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Racconto: Felicità Nella Schiavitù

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2004 15:37
01/09/2004 17:39
 
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Dopo storiaccie pulp puzzolenti e neurodeliri, ecco un qualcosa dal linguaggio un pò più barocco... è l'inizio di una trilogia.
Enjoy !!!!!!
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(TRATTO DA "DIGITALE PURPUREA" DI GIOVANNI PASCOLI)

Tutta la mia vita è percezione. Non posso trascendere dai miei sensi. Non posso vivere al di fuori della mia intima essenza.
Tento di modellare il mondo circostante nella speranza di conciliare l’eterna contraddizione tra ciò che sta dentro e ciò che sta al di fuori di me. Solo questo desiderio, intimo e irrefrenabile, mi spinge a sopravvivere.
Come un animale, bestia vestita Armani, posso dare la caccia solamente alle mie ombre, ai miei desideri; tutto il resto è ipocrisia.


I)
Siedono.
Lei, seducente al pari della madre in gioventù, piange con le mani sul viso pallido. Il trucco le cola dagli occhi, conferisce al volto la parvenza di un teschio.
La sua bellezza sfigurata riluce di una sottile malizia, una perversa seduttività: il fascino ingenuo e ambiguo che l’ha sempre caratterizzata fin dall’infanzia.
Lui, sgraziato e incolto, la fissa con occhi ottusi e ferali. In un’epoca in cui un bell’aspetto si può facilmente ottenere con trattamenti e centri estetici, c’è qualcosa di emblematico nella sua bruttezza.
Il volto tratteggiato da lineamenti squadrati e violenti, il sorriso tremante simile ad un taglio su una tela bianca.
Gli occhi lucidi perforano il corpo di lei come chiodi, uno sguardo gonfio di amore e odio, segnato da un rancore grezzo che gronda dalle sue occhiaie e dalla sua fronte bassa.
Aveva perso il sonno decine di anni prima, nella notte in cui tutto iniziò. Aveva perso il futuro e dimenticato il passato, quella notte. Aveva avuto inizio un lungo purgatorio, fatto di angoscia ed eccessi, che aveva stravolto la sua vita.
La sua maglia bianca è intrisa di sangue, come pure le mani e il volto.
“Perché sei tornato proprio adesso?” mormora lei, sommessa, singhiozzando piano.
“In prigione.” risponde lui “In prigione ho avuto tanto, tanto tempo per pensare. Pensare al motivo per cui ci ero finito.”
Lei rimane in silenzio, fissandolo negli occhi brutali.
“Scusa. Ti chiedo scusa. Non riuscivo…” continua lui. “Non riuscivo a ricordare... ho passato tutta la vita ad inseguire i miei… sogni. E li prendevo come naturali, non riuscivo a capirli… non volevo capirli. E le bambine amavano ciò che facevamo. Si sentivano come se qualcuno avesse bisogno di loro. Erano loro a chiedere il mio amore. Le bamine amavano…”
“…gli abusi. E’ questo che amavano, vero? Perché non riesci a… lasciar perdere. Lasciare che il passato rimanga morto e sepolto.” disse lei freddamente “Sei mio fratello… non puoi chiedermi di giustificare quello che hai fatto.”
Lui si accese una sigaretta, e gli anelli di fumo dalla sua bocca disegnarono un percorso casuale. Una lunga pausa in silenzio avvolse entrambi.
“Io ricordo, adesso. Ricordo quando eravamo giovani, ricordo tutte le lacrime.” proseguì lui “Ricordo mamma. E ricordo pure che taceva, pur essendo a conoscenza di tutto. E ricordo papà…”
Il silenzio cala più pesante di prima, interrotto solo da ronzio di una zanzara estiva, che, librandosi in volo dal tavolo a cui sono seduti i due, percorre freneticamente la cucina, spiraleggiando tra le sedie e giungendo oltre la porta, in salotto.
Si posa su un corpo, steso al suolo. Un cinquantenne giace riverso in una pozza di sangue. Il suo cranio sfondato lascia grondare ottusi grumi di materia grigia, gli organi interni schiacciati fanno capolino dalle ferite all’addome. Le ossa frantumate fuoriescono dalle braccia dilaniate e dal torace spappolato.
Affianco a lui, un martello incrostato di sangue.

