disarmare il movimento
invece che attrezzarlo per una lotta di lungo respiro. C'è,
però, un movimento di lotta, sul piano sociale, che vede la
riduzione degli spazi di democrazia che hanno accompagnato
l'affermarsi della globalizzazione e del suo nuovo modello
produttivo e risponde con la radicalità dell'istanza
democratica di base e con la sua pratica di forme
collettive per superare i meccanismi di dominio presenti.
Un movimento che individua nella guerra attuale una fase
ulteriore della globalizzazione e di un nuovo assetto dei
poteri, dei rapporti tra nord e sud del mondo, dei rapporti
di forza tra lavoro e capitale. E questo movimento si è
sedimentato e cresce all'esterno della Cgil, anzi, ne mette
in discussione, da sinistra, la sua pratica sociale. E
proprio per l'esistenza e la crescita del movimento è
necessaria una rottura radicale nella Cgil. Del resto non
lo ha già fatto la Fiom? La Fiom con lo sciopero, con il
più classico dei conflitti tra capitale e il lavoro, ha
nella pratica indicato un'altra strada cogliendo l'istanza
di democrazia di una nuova classe operaia, investendo le
questioni della redistribuzione sociale, della ricchezza e
del potere nei luoghi di lavoro. Nelle scorse settimane,
nel corso dei suoi congressi di base, era sembrato
possibile che la Cgil modificasse radicalmente la sua
politica. La sinistra sindacale interna, pure in condizioni
difficili, ha ottenuto un buon risultato, cerca il 20% e
50mila voti in più rispetto all'ultimo congresso. Oltre
alle capacità organizzative delle compagne e dei compagni,
il successo della sinistra sindacale in Cgil si può
spiegare anche con l'insufficienza delle politiche e
dell'impianto rivendicativo del sindacato confederale. E'
per un'altra linea rivendicativa che nelle fabbriche, negli
uffici, nelle leghe dei pensionati, nei servizi,
lavoratrici e lavoratori si sono schierati. I contenuti del
documento della sinistra sindacale erano netti sulla
politica salariale, sulla ricollocazione sociale del
sindacato, nella difesa del diritto di sciopero tanto da
far apparire il documento della maggioranza, che
rivendicava la concertazione, alieno dalle reali condizioni
materiali di lavoro e di non lavoro. Ora che però, finiti i
congressi di base, il congresso investe i ceti sindacali,
le migliaia di tempi pieni nelle categorie, nella
confederazione, quel 20% e la sua carica di radicale
critica alla gestione sindacale degli ultimi anni sembra
spegnersi, annacquarsi nella mediazione per definire gruppi
dirigenti che condividono sostanzialmente non tanto
l'impianto rivendicativo della Cgil, quanto il suo dare
vita ad una fondazione come autonoma capacità
dell'organizzazione di stare nel quadro politico del
centrosinistra e del bipolarismo. L'altro ieri
"Liberazione" ha pubblicato la lettera della segreteria
regionale Cgil Lombardia. Realtà significativa, per
iscritti, per tessuto produttivo, per dinamiche socio
economiche. E' giusto dare una risposta. Personalmente
ritengo che il punto centrale dell'iniziativa politica dei
militanti di Rifondazione comunista debba essere la
mobilitazione per lo sciopero generale che rompa con la
concertazione e apra un'altra fase del nuovo sindacato
confederale. Nessuna interferenza nell'autonomia del
sindacato ma, invece, dobbiamo assolvere a una funzione di
partito, a un compito politico, quello, cioè, di mantenere
aperta l'autonomia dei soggetti sociali e mantenere le
condizioni per il difficile lavoro di ricomposizione del
soggetto della trasformazione che, oggi, lo spirito
concertativo del sindacato confederale vuole isolare perché
mette radicalmente in discussione le sue politiche sociali.
Non ci sono ragioni di partito nel giudizio sulla
conclusione del congresso della Lombardia. Prendo atto che
le nostre ragioni di partito, vive nella società, che
conquistano spazi di influenza, trovano sorda la Cgil. Ma
non è questo il punto. Il punto è il ruolo del sindacato
nella società italiana e la forma sindacato confederale che
sembra oggi incapace di connettere condizione operaia e
movimento di lotta contro la globalizzazione. Il punto è il
ruolo nel quadro politico assunto dalla Cgil anche nella
definizione del suo congresso a ridosso di quello Ds per
influenzarne l'andamento, e l'esito è noto. Il punto è che
se non si cambia la pratica sociale, se non si trovano
nuove e inedite forme di unità e mobilitazione, la Cgil
rischia oggettivamente, schiacciata come è nel rapporto con
Cisl e Uil, e tra la linea dei Ds che chiede al sindacato
confederale di essere un interlocutore unico, di divenire
nei fatti un'associazione di pompe funebri, nel senso che
può impedire per un lungo periodo di tempo la ripresa e lo
sviluppo del conflitto di classe. Per questo è
incomprensibile come si dia già per scontato che il
congresso finirà in modo unitario indipendentemente dai
contenuti a cui approderà. C'è un solo motivo tutto interno
alla Cgil e questo si per "ragioni di partito", perché
diversamente una rottura manterrebbe aperta la possibilità
che il movimento incontri il sindacato confederale e ne
richieda il cambiamento delle sue rivendicazioni. So bene
che l'approdo scelto dalla maggioranza della Cgil è
condiviso anche da parte della sinistra sindacale, anche da
compagni con la tessera di Rifondazione comunista, ma
questo percorso è sbagliato politicamente non per il nostro
partito, ma per il movimento e per le sue capacità di
lotta, alle quali qualsiasi sinistra che vuole cambiare i
rapporti gerarchici di produzione, non può rinunciare.


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