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intervista sul significato del termine "terapia" e sua ricaduta pratica.

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2005 12:00
12/03/2005 12:00
 
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Saggio-intervista sul significato del termine “terapìa” e sulla sua ricaduta pratica
Dr. Carollo M. Oscar
A cura di G. Bianco
Pubblicato su ” sussidiario new “

Vis medicatrix naturae
Ippocrate




Quale è il significato corrente del termine “terapìa”?

Terapia dal greco dal latino THERAPIA e dal greco THERAPEIA con il significato di assistere, curare, guarire, da cui il termine TERAPS, aiutante, compagno, servitore.
Da ciò si deduce che terapista è colui che cura, mentre terapìa è la modalità di cura.

Quale è l’oggetto della terapia?

La questione è dibattuta.
Il pensiero positivista si rivolge al corpo vivente.
Il pensiero realista si rivolge alla persona.
Ambedue trovano il momento della sintesi nella trattazione del problema mente/corpo.

Quale posto ha il concetto di “anima”?

Secondo la visione teologica, spiritualistica e romantica l’anima è un sostantivo.
Secondo la visione materialistica ed illuministica essa è in-esistente, sinonimo di mente, oppure sovrapponibile al concetto di “persona”.

La cura terapeutica si occupa del corpo o di altre entità non definite?

La terapia si occupa de corpo e, per estensione, della mente. Nella visione olistica possiamo dire che la terapia si occupa della persona e delle relazioni col mondo.

Quale importanza ha il farmaco nella terapia ?

Il farmaco, elemento spesso pensato come esaustivo o fondamentale nella cura ,in
realtà riveste un ruolo complementare.
Altri elementi della cura sono l’assistenza, la dietetica, la fisioterapia, la visita medica, la chirurgia, la convalescenza, l’ educazione sanitaria.

Quali significati ha il termine “farmaco”?

Da PHARMACON, medicina, veleno.
Nei tempi antichi il farmaco richiamava immediatamente il concetto di divinità e spiritismo. Non per nulla i primi ospitali, o Asclepion, erano governati da monaci e preti che curavano il corpo anche attraverso visioni evocate proprio con l’uso di farmaci.
Ippocrate, primo medico laico che la storia ricordi, ha ereditato l’arte proprio da questo substrato storico-mitologico che vuole la nascita della medicina dal centauro Chirone, l’immortale, e dal semidio e suo discepolo Asclepio, o Esculapio per i Romani.
Il ricordo simbolico dei fatti narrati e rappresentato dal simbolo della Medicina e della Farmacia. Esso è il caduceo, attorno cui si avviluppa il serpente originale, e sul quale stanno le ali della volontà che ci conduce alla conoscenza, rappresentata dalla luce in capo al caduceo(bastone).

Le origini della medicina ne condizionano lo sviluppo?

Sicuramente lo hanno fatto in passato. Il confronto fra magia nera e magia bianca, fra medici e cerusici, fra università e scuole popolari ma soprattutto fra corpo ecclesiastico e corpo laico non è stato di giovamento allo sviluppo della medicina.
Attualmente essa è libera, ma questa libertà appena conquistata rischia di superare i limiti previsti per il genere umano, in quanto manca quasi totalmente l’autodisciplina e la prudenza di una conoscenza che affonda le sue radici nella storia.

Allora la farmacologia è diversa da come la immaginiamo. Che cosa è utile sapere?

Che la farmacologia, come già detto, abbia origini oscure, empiriche e spesso dannose è cosa nota. Dall’inizio di questo secolo, però, la farmacologia clinica ha cominciato a produrre una quantità crescente di principi attivi, sia semisintetici che sintetici.
Ora la pericolosità stà soprattutto sull’errato dosaggio, sui fenomeni di accumulo e sulla farmacodipendenza indotta.
La cocaina ne è un esempio: nata come farmaco è diventata una droga fuori legge che ha creato illegalità, dipendenza, morti premature. Negli ultimi anni sono cadute sotto processo le benzodiazepine, che hanno causato gravi danni a milioni di pazienti in tutto il mondo.

Quali sono allora i vantaggi della farmacologia chimica?