II)
Vedono.
Davanti ai loro occhi compare la villa fiorita della loro infanzia. La madre stende i panni, loro giocano in giardino. Ed ecco che papà torna dal lavoro, oltrepassando il cancello e percorrendo il vialetto.
Tornando indietro con la memoria, solo ora si rendono conto di quanto (stupidi) lo amassero.
Lui era come un cavaliere delle storie che leggevano, era l’eroe della famiglia (perché? PERCHE’ !?!?!).
Lui arrivava, pieno di affetto. Portava loro regali e li accarezzava con le sue mani grandi e possenti. E loro lo amavano come se nient’altro esistesse (stupidi).
Non potevano capire le sue menzogne (erano solo dei bambini). Non potevano sapere che le sue parole erano striscianti come serpenti.
“Facciamo un gioco… (Sono il vostro paparino)”
Si, giochiamo, papà. Oh, papà, quanto ti amiamo.
“Che bei bambini !!! (Leccherò la vostra carne)”
Siamo belli, si, siamo proprio come te.
“Come siete dolci !!! (Lasciate che vi ami)”
Questo è il tuo nido, papà. Tuoi figli. Siamo tuoi figli.
Ed entrambi ricordano quanto male faceva. La notte scorreva infinita, sotto lo sguardo accusatore di una madre che si limitava ad osservare.
E papà dava loro amore.
Loro si sentivano in colpa. “Siete cattivi, siete sporchi” continuava a dire la madre. Quando i latrati del padre si spegnevano nel silenzio, era come se un pezzettino della loro anima fosse stato divorato.
E passavano le giornate a piangere e ad urlare. Nessuno li avrebbe ascoltati.
Era tutta colpa loro, diceva la madre. Se papà era così, era solo colpa loro.
Ma non capivano, non potevano capire. In fondo, papà voleva loro amarli.

III)
Le sirene della polizia urlano nella notte. Sono vicine, pensa lui, scrutando la strada dalla finestra.
“Ed ora, stupido, ributtante ammasso di carne…” sussurra al cadavere “ed ora che sei solo un patetico cumulo di organi… Mi hai amato. Oh, Dio. Anch’io ti ho amato. E tu mi hai... Ero solo un bambino. Non potevo capire. Tutto il mio odio, tutto il mio dolore… la mia innocenza è andata perduta perché ti ho amato. Ero un bravo bambino… mi sentivo sporco.... ero un bambino.... che bambino buono, dicevi..... SCOPATO !!! Tuo figlio... ti odio. Figlio di puttana ti odio ti odio ti odio… MI HAI ROVINATO LA VITA !!! Volevo morire…”
Lui si asciuga le lacrime e riprende fiato, scosso da violenti tremiti. Bacia la sorella, ed esce dalla porta. Sorride, mentre gli agenti di polizia lo ammanettano e lo caricano sulla volante.
Già riesce a percepire il gusto del suo futuro: il nodo che fin da bambino aveva allo stomaco si è sciolto.
“Non pensavo che la strada per uscire dall’infanzia fosse così dolorosa…” ancora mormora a se stesso.

In un mondo in cui la tecnologia ha esteso i sensi e le menti, le nostre segrete pulsioni appaiono mistificate, filtrate.
Abbiamo così tanti giocattoli di sterminio e raffinati metodi d’abuso per nasconderci dietro le sovrastrutture della società. Nonostante questo, il desiderio di dilaniare la carne intimamente, con denti e artigli, non è affatto scomparso.
E’ supremo.





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"L'informazione è un arma. Dammi la giusta informazione al giusto momento e farò saltare le rotule al mondo."

[Modificato da Squarepusher 01/09/2004 17.42]

21/09/2004 15:37
 
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“Chi guarda nell’Abisso è chiamato dall’Abisso.”
-Friedrich Nietzsche

Non potevo dormire.
Mi svegliavo nel cuore della notte, terrorizzato. Stritolato tra pareti nere, sarcastiche, beffarde. Ne sentivo ancora il sapore, il loro battito che riecheggiava nelle sale vuote della mia mente.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte. Sogni di carne, sogni vividi, più veri, più tangibili della stessa realtà. La soglia tra veglia e sonno intrisa di sangue come il filo di un rasoio.
Se è vero che ogni giorno facciamo del male a chi ci circonda, c’è da chiedersi quante siano vittime per inevitabile destino, e quante altre per le nostre morbose debolezze. Ed è per mia debolezza che sono costretto a liberarmi dei miei demoni per porgerveli in dono. Raccontare storie, cosicché il fardello della mia angoscia gravi sulle vostre spalle.
Da me a voi. Il dono più grande.

a) Le Strategie
Lontano dalla luce. L’Ombra è scossa da brividi quando il Sole risplende su di lei. Il desiderio per le tenebre, l’amore per l’incoscienza e il nero, la concupiscenza, l’oblio, sono i motori primi della sua illusoria esistenza. Una vita di menzogne. Una vita di cecità. Una vita di cui sono parte.
Non devo dormire. Non posso dormire.
Lasciare il mondo della veglia, nella mia attuale condizione, comporterebbe necessariamente un viaggio a ritroso nelle nebbie del mio passato. Ombre proiettate sul fango dalla mia paura, fantasie cancellate, sogni rivelatori. Si, perché i sogni determinano uno squarcio nelle tenebre, la consapevolezza celata. Cancellata.
L’Ombra ama tutto questo.
Dalla finestra della mia camera osservo la notte più nera, ogni giorno maggiormente opprimente e mistificatoria, in cui veglia e sonno sono sottilmente intrecciate. Così mi ritrovo a battere su questi tasti, nel tentativo di esorcizzare una fobia atavica, un fantasma del passato che rifiuta l’oblio.
Dalla finestra della mia camera, il mondo esterno è sempre più vago e sfumato, e fioccano percezioni ingannevoli, miraggi, distorsioni visive.
Il folle ama ingannare se stesso.
Ma lo fa con piccole rivelazioni.
Con la coda dell’occhio, riesco, come un gatto, a percepire il buio, e la boscaglia che si erge minacciosa oltre la finestra sogghigna impercettibilmente, mi scruta con sottile sarcasmo.
Manichini impiccati penzolano dai rami contorti dei suoi alberi. O forse no. Forse non ha alcuna importanza.
La foresta mi guarda e sorride, perché sa che il vero tormento non mi è dato dall’esterno. E’ un mondo brutale, la notte, un mondo spettrale e beffardo, ricolmo di odori, suoni nascosti, segreti sepolti. Quanti occhi vogliosi mi spiano dalle sue deliranti architetture?
La selva ride dei miei tremiti e della mia febbricitante agitazione. In un certo qual modo, mi capisce e mi è, se non amica, testimone. Anche lei vede e sente ciò che striscia nella mia casa. Quella casa che dovrebbe essere rifugio e amore. Nel buio del corridoio, quanti sospiri, creature esistenti solo nel diafano confine tra sogno e veglia. Quante ombre mi sfiorano.
Un brivido freddo mi percorre la schiena. Gli occhi sono pesanti come piombo. Non dormo... da quanto? Settimane, forse. Con il sostegno della cocaina, evito la perdizione del sonno, rinchiudo la mia Ombra nei meandri oscuri dell’Inconscio. Mi aspetta tra le fauci di Morfeo.
Ma non vincerà. Non questa volta.
Nonostante il mio stato di veglia forzata, la realtà stessa mi pare sfuggente. Ormai, pur essendo sveglio, temo in ogni istante di essere già sprofondato, involontariamente, nel sonno. Le percezioni sono sempre più contraddittorie ed inquietanti. Sono passi quelli che sento nel corridoio?
Fumo un’ennesima sigaretta, alla finestra. Vedo il mondo esterno così lontano... vorrei raggiungerlo, ma sono chiuso nel carcere psichico delle mie paure.
Le pareti mi si stringono addosso, quasi mi volessero soffocare. Le pareti della mia camera, quelle pareti ostili. Quelle pareti che l’Ombra ha addobbato festosamente con occhi.
Decine di immagini opprimenti che mi scrutano e ridono di me. Ritratti di idoli tramontati, psicopatici, decadenti star. Sono meri riflessi, frammenti dell’Ombra che si manifesta nel mondo della veglia. Vedo le mie sculture, piccole forme biancastre di Das. Osservo la loro perversa e grottesca malizia, la loro anatomia deforme e cinica. Sono anch’esse parte di me. Sono parte della forza che è nata e cresce dentro me come un tumore, contaminando e facendo marcire la purezza. Una forza di puro caos, di puro desiderio, di soddisfacimento carnale, di violenza psichica.
Ho poche difese contro ciò che dentro me è incontrollabile, contro l’Ombra. Urla e stride nei discordanti conflitti della mia mente annichilita dal peso della stanchezza. Ha trovato una voce. Ora vuole un corpo. Vuole liberarsi dal sepolcro d’ipocrisia e finto autocontrollo in cui l’ho reclusa. Una tomba di moralità illusoria e inesistente buonsenso, niente più che una maschera.
Posso solo aspettare l’alba, e sperare che la sua luce dissolva le ombre che mi tormentano. Le notti paiono infinite, il tempo dilatato all’estremo.
Ho scoperto un rimedio al terrore, una sorta di via di fuga. La cocaina mi tiene sveglio, ma le conseguenze sul mio corpo sono inaccettabili. Di giorno risulto spossato, totalmente annichilito. Ho deciso quindi di provare la strada inversa. Consumando dosi sempre crescenti di alcool ed hashish, ho notato con piacere di sprofondare in un coma simile al nero e alla morte. Non sonno nel tradizionale senso del termine, perché privo di sogni, cieco, sordo, muto. Un utero di pietra.
Ogni mattina mi sveglio e vomito, in un continuo stato di nausea. Portando il mio fisico all’estremo livello di sopportazione, ogni notte giunge senza pensieri, senza inquietudini. Dormo sonni profondi, sonni che paiono giardini di pietra. Ma questo non può durare. Le mie memorie sono confuse, la capacità razionale ridotta a zero, paralizzata in un perenne stato di dormiveglia. Tutto questo non può decisamente durare.