Sono soprattutto rivolti ai quadri nosologici acuti. Infatti gran parte delle malattie del passato, fino al passato recente , erano dovute a fenomeni carenziali alimentari, sia di origine quantitativa che qualitativa.
Entravano poi in gioco fattori come il clima, la sicurezza, il vizio, le tare genetiche, la prolificità, ecc.
Riqualificando lo stile di vita generale molte malattie sono scomparse da sole, altre sono diventate di facile controllo, mentre gli stati carenziali alimentari non esistono più, attualmente, almeno in Italia.

Quindi possiamo asserire che la farmacologia chimica è abusata, attualmente?

Direi di sì. Ovviamente nessuna casa farmaceutica sosterrà mai un programma di ricerca che tenda a dimostrare questo. Anche i medici sono restii ad ammetterlo, sia per condizionamento culturale, sia per motivi di sopravvivenza professionale.
Questo fa si che la cura farmaceutica sia identificata nel popolo come la panacea a tutti i mali.

Cosa si può dire a proposito delle medicine alternative?

Questo è un grande capitolo in estensione. Da fatto di contro-cultura, è diventato fatto di moda e attualmente sta per essere integrato e accettato come altra possibilità terapeutica. Le stesse industrie farmacologiche hanno fiutato l’affare e si stanno gettando nella mischia. Non per nulla le medicine più conosciute hanno una preparazione industriale. Prima fra tutte l’omeopatia, che sarà presto di uso comune.

Ma l’omeopatia è cosa seria?

Le opinioni divergono. Qualche anno fa’ il medico sorrideva o si preoccupava quando il paziente parlava di omeopatia. Ora la letteratura medica indulge su studi e ricerche che gettano una luce positiva sull’argomento.
Penso che l’omeopatia rappresenti il placebo del domani: acqua fresca che contiene solo il nome di qualche componente velenoso, capace di modificare le funzioni organiche con la sola evocazione e somministrazione.
Si veda l’analogia con ritualismo e formule magiche.

Ritorniamo allora a parlare di stile di vita. Di cosa si tratta?

Si tratta di impostare la propria vita sui ritmi delle proprie possibilità fisiche e mentali. Ovviamente quando ciò è possibile.
Purtroppo oggigiorno si ritiene irrinunciabili anche bisogni non naturali e non necessari, determinati da imposizioni del proprio status. Da notare che lo status, a differenza di quanto accadeva fino a poche decine di anni orsono, è quello di consumatore.
In altre parole è il desiderio che condiziona la vita attuale, più che non il bisogno reale. Questo è il fattore generale alla base dei nostri stati patologici.

La malattia è perciò conseguenza di un errata ricerca del ben-essere?


Penso di sì, pur con l’attenuante dell’incapacità dei maestri, quando non della loro chiara malafede.
Vi e però anche un capitolo tutto dedicato alle tare ereditarie che andrebbe dovutamente sviluppato.

Ma le tare ereditarie esistono ancora? Perché se ne parla solo come fenomeno marginale ?

In genere si tende a parlare di tare solo di fronte ad evidenti fenomeni di insufficenza fisico-mentale. Il maggior esempio è rappresentato dal mongolismo o dal nanismo ereditario.
TARA è di etimo incerto. Generalmente viene accettata l’accezione che riguarda la tara come aggiunta di cui bisogna tener conto nel computo generale del peso di una merce.
Parlando di un corpo umano si intende per tara ciò che è presente nel patrimonio genetico individuale, rivolgendosi esclusivamente agli aspetti negativi, in quanto gli aspetti positivi vengono per lo più indicati come doni.
Esempio di tara è l’emofilia ed esempio di dono una spiccata propensione per la pittura, la matematica o la bellezza dei lineamenti.
Ovviamente le cose non stanno in questi termini manichei.
Possiamo sostenere che la presenza di tare genetiche è ormai diffusa in tutto il genere umano. Questo dovuto ad un allontanamento del modo di vita dai ritmi naturali che hanno impedito una selezione dei soggetti migliori alla riproduzione e la sopravvivenza di soggetti mediocri o insufficienti che hanno a loro volta creato una prole tarata.
Diciamo che la civiltà, intesa come creazione della civiltà monumentale di cui facciamo parte, ha portato seco anche questo fenomeno.
Non si può parlare invece di diffusione di tare genetiche negli animali, in quanto i principi naturali stessi fungerebbero da regolatori eliminando o contenendo il problema.