b) Le Sconfitte
Il mio avversario sa attendere. Quando sono debole, quando mi nascondo, mi porge una mano, lasciandomi respirare. Mi trascina nel sonno quando sono spossato dalla veglia, mi spinge nella carnalità selvaggia quando bramo un po’ di quiete, ma desidero con ardore il compiacimento del corpo.
Sesso, violenza. La carne ha vari aspetti.
Ho perso innumerevoli battaglie con la mia Ombra.
Nel sonno, ogni cosa è più che reale. Forse è l’unica fisicità che concepisco e da cui voglio fuggire. Nel sonno, sono in balia dell’Ombra. La vedo attorno a me con infinite maschere.
La prima sconfitta avvenne quando ancora non comprendevo la natura della mia nemesi.
Mi svegliai nel mio letto, innanzi a me l’Ombra. Mi schiacciava e mi soffocava. Aveva il volto di mio fratello. Mi agitai, urlai con tutta la voce che avevo, ma nessun suono uscì dalla mia gola. Non avevo bocca per urlare.
La seconda volta che non riuscii a resistere al sonno, fui catapultato in un’amena realtà boschiva. Non appena chiusi gli occhi, nel mio letto, già sentivo le voci dei miei amici, dei miei cari, riecheggiarmi nella testa.
In una lenta e armoniosa dissolvenza incrociata, la mia camera mutò in un piccolo falò acceso in mezzo ad una pineta, dove io e coloro ai quali volevo bene passavamo il tempo tra le solite battute e il solito spirito di abbandono e quiete.
Nel giro di un interrotto battito di cuore, o di un millennio, sentivo già pulsare dentro me il desiderio della carne. Io e una donna senza volto, in una casa sconosciuta, uniti in un bacio, il preludio della danza carnale che non riuscivo a rifiutare. Era selvaggio, puro, senza freni di alcun genere o inibizioni.
Fu in quel momento, quand’ero più debole e vulnerabile, che giunse la mia Ombra. Camminava velocemente e bestialmente, ridendo e ansimando, simile ad un predatore. Negli occhi non gli vedevo rabbia. C’era solo un perverso godimento. Arrivò e mi percosse, mi umiliò, si compiacque nel vedermi mangiare la polvere, spinto al suolo dal suo piede.
Come una stella danzante, una belva scimmiesca, mi trascinò urlante, mi avvolse in un sudario di oscurità, e mille mani mi graffiarono, percossero, violarono. Non distinsi il suo volto, questa volta, ma un oscuro presagio, un presentimento di sventura, mi scosse con brividi al risveglio. Era qualcuno di molto vicino. Forse ero io stesso.
La mia Ombra mi fece capire che era vicino. Non c’era luogo dove potessi nascondermi.
Da quel momento, le notti divennero drasticamente più difficili da tollerare. In ogni ombra si celava un segreto incombente, alle mie spalle sentivo sempre più pesante il suo respiro come una brezza gelida. E la sua presenza.
Ogni specchio, o superficie lucida, mi divenne ostile. Simili a flash discontinui e istantanei, vedevo in essi apparire vaghe forme. Sentivo che l’essenza dell’Ombra mi perseguitava nelle superfici riflettenti. Mi fu sempre più difficile osservare il mio volto riflesso, di notte, perché percepivo alle mie spalle la sua presenza, e mi pareva di coglierne i contorni, come un’eterea e diafana ombra liquida alle mie spalle.
La terza volta che non ressi la stanchezza, egli mi colpì nel vivo, nel nucleo delle mie angosce. La mia Ombra è furba, oculata, squisitamente perversa. In un certo qual modo, iniziavo a stimarla. Solo chi ha dentro di sé il caos può assurgere a tali livelli di genialità. Io stesso non avrei trovato tortura peggiore.
Addormentatomi sul mio fatale letto, mi svegliai dopo un periodo indefinito. Ero stupito di non aver dovuto subire un ennesimo assalto onirico da parte dell’Ombra.
Mi alzai da letto, per accendermi una sigaretta, come mia consuetudine. Per prima cosa, notai che la stanza era troppo luminosa. Pur essendomi addormentato nella totale oscurità, ogni luce era accesa al risveglio.
L’orrore più grande fu quando vidi.
Vidi il ritratto di quando ero ancora un bambino appeso al muro. Era rigonfio e distorto in un ghigno ferale, un orrendo e sadico sorriso di una malvagità che solo i bambini possono avere. Rimasi, terrorizzato, ad osservarla per qualche secondo.
I suoi colori erano incomprensibilmente sbagliati: le tinte pastello erano ora rossi e neri cupi come le bolge infernali, colori che non esistono nella realtà della veglia. Confuso, in preda ad un attacco di panico, tentai di urlare, di distogliere il mio sguardo dall’aberrante ritratto. Vidi che tutte le pareti erano tappezzate con identiche fotografie, e tutte mi osservavano con un’espressione animalesca di odio e vendetta. Nessuna voce usciva dalla mia gola. Come può un uomo essere certo della sua sanità mentale quando non riesce a distinguere il sonno dalla veglia?
Fu allora, sull’orlo del collasso psicologico, che arrivò la mia Ombra, dopo essersi pregustata il mio bruciante tormento.
Ma arrivò in una veste del tutto nuova.
Lo sentivo dentro di me, che controllava le mie azioni. Eravamo due volontà contrastanti che si dibattevano in un unica mente. Vedevo il mio corpo (non era più il mio corpo) tremare e muoversi convulsamente come in una delirante danza tribale. Ormai era vicino. Era troppo vicino.
Mi svegliai di soprassalto, nel panico totale, urlando come un folle. Forse lo ero. Forse lo sono.
Sono stato costretto ad eliminare ogni mia foto o ritratto di quando ero un bambino dalla mia camera. Li ho strappati e bruciati la notte stessa. Non avrei sopportato per un secondo in più la loro presenza.

c) Le Vittorie
Adesso sono qua a scrivere la mia allucinante odissea mentale. Dopo tutto quello che ho passato, tutto quello che ho sofferto, mi sono reso conto che è inutile fuggire, mentire a me stesso, desiderare con ipocrisia un fato banale.
Avvicinandomi allo specchio, osservo dettagliatamente il mio volto. Mi pare così fasullo, irreale.
Studio ogni sua curva, la linea del viso, il mento un po’ troppo pronunciato. Lo tocco, lo sento pienamente in ogni suo minuscolo millimetro. Non mi riconosco. Quello che vedo non sono io. Odio questo volto. Questa maschera.
Afferro un coltello che tengo posato vicino al monitor. Vediamo se la verità può vincere, una volta tanto. Vediamo se le maschere possono, per una volta, essere calate.
Incido con il coltello affianco alla tempia.
Non c’è dolore, e la pelle viene via come un vecchio strato di vernice. Dopo aver inciso la sagoma del viso, lentamente e metodicamente, strappo la maschera che per tutta l’adolescenza ho creduto il mio vero volto. Sorrido. Il sangue tinge il suolo e i miei abiti.
Non riesco a trattenermi. Rido sonoramente, e non c’è verso di fermarmi. Osservo il mio vero volto. Osservo il volto che ho celato affinché fossi accettato nella cosiddetta società.
Davanti a me, riflesso nello specchio, mi sorride, distorto in un ghigno ferale, il volto della mia infanzia perduta, che tanto mi terrorizzò nel mondo onirico. Osservo il suo odio, il suo rancore, il suo animalesco rifiuto della civiltà degli adulti.
Mentre la mia Ombra, fuoriuscita dal suo sepolcro interiore, mi bacia con passione, stringiamo in nostri corpi in una sinuosa danza, una comunione carnale in onore della sessualità e della violenza.
La paura e il tormento sono per sempre sigillati in me.
La vita è una cosa meravigliosa.