Il quadro che fuoriesce da questa descrizione può essere giudicato reazionario o cinico.

Chi si occupa di scienza pura, o di filosofia teoretica, non si preoccupa del giudizio politico. E’ovvio che l’auditorio deve essere in grado di percepire quanto asserito con limpidità concettuale, senza relazionarlo con i suoi valori personali o la convenienza pratica. Cosa che farà in un secondo tempo gestendo quanto appreso secondo la convenienza dovuta dal suo ruolo sociale.

Continuando, come si manifesta questa diffusione globale delle tare ereditarie?

Essenzialmente in due modi: il bisogno umano di vivere in società organizzate che ha portato la nascita di megalopoli di decine di milioni di abitanti e l’aumento dell’aggressività che ne deriva.
Padri fragili che generano figli deboli nella mente e nel corpo.
Un ambiente degradato che non ricerca l’eugenetica, ma la soddisfazione immediata dei desideri porta inevitabilmente ad uno stile di vita dannoso per la salute dei futuri
genitori.
Inoltre, per una sorta di compensazione quantitativa, più un ambiente è degradato e più sono prolifici i suoi abitanti .Non a caso la demografia assume andamenti esponenziali proprio laddove le condizioni di vita sembrano francamente impossibili.
Da qui i mali presenti e futuri per le generazioni a venire.

Esiste una terapia per questi mali?

Temo di no. Non è possibile stravolgere la vita in funzione della cura. Se ciò è possibile lo è solo a livello individuale e comunque non può essere definitiva. Ricordiamo che ogni terapia non può mancare all’appuntamento con il limite della vita.

Ma allora quale è la ricaduta pratica di queste considerazioni?

La non-illusione, per esempio. Il riconoscere che la vita non sarà eterna e che perciò è bene che ci occupi di ciò che realmente ci interessa, piuttosto che di progetti senza fine.
Ne consegue che la vita ha senso se vale la pena di essere vissuta, anche a costo di grandi sacrifici. Altrimenti è solo un “vivre pur vivre”.
Non bisogna nemmeno dimenticare il valore individuale dell’esistenza. In fondo l’unica vera proprietà che l’uomo possiede è la possibilità di morire, non di vivere.
Ritengo doveroso quindi preoccuparsi del desiderio dell’uomo di morire tranquillo,
senza opposizioni o impedimenti, il momento in cui egli decide di farlo.
Ricordo a questo proposito ricordo un bel saggio di Hume sul suicidio, che vedo stranamente dimenticato da tutti coloro che si occupano di etica , bioetica e deontologia applicata alla medicina

Ma non volendo estremizzare i termini della questione che cosa può ricercare una persona comune?

Un buon consigliere, o un buon amico, il che è la stessa cosa.
Qualcuno che la riporti alla realtà quando sta perdendo di vista i suoi limiti.
Un buon medico. Qualcuno che sappia dirgli quali sono i suoi errori e sappia indicargli come evitarli o superarli. Un medico volto alla persona, non ad un ammasso di cellule informi.
Un medico che sappia essere anche duro ma speranzoso. Come un padre o, per estensione, come un Dio.
Non dovrebbe essere conosciuto come erudito e drammatico, o peggio, distaccato e freddo. In questo caso egli o è inesperto e insicuro da non saper gestire le proprie emozioni, o, nel secondo caso, cerca nella professione solo la soddisfazione personale. Queste persone sono da evitare in quanto non terapisti, ma formatori di
eterni malati.

E cosa dire dei malati, pazienti, clienti del sistema sanitario?

La cosa migliore penso sia l’onestà.
Il cliente deve essere onesto nelle sue pretese. Solo così avrà il diritto etico di potersi lamentare se qualcosa non funziona.
Solo a quel punto avrà il diritto di esigere che il sistema si adatti ai bisogni e non il contrario.


12 aprile 1999




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