Ora dormo sonni profondi e mi risveglio più puro e più forte. Ora il sonno è tornato ad essere un meraviglioso giardino di pietra.
Scaricando su di voi il mio fardello, ho raccontato la mia storia, e la storia del desiderio, perché non c’è modo di scinderle o distinguerle. La volontà egoistica, morbosa, ora ha nome d’uomo, una pelle vellutata, milioni di nervi che si conficcano nella sua carne come orchidee appassite.
Tramite l’illusione, la composizione di menzogne sotto forma di narrazione, ho frantumato la mia identità nelle sue basilari necessità e l’ho ricomposta per riappropriarmi della quiete, strumentalizzando l’artificio dell’estetica. Ditemi, cosa, in realtà, vi ho mostrato?
Ora il mio tormento è vostro.
Con amore, Squarepusher


“La Verità non vince mai, ma i suoi nemici si consumano”
-Kaos One

Nella mia vita, inevitabilmente, giunse il momento in cui l’unica ricerca possibile rimase quella del piacere. Dal piacere scaturì la bellezza.
E’ radicata nella nostra cultura l’identificazione della bellezza con la Verità.
La sua ricerca è obbligata, una coercizione della coscienza. Senza la Verità la vita perderebbe dimensione storica, certezza, svanirebbe il suo fluire.
Ma la Verità può essere brutale, pericolosa.
In genere, ho sempre tentato nascondermi dalle insidie della Verità. Con la fede religiosa, politica, e infine con l’Arte.
Ma, nonostante tutto, mi brama. Il suo richiamo è assordante, non c’è via di fuga.
A quale prezzo sarei disposto ad assumermi un compito così tragico?

L’Ombra attendeva, avvolta da un manto di carne viva, oltre le sfere della luce e del buio. Non era rimasto niente. La sua fame era insaziabile.
I suoi denti aguzzi scintillavano, umidi di saliva, la lingua serpentina vibrava debolmente. Gli occhi, simili a vortici, risucchiavano la luce e la vita, spiando febbrilmente ciò che mollemente giaceva attorno.
Oltre le soglie del sonno vedeva gli uomini e le loro esistenze, le loro frustrazioni, contorcersi e aggrovigliarsi in turbini spiraliformi che sprofondavano verso il nulla.
Il suo mondo era divenuto vuoto, sterile, incorporeo, un’illusione priva di senso e scopo, una farsa che si trascinava attraverso i sogni e le paure degli uomini.
Dentro il suo guscio di apatia, l’Ombra aspettava, sibilava, fremeva al vago odore di un passato ormai concluso, quando il dolore era vivo e bruciava dentro di lei, un fuoco così intenso da spazzare via ogni altro pensiero.
Ricordava il tormento, ricordava l’amore. Ricordava l’angoscia stringerle il cuore, stritolandolo con violenti fremiti di piacere, lame lascive che squarciavano la sua essenza.
Era nauseata dall’ipocrisia, dalla mediocrità dei popoli della veglia. Aveva assaggiato le secrezioni del loro inconscio, succhiando ogni oncia delle loro pulsioni, aveva visto bambine e il grande cazzo dei loro padri, puttane, tossici, sacerdoti.
Cos’era rimasto di tutto questo? Il tormento scacciato dall’abitudine, l’orrore che assurge a normalità, la quotidianità della perversione. La banalità del Male.
Un tempo sibilava oltre la soglia della percezione, sussurrando i suoi desideri dalle fauci di Morfeo, e la sua voce aveva la chiarezza della religione e il peso del rimorso, dava agli uomini ciò di cui avevano bisogno, e la necessità di averne sempre di più.
Ma ora era tutto finito. Le sue parole si disperdevano nel subconscio, sigillate dalle catene della mediocrità. Il suo intero mondo aveva il tanfo della lebbra, della lenta decomposizione. La quiete da cui sfocia la decadenza.
Il fuoco che bruciava adesso è spento.

L’Ombra osservava il mondo oltre la veglia mancare di coesione, divorato dal tumore della banalità, dell’equilibrio, della routine: la forma peggiore di suicidio passivo.
Il suo alter ego, la sua ombra del mondo della veglia, aveva svuotato il suo spirito dell’oscenità, finendo per perdere con essa la purezza. Si era lasciato andare alla sottile tentazione del non essere, chiudendosi in un sepolcro di falsa serenità.
L’Ombra urlò e la sua furia squarciava il mondo oltre la veglia, infrangendo la sua diafana trama onirica. Urlava il suo odio.
Al suo alter ego dava dell’ipocrita. Gli dava dell’idiota. Gli dava del perdente.
Le fiabesche terre della fantasia marcirono e furono corrotte dalla peste, il palazzo di cristallo della ragione si frantumò e fu eroso dalla demenza. I satiri, i fauni, i demoni e gli angeli osservarono con occhi colmi di terrore il loro mondo sgretolarsi, risucchiato nel nero dell’Ombra.
E nessun coniglietto esigerà più il necessario tributo di sangue dalla sua barbuta nemesi, nessun orco grugnirà la sua vittoria sulle carcasse degli umani. Nessuna giovane avrebbe camminato rapita tra i logori resti del suo mondo estinto, accarezzando il proprio ventre colmo d’amore.

Dal suo trono di cenere, l’Ombra ruggiva inumanamente, disperata, e ai suoi piedi i sogni avvizzivano, disperdendosi nel buio.
I suoi arti atrofizzati stringevano gli incubi e le perversioni, e il loro sangue colava al suolo per poi venire inghiottito dall’oblio.
Un torrente d’odio sconvolgeva i resti della sua carne, spingendola oltre il Paradiso e l’Inferno, sibilando il suo disprezzo a quei simulacri di pietra muti e idioti che il suo alter ego chiamò Dei.

L’Ombra giunse nel cuore del suo mondo, dove, sepolto sotto illusioni e bugie, quasi invisibile, giaceva il ritratto di una donna: la sua vita era andata perduta e così il suo ricordo.
Le Verità era sepolta, cancellata, dimenticata.
Sogghignò, e le sue fauci si spalancarono come volesse divorare l’universo.
Sotto masse tumorali e spiriti del passato, dimenticato in un minuscolo anfratto del mondo oltre la veglia, quel ritratto splendeva di rimorso e tormento.
L’Ombra parve cogliere l’ironia della situazione: i filosofi avevano ragione.
La Verità è donna. La Verità è Madre.
L’Ombra rise grottescamente, e i suoi sgraziati ruggiti percorsero ogni angolo oscuro del mondo oltre la veglia, sfregiando come frustate gli abitanti e riconsegnandoli alla realtà e alla vita.
Demoni e angeli e con loro ogni creatura onirica si fecero strada dall’abisso dell’oblio per resuscitare e tornare alla propria normale esistenza.
Sorrideva al ritratto, sputandoci sopra, mentre i regni della fantasia e della ragione si ricostituivano, e i sogni tornavano ad essere agonizzanti prigioni.
I suoi occhi videro il dolore permeare il mondo oltre la veglia, e l’angoscia alimentarlo come benzina sulla fiamma.
Quel fuoco tornò a consumare il suo alter ego, nutrendo l’Ombra e le sue brame parassitiche.
Sedendo sul suo trono di carne tremula, osservava il mondo della veglia, e una nuova luce scintillò nei suoi occhi.
Vide il terrore nel volto dell’alter ego, la sua impossibilità di trovare la quiete, gli occhi lucidi e frenetici implorare pietà, immersi nel buio.
L’Ombra fu percorsa da caldi brividi di piacere.
Le sue fauci erano spalancate.
Il dolore iniziava a strisciarle sottopelle.
Non restava altro che urlare.

Ecco la Verità. Perché non scegliere piuttosto l’illusione? La Verità è tragica. Bisogna difendersi dalla Verità. Abituare gli occhi alla fuga e all’infinito. La memoria svanisce, l’istinto guida ogni azione, in un perenne presente sottomesso agli eccessi.
La cosa più spiacevole del fuggire è che inevitabilmente porti te stesso con te: la Verità è eterna, dicono i filosofi, non si può curare il terrore.


Così finisce la trilogia "Felicità Nella Schiavitù". Anche se, in linea di massima, detesto scrivere con uno stile così "pseudo-intellettuale", per il pubblico si fa questo ed altro...
Fatemi sapere cosa ne pensate !!!!
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